Osservazioni
conclusive del Seminario territoriale
“Minori
stranieri non accompagnati: quali percorsi di crescita”
Alla luce dei nuovi interventi legislativi in materia
d’immigrazione e, in particolar modo, all’introduzione del permesso
di soggiorno per minore età e alla possibilità dei rimpatri
assistiti, gli operatori dei servizi di accoglienza del Comune e della Provincia di Milano, Associazioni ed Enti attivi
nell’ambito della tutela dei minori e promozione dei loro diritti, hanno
avviato un confronto e una discussione sull’attuale situazione dei minori
stranieri presenti in Italia.
Le molteplici interpretazioni, date nei diversi contesti locali,
della normativa in esame, lasciano gli educatori, i ragazzi, i volontari e gli
altri soggetti che operano nel settore, in una situazione instabile ed incerta.
Una tematica così delicata come quella dei
minori stranieri non accompagnati, è stata al centro di una politica di
protezione e tutela dei loro diritti operata da più settori
dell’Amministrazione del Comune e della Provincia di Milano. Ma tale legislazione, che ha portato ad
interpretazioni a volte contraddittorie, necessita di una lettura uniforme tale
da consentire una pratica attuativa conforme alle linee già dettate
dall’autorità amministrativa preposta: il Comitato per i Minori
Stranieri (qui di seguito
Comitato) istituito
presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (DPR 394/99).
Da diversi mesi, gli operatori, una volta avuto indicazione del nuovo
orientamento in materia che considera il rimpatrio assistito come soluzione
preminente rispetto alla permanenza in Italia, hanno avviato nei confronti dei
minori ospiti presso di loro, un lavoro di accettazione del rimpatrio,
attraverso un’azione di sensibilizzazione e di convincimento.
Di conseguenza i minori che vengono accolti presso
le comunità della Provincia di Milano sono avvisati dell’indagine che il Comitato farà presso la famiglia
d’origine e dell’eventuale decisione di rimpatrio là dove ne
esistano i presupposti.
L’impegno ad orientare ed ad indirizzare i
minori verso scelte di responsabilità e legalità si colloca
all’interno di una situazione che però vede gli stessi minori e
soprattutto coloro che, anche con il consenso degli Enti Locali, hanno iniziato da più di un anno
un percorso educativo e formativo, essere sospinti verso situazioni di
marginalità e illegalità al compimento del diciottesimo anno
d’età.
Per questi motivi l’Istituto Milanese
Martinitt e Stelline e la
Fondazione Terre des hommes Italia insieme a tutti i componenti del Coordinamento
milanese a favore dei minori stranieri non accompagnati (qui di seguito Coordinamento), all’interno del progetto
“Diritti umani e migrazioni involontarie” cofinanziato dalla DGCS
del Ministero degli Affari Esteri e con la collaborazione di tutti i componenti del Coordinamento, hanno organizzato in data 3 dicembre
2001 il Seminario “Minori stranieri non accompagnati: quali percorsi di
crescita” che ha
riguardato in particolare modo gli aspetti dell’integrazione e del
rimpatrio assistito dei minori stranieri non accompagnati.
A seguito di tale Seminario, il Coordinamento, realtà ormai stabile che continua
il suo lavoro di monitoraggio e riflessione sulla attuale condizione del minore
straniero non accompagnato, ha abbozzato alcune riflessioni e proposte
operative, tenendo conto dei dettami contenuti nella Convenzione ONU sui
diritti del fanciullo,
normativa quadro in materia, ed ad altre legislazioni internazionali quali Convenzione
dell’Aja relativa al rimpatrio dei minori e la risoluzione del Consiglio
dell’Unione Europea
del 26.06.1997 sui minori non accompagnati.
Ribadendo che tutte le azioni concernenti i minori
devono tenere in preminente considerazione il superiore interesse del
fanciullo (art. 3
Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, art. 6 DPCM 535/99) e che lo stesso ha il diritto
ad essere ascoltato in qualunque procedimento amministrativo, civile e penale (art. 12 Convenzione ONU sui diritti
del fanciullo, art. 7
DPCM 535/99),
il Coordinamento propone le seguenti raccomandazioni:
Le disposizioni in materia di rimpatrio nulla
indicano in ordine alle modalità concrete e ai principi di riferimento
del rimpatrio, né prevedono criteri su cui si debba basare la decisione
di rimpatrio o di permanenza del minore.
