MIGRACTION EUROPA
Bollettino
trimestrale di analisi delle politiche migratorie in Europa
prodotto dal CeSPI nel quadro del programma MIGRACTION
realizzato con il sostegno di
Compagnia di San Paolo
Monte dei Paschi di Siena
Ministero degli Affari Esteri
Mancano poco
più di due anni alla scadenza del quinquennio di transizione, sancito
dal trattato di Amsterdam, per la comunitarizzazione della politica europea in
materia di immigrazione e di asilo. Il ritardo è ormai evidente e il
bilancio di metà percorso compiuto dal Consiglio europeo di Laeken
(14-15 dicembre 2001) lo ha riconosciuto apertamente*.
In un contesto
decisionale che rimane sostanzialmente intergovernativo, i responsabili di tale
ritardo sono evidentemente gli stessi Stati membri. Non deve dunque stupire che
siano state vane le insistenze della presidenza belga, affinché il summit si concludesse con una stigmatizzazione
più netta delle resistenze opposte da alcuni governi al processo di
comunitarizzazione
(Agence Europe, Bulletin
Quotidien Europe, N°8115,
17-18 dicembre 2001, p. 17).
La frenata di Laeken p.
1
2002: un anno di transizione p.
2
Controlli migratori: verso una politica
comune p.
2
Le contraddizioni della linea italiana p.
5
Di fronte alla
constatazione del ritardo e degli ostacoli che persistono, i governanti europei
riuniti a Laeken hanno scelto una strategia fortemente pragmatica - per non
dire minimalista - di selezione delle priorità. Nonostante un richiamo
rituale allo “spirito di Tampere” e all’approccio integrato
predicato nell’ottobre 1999, è stato deciso di concentrarsi su
alcuni obiettivi (punto 40 delle Conclusioni, consultabili in http://ue.eu.int/it/info/eurocouncil/),
che corrispondono a un nucleo minimo (e politicamente prioritario) della
politica migratoria comune. In sintesi, tali obiettivi sono i seguenti:
a)
l’armonizzazione
e il rafforzamento del sistema di controllo
migratorio comune;
b)
l’armonizzazione e il miglior coordinamento dei
sistemi nazionali di asilo;
c)
“la creazione di programmi specifici in materia di
lotta contro la discriminazione e il razzismo”.
Come si nota immediatamente, da questa lista manca
qualsiasi riferimento esplicito a una politica comune in materia di ammissione
per lavoro, che pure ha costituito uno degli assi principali della strategia
della Commissione in questi ultimi mesi.
All’interno
di questi campi di azione prioritaria, il Consiglio europeo ha poi tracciato un
programma di attività sufficientemente dettagliato: uniformandosi alle richieste di alcuni Stati,
tra cui in primis la
Germania, ha invitato la Commissione “a
presentare, al più tardi il 30 aprile 2002, proposte modificate
riguardanti le procedure d'asilo, il ricongiungimento familiare, il regolamento
‘Dublino II’” e ha inoltre sollecitato il Consiglio “ad
accelerare i lavori sugli altri progetti riguardanti le norme di accoglienza,
la definizione del termine ‘rifugiato’ e le forme di protezione sussidiaria”
(Conclusioni del Consiglio europeo di Laeken, punto 41).
Accantonate dunque, in attesa di nuovi input da parte della Commissione, le proposte di direttiva su cui si erano
registrate le divergenze più aspre, i negoziati in seno ai gruppi di
lavoro del Consiglio si concentrano per il momento sul rimanente.
2002: un anno di transizione
Da un punto di vista tecnico, la scelta effettuata a
Laeken di riordinare l’agenda secondo una scala di priorità
più netta (dai dossier più facili a
quelli più difficili) suscita alcune perplessità. Gli addetti ai
lavori non si stancano infatti di evidenziare la ragnatela di interdipendenze
che lega non solo - come è evidente - i diversi ambiti della politica di
asilo tra loro (condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo, procedure,
Dublino, etc.), ma anche tale politica, nel suo complesso, con alcune misure in
materia di immigrazione (a partire dal ricongiungimento famigliare).
