BOZZA NON CORRETTA |
I COMMISSIONE
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 9,15.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito
dell'indagine conoscitiva sulle problematiche inerenti alla normativa in
materia di immigrazione e di asilo, l'audizione di rappresentanti del Forum
del terzo settore e di rappresentanti del Comitato per i minori accompagnati
e non accompagnati, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche
sociali.
Invito gli intervenuti, ove lo ritengano opportuno, a lasciare alla
Commissione una relazione, sintesi o altro documento scritto di cui eventualmente
dispongano.
Do loro senz'altro la parola alla dottoressa Carlà per l'illustrazione
della relazione.
DANIELA CARLÀ, Direttore generale
presso il Dipartimento politiche sociali del Ministero del lavoro e delle
politiche sociali. Signor presidente, innanzitutto la ringraziamo per
l'opportunità che ci è stata offerta.
Abbiamo predisposto una documentazione scritta che possiamo lasciare
a questa Commissione e che potrà essere integrata con altro materiale
che ci perverrà durante lo svolgimento di questa audizione. Si tratta
di un breve opuscolo illustrativo dell'attività sinora svolta dal
Comitato per i minori stranieri, contenente una breve introduzione a mia
firma, essendo presidente di questo comitato, anche se da appena un mese.
Tale documento non è stato redatto per questa specifica
occasione ma nell'ambito di una riflessione più generale relativa
non all'attività futura ma a quella in corso di svolgimento, nel
senso che ci siamo dati un programma di lungo periodo ed uno di breve periodo,
di soli tre mesi, che già è in fase di attuazione. La nota
che perverrà successivamente riguarda il numero di provvedimenti
decisi dal comitato in questo mese.
Innanzitutto, vorrei compiere una annotazione che a me sembra di estremo
rilievo. L'Italia sta sviluppando, nel campo dei minori stranieri non accompagnati,
una esperienza originale ma del tutto in sintonia con la posizione che
ha sempre caratterizzato il nostro paese, vale a dire essere molto presente
nell'evoluzione del diritto internazionale e nella sua applicazione evoluta
in questa materia, con soluzioni talvolta pionieristiche; il che non significa
improvvisate ma dirette alla introduzione di novità fondamentali.
Tant'è che, su questa attività del comitato stranieri e sulla
soluzione adottata dal nostro paese, che considero, ripeto, pionieristica
ma del tutto coerente con l'evoluzione del diritto internazionale (stiamo
svolgendo, per primi, una attività nella quale molti ci seguiranno),
vi è una positiva convergenza - consentitemi di sottolinearlo -
tra maggioranza e opposizione. Sappiamo che la soluzione si trova già
nell'ambito della legge vigente e che il Governo non ha presentato modifiche
normative in materia. Ci sembra estremamente positivo che su di essa, per
la sua delicatezza, per la consapevolezza delle innovazioni che si stanno
introducendo nel nostro paese e per i tempi che una valutazione attenta
richiede, non ci siano proposte di modifiche normative. L'originalità
consiste nell'aver cercato di trovare, anche sul piano organizzativo, una
soluzione equilibrata tra esigenze di tutela ed esigenze di ordine pubblico.
Passando agli aspetti sostanziali, si osserva come molte discussioni
cui, peraltro, si assiste su chi debba adottare un provvedimento e su quale
provvedimento debba essere adottato siano, per così dire, astratte
e avulse dal reale contesto. Compito del comitato non è soltanto
quello di adottare provvedimenti: in tal caso, certamente avrebbe senso
la discussione relativa a quale autorità ne abbia la competenza.
Le sue attribuzioni consistono nel contribuire alla conoscenza profonda,
vera del fenomeno (di questo troverete traccia nella documentazione che
abbiamo predisposto), nel coordinare una efficace attività da parte
degli enti locali e delle amministrazioni interessate per fornire assistenza
adeguata, attuando la risoluzione della Consiglio europeo, soprattutto
per quanto riguarda la salute psicofisica e l'educazione dei minori presenti
nel nostro territorio, anche quando non accompagnati e, infine, nell'adottare
i provvedimenti di rimpatrio assistito con indagini che, sul piano quantitativo
e qualitativo, siano adeguate alla delicatezza del fenomeno. Quindi, non
si tratta solo di provvedimenti e solo di provvedimenti di rimpatrio.
Perciò sono tre le funzioni essenziali: la conoscenza (banca
dati), il coordinamento della attività delle amministrazioni e degli
enti locali e i provvedimenti di rimpatrio e di altra natura. Per quanto
riguarda l'attività di conoscenza troverete sufficiente documentazione
nell'opuscolo che vi lasceremo. Quanto al coordinamento dell'attività
delle amministrazioni e al coordinamento di tipo quantitativo e qualitativo
degli standard di accoglienza vi sono ritardi dovuti non alla inefficienza
della formula adottata o a distrazione, per così dire, da parte
di chi vi ha lavorato ma alla corrispondenza tra questo obiettivo e il
contesto delle profonde riforme che, nel frattempo, sono intervenute nel
nostro paese. Ora, si tratta di prendere atto della nuova articolazione
dei poteri, del nuovo
ruolo, così come è stato modificato, di regioni e province
e comuni e di segnare, in un tempo medio che abbiamo individuato in tre
o quattro mesi, gli standard quantitativi e qualitativi condivisi
che il comitato proporrà, probabilmente, alla Conferenza unificata.
Perché questi standard siano realmente seguiti dalle regioni,
dalle province e dei comuni, infatti, è necessario anche effettuare
un passaggio successivo. Sono già stati interessati non soltanto
l'ANCI, che è presente nel comitato, ma anche le regioni che, invece,
non lo sono.
Per quanto riguarda il numero dei provvedimenti, anche in questo ci
vuole equilibrio nel senso che, come ricordavo, il comitato deve adottare
- non si tratta di una patologia, vi è obbligato - provvedimenti
di rimpatrio assistito. Non perché è necessario, talvolta,
far finta o far vedere che si è cattivi ma per conformità
al diritto internazionale e nel rispetto degli obblighi internazionalmente
assunti dal nostro paese. Tutte le volte in cui è possibile, l'interesse
primario del minore è di essere ricondotto alla propria famiglia
di origine. Quindi, il provvedimento di rimpatrio non è necessariamente
punitivo, tanto più se è accompagnato da indagini qualitative,
se si effettuano verifiche successive e se si dotano i piani di inserimento
nel paese di origine di risorse adeguate. Stiamo lavorando con le associazioni
che effettuano le indagini per individuare linee guida adeguate: è
questo l'altro obiettivo che il comitato si è proposto. Se mi si
consente una annotazione aggiungo che, probabilmente, proprio sul fronte
delle risorse una riflessione a parte, a questo punto, può essere
condotta.
Quando abbiamo iniziato questa attività - mi riferisco non alla
mia persona ma alla istituzione che rappresento - non si aveva percezione
dell'esatto dimensionamento del fenomeno, il quale è molto più
consistente di quanto non si ritenesse originariamente.
Abbiamo infatti in gestione, al momento attuale, circa 8 mila minori.
Se si vuole lavorare non a campione, ma in maniera diffusa e articolata,
tenendo conto delle storie personali - giacché ogni minore ne ha
diritto -, non è pensabile di utilizzare semplicemente le risorse
proprie del fondo per le politiche migratorie; ciò perché,
rispetto agli interventi di rimpatrio assistito, sarebbe opportuno dotare
il comitato di risorse aggiuntive. I provvedimenti, peraltro, non sono
solo di rimpatrio, bensì sono anche di non luogo a provvedere al
rimpatrio, quando ve ne è la necessità, mentre in altri casi
sono provvedimenti di archiviazione.
Da quando presiedo il comitato, abbiamo adottato una nuova regola,
con il concorso di tutte le amministrazioni che ne fanno parte: quella
di comunicare al Ministero dell'interno, due mesi prima del compimento
dei 18 anni, che il minore sta per uscire dal campo soggettivo di applicazione
dell'attività del comitato. Ciò non per una cinica lettera
di buon compleanno, bensì perché, per coniugare - ai livelli
giusti e senza fughe di responsabilità di nessuno - tutela e rigore,
occorre assumere in tempo tutti i provvedimenti di competenza di ciascuna
amministrazione per affrontare adeguatamente il passaggio alla maggiore
età. È possibile, peraltro, nei casi in cui il minore studi
o lavori, consentire il proseguimento del soggiorno nel nostro paese; purtuttavia
si tratta di attività che vanno seguite con attenzione e monitorate.
Ricordo che il campo di applicazione soggettivo delle attività del
comitato riguarda i minorenni. Oltre i diciotto anni, pur essendoci problematiche
complesse, tuttavia esse non rientrano nella competenza del nostro comitato.
In questo ultimo mese, dal 14 marzo al 10 aprile, abbiamo esaminato
350 casi; la documentazione che faremo pervenire alla Commissione successivamente,
potrà fornire alcune informazioni
sull'articolazione di tali provvedimenti. Ho citato questo dato, a testimonianza
della possibilità di esaminare quanto abbiamo in banca dati in tempi
che, pur non essendo brevissimi, sono comunque medi; ad ogni modo proporremo
anche alle altre amministrazioni una calendarizzazione.
Ritengo che questa materia per essere affrontata adeguatamente necessiti
di coordinamento interministeriale (e in tal senso stiamo operando); necessiti
di una conferma delle finalità, dei compiti e della collocazione
istituzionale nell'ambito delle politiche sociali (e in proposito, noto
positivamente, vi è convergenza tra maggioranza ed opposizione);
vi è anche bisogno di una maggiore coerenza con la politica estera,
nel senso che è opportuno attivare degli accordi bilaterali con
i paesi di provenienza, per mettere a regime e per coordinare, in una logica
di sistema, l'interlocuzione con quei paesi. Infine - e questa sarà
l'ultima direzione di intervento che ci siamo posti come prioritaria -
vi sarà la necessità di un'adeguata formazione degli operatori.
Al riguardo, peraltro, non ritengo sia necessario immaginare delle risorse
aggiuntive per la formazione, dal momento che il paese già ne dispone.
Da ultimo, vorrei dire che stiamo procedendo anche ad una riorganizzazione
sul versante organizzativo, con la predisposizione di un'attività
di informatizzazione, che renderà possibile, a breve, avere cognizione
e anche pratica di tutta la materia.
Abbiamo effettuato di recente una gara - utilizzando le risorse del
fondo per le politiche migratorie 2002 - per l'istituzione di un centralino
telefonico, che risponda anche oltre le ore abituali di ufficio; questi
sono tutti piccoli interventi sul piano organizzativo, che assicureranno
certamente - almeno nelle nostre speranze - la funzionalità necessaria.
Ma, soprattutto, abbiamo proceduto ad unificare
questa area di intervento con l'altra del comitato, che riguarda gli accolti. Questo è un settore spesso trascurato, mentre è necessario identificare specificità e sinergie. Gli accolti sono i minori che vengono in Italia per programmi di solidarietà (basti pensare ad esempio a tutti i bambini che vengono dall'area di Chernobyl). Anche in questa direzione il comitato ha avviato una riflessione, al fine di verificare quali modalità innovative possiamo suggerire, promuovere e incoraggiare per programmi di solidarietà che non siano la riproduzione identica di programmi di solidarietà dell'anno precedente. Anche qui, se volessimo intraprendere la strada innovativa di programmi di solidarietà di tipo nuovo, vi sarebbe il problema dell'utilizzo di risorse, anche se non necessariamente da parte del comitato, dal momento che possono anche essere risorse attribuite alla società civile, alle regioni o ai comuni, ma che comunque in qualche maniera debbono essere poi finalizzate ad interventi mirati.
PRESIDENTE. Ringraziamo la dottoressa Carlà
per la sua esposizione introduttiva.
Do ora la parola ai colleghi che volessero intervenire nel dibattito,
per porre quesiti o formulare osservazioni.
CARLO LEONI. Le informazioni che ci sono
state fornite sono davvero preziose, sia con riferimento alle modalità
con le quali il comitato sta lavorando sia con riferimento alla filosofia
che ispira tale modo di operare; mi sembra, infatti, davvero condivisibile.
La Commissione sta svolgendo queste audizioni per avere un'idea generale
della situazione ed, altresì, per acquisire eventualmente dei contributi
particolari, proprio in quanto ci accingiamo ad introdurre delle modifiche
alla legislazione sull'immigrazione.
Poiché a partire dalla settimana prossima inizieremo ad esaminare gli emendamenti relativi al provvedimento sull'immigrazione, vorrei capire se con riferimento alla materia riguardante i minori vi sia da parte vostra delle osservazioni rispetto alla formulazione attuale del disegno di legge o, comunque, rispetto alla legislazione vigente in materia.
ISABELLA BERTOLINI. Ringrazio
la dottoressa Carlà per le informazioni, estremamente utili, che
ci ha fornito; vorrei però qualche delucidazione ulteriore.
Con riferimento ai dati che lei ci ha fornito, vorrei capire cosa intenda
quando parla di 8 mila minori in gestione; si tratta, o meno, di casi che
avete già analizzato e per i quali dunque avete già adottato
dei provvedimenti?
Vorrei sapere se i dati relativi ai minori che giungono nel nostro
paese non accompagnati tendano ad aumentare o a diminuire o se invece si
tratti di un fenomeno stabile, in relazione al quale si è rilevata,
almeno in questi anni, una continuità.
Mi chiedo, inoltre, quali siano le fasce d'età più presenti
e soprattutto quali presentino maggiori problematiche e difficoltà,
quante pratiche sospese siano attualmente a carico del Comitato - so che
da quando è presieduto dalla dottoressa Carlà sta lavorando
con grande celerità -, e come tale organismo abbia funzionato in
questi ultimi anni: se abbia operato a rilento, se abbia funzionato poco
o molto. Infine, ci piacerebbe sapere cosa prevedete sia necessario fare
per agevolare la vostra attività - a parte quanto avete già
detto con riferimento alle problematiche delle risorse - e per quali motivi,
se siete in grado di dirlo, il fenomeno sia stato in qualche modo sottostimato
rispetto ai dati reali che si sono poi registrati.