Tali provvedimenti, adottati dall’organo
governativo centrale, trovano esecuzione immediata a livello locale senza
nessun coordinamento con i soggetti che partecipano attivamente al progetto di
rimpatrio.
Le conseguenze della mancanza di criteri di
valutazione dell’interesse superiore del minore incidono in tal modo
anche sul rispetto delle garanzie poste a sua tutela, non prevedendo
alcunché in ordine alle modalità di impugnazione del provvedimento
del Comitato,
competente a decidere sulla condizione del minore.
Si chiede al Comitato di fissare delle linee guida cui tutti i soggetti
coinvolti si debbono attenere in merito a:
·
Criteri
di valutazione dell’interesse superiore del minore (cfr. Capitolo 3.3.)
·
Presupposti
del rimpatrio
·
Modalità
di esecuzione del provvedimento di rimpatrio
·
Definizione
dei compiti/ruoli dei vari soggetti coinvolti
La partecipazione del minore al procedimento è una questione
fondamentale affinché sia garantita una reale tutela.
L’esperienza di rimpatri compiuti contro la
volontà del minore, ha dimostrato che tale partecipazione non può
esserci, senza una condivisione di un percorso strutturato in accordo con il minore stesso e con la
famiglia d’origine.
E affinché il minore possa essere
rappresentato e tutelato nel corso del procedimento, è necessario la nomina
di un tutore da parte del
Giudice Tutelare.
Tale diritto si deve, inoltre, esplicare nella definizione
delle modalità e
del soggetto competente davanti al quale è possibile presentare ricorso, in caso di decisione di rimpatrio.
In virtù del nuovo rimpatrio assistito è necessario che i minori possano trovare delle reali motivazioni a sostegno della decisione di rientrare nel paese d’origine, unitamente alla creazione in tali paesi di condizioni che permettano la loro esplicazione, tra cui non potrà mancare quella di un miglioramento delle proprie condizioni di vita.
Il provvedimento del rimpatrio assistito, dunque,
perché risulti un valido strumento di supporto alle politiche
finalizzate alla reale tutela e promozione dei diritti del minore, necessita di
una strategia adeguata.
La necessità di garantire e tutelare i diritti fondamentali
minimi di questi ragazzi, non può fermarsi al divieto di espulsione
così come è previsto dal Testo Unico, ma deve passare attraverso la possibilità
di una seria e reale progettazione finalizzata ad accogliere, assistere,
orientare e formare il minore.
Da una parte le strutture di accoglienza, dunque,
non possono essere concepite esclusivamente con funzione di contenimento. La
funzione di assistenza – laddove si intende per assistenza tutto
ciò che attiene alla cura materiale, alimentare, igienica e sanitaria
– è solo uno dei compiti delle comunità. Accanto ad essa,
vi è anche quella di orientamento, legata alla dimensione psicologica,
culturale, motivazionale e di formazione, attinente all’ambito dell’apprendimento
e dello sviluppo di conoscenze e competenze professionali.
Dall’altra, un progetto educativo e
professionale iniziato nelle comunità secondo una prospettiva di
rimpatrio, deve essere continuato e supportato dalle risorse della
cooperazione allo sviluppo
con il Paese d’origine, perché esso non diventi inutile e
inefficace.
Questo comporta un lungo lavoro di
sensibilizzazione dei ragazzi da parte degli operatori attraverso la valorizzazione
della cultura d’origine e il consolidamento dei legami familiari, una mirata attività educativa
finalizzata a preparare e responsabilizzare i ragazzi al rimpatrio tramite l’offerta
di percorsi professionali spendibili in patria, a sostegno di un loro inserimento lavorativo e di
migliorate condizioni di vita.
Anche sul fronte internazionale, e quindi su
quello dei paesi d’origine dei minori, è necessario che gli
operatori siano coinvolti nell’attuazione di attività e programmi
che diano continuità e compimento alle reali finalità sottese
al rimpatrio assistito.
