Opera Nomadi

Ente Morale (D. P. R. 26/03/70 n. 347)

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25 Aprile

Festa della Liberazione

 

Senza memoria non c’è futuro

 

Per non dimenticare…

 

Fin dai primi anni della conquista del potere, il regime fascista prese in considerazione il problema della presenza dei Rom/Sinti nel nostro paese, con l'obiettivo di combattere e ostacolarne il nomadismo e il modo di vita. Una circolare dell'8 agosto inviata dal Ministero dell'Interno ai Prefetti sottolineava la necessità di “epurare il territorio nazionale della presenza di carovane di Zingari, di cui è superfluo ricordare la pericolosità nei riguardi della sicurezza e dell’igiene pubblica per le caratteristiche abitudini di vita: il vagabondaggio e l'oziosità, che fomentano e agevolano l'accattonaggio e la perpetrazione di vari reati”

In particolare si ordinava agli uffici di frontiera di “colpire nel suo fulcro I’organismo zingaresco, respingendo Ie carovane che si presentassero con il solito corredo di animali, carri e masserizie”.

Come si può osservare, il problema dei nomadi in Italia non era tanto di natura razziale quanto di ordine pubblico. I provvedimenti adottati dal governo fascista contro i Rom/Sinti, almeno all’inizio, sembrano dettati da motivi di sicurezza più che da radicate convinzioni razziali. I Rom/Sinti, infatti, non compaiono nelle leggi razziaIi antiebraiche del 1938 e sono ignorati dal “Manifesto” degli scienziati (sich!) razzisti di quello stesso anno, dove si legge testualmente che “gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia”.

Tuttavia da alcune testimonianze risulta che proprio in quell’anno si ebbero le prime concrete manifestazioni della politica repressiva fascista contro i Rom/Sinti.

Cominciarono allora le retate su vasta scala, i rastrellamenti e le deportazioni di vari nuclei familiari Rom/Sinti in alcune zone dell’Italia meridionale e delle isole.

Giuseppe Levakovich in un suo libro di memorie riferisce che nella primavera del 1938 per ordine di Mussolini tutti i Rom che non avevano un lavoro fisso erano internati in vari campi di concentramento del meridione, in Abruzzo, Calabria e Sardegna.

La sua famiglia, moglie e tre figli, era stata mandata a Mangone in provincia di Cosenza, mentre un'altra famiglia Rom di Fiume, gli Hudorovich, era stata internata in Sardegna.

L’entrata in guerra dell'Italia e l'allineamento del fascismo al nazismo anche sul piano del razzismo provocò un inasprimento delle misure di controllo e di repressione specialmente nei confronti dei Rom/Sinti stranieri; inasprimento al quale non fu certamente estranea la campagna antigitana di alcuni organi di stampa. Un articolo del novembre 1940 apparso sulla rivista “La Difesa della Razza” e firmato da Guido Landra, direttore dell’ufficio studi e propaganda sulla razza al Ministero della cultura popolare, auspicava, sull’esempio tedesco, che anche in Italia fossero presi provvedimenti contro “questi eterni randagi, privi in modo assoluto di senso morale".

I provvedimenti non si fecero attendere. Alla fine del 1940 vennero internati in appositi campi alcune famiglie rom/sinte con cognome straniero, come i Reinhardt, confinati nelle isole Tremiti, e i Goman, i Bogdan e i Levak, internati ad Agnone in provincia di Campobasso. Non solo, ma si comincia anche a registrare I’invio di Rom/Sinti nei campi di concentramento tedeschi, come testimonia l’arrivo nel novembre 1941 di una ventina di Rom/Sinti italiani nel campo austriaco di Lackenback.

Nel corso della guerra si procedette all’internamento di altri Rom/Sinti in maggioranza stranieri che continuavano ad affluire dal confine orientale per cercare scampo dai tedeschi e dai loro alleati collaborazionisti. Un centinaio di Rom/Sinti, rastrellati in Slovenia dopo che era entrata a far parte del Regno d'Italia o sfuggiti ai massacri degli Ustascia croati di Ante Pavelic, furono internati nell'estate del '42 nel campo di Tossicia in provincia di Teramo. Mentre due famiglie di Rom, oriundi dalla Polonia, vennero internate nel giugno 1943 nel campo Ferramonti di Tarsia presso Cosenza.

La sorte dei Rom/Sinti si fece tragica dopo la resa italiana dell'8 settembre '43 e l'avvento della Repubblica di Salò, “quando i fascisti si affiancarono ai tedeschi nella caccia agli ebrei, ai partigiani e ai nomadi, ormai anche da noi considerati, come in Germania, asociali e criminali incalliti" [MASSERINI 1980, p. 62].

Rom/Sinti dimoranti nelle Tre Venezie, poste sotto il controllo militare tedesco, furono rastrellati per essere inviati in Germania nei campi di sterminio.

