Opera Nomadi
Sezione del Lazio |
Via di Porta Labicana, 59 –00185 Roma tel. 06/44700166 – 44701860 fax 06/44701859 |
25 Aprile
Festa della Liberazione
Senza memoria non
c’è futuro
Fin dai primi anni della
conquista del potere, il regime fascista prese in considerazione il problema
della presenza dei Rom/Sinti nel nostro paese, con l'obiettivo di combattere e
ostacolarne il nomadismo e il modo di vita. Una circolare dell'8 agosto inviata
dal Ministero dell'Interno ai Prefetti sottolineava la necessità di “epurare
il territorio nazionale della presenza di carovane di Zingari, di cui è
superfluo ricordare la pericolosità nei riguardi della sicurezza e
dell’igiene pubblica per le caratteristiche abitudini di vita: il
vagabondaggio e l'oziosità, che fomentano e agevolano l'accattonaggio e
la perpetrazione di vari reati”
In particolare si ordinava
agli uffici di frontiera di “colpire nel suo fulcro I’organismo
zingaresco, respingendo Ie carovane che si presentassero con il solito corredo
di animali, carri e masserizie”.
Come si può osservare, il problema dei nomadi in
Italia non era tanto di natura razziale quanto di ordine pubblico. I
provvedimenti adottati dal governo fascista contro i Rom/Sinti, almeno
all’inizio, sembrano dettati da motivi di sicurezza più che da
radicate convinzioni razziali. I Rom/Sinti, infatti, non compaiono nelle leggi
razziaIi antiebraiche del 1938 e sono ignorati dal “Manifesto” degli scienziati (sich!) razzisti di quello
stesso anno, dove si legge testualmente che “gli ebrei rappresentano
l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia”.
Tuttavia da alcune
testimonianze risulta che proprio in quell’anno si ebbero le prime
concrete manifestazioni della politica repressiva fascista contro i Rom/Sinti.
Cominciarono allora le
retate su vasta scala, i rastrellamenti e le deportazioni di vari nuclei
familiari Rom/Sinti in alcune zone dell’Italia meridionale e delle isole.
Giuseppe Levakovich in un suo libro
di memorie riferisce che nella primavera del 1938 per ordine di Mussolini tutti
i Rom che non avevano un lavoro fisso erano internati in vari campi di
concentramento del meridione, in Abruzzo, Calabria e Sardegna.
La sua famiglia, moglie e tre figli,
era stata mandata a Mangone in provincia di Cosenza, mentre un'altra famiglia
Rom di Fiume, gli Hudorovich, era stata internata in Sardegna.
L’entrata in guerra
dell'Italia e l'allineamento del fascismo al nazismo anche sul piano del
razzismo provocò un inasprimento delle misure di controllo e di
repressione specialmente nei confronti dei Rom/Sinti stranieri; inasprimento al
quale non fu certamente estranea la campagna antigitana di alcuni organi di
stampa. Un articolo del novembre 1940 apparso sulla rivista “La Difesa
della Razza” e firmato da Guido Landra, direttore dell’ufficio
studi e propaganda sulla razza al Ministero della cultura popolare, auspicava,
sull’esempio tedesco, che anche in Italia fossero presi provvedimenti
contro “questi eterni randagi, privi in modo assoluto di senso
morale".
I provvedimenti non si
fecero attendere. Alla fine del 1940 vennero internati in appositi campi alcune
famiglie rom/sinte con cognome straniero, come i Reinhardt, confinati nelle
isole Tremiti, e i Goman, i Bogdan e i Levak, internati ad Agnone in provincia
di Campobasso. Non solo, ma si comincia anche a registrare I’invio di
Rom/Sinti nei campi di concentramento tedeschi, come testimonia l’arrivo
nel novembre 1941 di una ventina di Rom/Sinti italiani nel campo austriaco di
Lackenback.
Nel corso della guerra si procedette
all’internamento di altri Rom/Sinti in maggioranza stranieri che
continuavano ad affluire dal confine orientale per cercare scampo dai tedeschi
e dai loro alleati collaborazionisti. Un centinaio di Rom/Sinti, rastrellati in
Slovenia dopo che era entrata a far parte del Regno d'Italia o sfuggiti ai massacri
degli Ustascia croati di Ante Pavelic, furono internati nell'estate del '42 nel
campo di Tossicia in provincia di Teramo. Mentre due famiglie di Rom, oriundi
dalla Polonia, vennero internate nel giugno 1943 nel campo Ferramonti di Tarsia
presso Cosenza.
La
sorte dei Rom/Sinti si fece tragica dopo la resa italiana dell'8 settembre '43
e l'avvento della Repubblica di Salò, “quando i fascisti si
affiancarono ai tedeschi nella caccia agli ebrei, ai partigiani e ai nomadi,
ormai anche da noi considerati, come in Germania, asociali e criminali
incalliti" [MASSERINI 1980, p. 62].
Rom/Sinti
dimoranti nelle Tre Venezie, poste sotto il controllo militare tedesco, furono
rastrellati per essere inviati in Germania nei campi di sterminio.