A tal fine è necessario predisporre e
assicurare lo svolgimento di progetti di formazione professionale, formulati in
accordo con i minori ospitati, sulla base delle loro attitudini ed in vista di
una concreta spendibilità della professionalità, al ritorno in
patria.
Il rimpatrio assistito necessita della collaborazione
con operatori attivi sul piano internazionale esperti della realtà di reinserimento dei
minori e della gestione di programmi socio-educativi.
Preliminarmente andrà chiarita la definizione di minore
straniero non accompagnato e quindi quali sono i minori di competenza del Comitato.
L’art.1 c.2 del Regolamento del Comitato, organo amministrativo istituito
dall’art.33 del Testo Unico sull’Immigrazione (Dlgl 286/98), definisce il minore
straniero non accompagnato come il “minorenne non avente cittadinanza
italiana o di altri Stati dell’Unione Europea che, non avendo presentato domanda di asilo, si
trova per qualsiasi causa sul territorio dello stato privo di assistenza e
rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente
responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano”;
tale definizione ricalca a grandi linee quella inclusa nella Risoluzione del Consiglio
d’Europa del 26
giugno 1997.
Riguardo a tale definizione di “non
accompagnato” rimane aperto il problema se anche il minore con parenti
entro il quarto grado presenti sul territorio, sia da definirsi tale.
In particolare se anche egli sia da considerarsi
“privo di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui
legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento
italiano”;
In realtà il minore, con parenti entro il
quarto grado presenti sul territorio, si trova nella situazione dettata
dall’art. 343 c.c., per cui è prevista l’apertura della
tutela, e per tale motivo non può definirsi “non
accompagnato”.
Per tali minori una strada percorribile risulta essere quella
dell’affidamento ai parenti presenti sul territorio.
·
La tutela
del minore viene ad essere garantita tramite la certificazione della
parentela e il previo consenso
dei genitori manifestato
con un atto notarile
legalizzato presso la Rappresentanza Diplomatica italiana nel Paese d’origine.
·
L’intervento
del Giudice Tutelare
in questa circostanza permetterebbe il controllo su tale iter e la
formalizzazione dell’affidamento, superando il problema della mancata
armonizzazione dell’art. 32 T.U. 286/98 con la l.184/83.
·
In questo
caso vi sarebbe una verifica sul fatto che l’adulto al quale il minore viene affidato sia
realmente un parente entro il quarto grado e che questi sia effettivamente idoneo dal punto di vista materiale e morale.
Gli adolescenti presenti sul territorio sono ragazzi alla ricerca di
una propria identità e, accanto all’incertezza del futuro, tipica
degli adolescenti, si aggiunge per loro il senso di precarietà, legato
all’attuale condizione di minori non accompagnati.
Un periodo di forte incertezza e instabilità riguardo al
futuro può favorire l’abbandono di un percorso positivo di
integrazione e condurre verso strade ancor più di emarginazione e
devianza.
A ciò si aggiunge che il lavoro educativo
non può essere pensato in forma assistenziale e contenitiva.
E’ importante che la decisione sempre nell’interesse del
minore di rimpatrio o di permanenza in Italia, sia presa in tempi rapidi e
congrui alla
programmazione di un intervento educativo e formativo mirato.
Tale periodo, in relazione all’attuale disponibilità di
risorse da parte del Comitato, può essere stimato intorno ai 3 mesi dal momento della
segnalazione del minore al Comitato.
Nel decidere circa il rimpatrio del minore o la sua permanenza sul
territorio italiano, il criterio generale e preminente è quello del
superiore interesse del minore, da valutare caso per caso, sulla base di alcuni
criteri precisi e rilevanti.
Accanto all’attuale orientamento del Comitato di considerare il ricongiungimento
famigliare come rispondente a tale interesse, occorre contemperare gli esiti
delle indagini svolte nel Paese d’origine con il percorso educativo e
formativo compiuto dal minore in Italia.