Per questa ragione, è possibile (e forse
auspicabile) che si pervenga mano a mano a uno stadio di quasi-accordo sui diversi tavoli negoziali, per poi sciogliere i nodi rimasti mediante
un compromesso di ampia portata. Se questa sarà la dinamica futura, si
può prevedere che alla resa dei conti non si giunga che nel corso del
2003. Il girotondo delle presidenze sembra avvalorare questa previsione: non
è facile immaginare grandi passi avanti durante la guida della Danimarca
(secondo semestre 2002), paese sempre più ostile a una
comunitarizzazione ampia, mentre la successione delle presidenze di Grecia
(primo semestre 2003) e Italia (secondo semestre 2003) potrebbe rappresentare
l’ultima vera finestra di opportunità, prima della scadenza del
periodo transitorio, il 1° maggio 2004.
Ma, accanto alle osservazioni di ordine tecnico, il
cambiamento di impostazione deciso a Laeken stimola considerazioni più
vaste, di natura politica e persino culturale. Lo slancio riformista contenuto
nelle Conclusioni di Tampere appare attenuato. La retorica europeista risulta
trasferita altrove, come nella Dichiarazione sul futuro dell’Unione
europea allegata alle Conclusioni di Laeken, dove però di migrazioni si
parla soltanto con riferimento a un presunto auspicio del cittadino europeo che
l’Unione svolga in futuro un ruolo crescente in materia di
“controllo dei flussi migratori” e di “accoglienza dei richiedenti
asilo e dei profughi provenienti da Regioni di conflitto periferiche”.
Per il resto, l’incombere di scadenze elettorali
dall’esito incerto in ben sei Stati membri - Francia (elezioni
presidenziali: 21 aprile-5 maggio 2002; elezioni politiche: 9-16 giugno 2002) e
Germania (elezioni politiche: 22 settembre 2002) innanzitutto, ma anche
Portogallo (17 marzo 2002), Paesi Bassi (15 maggio 2002), Irlanda (maggio 2002)
e Svezia (15 settembre 2002) - induce i rispettivi governi ad evitare passi
politicamente troppo impegnativi.
Mancano però impulsi significativi anche da parte
di altri Stati membri, da cui pure ci si sarebbe potuto aspettare un maggior
dinamismo. La politica migratoria non figura, ad esempio, tra le
priorità generali indicate dal
governo spagnolo per il proprio semestre di presidenza (www.ue2002.es; con riferimento specifico al
settore “Giustizia e affari interni”, vedi in particolare http://www.ue2002.es/principal.asp?opcion=6&subopcion=1&idioma=ingles). Pur dovendo fronteggiare problemi seri in
campo migratorio - e sebbene il prossimo vertice Euromed (Valencia, 22-23
aprile 2002) potesse rappresentare un’occasione politica ghiotta - in
ambito GAI il governo Aznar sembra deciso a puntare tutto sul dossier “lotta al terrorismo”, con
l’obiettivo principale di “europeizzare” il problema basco
sfruttando il clima emergenziale seguito all’11 settembre.
E’ improbabile dunque che il 2002 - anno di
elezioni e di ripresa economica attesa, ma tuttora incerta - risulti un anno
decisivo ai fini del processo di comunitarizzazione. Ciò non vuol dire
che non si preparino sviluppi settoriali rilevanti. In particolare, si
profilano importanti novità sul terreno dei controlli migratori, dove i
tempi sembrano maturi per passare da un modello di cooperazione mirata - quello
maturato in ambito Schengen* - a una
vera e propria politica comune.
La necessità di compiere un salto di
qualità nella cooperazione europea in materia di prevenzione e
repressione dell’immigrazione illegale è stata inizialmente
affermata dalla Commissione europea con la presentazione della Comunicazione al
Consiglio e al Parlamento su “una politica comune in materia di
immigrazione illegale” (COM(2001) 672, 15 novembre 2001, reperibile in http://www.europa.eu.int/comm/justice_home/unit/immigration_en.htm).