MAURO VALERI, Funzionario della direzione
generale per l'immigrazione del Ministero del lavoro e delle politiche
sociali. Quando è stato istituito il comitato esisteva una normativa
poco attenta a questo fenomeno per due motivi. Il primo è che dal
punto di vista delle risorse il fondo era istituito presso il Ministero
dell'interno per cui gli enti locali non avevano neanche un monitoraggio
della situazione, non sapevano ad esempio quanti minori c'erano, cosa che
molte volte riscontriamo anche in assenza di banche dati comunali. Dopo
il parere del Consiglio di Stato i fondi per questi minori sono stati attribuiti
agli enti locali, ma in un primo periodo si tendeva a delegare il fenomeno
direttamente alle strutture e non agli enti locali. Il secondo motivo è
rappresentato dal fatto che prima della cosiddetta legge Turco-Napolitano
accadeva che il minore veniva rintracciato e, secondo quanto prescritto
dall'articolo 403 del codice civile, collocato in un luogo sicuro. La trascrizione
sul permesso di soggiorno di «collocazione in luogo sicuro»
era «affidamento» o «attesa affidamento».
Sottolineo che si tratta di un permesso previsto per circolare e non
per legge. Perciò la prima azione del comitato è stata quella
di riorganizzare partendo dal presupposto che esiste una legge e bisogna
dare i permessi di soggiorno in base ad essa. Una volta stabilito che il
soggetto non può essere espulso, il permesso ai minori viene concesso
per motivi familiari o per motivi di età. Il permesso per minore
età è un permesso comunque temporaneo che tutela il minore
fino a quando rimane tale, poi si apre il problema del dopo, tutto ciò
però si trova all'interno della legge. Il comitato ha cercato di
eliminare, con la collaborazione di tutte le questure, i permessi di affidamento
laddove si trattava della trascrizione «in luogo sicuro» e
non di un provvedimento del tribunale. Una volta fatto ciò, ha costituito
una banca dati che è attiva da luglio
del 2000, nella quale raccogliamo tutte le segnalazioni (il regolamento
del nostro comitato prevede un obbligo di segnalazione) che giungono da
diverse fonti; in genere si tratta di strutture di accoglienza o enti locali,
ma potrebbe trattarsi anche di un singolo cittadino che incontra un minore
per strada che chiede l'elemosina. Il comitato ha poi il compito di trovare
questi soggetti e farsi carico eventualmente dei minori.
Abbiamo avuto nel corso degli anni un aumento abbastanza preoccupante
del fenomeno, dovuto sia ad una crescita dello stesso sia al maggior numero
di segnalazioni. In particolare, negli ultimi mesi sono aumentate le indicazioni
delle regioni del Meridione, che in genere, soprattutto quelle della fascia
occidentale, erano meno attente al problema. Si tratta comunque di un fenomeno
tipicamente italiano, in quanto negli altri paesi la normativa è
molto più restrittiva: deve essere il minore a chiedere asilo altrimenti
viene espulso. Alcuni stati europei hanno chiesto di poter imitare il meccanismo
del comitato in modo da poter intervenire nel caso in cui il minore non
chieda asilo e laddove dovrebbero comunque scattare misure di tutela.
Attualmente risultano 8 mila minorenni nella banca dati del comitato,
tuttavia bisogna tenere conto che a partire da luglio 2000 i nominativi
registrati sono stati 16 mila; ciò significa che circa la metà
dei soggetti registrati sono diventati maggiorenni. Molte volte infatti
abbiamo a che fare con ragazzi molto prossimi alla maggiore età,
e questo mette in difficoltà il comitato il quale deve far partire
una serie di procedure per arrivare al provvedimento laddove i tempi sono
limitati. Attraverso alcune ricerche interne al comitato si è constatata
l'esistenza di una casistica diversa per quanto riguarda i minori al di
sotto dei 12 anni; in questo caso l'attività è più
simile a quella all'adozione internazionale;
contemporaneamente i tribunali per i minorenni sono molto più
attivi in queste situazioni, mentre invece sulla fascia compresa tra i
14 ed i 18 anni faticano ad intervenire.
In Italia non è stato ancora stabilito il modo in cui procedere
all'identificazione di un maggiorenne; mentre la giustizia minorile ha
stabilito degli standard attraverso cui verificare se un soggetto abbia
più o meno di 14 anni, lo stesso metodo basato nell'età ossea)
utilizzato in prossimità del diciottesimo anno diventa difficilmente
applicabile. Con il Ministero dell'interno ci siamo accordati per verificare
quali possano essere le misure più idonee, a tutela del minore,
per stabilire la minore età o meno. In passato è accaduto
che 350 persone provenienti dal Bangladesh che si erano dichiarate minorenni
sono risultate maggiorenni. In sostanza il fenomeno dell'immigrazione minorile
racchiude in sé diverse problematiche.
Il problema di come si debba regolare il passaggio dalla minore alla
maggiore età è estremamente delicato e deve fare i conti
anche con difformità presenti a livello nazionale. Mentre nell'Italia
del nord il passaggio al permesso di soggiorno per motivi di lavoro appare
abbastanza semplice, nella parte dell'Italia che si trova al sotto della
Toscana sembra molto improbabile. Perciò il comitato, nei casi per
i quali è previsto il rientro e si ritiene che il minore dovrà
affrontare una situazione difficile nel proprio paese, considera opportuno
che il ragazzo resti in Italia e quindi permette il passaggio al permesso
di soggiorno per motivi di studio.
Un altro problema è rappresentato dall'incompletezza dei dati
che giungono al Comitato. Comunque nel 50 per cento dei casi abbiamo a
che fare con ragazzi albanesi; il secondo gruppo per consistenza è
costituito dai ragazzi marocchini, che sono i più problematici perché
restano meno tempo nelle
strutture. Esistono delle zone ancora non coperte a sufficienza dalle
indagini, legate molto alla tipologia di intervento dei servizi sociali;
ad esempio sappiamo, in base alle indicazioni forniteci dalla comunità
marocchina, che esiste un consistente numero di minori marocchini non accompagnati
a Napoli e tuttavia non ci giungono segnalazioni significative dai sevizi
sociali della città campana. Tendenzialmente il problema dei minori
stranieri non accompagnati è suddiviso nelle questure tra le competenze
dell'ufficio minori e quelle dell'ufficio stranieri; lo stesso vale anche
per molti servizi sociali, per cui il minore straniero a volte ha due o
tre assessorati di riferimento. In passato il comitato ha convocato un
tavolo di lavoro, dove è emerso che sono essenzialmente le strutture
piuttosto che gli enti locali a gestire il minore, molte volte anche perché
il tutore del minore è il responsabile della struttura. Su tutto
ciò il comitato sta ragionando, anche perché l'ente locale
è rimasto il punto di riferimento cui fornire tutte le informazioni.
Perciò uno dei motivi per i quali il comitato stesso molte volte
ha delle difficoltà ad emettere un provvedimento deriva anche dal
rifiuto delle strutture a fornire a loro volta informazioni sui minori
che gestiscono.
Per concludere vi dico che tecnicamente il procedimento per giungere
ad un provvedimento prevede che si debba: procedere ad un indagine sulla
situazione familiare del minore; chiedere l'autorizzazione all'autorità
giudiziaria per sapere se il minore debba rimanere in Italia perché
reo o vittima (ed in molti casi i tribunali ritardano nel fornirci il nullaosta
in caso di rimpatrio); fornire la documentazione che prova che il minore
è stato sentito in base all'articolo 12 della Convenzione di New
York.
L'ultimo passaggio che vorrei sottolineare riguarda il fatto che chiediamo
sempre una relazione sull'integrazione del
minore in Italia. A volte si dice che ci sono pochi o troppi provvedimenti,
ma essi sono emessi soltanto in fase finale, laddove il comitato ottiene
la documentazione. Inizialmente, era stato accusato di mettere in atto
espulsioni nascoste, ma esso pubblica sempre il numero dei provvedimenti
perché intende seguire rigorosamente una propria filosofia.
Vorrei sottolineare un dato: fino a pochissimo tempo fa l'Italia applicava
una politica per la quale si facevano restare i «buoni» e si
mandavano via i «cattivi». Alcune strutture, purtroppo, seguono
tale filosofia, privilegiando i bambini buoni e mandando via i bambini
cosiddetti cattivi.
Il comitato - e la legge - non prevedono un tale principio che, peraltro,
poteva essere messo in pratica finché era in vigore il meccanismo
delle espulsioni: poiché l'espulsione dei minori non è più
prevista, non si può perseverare in una logica che divide i buoni
dai cattivi.
Il comitato si basa sul principio dell'idoneità o meno della
famiglia: se le famiglie sono ritenute idonee, si provvede affinché
il minore possa farvi ritorno; se il bambino è giudicato «cattivissimo»,
ma la sua famiglia è inadeguata, egli potrà rimanere in Italia.
Tale logica a volte non viene adottata dagli enti territoriali che, tendenzialmente,
mostrano la preferenza verso i bambini che non creano problemi. Personalmente,
stimo che un terzo dei minori non venga segnalato; una percentuale di bambini,
dunque, probabilmente quelli più problematici, non usufruisce dei
servizi. Si tratta di minori sui quali il comitato dovrebbe maggiormente
intervenire.
PRESIDENTE. Il collega Leoni aveva posto una domanda, alla quale la pregherei di fornire una breve risposta, data la ristrettezza dei tempi a nostra disposizione.
MAURO VALERI, Funzionario della direzione
generale per l'immigrazione del Ministero del lavoro e delle politiche
sociali. Mi scuso con i colleghi per la lunghezza della mia esposizione.
In origine, il comitato aveva una struttura molto leggera; esso ha
incontrato in seguito alcune difficoltà, una delle quali è
data dal fatto che una parte della normativa viene emanata tramite circolari;
il fatto che il comitato possa emettere un provvedimento di non luogo a
provvedere si basa sulla circolare dell'aprile del 2001. Devono essere
definiti con maggiore chiarezza i compiti ed i poteri del comitato, in
modo da consentire un'analisi più corretta del fenomeno.
Un'ipotesi avanzata in passato riguarda la possibilità di fornire
un permesso di soggiorno ad hoc, così come avviene nel caso
dei richiedenti asilo, attesa la decisione del comitato, in maniera tale
da garantire al minore una serie di diritti che in questo momento sono
difficilmente gestibili (a parte il problema economico che veniva sollevato
in precedenza)
DANIELA CARLÀ, Direttore
generale presso il dipartimento politiche sociali del Ministero del lavoro
e delle politiche sociali. Cito molto brevemente due questioni: una
carenza normativa riguardo il problema dei richiedenti asilo che, vorrei
ricordare, non è di nostra competenza.
Inoltre, stante la delicatezza del fenomeno che stiamo discutendo,
sarebbe opportuno che il comitato relazionasse periodicamente al Parlamento:
si tratta di un piccolo emendamento che si potrebbe introdurre, anche perché
non costa nulla.
GIAN PAOLO LANDI di
CHIAVENNA. Presidente, stiamo discutendo di un problema di particolare
gravità, come è stato
più volte sottolineato dalle organizzazioni che si occupano di
tutela dei minori; quanto ci è stato riferito inquadra molto bene
la delicatezza e la complessità del fenomeno.
Vorrei porre una domanda: i rappresentanti del comitato hanno spiegato
che spesso e volentieri i minori che giungono in Italia cercano, per riuscire
a rimanere nel nostro paese, di aggirare il limite delle norme. A giudizio
dei rappresentanti del comitato, quali sono le percentuali di possibilità
di riuscita di un processo vero di integrazione di questi minori? Lo Stato
investe su politiche di integrazione dei minori; al diciottesimo anno di
età, secondo le norme vigenti, essi dovrebbero essere espulsi. Esiste
la possibilità, modificando la norma attualmente vigente, di definire
politiche di integrazione di tali minori? Siamo in grado, attraverso un
percorso di inserimento e di formazione professionale, di creare le condizioni
affinché tali minori, compiuto il diciottesimo anno di età,
restino in Italia per integrarsi nel tessuto sociale, economico e produttivo?
DANIELA CARLÀ, Direttore generale presso il dipartimento politiche sociali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Personalmente, non ritengo che tale questione richieda una modifica normativa: è necessaria l'attuazione delle norme che esistono. Oggi sono stati stabiliti una nuova dislocazione dei poteri ed i compiti del comitato che dovrebbe definire gli standard e le linee guida per politiche di accoglienza, non solo esistenti ma anche efficaci e valutabili, secondo le quali si dovrebbe procedere. Non ci troviamo in presenza di un vuoto normativo, ma del difficile avvio dell'implementazione amministrativa che, ci auguriamo, possa produrre risultati. Per tale motivo, ritengo interessante l'ipotesi di una relazione al Parlamento. Sarebbe necessario stabilire una scadenza entro la quale effettuare una valutazione riguardo una modalità concertata di attività.
PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti del comitato, la dottoressa Carlà, il dottor Valeri e la dottoressa Siclari per la loro collaborazione.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni,
rimane stabilito che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche
attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Si riprende l'audizione di rappresentanti del Forum del terzo settore e del Comitato per i minori stranieri.
PRESIDENTE. Passiamo ai rappresentanti del Forum del terzo settore. Sono presenti il dottor Mosiello, la dottoressa Tortora, il dottor Miraglia e il dottor Drei, che ringrazio per aver accolto il nostro invito. Do la parola al dottor Mosiello.
UMBERTO MOSIELLO, Rappresentante
del Forum del terzo settore. Ritengo che sia interesse della Commissione
ascoltare la voce della Forum del terzo settore, perché ci occupiamo
quotidianamente dei problemi legati alla presenza degli immigrati nel nostro
paese.
Come saprete, il Forum del terzo settore associa circa un centinaio
di organismi: si tratta di federazioni o cordinamenti del mondo del volontariato,
dell'associazionismo di promozione sociale, delle ONG impegnate nell'attività
di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, oltre a mutue, fondazioni
ed altre forme di autorganizzazione della società civile.
Vorremmo fornire un contributo sul complesso del disegno di legge di
iniziativa governativa, di cui la parte discussa questa
mattina è una piccola parte, che però riteniamo talmente
importante da aver presentato una specifica proposta in materia.
Già all'epoca dell'approvazione da parte del Consiglio dei ministri
del disegno di legge governativo sull'immigrazione, era stato costituito,
all'interno del Forum del terzo settore, un coordinamento che si occupava
dei temi dell'immigrazione - che vedeva insieme organismi del volontariato,
della cooperazione sociale, associazione di promozione sociale, ONG - dove
abbiamo analizzato i contenuti del disegno di legge.