Dalla
testimonianza del Levakovich sappiamo dell'internamento nel 1944 di tre giovani
Rumrià italiane dapprima a Ravensbruck e successivamente a Dachau, dove
rimasero fino alla liberazione.
Quanto
all’atteggiamento delle autorità militari risulta in numerosi casi
la solidarietà di non pochi funzionari che si prodigarono in favore dei
Rom/Sinti.
Riportiamo
due esempi significativi. Il primo è la testimonianza di Zilka Heldt,
secondo la quale le autorità di Tolmino procurarono a molti Rom, fuggiti
in Italia attraverso le Alpi Giulie, documenti di identità italiani, che
li sottrassero a possibili angherie da parte dei tedeschi. L’altro
esempio è un fonogramma trasmesso il 7 febraio 1945 dalla prefettura di
Varese al Comando della Squadra Aerea di Milano per sollecitare il suo
intervento per la restituzione a una carovana di Rom Calderai di cinque
cavalli, “arbitrariamente” sequestrati dal Comando del Battaglione
Aeronautico di Abbiate Guazzone con la sorprendente motivazione di “non
maggiormente aggravare situazione famiglie componenti carovana costretta
permanere zona priva possibilità di lavoro et assistenza" [Archivio
di Stato di Milano, Fondo Gab. Pref. cart. n. 365]
Ciò non solleva il
regime fascista dalla pesante responsabilità di aver perpetrato una
politica di repressione e di violenza contro un popolo inerme e che non
costituiva alcuna minaccia dal punto di vista politico. Dei 6.000 Rom/Sinti (su
una popolazione di 35.000 individui) che vennero internati nei campi di
concentramento sparsi in tutta Italia, ne perirono un migliaio a causa delle angherie, della fame, del freddo
e delle malattie.
I Rom/Sinti e la
Resistenza
Anche se non hanno una patria che li
ama, scrive Giuseppe Pederiali, i Rom/Sinti hanno dato il loro contributo a
liberare l'Europa dalla vergogna nazista.
È questa un'altra pagina
sconosciuta ma eroica della storia
di questo popolo pacifico, i cui figli non hanno esitato farsi partigiani
durante l’ultima guerra e a imbracciare le armi in difesa della libertà
dei popoli.
Non si trattò di casi
isolati o sporadici, ma in quasi tutte le nazioni in cui divampò la
lotta armata contro l'oppressione nazista i Rom/Sinti militarono numerosi nei
movimenti di resistenza locali o nazionali.
In Jugoslavia i Rom presero
parte attiva alla lotta di liberazione nazionale condotta dal partito comunista
iugoslavo con a capo Tito. Al di là delle differenze nazionali, essi si
unirono ai serbi e ai croati nella lotta contro il comune nemico tedesco.
Anche negli altri paesi
dell'Est europeo i Rom/Sinti non furono da meno: in Bulgaria parteciparono
attivamente alla lotta partigiana e all'insurrezione del 1944 contro il governo
fascista.
In Albania molti si unirono
alle unità partigiane che agivano nel territorio, come pure in Polonia
dove si ricorda la partecipazione alla lotta antinazista della poetessa rom
Bronislava Wais detta Papus a (Bambola).
In Slovacchia, specialmente
nell'ultima fase della guerra, molti Rom entrarono nelle organizzazioni
partigiane: il comandante Tomas Farkas svolse un ruolo di primo piano durante
l'insurrezione nazionale dell'estate del 1944, bloccando con i suoi Rom il
contrattacco tedesco a Banska Bystrica.
Contro i nazisti
combatterono anche in Francia. Il comandante partigiano Armand Stenegry
(docorato per i suoi atti di valore) con un reparto di gitani coadiuvò gli
sforzi dei maquis prima dello sbarco in Normandia nel 1944.
Pure i fratelli Beaumarie
aiutarono i maquis e uno di loro fu catturato e impiccato.
Anche in Italia dopo
l’8 settembre 1943 alcuni giovani si unirono ai partigiani, che nella
loro lingua chiamavano “č riklé” (uccelli, passeri) in quanto
costretti alla macchia, partecipando alla lotta di liberazione contro i
fascisti, molto realisticamente definiti “Kaš tengeri” ossia,
quelli del manganello.
Di alcuni di loro conosciamo
i nomi e le imprese: l’istriano Giuseppe Levakovich detto Tzigari, che
militò nella brigata “Osoppo” agli ordini del Comandante
Lupo; il piemontese Amilcare De Bar (il mitico Taro), che fu staffetta
partigiana nei dintorni di Cuneo col nome di battaglia di Corsaro Nero,
catturato, sfuggì alla fucilazione per la sua giovane età; Rubino
Bonora che
combattè in Friuli nella Divisione “Nannetti”; Walter
Catter,
eroe partigiano, impiccato a Vicenza l’11 novembre 1944 e suo cugino
Giuseppe, morto in combattimento a 20 anni in una azione di guerra sulle
montagne della Liguria presso Lovegno e decorato al valor militare.
cicl.
in proprio Via di Porta Labicana, 59
25 aprile 2002