La decisione sul suo futuro non può non considerare un
mutamento delle condizioni di vita operate in Italia e di un suo percorso di
crescita e di opportunità concrete (in primis un’offerta lavorativa al termine di
un percorso di formazione) che il ragazzo è riuscito a creare nel
periodo di permanenza in Italia.
Si chiede, quindi, al Comitato di considerare ai fini della decisione di
rimpatrio o permanenza sul territorio italiano:
·
Il
positivo percorso di integrazione accertato dall’adesione al progetto
educativo e formativo formulato in accordo con la comunità che lo
ospita;
·
Una reale
e concreta opportunità di inserimento lavorativo;
·
Assenza
di reali prospettive di sviluppo e lavoro nel Paese d’origine, in
riferimento anche alla specificità del percorso formativo fatto in
Italia.
La disciplina del permesso per minore età si è
dimostrata ad oggi gravemente lacunosa.
In presenza di tali lacune lasciate dalla nuova
normativa, sono, dunque, intervenute due circolari del Ministero
dell’Interno (del 13 novembre 2000 e 7 aprile 2001) che hanno svolto un
ruolo interpretativo della legge, peraltro restrittivo, disponendo la non
convertibilità del permesso per minore età in altro titolo di
soggiorno.
Oltre la grave disomogeneità rilevata sul territorio da parte
dei Tribunali per i minorenni, tale interpretazione introduce una grave disparità di
trattamento tra i minori non affidati e i minori affidati ai sensi della l.
184/83: per quest’ultimi, infatti, è previsto il rilascio del
permesso di soggiorno per affidamento, il quale consente la conversione in
permesso per lavoro, studio e altro.
Disomogeneità che si rileva, come
già indicato precedentemente, anche nel caso di minori sottoposti a un
decreto di tutela ad un parente o al Comune, per i quali è previsto il rilascio del
per messo per minore età.
Infatti, l’art. 29 T.U. 286/98 prevede
“ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età
inferiore a 18 anni. I minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono
equiparati ai figli.”
In tale definizione, quindi, sono da ricomprendere
non solo i minori affidati con un decreto di affido da parte del Tribunale
per i minorenni, ma anche
i minori in possesso di un decreto di tutela del Giudice Tutelare.
Tale interpretazione dettata dalla lettera dell’art.
29 sopra citato, parifica la tutela all’affidamento, consentendo il
rilascio di un permesso per affido, poi convertibile come dettato
dall’art. 32. T.U.
Si chiede, quindi:
·
La
conversione del permesso per minore età in altro titolo di soggiorno al compimento
del diciottesimo anno, là dove ne esistano i presupposti;
·
L’equiparazione,
ai fini della conversione del permesso di soggiorno, del decreto di affido a
quello di tutela.
I lunghi tempi di attesa necessari per le decisioni
del Comitato in merito
alla permanenza o rimpatrio del minore, anche a causa dell’alto numero
delle segnalazioni pervenute, delle oggettive difficoltà dovute alla non
gestione diretta dei minori, e degli scarsi mezzi a disposizione per avviare le
indagini nei paesi d’origine, rendono auspicabile che venga presa in
considerazione un decentramento territoriale dei compiti del Comitato che rispecchi la composizione
dell’organo centrale, così come già previsto dal disegno di
legge 795/2001, art. 25 capo II attualmente in discussione in Parlamento.
Associazione
Sarepta Istituto
Milanese Martinitt e Stelline
Casa del Giovane - Milano La
Zattera - Associazione gruppo di Betania
Centro Formazione Professionale Piamarta Le tre fontane - Cooperativa soc.
La Grande Casa
Comitato contro la Schiavitù Moderna Terre
des hommes Italia
Comunità Nuova
Aderiscono
altresì al presente documento
Caritas
Ambrosiana - Milano
Ass.
Comunità “Il Gabbiano” Onlus - Olgiasco di Colico (LC)
Centro Pronta
Accoglienza “Padri Maristi” - Brescia
Comunità
“Casa del Giglio” – Vendrogno (LC)
Comunità
“Casa Don Guanella”
(LC)
Comunità
“Casa San Girolamo” – Vercurago (LC)
Opera Pavoniana
– Brescia