Vi è stato, quindi, uno sforzo continuo di approfondimento,
una svariata serie di incontri e riflessioni, sia nel coordinamento sia,
anche, negli organismi decisionali del Forum del terzo settore;
in due consigli nazionali la tematica ha avuto un ampio spazio di confronto
e di dibattito. Si è pervenuti, quindi, all'approvazione, proprio
tre giorni fa, nel consiglio nazionale, del documento che fra poco vi sarà
distribuito. Esso esprime la scelta, fatta dopo un'iniziale perplessità,
di dare un contributo sulle tematiche nonché un giudizio complessivo
sulla normativa, rinunciando ad elaborare, a causa delle difficoltà
riscontrate in tale senso, veri e propri emendamenti. Ci ha lasciato, infatti,
estremamente perplessi, fin dall'inizio, proprio la filosofia complessiva
alla base delle scelte effettuate; quindi, anziché effettuare critiche
o aggiustamenti nei confronti delle singole disposizioni e dei singoli
passaggi normativi contenuti nel disegno di legge, ci è sembrato
utile verificare quali fossero - ovviamente secondo il nostro parere, parere
però totalmente condiviso da tutti i settori del Forum - i limiti
della filosofia sottesa al provvedimento.
Da tale punto di vista, riteniamo che, complessivamente, il disegno
di legge, approvato dal Senato e giunto ora all'esame di questa Commissione
della Camera dei deputati, presenti un
errore di origine e di impostazione il quale renderà sicuramente
molto più confusa e complicata la gestione del fenomeno. Fra l'altro,
si rischia di riportare indietro il paese che solo da qualche anno è
uscito fuori dalla logica dell'equivalenza tra immigrazione e criminalità,
tra immigrazione e problemi di ordine pubblico. Tale originale logica del
nostro paese poteva, in parte, trovare giustificazione nel fatto che fino
a vent'anni fa eravamo esportatori di forza lavoro - è bene usare
anche termini economici, visto che l'impostazione è di tale tipo
- mentre solo negli ultimi decenni il processo di spostamento si è
ribaltato. Il flusso verso il nostro paese si è vieppiù rafforzato,
derivando da un fatto ineluttabile che tutti constatiamo. Tunisini, marocchini
ed altri verranno nel nostro paese finché esso sarà più
ricco degli altri; quando saremo noi ad essere nelle condizioni peggiori,
saranno i nostri che, a nuoto, tenteranno di raggiungere il loro territorio:
penso che dobbiamo augurarci la prima ipotesi e non la seconda. Quindi,
in tale tipo di situazione, eravamo finalmente usciti dalla logica dianzi
citata, anche se la normativa pone molte difficoltà applicative;
infatti da una parte e dall'altra - cioè dall'opposizione e dalla
maggioranza, di ieri e di oggi - si afferma che solo, all'incirca, il 40
o 50 per cento delle disposizioni del Testo unico, il decreto legislativo
n. 286 del 1998, hanno ricevuto una accettabile attuazione. Ciò
è potuto succedere per un complesso svariato di motivi; alcune norme,
ad esempio, richiedono proprio un ribaltamento culturale, di impostazione
ed un'amministrazione funzionante, mentre noi sappiamo quale sia il livello
medio di funzionamento dell'amministrazione in tutti i settori: a maggior
ragione, dunque, le lacune emergono in un settore delicatissimo come quello
in oggetto.
Dobbiamo, dunque, dire che il provvedimento, complessivamente, ci lascia
estremamente perplessi, per tutti questi motivi ma soprattutto per uno
in particolare. Il Governo ha rilasciato dichiarazioni forti su tale tematica,
sostenendo che il disegno di legge si propone tre obiettivi fondamentali:
consentire e favorire l'ingresso degli immigrati solo per ragioni di lavoro;
integrare gli immigrati che lavorano regolarmente; lottare contro la clandestinità.
Ebbene, tutta la normativa contenuta nel provvedimento pare in contrasto
con questi tre principi prioritari fissati dal Governo.
Si afferma, infatti, che devono potere entrare soltanto coloro che
entrino nel paese per lavorare; ma vogliamo sapere come una tale dichiarazione
si concili con il fatto che i flussi, ancora oggi, sia nei tempi sia nelle
quantità, risultano non rispondenti alle domande effettive - non
ipotetiche - delle imprese e delle famiglie. Risultano inadeguati anche
rispetto alle previsioni fatte, su tale materia, da organismi internazionali
neutrali, non di parte. Come si può favorire l'ingresso solo per
coloro che lavorano e approvare, poi, tutta una normativa specifica circa
i processi, i requisiti per lavorare degli immigrati e via dicendo? Abbiamo
creato, unico paese a farlo, quasi un diritto del lavoro specifico per
gli immigrati così da complicare la loro vita e renderla più
difficile. Ciò contrasta con l'affermazione secondo la quale è
bene che entrino solo quanti possano lavorare. Sempre a tale riguardo,
si configura in modo nuovo il permesso di soggiorno, legandolo ad un «contratto»
di soggiorno. Ma ciò è quanto, per i nostri connazionali
all'estero, abbiamo sempre avversato; non ci è mai piaciuto, infatti,
vedere il nostro connazionale identificato, all'estero, unicamente come
forza lavoro, senza alcun altro diritto se non quello di lavorare. Ciò
che abbiamo contrastato - dalla vicina Svizzera ad altri paesi più
lontani, sempre, da
ottant'anni a questa parte - vorremmo ora introdurre, per la prima volta,
sempre in maniera originale, nel nostro ordinamento? Tutto questo ci preoccupa,
perché consente, nel momento in cui il rapporto di lavoro cessi
per un motivo qualsiasi, forme di vincolo e di ricatto anche a danno dell'immigrato
che entra regolarmente e regolarmente lavora.
L'obiettivo dell'integrazione degli immigrati che lavorano regolarmente
è un obiettivo nobile e giusto che anche il disegno di legge identifica
come prioritario; poi, però, ci rendiamo conto che perde totalmente
sostanza. Addirittura, entra in contraddizione col fatto che, complessivamente,
anche la posizione di coloro che già siano in Italia regolarmente
e regolarmente vi lavorino viene ad essere resa molto più precaria
per il sistema previsto nel momento in cui si cessi il rapporto di lavoro.
Ciò ci preoccupa; addirittura, infatti, con tali misure, anziché
ridurre il numero di coloro che entrano irregolarmente, andremo a creare
irregolari tra gli immigrati che attualmente sono nel nostro paese in modo
regolare sotto tutti i punti di vista. Penso alle norme che riducono i
ricongiungimenti familiari, a quelle che allungano i tempi per ottenere
la carta di soggiorno, alla limitazione per gli immigrati, veramente assurda,
nel potere di beneficiare del settore dell'edilizia pubblica per l'alloggio
anche laddove non vi siano richieste da parte degli italiani. A tale ultimo
riguardo, porre un limite, laddove vi sia una forte richiesta - o, comunque,
una richiesta - di alloggi da parte degli italiani, mi sembra anche giusto
e corretto, ma non condivido la previsione di un limite in assoluto. Disponibili
cento abitazioni e nessun italiano richiedendole, come può essere
un bene che cinque immigrati possano accedere a tale beneficio e gli altri
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debbano dormire sotto i ponti o in mezzo ad una strada o altrove, anche
se lavorano e sono regolarmente presenti nel nostro paese?
Tutte queste norme contrastano con l'integrazione; tra l'altro, dopo
l'affermazione che è prioritario favorire l'integrazione di quanti,
immigrati, lavorino regolarmente, non si trova più, in tutti gli
articoli del disegno di legge, un solo passaggio che rafforzi i processi
di integrazione, mentre ve ne sono molti che riducono le possibilità
in tal senso aperte dalla normativa vigente.
Infine, quanto alla lotta alla clandestinità - al di là
di alcune misure, anche condivisibili; altre no, perché sono solo
di annuncio - consideriamo sbagliata la filosofia di fondo del provvedimento
basata su rimedi contingenti e su interessi molto precisi a «tenersi
stretti», a espellere il più possibile, mentre non viene chiarito
il rapporto tra immigrazione e criminalità. Quest'ultimo è,
invece, un rapporto molto preciso, sia in termini quantitativi, sia, a
nostro avviso, in termini proprio di individuazione di determinati soggetti,
perché gli immigrati criminali si conoscono, si conoscono con nome
e cognome. Quando non sono noti, sono facilmente identificabili come area
di attività e come area di provenienza e, quindi, è su tale
piano che andrebbe rafforzato e mirato, in maniera decisiva, un intervento
delle istituzioni.
Ci sembra anche estremamente limitativa e stringata nonché semplificatoria
la parte che riguarda il diritto di asilo, tema sul quale, in passato,
maggioranza e opposizione avevano raggiunto un accordo su un impianto di
ben diverso livello e di ben diversa qualità: impianto, tra l'altro,
molto più aderente all'avanzata definizione che, del tema, è
in corso a livello europeo.
Aggiungo che vi sono molti passaggi del disegno di legge che contrastano
sicuramente con norme della Costituzione, con intese e accordi internazionali
già sottoscritti dal nostro paese, con direttive europee già
emanate o in via di definizione. Inoltre, il Governo, anche in queste ultime
ore, giustamente, continua a dire che l'immigrazione è un problema
di lungo periodo che richiede una gestione uniforme ed omogenea a livello
europeo. Ebbene, anche in quest'ultimo caso è possibile individuare
un elemento di forte contrasto.
Lo ripeto, ci siamo apprestati a questo esame con estrema scrupolosità,
facendo continuo riferimento alla nostra esperienza quotidiana sul fenomeno
in questione. Riteniamo infatti che la presenza massiccia di immigrati
nel nostro paese crei problemi di convivenza, ma possa rivelarsi un fattore
positivo se noi stessi ci poniamo nei confronti di tale fenomeno con uno
spirito positivo. Si tratta infatti di un arricchimento notevolissimo dal
punto di vista culturale, sociale nonché economico per il nostro
paese.
Infine, con riferimento alla discussione svoltasi nel corso dell'audizione
precedente, per quanto riguarda il problema dei minori, desideriamo esprimere,
anche alla luce di quanto deciso nell'ambito del consiglio nazionale, la
nostra totale adesione all'emendamento sul minore che supera il diciottesimo
anno di età, il quale - ricordo - è stato richiesto con determinazione
da importanti e rappresentativi organismi associativi.
Ricordo che si tratta di un problema già emerso nella discussione
di questa mattina, seppure solo in modo marginale. Riteniamo che, tra l'altro,
l'emendamento presentato, con le sue sole quattro righe di testo, non contrasti,
tra l'altro, con il disegno di legge governativo né intacchi i compiti
del comitato circa la possibilità di predisporre, laddove sia tutelato
l'interesse del minore, anche un rimpatrio assistito. Pensiamo, al contrario
che vi sia una lacuna attualmente esistente nel testo normativo e che in
questo modo potrebbe essere colmata.
Oggi, infatti, ci troviamo di fronte al paradosso (siamo l'unico paese
al mondo) per cui pur investendo sul minore in quanto tale, da un punto
di vista di risorse economiche spese, attenzioni prestate per la sua formazione
culturale ed integrazione nella nostra società e via dicendo, quando
egli giunge al compimento del diciottesimo anno di età, dovremmo
intimargli di andarsene senza che egli sappia neppure dove andare.
Il testo dell'emendamento riferito all'articolo 31, recita come segue:
«Al minore straniero comunque presente nel territorio dello Stato,
al quale non possa essere rilasciato altro permesso di soggiorno previsto
dal presente Testo unico, è rilasciato un permesso di soggiorno
per minore età. Il permesso di soggiorno per minore età è
equiparato al permesso di soggiorno per motivi familiari limitatamente
a quanto disposto dall'articolo 30, commi 2 e 5 e dall'articolo 34, comma
1». Questo emendamento, nel caso non sia stato deciso il rimpatrio
assistito (per coloro cioè che non sono stati rimpatriati), consente
di proseguire nel mondo degli studi o del lavoro e, ovviamente, anche di
essere iscritti al Servizio sanitario nazionale.
FILIPPO MIRAGLIA, Rappresentante
del Forum Terzo Settore. Vorrei aggiungere un'ultima osservazione sui
primi articoli del disegno di legge, riguardanti gli ingressi. Poiché
decade la possibilità di ingressi concessi per la ricerca del lavoro,
vorrei far notare che, in Italia, da quando è entrata in vigore
la prima legge sull'immigrazione, cioè la n. 943 del 1986, sì
può entrare solo clandestinamente o per altri motivi (per esempio,
fingendo di entrare per motivi di studio, di salute o
per turismo), tornando poi in patria con la garanzia di avere perlomeno
conosciuto il datore di lavoro.
Con questo disegno di legge si ripristina un meccanismo (per fortuna
interrotto quale elemento di novità nel Testo unico) per cui non
vi è più il modo perché il datore di lavoro incontri
il lavoratore in Italia, se non facendolo entrare clandestinamente o per
altro motivo (sappiamo che nella gran parte degli altri paesi ciò
è molto difficile).
Vorrei sottolineare il fatto che, contrariamente a quanto si pensi,
in tal modo si alimenta l'immigrazione clandestina. Se si vuole veramente
rispondere anche alle esigenze del mondo del lavoro relativamente agli
immigrati (sono in questo campo da circa 15 anni e vi assicuro che nelle
regioni del centro nord vi è un grande bisogno di manodopera in
molti settori, più o meno qualificati), bisogna consentire l'ingresso
regolare. Altrimenti arriveranno, come è accaduto finora, 80-100
mila stranieri l'anno (sono cifre che possono essere facilmente desunte
guardando i numeri delle sanatorie), i quali verranno inseriti nella mondo
del lavoro nero, senza controllo da parte di alcuno.
Questa, mi sembra la richiesta più rilevante insieme a quella
concernente l'asilo e, con riferimento a quest'ultimo, ritengo che sarebbe
utile stralciarne la relativa parte. Mi sembra infatti che già esistano
sufficienti disegni di legge per affrontare una discussione su questa materia.
UMBERTO MOSIELLO, Rappresentante del Forum Terzo Settore. Signor presidente, vorrei sottolineare l'importanza di quanto appena riferito dal collega.
PRESIDENTE. Vorrei rassicurarla su questo, avendo la Commissione registrato l'importanza del problema posto.