Lo stimolo proveniente dalla Commissione è stato immediatamente raccolto
dal Consiglio GAI del 6-7 dicembre 2001 che - sulla base di un rapporto della
presidenza belga avente ad oggetto un “concetto europeo per la gestione
dei controlli alle frontiere esterne dell’Unione europea” - ha
fatto emergere un consenso unanime sulla necessità di un approccio
più comprensivo e impegnativo in questo campo, soprattutto al fine di
fronteggiare le specifiche difficoltà dei paesi candidati (per un
aggiornamento sullo stato dei negoziati sull’allargamento
dell’Unione europea relativi al capitolo “Giustizia e affari
interni”, vedi http://www.europa.eu.int/comm/enlargement/negotiations/chapters/chap24/index.htm).
La rotta verso una
politica di controllo migratorio comune è stata confermata dal vertice
di Laeken, con cui i leader
europei hanno ufficialmente esortato le istituzioni a sviluppare “un Piano d'azione basato sulla comunicazione della Commissione
sull'immigrazione clandestina e la tratta di esseri umani”.
Con queste
deliberazioni si è aperta ufficialmente una sorta di “cantiere
specializzato”, investito di un alto grado di priorità politica,
all’interno del più vasto cantiere della comunitarizzazione.
L’agenda di questo particolare ambito decisionale verrà
progressivamente precisata nelle prossime settimane, in primo luogo attraverso
il Piano d’azione richiesto dal Consiglio europeo, il quale dovrà
tenere conto anche delle elaborazioni avviate da parte della Commissione (Libro
verde sulla politica comune in materia di rimpatrio, comunicazione sulla
gestione delle frontiere europee, studio di fattibilità relativo alla
creazione di un sistema europeo di identificazione dei visti). Tuttavia, alcuni
tratti fondamentali del nuovo modello di controllo migratorio europeo appaiono
già chiaramente riconoscibili:
a) Evoluzione
verso un corpo europeo di polizia di frontiera. Questa prospettiva,
dapprima caldeggiata in documenti del Parlamento europeo e in ambito
accademico, poi sostenuta ufficialmente dall’Italia all’interno del
Consiglio e infine incorporata nella comunicazione della Commissione
sull’immigrazione illegale, coagula oggi un larghissimo consenso (di
principio) tra le istituzioni e gli Stati membri, riflesso anche nelle
Conclusioni di Laeken.
Fissato
l’obiettivo finale, che si identifica appunto con l’istituzione di
una Guardia di frontiera europea, le tappe intermedie restano però
interamente da definire. Per esempio, mentre vi è un ampio accordo
sull’opportunità di prendere le mosse da una maggiore integrazione
dei percorsi di formazione delle autorità nazionali incaricate dei
controlli di frontiera, le opinioni divergono sul metodo: alcuni sostengono che
i programmi di studio e formazione comuni debbano svolgersi all’interno
dell’Accademia europea di polizia (AEP, più nota con
l’acronimo inglese CEPOL, istituita con la decisione del Consiglio
2000/820/JHA del 22 dicembre 2000, pubblicata in Gazzetta ufficiale delle
Comunità europee, L
336, 30 dicembre 2000, p. 1, disponibile su eur-lex), com’è
d’altra parte previsto nel programma di lavoro di CEPOL per il 2002
(documento del Consiglio 12871/01, reperibile mediante advanced search su http://register.consilium.eu.int/utfregister/frames/introshfsEN.htm).
Secondo un diverso punto di vista, le specificità della funzione di
controllo delle frontiere - che associa compiti di polizia e compiti civili in
materia di immigrazione e asilo - renderebbero più appropriata
l’istituzione di un’autonoma Accademia europea della Guardia di
frontiera; quest’ultima, secondo la Commissione, potrebbe
“organizzare sessioni di formazione anche per i funzionari dei paesi di
transito impegnati in una qualche forma di cooperazione con l’Unione
europea”.
