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Cron. 668/02
P- V-,nata --- nella Repubblica di Moldova; C-
T- ,nata a ----(Repubblica Moldova)il -----;S- S-, nata in Ucraina il
---------; N- O-, nata in Ucraina il ----- e B- O-, nata in Ucraina il ----
proponevano ricorso cumulativo avverso il decreto del 25.3.2002 con cui il
Questore di Trento le espelleva dallo Stato Italiano perché
irregolarmente presenti sul territorio nazionale in quanto prive del prescritto
visto di ingresso e di autorizzazione al soggiorno (S- S-, C- T- e P- V-),in quanto priva di documenti
di identificazione e di autorizzazione al soggiorno e non in grado di dare
contezza di sé(B- O-)e in quanto, entrata nello spazio di Schengen nel febbraio
2002 con visto rilasciato dall'ambasciata austriaca a Kiev e valido lino al
27.2.2002,non richiedeva il permesso di soggiorno entro i prescritti otto
giorni lavorativi e alla scadenza del visto non lasciava il territorio
italiano(N- O-).
Raccontavano le ricorrenti di essere entrate nel territorio nazionale
con regolare visto di ingresso, così come si poteva ricavare dalla
lettura dei loro passaporti, nella prospettiva di un regolare inserimento nel
mondo del lavoro.
In effetti, avevano svolto attività di
assistenza a cittadini italiani anziani e disabili, sia pure con rapporti di
lavoro non formalizzato.
Eccepivano l'automaticità dei decreti di
espulsione, non preceduti dalla motivata valutazione circa la ritenuta
prevalenza del diritto alla regolamentazione del flusso migratorio su quello,
di cui la legge sull'immigrazione pure si fa carico, della solidarietà
economica e sociale.
Chiedevano l'annullamento degli impugnati decreti di
espulsione e, ìn subordine, la sospensione della loro
esecutorietà e, in ulteriore subordine, della riduzione della durata del
periodo di divieto di ingresso sul territorio italiano.
All'udienza camerale, in cui erano presenti funzionari
della Questura, il difensore delle ricorrenti insisteva per l'accoglimento de
ricorso e delle istanze subordinate.
A scioglimento della riserva, si osserva quanto segue.
La giurisprudenza prevalente è nel senso che
l'esegesi costituzionalmente orientata della normativa sulla disciplina
dell'immigrazione evidenzia le istanze di solidarietà che il legislatore
del 1998 ha manifestamente inteso privilegiare, in aderenza alle indicazioni
precettive dell'art 2 della Costituzione.
Istanze, queste ultime, che possono naturalmente
cedere alle contrapposte esigenze di presidio delle frontiere e di ordinata
regolamentazione del flusso migratorio; ma solamente quando quest’ultime
abbiano ragioni di porsi e di imporsi.
La qualcosa non pare prospettabile nel caso in
questione, in cui la ricorrente B- O- è presente in Italia quanto meno
dal 16.0.2000, C- T- è presente in Italia quantomeno dal 15.7.2001 e P-
V- è presente in Italia quantomeno dal 14.08.2001 (così come
risulta dal visto Schengen apposto sul loro passaporto), legate da rapporti di
lavoro subordinato per il servizio di assistenza domiciliare, sia pure
necessariamente non formalizzato.
Sul punto va osservato che le straniere non hanno
indicato i loro datori di lavoro ma, in ragione del fatto che la legge sanziona
penalmente colui che assume alle proprie dipendenze il lavoratore straniero
privo di permesso di soggiorno, è ragionevole ritenere che si sia
trattato di un’omissione dettata dall’impulso di non pregiudicare
tale posizioni soggettive.
Si versa, insomma, in un caso in cui le esigenze
pubblicistiche di regolamentazione del flusso migratorio debbono
all’evidenza cedere a fronte di quelle solidaristiche volute dal
legislatore in favore dello straniero.
Più propriamente, il principio di diritto
è nel senso che l’espulsione delle straniere non poteva esser
automatica, ma doveva conseguire solo all'avvenuta comparazione tra la
necessità della tutela del flusso migratorio e le istanze di tutela del
loro diritto a non essere allontanate dallo Stato ospitante.
E’ evidente, peraltro, che tale eventuale
motivato provvedimento avrebbe finito per essere in contrasto insanabile
– sotto il profilo della contraddittorietà – con la storia
personale delle ricorrenti, presenti in Italia da un considerevole lasso di
tempo e fattivamente impegnate in un’attività lavorativa idonea a
sostenerla.
A parere del giudicante non è condivisibile
l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, secondo cui
“il decreto di espulsione dello straniero che non sia in possesso del
permesso di soggiorno o non ne abbia chiesto il rinnovo è atto vincolato
ai sensi dell’art. 13, secondo comma, del D. Lvo nr 286/1998, mentre le
valutazioni relative all’ordine pubblico, alla integrazione sociale e
alle possibilità di lavoro dello straniero attengono al procedimento di
concessione o rinnovo del permesso, il cui controllo è demandato
esclusivamente al giudice amministrativo, dinanzi al quale sia stato impugnato
il diniego (Cass. 5/12/2001 nr 15414).