UMBERTO MOSIELLO, Rappresentante del Forum Terzo Settore. È passata ieri la riforma del collocamento, la quale prevede definitivamente l'assunzione nominativa di chi si vuole. Come è possibile non prevedere ingressi per gli immigrati che cercano lavoro? Come è possibile pensare che l'imprenditore italiano possa assumerli a scatola chiusa? Infatti la necessità di vederli e conoscerli prima ancora dell'assunzione è, rispetto ai lavoratori italiani, maggiore (anche alla luce dei problemi di lingua e via dicendo). Pertanto, ribadisco l'importanza dell'ultimo passaggio svolto dal collega.
PRESIDENTE. Non essendovi altri interventi, ringrazio a nome della Commissione gli intervenuti per il contributo dato e auguro buon lavoro.
La seduta, sospesa alle 10,15, è ripresa alle 10,20.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche inerenti alla normativa in materia di immigrazione e di asilo, l'audizione di rappresentanti dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR), dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), di Amnesty International, del Consorzio italiano di solidarietà (ICS) e di Medici senza frontiere (MSF). Ringraziando gli intervenuti, li invito ad illustrare le loro relazioni.
LUCA DALL'OGLIO, Rappresentante
legale in Italia dell'OIM. A nome dell'Organizzazione internazionale
per le migrazioni la ringrazio, signor presidente, per questa opportunità
di presentare alcuni appunti presso la Commissione affari costituzionali
della Camera dei deputati.
L'Organizzazione internazionale per l'emigrazione è un ente
intergovernativo di cui l'Italia è Stato membro sin dalla sua creazione,
nel 1951. Essa ha seguito, con molta attenzione, gli sviluppi delle norme
e procedure in materia di immigrazione nel nostro paese nel corso degli
ultimi quindici anni, a partire dall'approvazione della legge n. 943 del
1986. La storia dell'organizzazione in Italia, infatti, si identifica con
i movimenti migratori che l'hanno interessata. Inizialmente creata come
Comitato intergovernativo per le migrazioni europee (CIME), negli anni
'50 e '60 ha assolto la funzione di facilitare i movimenti di cittadini
italiani verso paesi di accoglienza e di emigrazione dall'Italia. Successivamente,
negli anni '60 e '70, questo Comitato è diventato il principale
strumento per facilitare l'immigrazione di cittadini in transito e di profughi
che a centinaia di migliaia sono stati assistiti nella ricerca, attraverso
l'Italia, di nuove sponde in paesi di immigrazione permanente.
Nel 1986 la denominazione dell'organizzazione cambiò in quella
attuale, cioè Organizzazione internazionale per le migrazioni, per
riflettere la globalizzazione della tematica migratoria. Conseguentemente,
i programmi che hanno interessato l'Italia sono stati modificati per riflettere
il mutato contesto nazionale ed internazionale, nella consapevolezza che
l'immigrazione è diventata una componente strutturale dello sviluppo
socioeconomico, da governare con realismo sapendo che un investimento nella
risorsa immigrazione è un investimento per il futuro del paese.
Sulla base del testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo n.
286 del 1998) e del relativo regolamento, durante gli ultimi anni l'OIM
ha sviluppato e realizzato, d'intesa con le amministrazioni interessate,
progetti pilota relativi, in particolare, alla immigrazione e integrazione
di lavoratori migranti, al contrasto alla tratta di esseri umani, al rimpatrio
volontario e assistito nonché ai ricongiungimenti familiari. In
virtù della propria funzione di coordinamento regionale per il Mediterraneo,
e con l'ausilio della rete internazionale degli uffici OIM, la missione
in Italia ha inoltre avviato iniziative di dialogo regionale in questo
bacino, che vedono coinvolti paesi di emigrazione e immigrazione dell'area
balcanica e del Maghreb - Stati membri dell'Organizzazione - con il sostegno
dell'Italia e della Commissione europea.
Ci è particolarmente gradito l'invito della Presidenza del Consiglio
dei ministri e della Commissione affari costituzionali della Camera dei
deputati a formulare osservazioni in merito alle modifiche normative in
corso di esame. Pertanto, vorrei formulare sia alcune considerazioni generali
in merito all'articolazione del disegno di legge sia qualche osservazione
specifica riguardo alle possibili modifiche da apportare ad alcune disposizioni.
Il processo di revisione normativa in atto a livello nazionale viene
a coincidere con un momento delicato a livello internazionale. È
auspicabile che le misure in termini di sicurezza, legate ad una legittima
preoccupazione per i rischi del terrorismo e al contrasto del traffico
di esseri umani, non precludano la salvaguardia dei diritti e della dignità
dei migranti alla base di ogni democratica legislazione in materia di immigrazione
e asilo. Le modifiche intese a perfezionare il testo normativo in vigore
in Italia non possono prescindere - nella nostra opinione - dal processo
di definizione di direttive
dell'Unione europea in materia di asilo e di immigrazione che diverranno
vincolanti nel 2004. È auspicabile, pertanto, che le nuove disposizioni
siano volte a ridurre al minimo le future necessità di adeguamento.
Fermo restando l'impianto normativo approvato nel 1998, legato alla programmazione
dei flussi di ingresso, al contrasto dell'immigrazione irregolare e al
positivo inserimento socio-lavorativo degli extracomunitari ammessi in
Italia, è evidente la volontà del legislatore di reprimere
in modo più incisivo la clandestinità e di vincolare maggiormente
la presenza immigrata sul territorio dello Stato all'effettivo svolgimento
di un'attività lavorativa. È auspicabile, altresì,
che le nuove misure e prassi in materia di immigrazione continuino a tenere
nella dovuta considerazione i trend demografici nazionali ed internazionali
e l'importanza di percorsi di integrazione rispondenti alle necessità
degli immigrati e delle comunità di accoglienza.
La rappresentanza in Italia dei paesi di immigrazione e degli stessi
migranti hanno sovente evidenziato le difficoltà di conoscere le
procedure e di rispettare tutti gli adempimenti burocratici previsti ai
fini del regolare soggiorno in Italia. Del pari, sono stati più
volte segnalati ritardi nella gestione di pratiche e nel rilascio di documenti
da parte di uffici e amministrazioni competenti. Ogni cambiamento normativo
comporta necessariamente nuove disposizioni e prassi amministrative, la
cui applicazione richiede tempi più o meno lunghi a seconda della
capacità dei servizi preposti e della capacità di comprensione
e adeguamento degli utenti. È da augurarsi che le modifiche in esame
siano volte a snellire le procedure e semplificare gli adempimenti burocratici.
L'immigrazione è materia trasversale rispetto alle competenze
delle diverse amministrazioni (esteri, interno, giustizia, welfare,
salute) e coinvolge in modo diretto i governi e gli enti
locali. Una gestione del fenomeno passa per un organo deputato ed un
efficace meccanismo di coordinamento. Ove il Governo italiano ne ravvisi
l'opportunità, la missione in Italia, in linea con il proprio mandato
istituzionale, conferma la disponibilità dell'organizzazione a prestare
assistenza tecnica ed a partecipare con funzione consultiva a gruppi di
lavoro tematici.
Desidero ora formulare alcune considerazioni specifiche in merito agli
articoli del disegno di legge attualmente in esame alla Camera.
Quanto all'articolo 1 di tale provvedimento, relativo alla cooperazione
con gli Stati stranieri, l'orientamento dei programmi bilaterali di cooperazione
verso paesi con politiche attive di contrasto e prevenzione dell'immigrazione
clandestina consolida una strategia già avviata dall'Italia. L'introduzione,
in questo contesto, di un riferimento ai programmi bilaterali di cooperazione
rafforza un concetto di finanziamento allo sviluppo condizionato, le cui
implicazioni devono essere attentamente considerate anche alla luce degli
specifici contesti dei paesi interessati. A tale proposito, potrebbe essere
opportuno anche un richiamo specifico alle convenzioni internazionali e
ai protocolli contro il traffico illecito di migranti e, in particolare,
a seguito dell'iniziativa assunta dal Governo italiano, a Palermo, nel
dicembre 2000, in occasione della ratifica della Convenzione contro il
crimine organizzato internazionale, ai due protocolli aggiuntivi sulla
tratta e sull'immigrazione clandestina. D'altra parte, dev'essere rilevato
che la pressione migratoria diminuisce solo in presenza di un considerevole
livello di sviluppo (come insegna anche l'esperienza italiana). Solo ad
un consistente impegno internazionale in
paesi emergenti e ad una loro seria e reale crescita socio-economica
corrisponderà una graduale riduzione della spinta migratoria.
Riguardo all'articolo 2 del disegno di legge, l'istituzione di un comitato
con funzioni di coordinamento e di monitoraggio rappresenta un'interessante
innovazione rispetto alla normativa vigente. È auspicabile che,
in considerazione della pluralità delle istituzioni a vario titolo
coinvolte nel governo del fenomeno migratorio, detto comitato possa coordinare
i molteplici provvedimenti di attuazione e anche dirimere efficacemente
le controversie rispetto all'attribuzione di competenze tra le diverse
amministrazioni.
In merito all'articolo 3, relativo alle politiche migratorie, l'anticipazione
al 30 novembre del termine per la definizione delle quote massime di stranieri
da ammettere nel territorio dello Stato nel corso dell'anno successivo
rappresenta un importante passo avanti per la gestione dell'immigrazione
per motivi di lavoro subordinato e autonomo. Sono, infatti, evidenti i
numerosi disagi provocati dalla mancanza o dalla tardiva definizione delle
quote di ingresso, sia rispetto al rapporto con i paesi cosiddetti titolari
di quote privilegiate, sia posto in relazione ai fabbisogni nazionali di
lavoratori extracomunitari, stagionali e non.
Esaminando l'articolo 5, relativo al permesso di soggiorno, osserviamo
come ricondurre gli ingressi di lavoratori stranieri unicamente ad un rapporto
di lavoro predefinito introduca - a nostro avviso - elementi di rigidità
e potrebbe avere implicazioni problematiche. Tale prassi, riconducibile
in certa misura alle disposizioni in vigore tra il 1990 e 1998, implica
che il datore di lavoro abbia una conoscenza diretta dello straniero che
intende assumere oppure si avvalga in modo agevole e con piena fiducia
di meccanismi di identificazione e
selezione di cittadini stranieri candidati all'emigrazione registrati
in apposite liste predisposte, al momento, solo in alcuni paesi di provenienza.
Mentre l'Italia ha partecipato, con l'ONU, alla predisposizione di liste
in alcuni paesi selezionati, quali l'Albania e la Tunisia, crediamo che
questo processo sia ancora lungi dall'essere completato. La nostra preoccupazione
è che, in questo momento, un incontro virtuale tra manodopera e
datore di lavoro possa essere ancora problematico.
La nuova tempistica relativa al rinnovo del permesso di soggiorno impone,
sia agli immigrati sia agli uffici preposti, termini poco compatibili con
gli effettivi adempimenti. Con l'occasione si segnala che già con
la normativa in vigore molte questure non riescono a rispettare il termine
di venti giorni per il rilascio o il rinnovo del permesso, rilasciando
a titolo di ricevuta della richiesta un cosiddetto cedolino, che a volte
per mesi rappresenta l'unica prova di presenza regolare dell'immigrato
in Italia, ma che non costituisce alcun titolo formale, né consente
la mobilità internazionale dell'interessato.
In generale, va rilevato che norme d'ingresso restrittive e requisiti
maggiormente rigidi per il rinnovo o la durata del permesso di soggiorno
possono essere penalizzanti e aumentare sacche di illegalità formale.
Con riferimento all'articolo 6 relativo al contratto di soggiorno per
lavoro subordinato, premesso quanto indicato a commento del precedente
articolo 5, l'istituzione del contratto di soggiorno ribadisce l'impegno
da parte del datore di lavoro a garantire una sistemazione alloggiativa
e introduce l'impegno per il datore di lavoro al pagamento delle spese
di viaggio per il rientro del lavoratore nel paese di provenienza. Vorrei
far presente che, in relazione all'impegno da parte del datore di lavoro
al pagamento delle spese di rientro del lavoratore nel
paese di provenienza, si segnala che l'OIM, in virtù del proprio
mandato istituzionale e degli accordi presi con tutti i principali vettori
aerei, potrebbe rendersi disponibile per l'organizzazione delle operazioni
di rimpatrio assistito a tariffe agevolate con la certificazione dell'avvenuto
trasferimento alle amministrazioni competenti. In proposito, si fa presente
che, in forza di una specifica convenzione con l'INPS stipulata nel 1992,
l'OIM ha organizzato e assistito il rimpatrio volontario di lavoratori
indigenti e il trasporto di salme di lavoratori extracomunitari deceduti,
su segnalazione dalle sedi INPS, a gravare sul fondo rimpatrio (ex
articolo 13 della legge n. 943 del 1986). L'OIM ha ripetutamente segnalato
incongruenze e limiti di utilizzo di tale fondo - peraltro costituito da
contributi degli stessi lavoratori immigrati -, rispetto alla valenza sociale
e umanitaria che avrebbe potuto avere un più articolato programma
di assistenza al rimpatrio volontario.
Con riferimento all'articolo 7 relativo alle facoltà inerenti
il soggiorno, permane l'opzione di convertire il permesso di soggiorno
rilasciato per studio o formazione in permesso di soggiorno per motivi
di lavoro, subordinatamente alla stipula di un contratto di soggiorno.
A proposito di ingresso-soggiorno per formazione (professionale), meriterebbe
un approfondimento il possibile raccordo tra le attività di istruzione
e formazione professionale nei paesi di origine (di cui all'articolo 18
relativo ai titoli di prelazione), le opportunità formative in Italia
(ex articolo 27 comma 1, lettera f) del Testo unico) e la
facoltà di conversione del permesso di soggiorno.
Con riferimento all'articolo 9 relativo alla carta di soggiorno, considerando
la limitata percentuale di stranieri che hanno richiesto e ottenuto la
carta di soggiorno in Italia (circa 16.000 su circa 700.000 presenze ultraquinquennali),
sembra
poco comprensibile la modifica che eleva a sei anni il periodo di soggiorno
necessario ad ottenere la carta, quando peraltro il periodo minimo di permanenza
ipotizzato a livello comunitario è di cinque anni.
Con riferimento all'articolo 11, relativo alle disposizioni contro
le immigrazioni clandestine, appare apprezzabile l'introduzione di specifiche
che prevedono l'inasprimento delle pene nell'ipotesi in cui il migrante
sia stato esposto a pericolo per la sua vita o la sua incolumità,
ovvero sottoposto a trattamento inumano o degradante.
Le disposizioni relative all'intercettazione, all'ispezione e al sequestro
di navi adibite al trasporto illecito di migranti non esplicitano le misure
da adottare nei confronti delle persone a bordo, soprattutto ove si tratti
di richiedenti asilo.