Dalla testimonianza del Levakovich sappiamo dell'internamento nel 1944 di tre giovani Rumrià italiane dapprima a Ravensbruck e successivamente a Dachau, dove rimasero fino alla liberazione.

Quanto all’atteggiamento delle autorità militari risulta in numerosi casi la solidarietà di non pochi funzionari che si prodigarono in favore dei Rom/Sinti.

Riportiamo due esempi significativi. Il primo è la testimonianza di Zilka Heldt, secondo la quale le autorità di Tolmino procurarono a molti Rom, fuggiti in Italia attraverso le Alpi Giulie, documenti di identità italiani, che li sottrassero a possibili angherie da parte dei tedeschi. L’altro esempio è un fonogramma trasmesso il 7 febraio 1945 dalla prefettura di Varese al Comando della Squadra Aerea di Milano per sollecitare il suo intervento per la restituzione a una carovana di Rom Calderai di cinque cavalli, “arbitrariamente” sequestrati dal Comando del Battaglione Aeronautico di Abbiate Guazzone con la sorprendente motivazione di “non maggiormente aggravare situazione famiglie componenti carovana costretta permanere zona priva possibilità di lavoro et assistenza" [Archivio di Stato di Milano, Fondo Gab. Pref. cart. n. 365]

Ciò non solleva il regime fascista dalla pesante responsabilità di aver perpetrato una politica di repressione e di violenza contro un popolo inerme e che non costituiva alcuna minaccia dal punto di vista politico. Dei 6.000 Rom/Sinti (su una popolazione di 35.000 individui) che vennero internati nei campi di concentramento sparsi in tutta Italia, ne perirono un migliaio a causa  delle angherie, della fame, del freddo e delle malattie.

 

I Rom/Sinti e la Resistenza

 

Anche se non hanno una patria che li ama, scrive Giuseppe Pederiali, i Rom/Sinti hanno dato il loro contributo a liberare l'Europa dalla vergogna nazista.

È questa un'altra pagina sconosciuta  ma eroica della storia di questo popolo pacifico, i cui figli non hanno esitato farsi partigiani durante l’ultima guerra e a imbracciare le armi in difesa della libertà dei popoli.

Non si trattò di casi isolati o sporadici, ma in quasi tutte le nazioni in cui divampò la lotta armata contro l'oppressione nazista i Rom/Sinti militarono numerosi nei movimenti di resistenza locali o nazionali.

In Jugoslavia i Rom presero parte attiva alla lotta di liberazione nazionale condotta dal partito comunista iugoslavo con a capo Tito. Al di là delle differenze nazionali, essi si unirono ai serbi e ai croati nella lotta contro il comune nemico tedesco.

Anche negli altri paesi dell'Est europeo i Rom/Sinti non furono da meno: in Bulgaria parteciparono attivamente alla lotta partigiana e all'insurrezione del 1944 contro il governo fascista.

In Albania molti si unirono alle unità partigiane che agivano nel territorio, come pure in Polonia dove si ricorda la partecipazione alla lotta antinazista della poetessa rom Bronislava Wais detta Papus a (Bambola).

In Slovacchia, specialmente nell'ultima fase della guerra, molti Rom entrarono nelle organizzazioni partigiane: il comandante Tomas Farkas svolse un ruolo di primo piano durante l'insurrezione nazionale dell'estate del 1944, bloccando con i suoi Rom il contrattacco tedesco a Banska Bystrica.

Contro i nazisti combatterono anche in Francia. Il comandante partigiano Armand Stenegry (docorato per i suoi atti di valore) con un reparto di gitani coadiuvò gli sforzi dei maquis prima dello sbarco in Normandia nel 1944.

Pure i fratelli Beaumarie aiutarono i maquis e uno di loro fu catturato e impiccato.

Anche in Italia dopo l’8 settembre 1943 alcuni giovani si unirono ai partigiani, che nella loro lingua chiamavano “č riklé” (uccelli, passeri) in quanto costretti alla macchia, partecipando alla lotta di liberazione contro i fascisti, molto realisticamente definiti “Kaš tengeri” ossia, quelli del manganello.

Di alcuni di loro conosciamo i nomi e le imprese: l’istriano Giuseppe Levakovich detto Tzigari, che militò nella brigata “Osoppo” agli ordini del Comandante Lupo; il piemontese Amilcare De Bar (il mitico Taro), che fu staffetta partigiana nei dintorni di Cuneo col nome di battaglia di Corsaro Nero, catturato, sfuggì alla fucilazione per la sua giovane età; Rubino Bonora che combattè in Friuli nella Divisione “Nannetti”; Walter Catter, eroe partigiano, impiccato a Vicenza l’11 novembre 1944 e suo cugino Giuseppe, morto in combattimento a 20 anni in una azione di guerra sulle montagne della Liguria presso Lovegno e decorato al valor militare.                                                        

                                                                                                                                                cicl. in proprio Via di Porta Labicana, 59  25 aprile 2002