Il dibattito sulla
fisionomia concreta che dovrà assumere la politica comune di controllo
delle frontiere esterne è dunque in pieno svolgimento, con un confronto aperto
tra posizioni minimaliste (che non vanno molto oltre un’integrazione dei
percorsi formativi) e opzioni radicali di unificazione dei corpi specializzati
nazionali. Da ultimo, il Consiglio GAI informale di Santiago de Compostela
(14-15 febbraio 2002) ha impresso un’accelerazione ulteriore a questo dossier, generalizzando le sperimentazioni,
già avviate da alcuni Stati membri, di task force plurinazionali incaricate di pattugliare
tratti di frontiera “verde” (terrestre) o “blu”
(marittima) particolarmente delicati.
b) Radicale riforma della politica comune in
materia di visti. Com’è noto, la politica dei visti è
uno degli ambiti della politica migratoria in cui il processo di
comunitarizzazione - sin dal trattato di Maastricht - ha compiuto i maggiori passi
avanti (le liste dei paesi a cui è imposto l’obbligo di visto,
così come quelle dei paesi che ne sono esenti, sono già ora
adottate a maggioranza qualificata; le decisioni relative alle procedure per il
rilascio dei visti, così come le “norme relative a un visto
uniforme”, saranno sottoposte automaticamente al regime della codecisione a partire dal 1°
maggio 2004). Questo ha permesso di raggiungere un grado particolarmente
elevato di armonizzazione formale, che però lascia sussistere prassi
nazionali fortemente disomogenee e lacune sotto il profilo
dell’efficienza nella prevenzione delle migrazioni irregolari. Tali
carenze del sistema di visti europeo sono venuti in particolare evidenza dopo
gli attentati dell’11 settembre 2001, che - non essendo stati compiuti da
stranieri clandestini bensì da soggetti regolarmente soggiornanti o in
semplice situazione di irregolarità (overstayers) - hanno indotto un ripensamento radicale
delle prassi in materia di visti, non solo all’interno
dell’amministrazione statunitense ma anche in seno all’Unione
europea. Tra le innovazioni attualmente allo studio, le più
significative - entrambe confermate dal Consiglio GAI informale di Santiago de
Compostela - appaiono le seguenti:
-
al fine di
armonizzare le prassi relative alla concessioni di visti il Consiglio europeo
ha incaricato il Consiglio e gli Stati membri di esaminare la
possibilità di istituire “uffici consolari comuni". Una
sperimentazione verrà presto avviata in una sede (Pristina) in cui l’assenza
di servizi consolari nazionali dovrebbe facilitare la nascita di uno sportello
consolare europeo. Mentre è facile immaginare come una simile struttura
potrà funzionare per quanto riguarda il rilascio di visti Schengen
uniformi (VSU), più complesso ne appare il funzionamento rispetto alla
concessione di visti nazionali (VN) e visti a validità territoriale
limitata (VTL), specialmente in assenza di progressi nell’armonizzazione
delle norme nazionali in tema di ammissione;
-
raccogliendo un
invito formulato dal Consiglio GAI straordinario del 20 settembre 2001, nella
sua comunicazione sull’immigrazione illegale, la Commissione propone
l’istituzione di un “sistema europeo di identificazione dei
visti”. A tal fine, l’esecutivo comunitario ha già avviato
uno studio di fattibilità; nel frattempo il summit di Laeken ha mobilitato Consiglio e Stati
membri nella stessa direzione. In che cosa consiste questo nuovo apparato di
controllo, a cui le istituzioni europee attribuiscono manifestamente un alto
livello di priorità? Si tratta, secondo le linee illustrate sinora dalla
Commissione, di una banca dati contenente dati personali, rilevazioni
biometriche e riproduzioni elettroniche dei titoli di viaggio di tutti coloro
che richiedono un visto per l’ingresso nella UE. La creazione di un tale
archivio si accompagnerebbe ad una modifica del modello di visto uniforme,
finalizzata a garantire un “chiaro collegamento tra
l’identità della persona e il visto autoadesivo”, mediante
l’incorporazione nella vignetta di una foto realizzata con tecniche particolari
(vedi la proposta della Commissione di modifica del regolamento n. 1683/95, COM
(2001) 577 def., 9 ottobre 2001). Tale forma di schedatura avrebbe la
finalità di assicurare la “tracciabilità” di ogni
persona che richieda un visto; dal punto di vista degli apparati di controllo,
ciò risulterebbe utile a diversi fini: permetterebbe, ad esempio, di
distinguere infallibilmente gli immigrati “clandestini” dagli
“irregolari”, consentirebbe di individuare rapidamente manipolazioni
fraudolente di documenti di viaggio, faciliterebbe enormemente la riammissione
attraverso la duplicazione di titoli di viaggio occultati da parte del
titolare, ma presenti nella banca dati.