Con riferimento all'articolo 12 relativo all'espulsione amministrativa,
la legittima volontà di contrastare in modo più incisivo
l'immigrazione irregolare e la clandestinità va conciliata con il
diritto di ricorso e difesa dell'immigrato che abbia commesso illeciti
di natura amministrativa, non ottemperando alla normativa in materia di
ingresso o di permanenza sul territorio nazionale. In questi casi, per
quanto riguarda la durata del divieto di reingresso, è opinabile
la discrezionalità introdotta dalla norma, in assenza di criteri
oggettivi di valutazione della condotta (con possibile estensione del divieto
fino a dieci anni).
In generale, l'inasprimento di misure e sanzioni con una generalizzazione
delle espulsioni tramite accompagnamento coattivo alla frontiera e la proroga
dei termini di trattenimento presso centri di permanenza temporanea (anche
a fini di identificazione) possono avere un effetto deterrente, ma rischiano
di avere effetti collaterali con sovraccarico delle strutture preposte.
D'altro canto, la legislazione italiana non prevede allo stato attuale
forme di intervento «intermedie» che potrebbero offrire opportunità
più dignitose di rimpatrio (adottate in altri paesi). Mi preme ricordare
che l'OIM, in base a specifici accordi con un numero di paesi europei sempre
crescente, tra cui il Belgio, la Germania, l'Olanda, la Svizzera e l'Ungheria,
organizza in questi paesi il rimpatrio assistito, sotto la propria egida,
di cittadini stranieri impossibilitati ad ottenere o rinnovare il permesso
di soggiorno, migranti in transito in condizione irregolare, richiedenti
asilo con esito negativo, che ne facciano richiesta. Laddove questa tipologia
di intervento è operativa, è stato rilevato un aumento di
partenze di irregolari con risparmio di costi sociali e costi di viaggio
(in virtù delle tariffe ridotte OIM) e la possibilità di
offrire un'alternativa dignitosa al rimpatrio coatto. Laddove l'immigrato
non possa regolarizzare la propria posizione e, pur essendo disposto a
ritornare nel paese di provenienza, non disponga dei necessari mezzi economici
per farlo, ha come scelta obbligata il rimpatrio coatto con accompagnamento
e preclusione al reingresso in Italia per un congruo numero di anni. In
questo caso, si potrebbero forse individuare delle soluzioni intermedie.
Con riferimento all'articolo 16, relativo alla determinazione dei flussi
d'ingresso, l'innovazione di riservare quote a lavoratori di origine italiana
sarà funzionale ad un consolidamento delle relazioni con le comunità
emigrate.
Per quanto riguarda la necessaria identificazione della richiesta di
lavoro del mercato italiano, si segnala che tale processo risulta particolarmente
complesso per alcuni settori e servizi, quali ad esempio l'assistenza domiciliare,
che impiega un numero rilevante di cittadini extracomunitari.
Con riferimento all'articolo 17 relativo al lavoro subordinato (a tempo
determinato e indeterminato) e al lavoro
autonomo, l'istituzione di uno sportello unico per l'immigrazione dovrebbe
agevolare sensibilmente le pratiche di ingresso e assunzione di lavoratori
extracomunitari, semprechè funzionino efficacemente i necessari
supporti e collegamenti telematici tra le diverse amministrazioni interessate
(centri per l'impiego, questure, uffici consolari).
I tempi per l'accertamento di indisponibilità di manodopera
sul territorio e l'iter delle pratiche di immigrazione di lavoratori stranieri
dovrebbero essere ridotti al minimo, per rispondere alle esigenze del mercato
nazionale e alle aspettative dei lavoratori migranti.
Dovrebbe essere salvaguardata la mobilità interna dei lavoratori
immigrati e la legittima aspirazione di quei migranti che intendano seguire
percorsi di pieno inserimento sociale. In tal senso e considerando l'ampia
diffusione di attività saltuarie che impiegano manodopera straniera,
peraltro non prive di rilevanza economica, si ha ragione di ritenere che
la riduzione da dodici a sei mesi dell'autorizzazione al soggiorno penalizzi
lo straniero che deve trovare un'altra occupazione regolare.
Con riferimento all'articolo 18 relativo ai titoli di prelazione, in
linea con i precedenti commenti all'articolo 5, l'abolizione della prestazione
di garanzia per l'accesso al lavoro rischia all'atto pratico di tradursi
in un aumento di immigrati irregolari, alla ricerca di un datore di lavoro
italiano interessato ad assumerli e disposto a stipulare un contratto.
La chiamata nominativa è infatti funzionale in certi settori del
mercato e meno in altri, che pure impiegano in modo rilevante lavoratori
stranieri ma implicano tuttavia un contatto diretto tra chi assume e chi
viene assunto.
A tal fine, sarebbe opportuno mantenere almeno un'opzione per il rilascio
di visti di ingresso per inserimento nel mercato del lavoro a lavoratori
stranieri residenti all'estero,
rispondenti al fabbisogno italiano e iscritti in apposite liste predisposte
nei paesi interessati e inoltrate al Ministero del lavoro e delle politiche
sociali.
L'esperienza in due paesi con quote riservate (Albania e Tunisia) ha
infatti evidenziato che per il raggiungimento di dette quote le ambasciate
italiane hanno rilasciato visti a lavoratori iscritti nelle liste e rispondenti
al fabbisogno del mercato italiano, anche in assenza di un datore di lavoro
previamente identificato. Una procedura di ingresso, su base numerica anzichè
esclusivamente nominativa, potrebbe ben coniugarsi con quanto disposto
all'articolo 18, in relazione ai titoli di prelazione derivanti dalla frequenza
di corsi di istruzione nei paesi di origine, ovvero dalla partecipazione
a programmi di formazione professionale e accompagnamento al lavoro, appositamente
predisposti in Italia.
Per quanto riguarda il diritto di asilo sarebbe auspicabile una disciplina
organica in linea con le direttive in via di definizione in sede europea.
In considerazione del mandato specifico di un'altra agenzia internazionale
si rinvia nel merito alle osservazioni formulate dalla delegazione in Italia
dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Per quanto riguarda le misure concrete di accoglienza, integrazione,
assistenza e rimpatrio volontario dei richiedenti asilo in Italia si segnala
la positiva esperienza pilota avviata nel corso del 2001 con il programma
nazionale «Asilo» realizzata dal Ministero dell'interno, dall'ANCI
e dall'ACNUR con la collaborazione dell'ONU per la componente del rimpatrio,
anche in conformità con le indicazioni del Fondo per i rifugiati.
MICHELE MANCA DI NISSA, Vicedelegato
dell'ufficio di Roma dell'ACNUR. In considerazione del mandato dell'Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati nell'ambito
della legge sull'immigrazione ci limiteremo ad un commento degli articoli
27 e 28 (già 24 e 25 nel testo presentato al Senato). Avremmo auspicato
che gli articoli in questione venissero stralciati perché riteniamo
sarebbe opportuno che la materia dell'asilo venisse trattata in una legge
organica a parte. Abbiamo avanzato tale richiesta e abbiamo poi compreso
le ragioni del Governo al momento attuale. Prima di iniziare vorrei comunque
ricordare che l'Italia, purtroppo, rimane l'unico paese dell'Unione europea
che non ha ancora una legge organica sull'asilo, e quindi cogliere questa
occasione per fare presente la necessità di mettersi al passo con
gli altri paesi europei su una problematica che attualmente credo sia sulle
prime pagine di tutti i giornali.
In relazione ai due articoli della legge abbiamo diverse preoccupazioni
e riteniamo di conseguenza necessario che si prendano dei provvedimenti
affinché essa possa essere migliorata, anche perché a nostro
parere esiste lo spazio per farlo. Nei diversi contatti che abbiamo avuto
sia con la maggioranza che con l'opposizione abbiamo avuto la sensazione
che tale esigenza di miglioramento sia stata compresa. Pertanto abbiamo
presentato una serie di proposte che chiaramente hanno tenuto presente
la struttura della legge. Alcuni emendamenti, presentati al Senato sia
dalla maggioranza che dall'opposizione, hanno poi ripreso le nostre proposte
che vertevano su tre problematiche fondamentali: innanzitutto, la necessità
di un ricorso sospensivo, quindi la concessione della protezione umanitaria
e, infine, la previsione di garanzie procedurali addizionali sul funzionamento
delle commissioni territoriali istituite da questo disegno di legge. Ci
siamo rammaricati del fatto che nella Commissione competente in materia
del Senato non siano stati discussi questi articoli perché non si
è avuto il tempo di esaminarli, poiché sarebbe
stato interessante avere l'occasione di discutere di tali questioni
anche con i vostri colleghi del Senato. Comunque, alla fine del dibattito
in Senato soltanto tre degli emendamenti basati sulle nostre proposte sono
passati; pertanto tutta la struttura delle nostre proposte resta da approvare
e speriamo che ciò avvenga in questa sede.
La legge prevede che il richiedente asilo che veda la propria domanda
respinta possa fare ricorso senza che ciò abbia un valore sospensivo;
pertanto può essere rimpatriato anche in pendenza dello stesso.
Il ricorso deve essere valutato da un giudice, ed è evidente che
ciò richiede tempi particolarmente lunghi. Ciò che noi proponiamo,
senza intaccare il testo della legge, è che venga prevista una fase
intermedia durante la quale, entro quindici giorni, il richiedente possa
presentare un ricorso senza essere rimpatriato. Abbiamo insistito su una
procedura accelerata in considerazione delle preoccupazioni del Governo
e dell'importanza che il tempo riveste in un contesto del genere. Un ricorso
giurisdizionale implicherebbe tempi talmente lunghi che lo scopo della
legge potrebbe essere vanificato. Non è sufficiente, come si prevede
ora, che il ricorso venga fatto dall'estero. Bisogna prendere in considerazione
che l'eventualità di un errore al momento della prima istanza è
del tutto concreta; la presenza dell'ACNUR può essere una forma
di garanzia, ma anche noi possiamo errare, e pertanto non possiamo essere
ritenuti garanti dell'effettuazione di una perfetta analisi della domanda
di asilo, come è stato suggerito da qualcuno. Riteniamo che questo
compito debba essere contemplato nell'ambito della procedura. Vorrei insistere
sulle conseguenze, a volte irrimediabili, che possono derivare dall'eventuale
ritorno di un perseguitato nel proprio paese.
Egli può essere torturato, imprigionato o addirittura ucciso.
È opportuno rivedere tale linea per fare in modo che, almeno durante
la procedura in seconda istanza, la persona possa rimanere sul territorio
italiano per un breve periodo. Veniamo incontro alla posizione del Governo
sul fatto che il terzo ricorso giurisdizionale non abbia valore sospensivo.
Sulle modalità del ricorso sospensivo si può discutere,
in quanto vi sono diverse possibilità; porrò, nel prosieguo
del mio intervento, un collegamento tra lavoro della commissione centrale
nell'ambito del ricorso e quello della commissione territoriale.
L'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, in visita a
Roma negli ultimi tre giorni, ha sottolineato, durante i suoi incontri
con il Governo, la necessità che un ricorso sospensivo venga previsto
nel testo legislativo.
Vorrei sollevare il tema della protezione umanitaria, quella che chiamiamo
«forma sussidiaria di protezione internazionale», applicabile
quando il richiedente asilo non presenti le caratteristiche affinché
gli venga riconosciuto lo statuto di rifugiato sulla base della convenzione
del 1951. Si tratta di una prassi esistente in Italia, messa in atto per
i kosovari e per i bosniaci. Sarebbe necessario che essa non venisse utilizzata
solo per determinate popolazioni, ma anche in determinate situazioni; in
alcuni periodi la commissione centrale raccomanda la protezione umanitaria
più frequentemente che in altri. Vorremmo che questo punto venisse
inserito nel testo legislativo. Chiediamo che, nel caso in cui il richiedente
asilo provenga da un paese che si trova in una stato di guerra chiaramente
identificabile (si tratta di situazioni in cui è difficile definire
la determinazione individuale, nelle quali non si può valutare precisamente
la situazione dell'individuo perché si ha poco accesso all'informazione),
si conceda la
protezione umanitaria che, tra l'altro, permetterebbe di accelerare
notevolmente il lavoro della commissione. La concessione della protezione
umanitaria aiuterebbe anche ad evitare la violazione dell'articolo 3 della
Convenzione europea sui diritti dell'uomo.
Il terzo punto che vorrei sottolineare riguarda le commissioni territoriali.
L'eleggibilità è un momento fondamentale nella procedura
d'asilo. Comprendiamo la volontà del Governo di istituire queste
commissioni, ma siamo preoccupati dal fatto che non vi siano indicazioni
in relazione alla selezione dei membri. Vorremmo che i componenti dimostrassero
esperienza di diritto internazionale e un certo background professionale
di tipo accademico e che non fossero scelti semplicemente sulla base di
un grado amministrativo che li qualifica ad essere presenti nella commissione.
È importante che, una volta selezionati, venga loro offerta la possibilità
di essere formati per il compito che dovranno svolgere. Sarebbe auspicabile,
soprattutto nelle commissioni territoriali, che avranno una localizzazione
molto precisa, che essi potessero considerare il proprio impegno come definitivo
e non a termine, come a volte accade nel caso della commissione centrale.
Si tratta di rendere possibile l'acquisizione di esperienza pratica; un
membro della commissione che intervista un richiedente asilo di un certo
paese utilizzerà, dopo un anno, un quarto del tempo impiegato nella
prima intervista.
Desiderei che l'attenzione dei componenti della Commissione si appuntasse
sulle conseguenze per la validità del lavoro della commissione che
provocherebbe l'assenza di elementi quali la formazione, l'attenzione al
profilo professionale, la struttura amministrativa, la presenza di interpreti;
in questo caso, si giustificherebbe ancor di più la necessità
di un ricorso sospensivo.
Invitiamo il Parlamento e il Governo a prendere in considerazione la
necessità della selezione, della formazione, di una adeguata struttura
e dei fondi necessari.
Qualche tempo fa un esponente del Governo sottolineava che non possono
essere varate serie riforme senza un investimento; a maggior ragione, riteniamo
importante l'investimento riguardo questa materia nella quale, a volte,
un errore può comportare la perdita della vita.
Vorrei collegare il discorso sul ricorso sospensivo a quello relativo
alla commissione territoriale.
