Kaha, una vita per i diritti civili

Per il suo impegno a favore degli stranieri in Italia riceverý lunedÏ l'onorificenza cittadina

da "La Provincia Pavese", 4 dicembre 2002

"Io, somala, fuggita da Siad Barre e accolta da Pavia"
"Gli aiuti ai Paesi pi˜ poveri servono a disinnescare tensioni che ormai ci riguardano tutti"

PAVIA. LunedÏ le conferiranno uno dei 5 premi di San Siro. Kaha Mohamed Aden, nata a Mogadiscio il 12 marzo 1966, tiene molto a ringraziare la cittý. Ha meritato questa onorificenza "per l'impegno culturale e civile nell'integrazione delle persone immigrate, per la promozione dei diritti degli stranieri in Italia e per il sostegno di progetti finalizzati alla facilitazione del rientro nei Paesi d'origine". Ma questa Ë l'ufficialitý burocratica. Parlare con questa ragazza somala significa, in realtý, avere la straordinaria opportunitý di vedere il mondo da un altro punto di vista.

Il punto di partenza Ë un recente film diretto da Ridley Scott, "Black Hawk Down". A Mogadiscio, il 3 ottobre 1993, una forza d'assalto statunitense inviata a catturare i luogotenenti del signore della guerra Mohamed Farrah Aidid cadde in un'imboscata. I titoli di coda spiegano che nello scontro morirono 19 militari Usa e 1000 somali: la sproporzione, perÚ, non colpisce pi˜ di tanto Kaha. "In Somalia la morte cruenta fa parte della giornata. Sono fortunata ad essere qua e a non fare parte di quei mille".

Lei, in Italia, Ë arrivata nel 1986. Suo padre, Mohamed Aden Sheikh, Ë un chirurgo che negli anni '70 fu ministro nel governo guidato da Siad Barre. Poi, quando quella di Barre divenne una dittatura, ne divenne uno dei pi˜ accesi oppositori. "E fu arrestato. Rimase in cella di isolamento dal 1982 al 1987. L'anno dopo fu liberato grazie all'intervento di Amnesty International".

Forse Ë anche per questo che Kaha, laureatasi a pieni voti in Economia e Commercio all'Universitý di Pavia il 6 luglio 1999, ha preso cosÏ a cuore le battaglie per i diritti civili. "Ma Ë anche perchÈ sono cresciuta in mezzo alla politica. Mia madre Ë stata un alto funzionario del ministero dell'educazione, mentre i miei nonni hanno fatto parte del movimento per la liberazione della Somalia".

Kaha lavora per una organizzazione non governativa (Volontariato internazionale per lo sviluppo) nella quale cura la parte didattica in collaborazione con docenti di Pavia. Ma riassumere i suoi molteplici impegni sarebbe arduo.

Come Ë cambiato il rapporto tra pavesi e immigrati dopo l'11 settembre? "C'Ë un misto di curiositý e freddezza, soprattutto per chi arriva dai Paesi islamici. Alcune mie amiche devono quasi "giustificare" il ruolo delle donne nelle loro nazioni di provenienza. PerÚ non c'Ë ostilitý. Anzi, le associazioni hanno aumentato la loro attenzione verso gli immigrati, mettendo anche loro a disposizione strutture che prima non c'erano". A Pavia - dice - tante cose sono migliorate: "Ora gli studenti hanno un punto di riferimento e il Comune ha aperto uno sportello per gli immigrati".

Sulla cooperazione, che Ë il suo mestiere, ha le idee chiare: "Chi arriva in Italia lo fa, generalmente, per fuggire a una situazione disastrosa. Bisogna lavorare perchË l'emigrazione da quei Paesi non sia pi˜ l'unica via di salvezza. E rendersi conto che quanto accade in queste nazioni Ë anche affar nostro. Che chi aiuta un immigrato, qua in Italia, ne aiuta altri dieci nel suo Paese d'origine, poichË lui mantiene un legame con la sua terra e invia denaro ai suoi parenti. Anche questo serve a "disinnescare" tensioni che poi possono essere strumentalizzate. Fermo restando che chi compie stragi e attentati deve essere punito".

Infine il rapporto tra donne e Islam. "I miei nonni insegnavano il Corano, ma io, a Mogadiscio, andavo a nuotare in bikini. Questo prima della guerra civile. Ma quando un popolo viene tradito dai suoi governanti, dai capi-clan, dal suo stesso Paese, non resta che rifugiarsi in Dio. Alle ragazze non interessa il burqa: cercano appoggio in Allah perchÈ Ë l'unico che non le ha ancora tradite".

 

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