c) rinnovamento e
sviluppo dello Schengen Information System (SIS II). Lo scorso 6 dicembre,
il Consiglio dei ministri dell’interno e della giustizia ha approvato una
decisione e un regolamento (reg. EC 2424/2001; entrambi gli atti sono
pubblicati in Gazzetta ufficiale delle comunità europee, L 328, vol. 44, 13 dicembre 2001, www.europa.eu.int/eur-lex/en/oj/2001/l_32820011213en.html)
relativi allo sviluppo di una seconda generazione del Sistema di informazione
Schengen. La motivazione immediata di questo rinnovamento del sistema è
di renderlo idoneo a funzionare efficacemente anche all’interno di una
Unione allargata, superando l’attuale limite tecnico di 18 Stati
partecipanti. Ma gli Stati membri hanno colto l’occasione dell’upgrading tecnologico per potenziare il SIS anche dal
punto di vista funzionale ed allargarne il bacino di utenza. Ecco gli sviluppi
principali attualmente allo studio o in corso di realizzazione:
- è stata avviata l’elaborazione
degli atti necessari al fine di consentire l’accesso al SIS II a nuove
categorie (autorità competenti in materia di immatricolazione di
veicoli; autorità responsabili in materia di asilo; autorità
incaricate del rilascio dei permessi di soggiorno);
- è allo studio la possibilità di
dare accesso alla base di dati anche a Europol, Eurojust e determinate
autorità giudiziarie nazionali;
- infine, si è deciso di intraprendere
uno studio di fattibilità per valutare nuovi possibili impieghi del
“cervellone” situato nei pressi di Strasburgo; tra le nuove
categorie che potrebbero diventare oggetto di schedatura e scambio di
informazioni, vi sarebbero i “destinatari di un divieto di uscita dallo
spazio Schengen”, le persone a cui sono stati rilasciati visti da parte
di uno Stato membro, le “persone suscettibili, nel quadro di determinati
eventi, di generare disordini” (questa è la terminologia, tanto
vaga quanto inquietante, utilizzata dal ministro dell’interno belga,
Antoine Duquesne, in occasione della conferenza stampa tenuta alla chiusura del
consiglio “Giustizia e affari interni” del 6-7 dicembre 2001, www.eu2001.be/Main/Frameset.asp?reference=01%2D01&lang=fr&sess=844862853&).
La prospettiva di una
simile dilatazione dei compiti del SIS, che opera tuttora in un regime di
controlli democratici e giudiziari gravemente lacunoso, ha suscitato commenti
preoccupati (si veda, in particolare, http://www.statewatch.org/news/2001/nov/19sis.htm).
Più in
generale, si deve osservare che la rivoluzione tecnica e istituzionale che si
va profilando nelle politiche europee in materia di lotta
all’immigrazione illegale richiederà, inderogabilmente, un analogo
salto di qualità nel sistema dei controlli e delle garanzie (di ordine
politico, giudiziario e tecnico) in questo settore.