Oggi i richiedenti asilo arrivano con i battelli in determinate zone
dell'Italia; una volta istituite le commissioni territoriali, tutte le
loro domande saranno esaminate in Puglia, in Calabria, in Sicilia. In un
lasso di tempo relativamente breve la commissione centrale non dovrebbe
avere un grande caseload perché, una volta smaltito quanto
accumulato fino a quel momento, i nuovi casi saranno esaminati dalle commissioni
territoriali. Questo renderà il lavoro della commissione centrale
molto meno pesante rispetto a quello attuale, consentendo ad essa di potersi
dedicare ai casi di ricorso sospensivo.
Vorrei aggiungere alcune considerazioni riguardo il Programma nazionale
asilo: si tratta di iniziativa nata da poco ed essenziale affinché
l'Italia possa dotarsi del sistema di accoglienza adatto ad un paese come
il nostro. Sicuramente, essa può essere migliorata; devo sottolineare
che le attuali previsioni legislative di assistenza sono largamente inadeguate
e non consentono al richiedente asilo una dignitosa esistenza nel periodo
di attesa della determinazione dello stato e non consentono una facile
integrazione al rifugiato riconosciuto. Questo è l'ambito di intervento
del PNA (è già stato indicato chi vi lavora).
Abbiamo ricevuto richieste di chiarimento da parte di colleghi, in particolare dalla Grecia e dal Regno Unito, sulle modalità di funzionamento e sulla struttura del PNA, che altri paesi vorrebbero proporre. Sarebbe quanto mai inopportuno se questa iniziativa, che sta suscitando interesse anche all'estero, dovesse arenarsi (per diverse ragioni che forse i membri della Commissione conoscono meglio di me): il fatto che sia nato un certo interesse indica la validità dell'iniziativa e, in secondo luogo, in sua assenza,si tornerebbe ad uno stato di totale mancanza di coordinamento. Ritengo, dunque, necessario sostenere tale iniziativa, che dovrebbe collocarsi in un diverso contesto legislativo; la sedes materiae, purtroppo, non esiste e quindi ne discutiamo qui. Vi ringrazio dell'attenzione.
PRESIDENTE. Sono presenti la direttrice di Amnesty International, Paola Cutaia, e la responsabile delle relazioni esterne dell'associazione, Daniela Carboni, che ringraziamo per aver accolto il nostro invito. Do la parola alla dottoressa Cutaia.
PAOLA CUTAIA, Direttrice di Amnesty
International. Le tre organizzazioni, Medici senza frontiere, ICS,
Amnesty International, data la collaborazione che è attualmente
in corso, hanno preparato un intervento più complessivo ed una serie
di brevi interventi.
Desidero ringraziare, anche a nome dei colleghi delle altre organizzazioni,
per l'opportunità che ci è stata concessa di esprimere alla
Commissione affari costituzionali le nostre gravi preoccupazioni in relazione
alle proposte di modifica della normativa in materia di asilo. Prima di
affrontare in dettaglio le nostre richieste di modifica al disegno di legge
così come è stato presentato, desideriamo ricordare che troppo
spesso, quando parliamo di rifugiati, dimentichiamo che il rifugiato
non ha lasciato volontariamente la propria casa ed il proprio paese
ma è stato costretto a fuggire da persecuzioni, nel fondato timore
di vedere violati i suoi diritti umani fondamentali. Sappiamo che sono
proprio le violazioni dei diritti umani a causare la fuga di persone singole,
ma anche di intere popolazioni, dai vari paesi.
Negli ultimi dieci anni, si sono moltiplicate le aree di crisi dei
diritti umani nel mondo; cito solamente, tra le altre, il Ruanda, il Kosovo
e, più recentemente, l'Afghanistan. In questo modo, il numero dei
rifugiati è cresciuto enormemente e sono ormai più di 22
milioni i rifugiati nel mondo. A tali persone viene riconosciuto esplicitamente
il sostegno della comunità internazionale; siamo quindi molto preoccupati
per la differenza che esiste tra gli impegni formalmente assunti dagli
Stati, anche dal nostro, di rispetto della Convenzione di Ginevra - nonché
dei successivi ed ulteriori accordi internazionali, sui diritti umani in
generale e, in particolare, sui diritti dei rifugiati - e l'aumento, invece,
di politiche sempre più severe per quanti sono in cerca di asilo.
Per tale motivo, oggi, chiediamo al Parlamento italiano di stralciare la
disciplina del diritto d'asilo dal disegno di legge e di approvare, al
riguardo, una legge organica apposita.
Riteniamo che i principi fondamentali di una tale legge debbano essere
innanzitutto il non trattenimento dei richiedenti asilo, la tutela del
diritto di accesso alla procedura per il riconoscimento dello status
di rifugiato, l'indipendenza, la specializzazione e la trasparenza dell'organo
preposto all'esame delle istanze di asilo, la competenza del giudice ordinario
in materia di ricorso, la permanenza del richiedente asilo sul territorio
italiano fino a quando la sua domanda sia stata esaminata. Una legge, quindi,
che si basi, in generale, sul principio fondamentale di diritto internazionale
del divieto di
rimpatrio forzato; riteniamo che nessuno debba essere costretto a rientrare nel proprio paese o ad essere respinto verso un paese terzo se corre il rischio di essere imprigionato per motivi di opinione, di essere torturato, di essere condannato a morte o di essere oggetto di sparizione. Non possiamo fare altro che ricordare, come già è stato fatto dai colleghi che ci hanno preceduto, che l'Italia è l'unico paese, in Europa, che non ha ancora adottato una legge sul diritto di asilo. Quindi, quanto chiediamo oggi è solamente l'introduzione di una legge organica sul diritto di asilo per colmare il grave ritardo nell'attuazione dell'articolo 10 della nostra Costituzione e delle convenzioni internazionali sulla protezione dei diritti umani ed, in particolare, dei diritti dei rifugiati.
DANIELA CARBONI, Responsabile delle relazioni esterne ed istituzionali di Amnesty International. Presidente, deputati della Commissione, il 21 marzo scorso è stata pubblicata, sulla Gazzetta Ufficiale, la dichiarazione dello stato di emergenza su tutto il territorio nazionale fino al 31 dicembre 2002. Tale provvedimento, esplicitamente adottato dal Governo italiano per fronteggiare il massiccio afflusso di stranieri, è stato accompagnato da un comunicato stampa del Ministero dell'interno in cui si faceva riferimento anche alla prossima nomina di un comitato straordinario, alla necessità di modificare la disciplina del diritto di asilo e di rendere più rapide le procedure di verifica delle richieste di asilo e delle eventuali esclusioni. Amnesty International, ICS e Medici senza frontiere vi chiedono di verificare, nell'esercizio della vostra funzione legislativa e di controllo, che i provvedimenti di emergenza non violino in alcun modo le norme internazionali sui diritti umani sottoscritte dall'Italia e, in particolare, i principi fondamentali che tutelano i diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo.
GIANFRANCO SCHIAVONE, Rappresentante
dell'ICS. Mi soffermerò, signor presidente, solo su due aspetti,
approfondendo quanto già detto dalla dottoressa Cutaia; seguirà,
poi, l'intervento del collega dottor Accardi dell'associazione Medici senza
frontiere. I due aspetti che intendo approfondire riguardano la materia
del trattenimento e quella del ricorso. Sul primo, sapete bene che il testo
dell'attuale disegno di legge prevede che il trattenimento si estenda ad
un vasto numero di ipotesi, tale da ricoprire, in buona sostanza, la maggioranza
delle situazioni di ingresso in Italia. Sia ICS, sia Medici senza frontiere,
sia Amnesty International ritengono che il trattenimento, in presenza,
comunque, di adeguate garanzie, possa essere previsto ma solo in casi chiaramente
e meglio definiti nei quali il diritto di accesso all'asilo possa essere
bilanciato in maniera adeguata con l'interesse dello Stato ad evitare probabili
situazioni di abuso. Sotto tale profilo - differentemente da quanto, invece,
viene previsto nell'attuale disegno di legge - il trattenimento non dovrebbe
essere applicato in alcune ipotesi: per il solo fatto di giungere irregolarmente,
al richiedente asilo che in tale guisa sia entrato nel paese e, seconda
ipotesi, qualora il richiedente si presenti spontaneamente all'autorità.
Va sottolineato come la maggior parte dei richiedenti asilo si trovi, giocoforza,
a fuggire in situazioni irregolari, ad affrontare viaggi in clandestinità
e ad entrare in modo irregolare non solo nel territorio del nostro Stato
ma in quello di qualunque paese cui chieda asilo. Tale situazione - che
rappresenta la normalità (tragica, se volete) della vita dei richiedenti
asilo - è talmente nota che la stessa Convenzione di Ginevra, cinquant'anni
fa, già aveva indicato che gli Stati non avrebbero dovuto applicare
sanzioni penali ai richiedenti asilo che fossero entrati irregolarmente
nei loro territori, purché (era l'unica condizione posta) avessero
manifestato,
senza indugio, la loro condizione alle autorità. Riteniamo, quindi,
che quell'aspetto - indicato, tra l'altro, dal comma 2 dell'articolo 28
del disegno di legge - debba essere modificato in modo da non applicare
il trattenimento per il solo fatto che si sia entrati irregolarmente e
in modo, altresì, da non applicarlo ai richiedenti asilo che si
presentino spontaneamente all'autorità, sia che si trovino sulla
frontiera sia che si trovino all'interno del territorio nazionale. L'applicazione
del trattenimento, in caso di persone che si presentino spontaneamente,
si ispirerebbe, evidentemente, ad una logica non soltanto punitiva ma addirittura
dissuasiva nei riguardi della presentazione delle istanze di asilo. Naturalmente,
poi, l'istituto non dovrebbe essere applicato ai minori stranieri non accompagnati.
Quindi, il trattenimento potrebbe configurarsi come legittimo nelle
seguenti ipotesi: per il tempo necessario, naturalmente, a verificare l'identità
o la nazionalità, secondo una delle ipotesi previste dal provvedimento;
qualora la domanda di asilo - altra ipotesi prevista dal testo - sia presentata
dopo che lo straniero sia stato destinatario di un provvedimento di espulsione,
sempre che, naturalmente, il richiedente abbia avuto, in precedenza, ampia
libertà di presentare istanza di asilo e non lo abbia fatto. Nelle
altre ipotesi, però, è nostra opinione che il trattenimento
contrasti con le esigenze fondamentali di difesa dei diritti del richiedente.
Su tale aspetto, vorrei, inoltre, segnalare l'incongruenza della previsione
secondo la quale il semplice allontanamento, comunque non autorizzato,
dai centri di accoglienza chiusi che si ipotizzano, comporti la decadenza
della domanda d'asilo. Una domanda d'asilo non può essere considerata
nulla o decaduta per un motivo quale l'allontanamento, motivo che non ha
attinenza alcuna con la valutazione di merito della
fondatezza della domanda; solo ed esclusivamente con quest'ultima può,
infatti, valutarsi la ricorrenza della cessazione o la decadenza. L'allontanamento
dal centro, infatti, può essere dovuto a moltissimi motivi, motivi
per i quali si possono e si debbono, se necessario, irrogare anche sanzioni;
tra queste, eventualmente, anche il successivo trattenimento coatto ma
non la decadenza dalla domanda.
Quanto alla questione del ricorso, mi rifaccio ancora a quanto già
illustrato dal rappresentante di ACNUR; si tratta dell'aspetto più
delicato, che suscita maggiori preoccupazioni in merito all'attuale formulazione
del disegno di legge. In essa si propone, come sapete bene, un ricorso
al giudice territorialmente competente ma senza effetto sospensivo; si
prevede, inoltre, che il ricorso possa essere presentato anche dall'estero.
Tale proposta rischia, assai seriamente, di condurre ad una grave violazione
del diritto costituzionale alla difesa. Volendo ragionare sul concreto
- come ha già fatto il rappresentante di ACNUR - dobbiamo dire che,
se il richiedente asilo è un vero rifugiato, è del tutto
evidente che egli non potrà presentare ricorso contro la decisione
negativa assunta dall'Italia - errata, nel caso si assuma che sia errata
- dal paese dal quale è fuggito. Se, infatti, è un vero rifugiato,
nel paese dal quale è fuggito e nel quale viene rinviato è
esposto a rischi di subire torture, trattamenti disumani e degradanti,
pena di morte o semplici omicidi extragiudiziali. Comunque, il suo sarà
un paese alle cui autorità, con tutta evidenza, non potrà
rivolgersi per adire le autorità italiane per presentare il ricorso
contro la decisione del nostro paese; quindi, è un'ipotesi del tutto
teorica, che non può essere presa in considerazione.
Stiamo dibattendo di questioni molto delicate, che ineriscono ai diritti
fondamentali delle persone, e non di concessioni amministrative o problemi
che, per l'appunto, potrebbero
anche essere affrontati con minori garanzie. Non si può non prevedere
un ricorso effettivo, che sospenda l'allontanamento finché non sia
stata assunta una decisione che permetta almeno di rivedere o confermare
la decisione. Tale ricorso va presentato dinanzi ad una autorità
terza del tutto indipendente da quella che ha assunto la prima decisione
negativa.
Nel nostro ordinamento giuridico, la tutela dei diritti fondamentali
della persona, tra cui il diritto di asilo, spetta all'autorità
giudiziaria ordinaria. Il ricorso, quindi, non può che essere presentato
dinanzi ad essa, avendo effetto sospensivo.
Tuttavia, è ben noto come i meccanismi della giustizia siano
assai lenti, specie nel caso di cause civili (come questi contenziosi).
Si tratta di una lentezza dovuta tra l'altro anche agli alti numeri, come
nel caso di ricorsi avverso le decisioni negative allo status di
rifugiato. Quindi, non possiamo non valutare, e su questo siamo disponibili
ad un confronto, la possibilità che si vengano a creare situazioni
di congestione dei ricorsi giurisdizionali, con ampliamento enorme dei
tempi e con conseguente connessa possibilità che la procedura si
presti ad abusi.
Pertanto, può essere utilmente previsto (da questo punto di
vista la proposta avanzata dall'ACNUR è interessante) un ricorso
alla commissione centrale che inizialmente non sia di natura giurisdizionale,
ma di natura gerarchica. Tale ricorso potrebbe utilmente servire, avendo
effetto sospensivo, servire ad operare come organo di revisione duttile
e veloce, contribuendo a far decrescere in maniera sensibile i casi di
ricorso alla magistratura che, in questo caso, avverrebbero solo nell'ipotesi
di diniego anche da parte della commissione centrale.