L'art 13 del Dlvo l998/286, infatti, stabilisce che
avverso il decreto di espulsione può essere presentato ricorso al
Tribunale, senza che vengano in nessun modo circoscritti o limitati i motivi a
sostegno di tale gravame.
Aggiungasi che la giurisdizione ordinaria è,
per definizione, la giurisdizione dei diritti e non solamente degli interessi
legittimi, cosicchè lo straniero espulso può far valere, in sede
di opposizione al decreto di espulsione, oltre che ragioni di stretta censura
dell'atto amministrativo in quanto tale, anche pretese fondative del suo
sostanziale e non affievolito diritto a non essere allontanato dal territorio
italiano pur in difetto del mai richiesto permesso di soggiorno.
Tra queste pretese giudizialmente azionabili possono
rientrare certamente il lavoro svolto pregressamente sia pure all interno di un
quadro fattuale e preternormativo, l'inserimento sociale già
perfezionatosi, la durata della permanenza sul territorio italiano, l'assenza
di condotte violatrici dell'ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini
italiani, ecc.
La ritenuta automaticità della risposta
espulsiva nei confronti dello straniero privo di permesso di soggiorno, che non
tenga conto di queste istanze neppure al limitato fine di motivatamente
disattenderle così come in sede di opposizione all'atto amministrativo
l'opinata limitazione delle censure ad aspetti afferenti solamente
all'esistenza o meno ditale permesso di soggiorno, oltre che violare l'art 2
della Costituzione e le sue istanze di solidarietà politica, economica e
sociale, finirebbe con il violare anche il diritto a vedere tutelate, in modo congruo ed esaustivo,
davanti all'organo giurisdizionale ordinario al quale per legge si deve ricorrere, le ragioni che si
ritengano essere a fondamento della pretesa di rimanere sul territorio
nazionale.
La cognizione del giudizio, specularmente, non
può che estendersi a tutti gli aspetti sostanziali che possano far
ritenere consolidato il diritto delle opponenti al decreto di espulsione alla
permanenza sul territorio italiano.
Non può non aggiungersi che è in fase
avanzata un disegno di legge in materia di immigrazione che prevede la
regolarizzazione del lavoro irregolare
degli stranieri occupati in lavori di assistenza familiare e presenti in
Italia prima del 1° gennaio 2002.
Poiché le ricorrenti rientrano astrattamente in
tale procedura regolarizzativa, ancor più ingiustificato appaiono i
decreti di espulsione emessi nei loro confronti che, nel pregiudicarle
irreparabilmente in tale legittima aspettativa, opererebbero un irragionevole
ed ingiustificato trattamento in favore(art 3 Cost) di chi, pur presente
irregolarmente sul territorio italiano e per le più svariate ragioni non
colto da decreto di espulsione, sarebbe in grado di regolarizzare la propria
posizione lavorativa e di residenza.
Da ultimo, sarebbe diseconomico, sul piano della congruità ed adeguatezza dell'interpretazione della norma, costringere le straniere all'abbandono del territorio italiano in presenza di presupposti che, già allo stato dei fatti, consentirebbero loro l'instaurazione formale di un contratto di lavoro.
Sotto il profilo della necessità di non
pregiudicare, nelle more dell'approvazione della normativa sulla sanatoria in
materia di lavori di assistenza familiare, in modo irreparabile il diritto
delle ricorrenti ad ottenere la regolarizzazione dei loro rapporti di lavoro in
corso, si imporrebbe comunque la sospensiva dei decreti impugnati, la norma di
cui all'art 700 cpc essendo di carattere generale.
Alle conclusioni di cui sopra non si può
giungere per quanto concerne le posizioni di N-O- e S- S-, presenti sul
territorio italiano, rispettivamente, al più presto dal 27 febbraio 2002
e dal 15 marzo 2002 e, al più tardi, dal 17.2.2002 e dal 15.2.2002.
E' evidente, che dato il brevissimo lasso di tempo a
decorrere dal quale esse dimorano in ltalia, non è dato presumere un
loro stabile - sia pure non formalizzato - inserimento lavorativo.
Aggiungasi che la sanatoria legislativa non si
applicherebbe nei loro confronti cosìcchè, anche sotto questo
aspetto, non vi è ragione di tutelarne la permanenza sul territorio
italiano.
PQM
Definitivamente pronunciando sul ricorso avanzato da
P- V-, C- T-, S-S-, N- O- e B- O- avverso il decreto di espulsione del Questore
di Trento
Accoglie
Il ricorso di P- V-, C- T- e B- O-.
Respinge
il ricorso presentato da S- S- e N- O-. Riduce nei
loro confronti a tre anni il divieto di fare ritorno sul territorio nazionale.
Si notifichi alle interessate e si comunichi alla
Questura.
Tn 17 aprile 2002 Il
Giudice
Corrado Pascucci