Con tutta evidenza,
l’attuale maggioranza di governo italiana vede con favore una maggiore
gerarchizzazione delle priorità europee in materia migratoria, in
particolare a vantaggio dei temi e delle misure esaminati nel paragrafo
precedente. Peraltro, dal punto di vista delle amministrazioni nostrane
coinvolte, l’inserimento della Guardia di frontiera europea
nell’agenda dell’Unione rappresenta indubbiamente un successo, data
l’indiscussa paternità italiana dell’idea. Ma, se questo
successo tattico possa tradursi in una svolta strategica, ciò dipende
molto dalle modalità concrete di realizzazione del progetto. In
particolare, conterà la misura in cui l’europeizzazione dei
controlli alle frontiere esterne porterà a una ripartizione dei costi
connessi (oltre che, beninteso, a un aumento significativo di efficacia
complessiva del sistema): è evidente infatti, che la prospettiva di una
devoluzione “verso l’alto” di competenze operative in questo
campo interessa l’Italia anche (e forse soprattutto) come strumento di burden
sharing per un costo
strutturale che grava sproporzionatamente su di noi, come su ogni paese di
frontiera. La realizzabilità di un tale obiettivo dipenderà in
buona parte dalla qualità e dall’impatto dello studio esplorativo
attualmente in corso di realizzazione da parte del ministero dell’Interno
italiano nel quadro del programma Odysseus, i cui risultati verranno presentati
ai partner a Roma, il
prossimo 30 maggio.
Evidentemente,
però, il controllo delle frontiere non è tutto. Ai fini della
prevenzione e della repressione delle migrazioni clandestine e dei network criminali che le gestiscono, enorme
importanza ha anche la cooperazione con i paesi di origine e di transito. Su
questo piano, a fronte dell’attivismo degli esecutivi precedenti,
colpisce una certa povertà di iniziative del governo attuale: in
particolare, pur in presenza di uno stillicidio di massicci sbarchi clandestini
sulle coste siciliane e calabresi, si registra uno stallo nella cooperazione
con la Turchia. Indubbiamente, Ankara è un interlocutore difficile e
delicato, ma la firma di un accordo di riammissione tra Grecia e Turchia (8
novembre 2001) dimostra come un’azione diplomatica a largo raggio possa
comunque produrre frutti importanti. D’altra parte, in questo caso
specifico, l’attesa di pervenire a un accordo di riammissione
multilaterale UE-Turchia potrebbe rivelarsi lunga e frustrante, sebbene la
soluzione “europea” sia certamente da privilegiare in ultima
istanza.
Sul versante dei
rapporti con l’Albania e con il Maghreb, l’efficacia di un modello
di controllo migratorio in via di consolidamento, largamente basato sulla
cooperazione bilaterale, potrebbe essere pregiudicata dalla paralisi
pressoché totale che ha colpito la politica italiana in materia di
ammissione. Di fronte al rinvio sine die dell’emanazione del decreto-flussi per il 2002
e alla volontà dichiarata di riservare uno stock di ingressi per lavoratori stranieri di
origine italiana (Senato della Repubblica, Disegno di legge N. 795,
“Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo”,
art. 14, in http://www.senato.it/bgt/ShowDoc.asp?leg=14&id=00009027&tipodoc=Ddlpres&modo=PRODUZIONE),
il destino delle quote privilegiate previste negli anni passati per il nostro
dirimpettaio balcanico, per il Marocco e per la Tunisia appare quantomeno incerto.