Tuttavia, noi in quanto ICS, Medici senza frontiere e Amnesty International,
desideriamo richiamare con forza l'attenzione sul fatto che l'introduzione,
assolutamente utile a nostro avviso, di un meccanismo di revisione delle
domande per via gerarchica non può in alcun modo precludere la competenza
del giudice ordinario ad esaminare nel merito il ricorso qualora questo
gli venga prospettato e a potere decidere nel merito. Ecco perché,
anche nell'ipotesi di utilizzo della commissione centrale come organo di
revisione, affinché la norma sia conforme ai principi fondamentali
del nostro ordinamento, si dovrà almeno prevedere che il ricorrente
possa adire l'autorità giudiziaria sottoponendo le sue ragioni e
la stessa autorità possa valutare se il ricorso abbia almeno un
possibile fondamento, una sorta di fumus boni iuris, prima che venga
adottato un provvedimento di espulsione dal territorio nazionale.
Questa valutazione può avvenire in tempi stretti e può
essere chiaramente definita. Se ci troviamo poi, in un'istanza successiva,
di fronte al diniego da parte della commissione centrale, non è
necessaria una nostra valutazione che esperisca l'intero iter del
ricorso, ma deve essere almeno previsto che ci sia una prima valutazione
di merito da parte della magistratura per accertare se vi sia o meno un
fumus nel ricorso prima di procedere all'allontanamento.
ANDREA ACCARDI, Rappresentante
di Missione Italia di MSF. Nella relazione che mi accingo ad esporvi,
mi occuperò principalmente di due questioni, riguardanti la composizione
delle commissioni ed il sistema di accoglienza. Desidero tuttavia svolgere
una breve premessa, richiamandomi a quanto già anticipato dalla
dottoressa Cutaia di Amnesty International e dal dottor Manca di Nissa,
dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Ribadisco
infatti che le nostre tre
organizzazioni auspicano lo stralcio dei due articoli presenti nella
bozza di legge su immigrazione ed asilo, non ritenendoli adatti alla normazione
di una materia così complicata e complessa quale l'asilo.
Tra l'altro, avendo inserito il diritto di cercare asilo nell'articolo
10 della Costituzione italiana, avendo firmato la Convenzione di Ginevra
del 1951, riconoscendo la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo,
il cui articolo 14 recita testualmente «... ogni individuo ha il
diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni»
ed essendo l'unico paese dell'Unione europea a non avere ancora adottato
una legge organica sull'asilo, chiediamo lo stralcio dei due articoli.
Dopo questa premessa, desidero passare all'esame delle due questioni
che mi competono quest'oggi. La prima, come ricordato, riguarda la composizione
delle commissioni territoriali.
Le nostre tre organizzazioni tendono al rispetto di tre principi che
dovrebbero, a nostro avviso, regolare la composizione delle commissioni
nazionali e territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato.
Riteniamo che un organo che si prefigge l'esame di una domanda di asilo
debba possedere i requisiti dell'indipendenza, della competenza e della
trasparenza. Per quanto riguarda i primi due, chiediamo che tutti i membri
delle commissioni abbiano competenza in materia di diritto internazionale
e diritti umani e che la composizione delle commissioni soddisfi il principio
dell'indipendenza (per questo è anche indispensabile garantire la
presenza di un rappresentante dell'Alto commissario delle Nazioni Unite
o eventualmente di un suo delegato insieme a quella di un esperto di diritti
umani).
Per questo motivo, suscita perplessità la presenza di un rappresentante
della polizia di Stato con diritto di voto, in quanto non si ravvisano
in questa figura competenze specifiche attinenti all'esame delle domande
di asilo (se pure le competenze della polizia di Stato sono fondamentali
in altri momenti della procedura). Desideriamo anche sottolineare il principio
della trasparenza nell'operato delle commissioni. Per tale ragione, auspichiamo
che tali organi redigano un verbale per ogni singola audizione e che all'interessato
ne venga consegnata una copia in una lingua a lui o a lei comprensibile.
Inoltre, riteniamo che debba poter partecipare alle audizioni un avvocato
di fiducia dei richiedenti asilo. Per quanto riguarda la salvaguardia della
trasparenza del lavoro delle commissioni, le nostre tre organizzazioni
raccomandano che la commissione nazionale e le singole commissioni territoriali,
al termine di ogni anno di funzionamento, rendano pubblici e relazionino
il Parlamento sui risultati delle loro attività relativamente al
numero e all'esito delle domande esaminate secondo il principio della trasparenza.
Esaurito così il primo argomento, passerei ora ad analizzare
il sistema di accoglienza da parte dell'Italia sottolineando già
quanto anticipato dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite e dall'OIM.
L'accoglienza non è materia specifica di questi due articoli
presenti nella bozza di legge. Tuttavia, riteniamo opportuno che venga
preso in considerazione il fatto che il piano nazionale asilo, partito
nel luglio del 2001, abbia raggiunto dei risultati che, se pur parzialmente,
hanno rappresentato un primo passo per l'istituzione di un sistema di accoglienza
in Italia che, al momento della partenza del piano, era appunto inesistente
ma che dopo l'indicazione arrivata dal Ministero dell'interno, adducendo
la mancanza di fondi, praticamente
spinge le amministrazioni partecipanti al piano nazionale asilo a ridurre
drasticamente le capacità di accoglienza del piano.
Non mi inoltrerò sullo schema che ha determinato la partenza
ed il funzionamento di tale piano nazionale asilo; vorrei però aggiungere
che, per questo motivo, Amnesty International, Medici senza frontiere
e ICS chiedono che la Repubblica italiana appronti un sistema di accoglienza
che adotti gli standard proposti dalla bozza di direttiva europea n. 181
e che, in ogni caso, la sperimentazione non sia abbandonata ma venga, semmai,
ulteriormente potenziata.
NICOLETTA DENTICO, Direttore
esecutivo di MSF. Ringrazio innanzitutto la Commissione per l'opportunità
fornitaci di esprimere le nostre preoccupazioni sull'articolato, in particolare
per quanto riguarda i due articoli, 27 e 28, che normano il diritto d'asilo.
Esprimiamo vibrate e forti preoccupazioni e per questo vorrei svolgere
delle considerazioni di carattere generale, anche alla luce del fatto che
i relatori che mi hanno preceduto hanno già dipinto, direi in maniera
molto esaustiva, un quadro chiaro sulle modalità con le quali, noi,
in quanto agenzie delle Nazioni Unite, ci posizioniamo rispetto alla materia
del diritto d'asilo.
Riteniamo che sia fondamentale approfittare di questo dibattito parlamentare
per guardare con attenzione, in maniera molto oculata, le cause che determinano
la fuga di queste persone.
Si è detto prima che le persone non fuggono per curiosità
intellettuale ma spesso, anzi sempre, perché sono costrette.
Il rappresentante dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni,
poc'anzi, citava questa contingenza. La discussione sull'immigrazione e
sul diritto d'asilo coincide con una situazione internazionale estremamente
complessa e anche nuova,
per molti aspetti per le sue molte sfaccettature (per quanto dal nostro
punto di vista, di organizzazioni che si occupano di diritti umani, forse
non c'è niente di nuovo in tutto questo). Vorremmo davvero che si
cogliesse l'opportunità di questo dibattito per non perdere il collegamento
con le vere cause della fuga, con le matrici politiche che inducono queste
persone a scappare e con le guerre che alimentano la necessità,
appunto, di una fuga. Vorremmo invitarvi a cogliere l'aspetto umano della
questione. Spesso, attraverso la stampa, nelle dichiarazioni provenienti
anche dal mondo politico, cogliamo una sorta di costruzione della minaccia
ed i soli dati numerici, un po' la massificazione del problema. Invece,
ogni fuga rappresenta una storia, una vicenda umana alla quale vi vorremmo
chiedere di restituire il vero volto. Non stiamo parlando di masse, non
stiamo parlando di minacce.
Desidero anche ricordare che esistono molti paesi in via di sviluppo,
molto più poveri di noi, che accolgono milioni di persone, flussi
di rifugiati nei confronti dei quali non sono assolutamente preparati.
Quindi, vorremmo anche, per così dire, ripristinare un minimo di
equilibrio e di serenità nella discussione di questo argomento.
Stiamo perdendo il volto umano, forse lo abbiamo già perso ed è
tassativo recuperarlo, dal nostro punto di vista.
Le nostre organizzazioni, Amnesty International, ICS, Medici senza
frontiere ma anche OIM e ACNUR sono presenti nei paesi d'origine, di provenienza
di queste persone e, molto spesso, anche nei paesi di transizione, nei
paesi intermedi di questi viaggi. Inoltre, siamo presenti negli Stati di
arrivo, di destinazione finale e, quindi, abbiamo una consapevolezza, una
traccia abbastanza composita del percorso dalle origini della fuga fino
all'approdo nei paesi, per così dire, di salvezza. Crediamo che
sia veramente fondamentale riconoscere il
diritto di cercare asilo. Ci preoccupano le interpretazioni sempre più
restrittive, a livello europeo, della Convenzione sui rifugiati. È
importante recuperare e riappropriarsi proprio di questo diritto riconosciuto.
Chiediamo una ricezione in dignità. Economicamente ce lo possiamo
permettere, siamo i paesi più ricchi del pianeta. È una questione
di volontà politica, non di gestione economica del problema. Ci
preoccupa quindi - è stato già ricordato - che un programma
come il PNA, un programma giovane e ancora largamente in una fase di rodaggio,
non sia sostenuto come è necessario e, anzi, sia in qualche modo
finanziariamente eroso proprio nel momento in cui dovrebbe decollare. Siamo
anche preoccupati, sempre riguardo alla ricezione in dignità, per
la crescente criminalizzazione nella gestione del diritto d'asilo. Nei
centri di detenzione, che oggi sono i centri di accoglienza, si confondono
e si appannano i limiti giuridici del riconoscimento di queste persone.
Infine, come ho già ricordato, offriamo loro la possibilità
di restare a casa, non di tornarvi forzosamente, di esservi ricondotti
in una situazione di grave pericolo. Offriamo loro la possibilità
di vedere risolte, con un intervento della comunità internazionale
serio, credibile e permanente, le cause e le radici della loro fuga.
GIANNICOLA SINISI. Desidero chiedere
soltanto alcuni elementi integrativi di conoscenza. Abbiamo discusso a
lungo della questione relativa alla affidabilità delle liste consolari
per il collocamento e della possibilità che, in alcuni paesi, si
possano creare problemi ove non esistano strutture amministrative robuste
per avviare al lavoro i relativi cittadini che desiderino venire in Italia.
L'Organizzazione internazionale per le migrazioni ha maturato una esperienza
importante con l'Albania, dove si è surrogata alle strutture amministrative
di
quel paese, applicando i principi di trasparenza, pubblicità
e di qualità nella selezione. Si tratta di un'esperienza interessante
e chiedo che ci sia illustrata brevemente, affinché si possa immaginare
un sistema alternativo all'utilizzo delle liste consolari e delle locali
strutture amministrative di collocamento.
Un secondo quesito che intendo rivolgere, sempre all'OIM, è
se, avendo assistito a lungo i cittadini italiani che emigravano verso
l'estero, dispongano di notizie e informazioni relative a ex cittadini
italiani che vogliano rientrare in Italia per ragioni di lavoro.
Per quanto riguarda l'asilo avrei numerose questioni da porre. Soprattutto,
vorrei sapere da queste organizzazioni se esiste una categoria di persone
che, non potendo ottenere il diritto d'asilo, ciò nondimeno si trovano
nelle condizioni di non poter essere rimpatriate. Si tratta di una categoria
di cui nessuno parla e che, invece, dagli atti amministrativi risulta essere
una delle più numerose. Vorrei anche che ci spiegassero se, nei
confronti di questa seconda categoria di non aventi diritto all'asilo che
non possono essere rimpatriati, esista ugualmente l'obbligo per il nostro
paese di applicare il principio del non refoulement onde evitare
di violare la Convenzione internazionale.
MARCO BOATO. Innanzitutto, vorrei ringraziare
tutti i nostri ospiti di oggi per quello che ci hanno riferito, per il
modo in cui ce lo hanno detto e anche per il lavoro che stanno svolgendo
a vario titolo in questa materia di grande delicatezza, difficoltà
ed anche di grande impegno umano e civile.
L'unica domanda che vorrei porre, a chiunque di loro intenda rispondere
(poiché mi pare che su questo punto si siano espressi in modo unanime),
riguarda la questione dello stralcio degli articoli sul diritto di asilo.
La formulo con
pacatezza, in quanto ci troviamo in una Commissione politica dove sono
rappresentate forze politiche, dove c'è una maggioranza di Governo
e una opposizione. Nella scorsa legislatura, per cinque anni, si è
tentato di approvare una legge organica in materia di asilo. C'era una
diversa maggioranza rispetto a quella di oggi ma c'era anche un'opposizione
numericamente più forte rispetto a quella attuale. Comunque, quella
legge non è stata approvata. Sono d'accordo con voi nell'affermare
che è uno scandalo internazionale che l'Italia non abbia una legge
in materia. Tuttavia, mi chiedo e vi chiedo, senza che vi pronunciate politicamente
(il mio intervento non è strumentale), che cosa vi farebbe ritenere,
pur nel denunciare giustamente l'inadempienza dell'Italia su questo terreno,
che con un'eventuale stralcio le cose cambierebbero, vista l'esperienza,
che voi stessi avete ricordato, della scorsa legislatura. Al di là
dei possibili ed auspicabili miglioramenti del testo pervenuto oggi dal
Senato, che anch'io mi auguro (sono presenti, oltre agli altri colleghi,
la relatrice e il presidente della Commissione), lo stralcio comporta che
si affronti questa materia in un momento successivo; giuridicamente, nel
linguaggio parlamentare, significa che quei due articoli siano tolti dal
disegno di legge e restino al vaglio del Parlamento insieme ad altri provvedimenti
che sulla stessa materia potranno essere successivamente esaminati.
Paradossalmente, condividendo tutto ciò che avete affermato
ed anche le motivazioni con cui lo avete sostenuto, temo di non condividere
la richiesta di stralcio, non perché non abbia un fondamento ma
perché rischia di non cambiare i rapporti politici. Il problema
è se riusciamo o meno a migliorare questo testo. Ovviamente, ciò
dipende anche al
vostro apporto, che credo tutti abbiano ascoltato con grande interesse, e dal lavoro parlamentare che svolgeremo nei prossimi giorni.
CARLO LEONI. Poiché la dottoressa Dentico, nel corso del suo intervento, ha detto che, nei paesi europei, è in corso una crescente lettura restrittiva della Convenzione - aspetto, questo, molto serio ed anche preoccupante -, desidererei avere delle informazioni ulteriori al riguardo.
PRESIDENTE. Nel ringraziare i colleghi per i loro interventi, do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.
BARBARA FRIDEL, Assistente dell'OIM.Relativamente
all'esperienza organizzata dall'OIM in Albania, si è lavorato alla
creazione di un meccanismo di incontro tra domanda e offerta di lavoro
(rispondente ai fabbisogni italiani), attraverso l'avvio, in collaborazione
con il Ministero dell'interno, di un esperimento pilota in Albania. Peraltro,
tale esperimento sostanzialmente non è stato particolarmente innovativo,
nel senso che non abbiamo fatto altro che riproporre, sul fenomeno migratorio
verso l'Italia, ciò che già avevamo applicato e testato in
occasione del fenomeno migratorio italiano verso l'America latina.
L'ottica è stata, pertanto, quella di realizzare dei meccanismi
di incontro tra domanda e offerta di lavoro, attraverso l'identificazione,
nei paesi di emigrazione, delle figure professionali rispondenti al fabbisogno
del mercato del lavoro dei paesi di immigrazione.
In Albania, pertanto, in stretta collaborazione con le autorità
locali competenti, che ci hanno sollecitato a svolgere questo ruolo (nel
senso che non ci siamo sostituiti ad esse, bensì abbiamo con loro
collaborato), abbiamo attivato un
meccanismo piuttosto trasparente di informazione sul territorio albanese,
relativamente a quali fossero le figure professionali richieste in Italia.
Parallelamente, abbiamo attivato un meccanismo di ricezione delle domande
da parte di lavoratori albanesi interessati a venire in Italia (e vi sono
state, nel primo anno e mezzo di attivazione del programma, più
di 25 mila domande). Al tempo stesso, è stato attivato un meccanismo
di interviste con tali persone, al fine di accertare l'identità
e la documentazione fornita dagli interessati, oltre che per accertare
il livello di conoscenza della lingua italiana, nonché - con la
collaborazione di esperti e di tecnici - il livello di conoscenze o di
capacità professionali indicate dai candidati.
I nominativi delle persone selezionate, identificate e registrate,
sono stati inseriti in un'apposita lista, resa disponibile sia all'ambasciata
d'Italia a Tirana, sia al Ministero del lavoro italiano sia ovviamente
al Ministero del lavoro albanese. Tale lista è stata trasferita
nell'anagrafe informatizzata dei lavoratori extracomunitari, gestita dal
Ministero del lavoro, ai fini di una sua diffusione sul territorio nazionale.
È avvenuto, dunque, che lo scorso anno - perché, ripeto,
si tratta di un'iniziativa recente, dove la competenza dell'OIM è
stata esplicitamente quella dell'identificazione e dell'inserimento di
queste figure professionali in una banca dati -, sia l'ambasciata italiana
in Albania sia successivamente l'ambasciata italiana in Tunisia (per quanto
riguarda liste analoghe, ma predisposte, nel caso tunisino, dal Governo
tunisino e quindi con un meccanismo gestito a livello nazionale e non da
una agenzia internazionale, come nel caso dell'Albania) hanno concesso
dei visti di ingresso in Italia a diverse centinaia di persone iscritte
in questa lista, per il raggiungimento delle quote numeriche previste per
questi paesi; infatti sia l'Albania sia la Tunisia avevano quote privilegiate,
non raggiunte con le
chiamate nominative, e pertanto ai fini del loro raggiungimento sono
stati concessi visti di ingresso sulla base delle liste predisposte in
tali paesi.
Ci sentiamo, quindi, di suggerire l'ampliamento di iniziative di questo
tipo ed, altresì, il potenziamento degli strumenti di tenuta di
tali liste nominative, con la definizione - perché è molto
importante - di criteri per la loro tenuta, per la registrazione degli
interessati e per consentire il monitoraggio da parte del Governo italiano.
Per quanto riguarda la seconda domanda posta dall'onorevole Sinisi,
relativamente alla pressione di ritorno da parte di oriundi o comunque
di emigrati italiani all'estero, essa effettivamente sussiste, anche se
in questo momento è abbastanza circoscritta a paesi che stanno vivendo
una crisi molto forte (in particolare l'Argentina). In proposito, essendoci
questa pressione, vi è da parte nostra una preoccupazione, che si
è tradotta in richiesta esplicita, affinché vi sia un maggiore
coordinamento delle iniziative che stanno nascendo a livello territoriale
(sia da parte delle autonomie locali sia da parte delle associazioni),
volte a promuovere un'emigrazione di ritorno, rispondente ai fabbisogni
di manodopera sul territorio. Pur trattandosi certamente di un'azione utile
e importante, probabilmente sarebbe opportuno garantirne un coordinamento,
proprio perché si sta verificando l'apertura di uffici, per così
dire di «reclutamento», in Argentina, da parte di più
soggetti, con la conseguenza - segnalo, peraltro, che anche l'Argentina
è un Governo membro dell'Organizzazione - che si sta producendo
una sorta di dispersione di energie e di interventi sul territorio argentino
che sembrano favorire un'emigrazione che, vista dal punto di vista dell'Argentina,
è un'emigrazione di argentini. Abbiamo segnalato questa nostra preoccupazione
sia al ministro Tremaglia sia al Ministero degli
affari esteri sia a tutti gli interlocutori regionali, con i quali abbiamo avuto contatto; cogliamo pertanto l'occasione di ribadire tale preoccupazione, anche oggi, in questa sede.
MICHELE MANCA DI NISSA, Vicedelegato
dell'ufficio di Roma dell'ACNUR. Colgo l'occasione per rispondere alla
domanda relativa alle forme sussidiarie di protezione internazionale. Sappiamo
che un rifugiato è riconosciuto come tale, sulla base della definizione
dei criteri stabiliti dall'articolo 1 della Convenzione di Ginevra del
28 luglio 1951, ratificata dall'Italia nel 1954. In tale Convenzione vi
è la definizione di status di rifugiato con riferimento all'individuo;
al riguardo, è stabilito che deve esserci un timore fondato di persecuzione
nel paese d'origine, riconducibile ad una fra le seguenti cinque cause:
la razza, la nazionalità, la religione, l'appartenenza ad un gruppo
sociale specifico o l'opinione politica.
Tuttavia potrebbe anche esservi il caso di una persona che, pur non
rientrando chiaramente nella definizione prevista dall'articolo 1 della
Convenzione di Ginevra, non possa per ragioni di sicurezza rientrare nel
proprio paese di origine. Vorrei fare al riguardo qualche esempio. In Africa,
la definizione dell'articolo 1, di cui sopra, è stata completata
con gli articoli 1 e 2 della Convenzione africana sui rifugiati, del 1969,
che prevedono il riconoscimento, in Africa, dello status di rifugiato
anche a colui che fugge da situazioni generalizzate di conflitto, dalla
presenza di truppe straniere nel territorio del paese, da un'aggressione
(quindi da situazioni di guerra). In America latina c'è, invece,
la Dichiarazione di Cartagena del 1984, dove si parla di violazioni generalizzate
dei diritti umani.
In questo caso, generalmente, in Europa si raccomanda la concessione
della protezione umanitaria. In certi paesi si parla di status A), status
B), status C), mentre in Italia non siamo ancora giunti a questo punto;
esiste però l'alternativa fra il
riconoscimento secondo la Convenzione del 1951 e la possibilità
di raccomandare la concessione della protezione umanitaria, che noi riteniamo
una forma sussidiaria di protezione internazionale.
Quando vi sono violazioni di diritti umani generalizzate o conflitti
è molto difficile stabilire che un individuo in quanto tale è
perseguitato, ed è difficile definire la corrispondenza della sua
situazione con quella dell'articolo 1 della Convenzione del 1951; appare
quindi necessario concedere, almeno in forma temporanea, una protezione
umanitaria affinché, una volta che la situazione generale sia mutata
favorevolmente, si possa poi procedere ad una determinazione individuale.
Ci sono poi delle situazioni in cui, per ragioni di embargo internazionale
o di situazione instabile generalizzata, non è materialmente possibile
rinviare il richiedente nel paese di origine poiché si violerebbero
delle norme internazionali. Pertanto, non potendolo riconoscere come rifugiato
perché non si hanno sufficienti informazioni sulla situazione dell'individuo
specifico, non potendolo rimpatriare, proprio perché in quel paese
esiste una situazione particolare che magari ha determinato una situazione
di embargo internazionale, si rende necessario concedere la protezione
umanitaria quando invece le persone provenienti da queste zone potrebbero
avere il riconoscimento come rifugiato.
GIANFRANCO SCHIAVONE, Rappresentante
dell'ICS. Per ragioni se non altro biografiche credo di essere tra
gli auditi l'unico che ha seguito l'iter del disegno di legge che non ha
mai visto la luce e concordo con l'onorevole Boato che si sia trattato
effettivamente di una storia molto triste, soprattutto quando la Camera
dei deputati votò, tre giorni prima dello scioglimento anticipato,
la seconda versione del testo e poi per pochi giorni non vi fu la votazione
di un testo che alla fine
risultava di buon livello ed anche corrispondente in buona parte a tutte
le sollecitazione che erano arrivate.
Ritengo che le considerazioni per cui pensiamo che lo stralcio oggi
sia più opportuno siano tre, due di natura politica ed una di merito.
La prima considerazione di natura politica riguarda il fatto che il processo
di armonizzazione europea sta andando ancora più avanti ed in modo
più veloce di quanto stesse facendo un anno fa, e ciò impone
una accelerazione dei tempi. Perciò oggi, ancor più di un
anno fa, dovremmo collocarci nell'ottica di approvare rapidamente una normativa
organica in materia di diritto d'asilo. La seconda considerazione è
strettamente collegata alla prima: andrebbe superata la logica dell'emergenza
che, se mantenuta, rischia di allungare i tempi, proprio perché
in tal modo alcuni provvedimenti vengono presi mentre altri vengono differiti
sine die. Non credo sia un caso se in questa legislatura siano stati
depositati dei progetti di legge sia da parte della maggioranza (Trantino)
sia da parte dell'opposizione (Soda) che hanno delle straordinarie similitudini:
i punti di vista comuni sono decisamente superiori rispetto a quelli difformi.
Credo che ciò sia l'indicazione del fatto che un percorso diretto
verso una legge organica non debba essere per forza lunghissimo, qualora
lo si affronti seriamente e con spirito di collaborazione.
La terza considerazione è riferita alla necessità di
trovare un bilanciamento tra le esigenze della difesa dei diritti umani
fondamentali e quelle dello Stato di tutelare i propri confini, contrastare
abusi della procedura di asilo e contemporaneamente difendere la normativa
sull'immigrazione evitando una confusione tra i due aspetti. A nostro avviso,
i due articoli proposti non riescono ad attuare tale bilanciamento, perché
esso è complesso e bisogna portare avanti sia un aspetto sia l'altro.
Come è emerso abbastanza evidentemente dalle nostre
considerazioni i due articoli sono squilibrati. Riportare un equilibrio pieno significherebbe mettere mano alla procedura, decidere in quale forma e dove debbano esserci adeguati controlli, in quale forma debbano essere garantiti i diritti di accesso alla procedura ed il riconoscimento della protezione umanitaria, che come abbiamo visto non è affatto previsto nei due articoli. Tenuto conto di tutto ciò, del processo di armonizzazione europea e dell'esistenza di proposte di legge, crediamo che accelerare i tempi in quella direzione sia la strada migliore.
NICOLETTA DENTICO, Direttore
esecutivo di MSF. Nella nostra esperienza in comune fatta a Brindisi,
abbiamo potuto constatare che esiste una grande confusione nelle interpretazione
dei due istituti. C'è molta confusione tra diritto di asilo e immigrazione,
confusione che notiamo anche nel mondo della stampa. Ci sforziamo spesso
di far comprendere ai giornalisti, compresi quelli delle testate più
prestigiose, qual è la differenza tra un richiedente asilo ed un
immigrato, perciò vorremmo ovviare in tutti i modi possibili e dotarci
di tutti gli strumenti possibili affinché si faccia chiarezza su
quali sono i confini giurisprudenziali tra l'una e l'altra materia. Tale
netta distinzione aiuterebbe tutti noi operatori e anche il monitoraggio
da parte di tutte le autorità statali e locali. Il problema non
si gestisce esclusivamente in una logica di sicurezza e di emergenza.
Fornisco una risposta rapida alla domanda fatta dall'onorevole Leoni
riservandomi di mandare in seguito informazioni più precise. In
Europa risulta sempre più difficile a livello individuale provare
l'esistenza dei presupposti per richiedere l'asilo politico. I vari richiedenti
devono sottostare a procedure
sempre strette e rigide per dimostrare che esiste nei loro confronti
una effettiva persecuzione, a fronte di fenomeni generalizzati difficilmente
dimostrabili.
Vorremmo tradurre la preoccupazione che abbiamo segnalato in questa
sede in una iniziativa di lungo periodo. Il nostro obiettivo è il
2004 e per questo motivo Amnesty international, ICS e Medici senza frontiere
lanceranno una campagna sul diritto d'asilo con lo slogan: «Diritto
d'asilo, una questione di civiltà». La conferenza stampa per
il lancio di questa iniziativa si terrà all'hotel Nazionale giovedì
prossimo alle 11,30 e vorremmo invitare tutti i membri della Commissione
a parteciparvi.
GIANNICOLA SINISI. Quando si è parlato del programma nazionale di assistenza, ci si riferiva a quello realizzato nel 2001 con i comuni, sostenuto con i fondi dell'otto per mille? In quel caso, il problema era costituito dalla fonte di finanziamento, che era di tipo straordinario. Vorrei avere conferma che si trattasse di quell'episodio.
PRESIDENTE. Sì, grazie, onorevole
Sinisi. Ringrazio gli esponenti delle organizzazioni che hanno collaborato
con la Commissione, accogliendo il nostro invito: se vi fossero ulteriori
punti del provvedimento in oggetto meritevoli di ulteriore attenzione da
parte vostra, vi saremmo grati se poteste fornire ulteriori suggerimenti
attraverso testi scritti.
Auguro buon lavoro e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 11,50.