Più in
generale, la possibilità per l’Italia di beneficiare della
comunitarizzazione, influenzandone l’andamento nei tempi e nei contenuti,
dipende in larga misura dalla credibilità complessiva della politica
migratoria nazionale che – come per ogni altro Stato membro - determina i
margini di influenza in seno al Consiglio. Da questo punto di vista, la svolta
avviata dall’esecutivo in carica genera diversi interrogativi: nella
scorsa edizione di questo bollettino, abbiamo sottolineato come dall’insufficienza
dell’impianto normativo proposto con il DDL 795 in materia di asilo
derivi una debolezza della nostra posizione in sede europea; a ciò si
aggiunge la perplessità suscitata da una linea politica fortemente
restrittiva in materia di ingressi regolari, pur in presenza di una domanda
massiccia ed esplicita proveniente da ampi settori del mondo economico e da un
gran numero di famiglie italiane. Questa linea - che è inevitabilmente
destinata a subire deroghe parziali e settoriali (e, come tali, potenzialmente
discriminatorie, come nel caso della “sanatoria per le colf”
proposta dal Governo; vedi http://www.governo.it/sez_newsletter/documenti/emendamento_colf.html)
- solleva dubbi circa la sua sostenibilità. In altri termini, esiste il
rischio concreto che una chiusura “politica”, adottata in contrasto
con le tendenze manifestate dall’economia (e con una strategia dichiarata
di liberalizzazione e “flessibilizzazione” del mercato del lavoro),
alimenti la presenza irregolare e clandestina, invece di ridurla. E’
evidente come un simile esito comprometterebbe la posizione e il ruolo
potenziale dell’Italia in seno al processo di comunitarizzazione.
Per scongiurare uno
scenario di questo tipo, oltre a un ripensamento di alcuni aspetti della
proposta politica in corso di definizione, potrebbe essere utile anche una
specifica assunzione di responsabilità in sede europea.
Com’è noto, a Laeken, il negoziato sulla localizzazione di alcune
agenzie europee in via di costituzione si è arenato su un intreccio di
veti nazionali, tra cui quello italiano a favore di Parma quale sede della
neonata Agenzia europea per la sicurezza alimentare. Pare che, nel segreto
della sala di riunione, la presidenza belga abbia fatto balenare
l’ipotesi di assegnare all’Italia due authority considerate “minori” (protezione
civile e controllo delle frontiere), in cambio della rinuncia
all’autorità di controllo sulla qualità del cibo.
L’Italia avrebbe rifiutato senza esitazioni, anche in considerazione
della natura del tutto “virtuale” delle due alternative offerte. La
veridicità di tali resoconti giornalistici è impossibile da
verificare; tuttavia, se ci fosse del vero, l’atteggiamento rigido
dispiegato in Belgio potrebbe essere riconsiderato. Se crediamo davvero che una
gestione ordinata dei flussi migratori corrisponda al nostro “interesse
nazionale”, potrebbe valere la pena di compiere qualche rinuncia nel
breve termine e di investire sul futuro, per conquistare un ruolo di guida in
Europa su questo terreno.
Bollettino a cura di Ferruccio Pastore; chiuso il 15
febbraio 2002
Il programma MIGRACTION è coordinato da
Ferruccio Pastore (ferruccio.pastore@cespi.it) e Andrea Stocchiero (anstoc@edl.it). Responsabile
dell’osservatorio sulle migrazioni nei Balcani è Alessandro Rotta
(alessandro.rotta@cespi.it). Il coordinamento organizzativo del programma
è assicurato da Cinzia Augi (cinzia.augi@cespi.it). La segreteria del
programma MIGRACTION è situata presso il
CeSPI - via d’Aracoeli 11, 00186 Roma - tel. 06-6990630 - fax
06-6784104
* Per un resoconto delle attività svolte nel 2001, vedi le pagine in materia di immigrazione e asilo della Relazione generale sull’attività dell’Unione europea, appena presentata dalla Commissione: http://www.europa.eu.int/abc/doc/off/rg/it/2001/pt0513.htm e pagine seguenti. Una banca dati contenente i principali documenti relativi alle politiche europee in materia di immigrazione e asilo è in via di costituzione presso l’indirizzo www.ucodep.org.
* Cogliamo l’occasione per segnalare che l’acquis di Schengen, di cui nella precedente edizione di questo bollettino
(ora disponibile in www.cespi.it) avevamo
lamentato la non disponibilità a titolo gratuito on-line, è ora liberamente consultabile in http://ue.eu.int/jai/default.asp?lang=en.