Il riavvio del
notiziario settimanale NEWROZ 2002 è slittato ancora di una settimana, e
ce ne scusiamo. Arriverà a tutti/e entro lunedì prossimo, con una
sintesi degli avvenimenti di gennaio.
Intanto
cerchiamo di coprire la carenza di informazioni dalla Turchia diffondendo
alcuni materiali utili, che chiediamo di riprodurre e diffondere ampiamente.
Si tratta:
1. della
pagina pubblicata oggi dal quotidiano Il Manifesto, in cui Orsola Casagrande
riassume i dati della dura repressione in corso in Turchia contro il partito
Hadep, minacciato di scioglimento, e contro gli studenti kurdi che rivendicano
apertamente il pluralismo linguistico; e Dino Frisullo aggiorna sulla
situazione di Abdullah Ocalan e del suo partito, sintetizzando anche l'unica
intervista filtrata in tre anni dal carcere di Imrali e pubblicata dal
quotidiano della diaspora kurda in Europa "Ozgur Politika" (la stessa
pagina ospita le foto inedite di Ocalan nella sua cella d'isolamento);
2.
dell'interrogazione presentata nella stessa data da tre senatori dei gruppi
Prc, Verdi e Ds, sulla repressione antikurda in corso in Turchia.
3. del
verbale della seduta della Camera del 31.1.02, in cui il sottosegretario
Boniver risponde all'interpellanza sottoscritta da Giovanni Russo Spena e
cinquanta deputati di diversi gruppi, sulla lunga agonia dei prigionieri
politici della sinistra turca in sciopero della fame da oltre un anno;
MIGLIAIA
IN PIAZZA PER IL DIRITTO ALLA LINGUA KURDA
di
Orsola Casagrande (Il Manifesto 1.2.02)
Più di
cinquemila persone sono state fermate e quasi trecento arrestate nelle ultime
settimane. Da Diyarbakir a Adana, da Istanbul a Van, da Ankara a Izmir,
migliaia di studenti, genitori, insegnanti, militanti del partito Hadep vengono
quotidianamente picchiati e arrestati dalla polizia turca. Il motivo? Chiedono
di poter studiare il kurdo. Una richiesta che è un reato per le
autorità di Ankara che hanno dichiarato guerra a chiunque continui a
sollecitare l’insegnamento della lingua kurda.
Separatismo,
appartenenza ad organizzazioni illegali terroriste, tradimento: sono queste le
accuse alle quali centinaia di studenti kurdi e turchi dovranno rispondere in
tribunale. Basta aver firmato la petizione che chiede l’insegnamento del
kurdo per finire in galera. Ma la protesta degli studenti, sostenuti da
insegnanti e genitori, è ormai un fiume in piena. Le università e
le scuole superiori del paese sono in subbuglio: ogni giorno ci sono
manifestazioni e cortei che chiedono il riconoscimento della lingua kurda. Che
poi significa il riconoscimento della stessa identità kurda,
dell’esistenza di un popolo di venti milioni di persone (nella sola
Turchia) fino ad ora negato con la repressione, la tortura, la violenza.
Nei giorni
scorsi, in segno di solidarietà con gli studenti, migliaia di prigionieri
del Pkk hanno cominciato lo sciopero della fame. Una protesta che si aggiunge
allo sciopero della fame che ormai da oltre un anno i detenuti politici della
sinistra turca (e i loro familiari) stanno conducendo contro le carceri di
isolamento e per il rispetto dei diritti umani. Una protesta che, nel complice
silenzio dell’Europa, ha già fatto quasi novanta vittime.
Anche le
manifestazioni degli studenti universitari (e gli arresti di massa conseguenti)
sono state finora ignorate dall’Europa. Qualche timida preoccupazione
è stata sollevata da alcuni parlamentari europei ma la cosa non è
andata oltre. Invece gli studenti sono determinati a continuare quella che
definiscono una ‘campagna di libertà’. Il governo turco ha
risposto con il solito atteggiamento di chiusura totale, liquidando la protesta
come "un’altra forma di separatismo kurdo" iniziata nelle
università di Istanbul a novembre. La lingua kurda è vietata
dalla costituzione turca che riconosce il turco come unica madrelingua del
paese.
Dalle università
la protesta si è allargata alle scuole superiori: genitori e studenti
hanno inviato al ministro dell’istruzione migliaia di firme in calce ad
una petizione che richiede l’insegnamento in kurdo. La risposta delle
autorità è stata ancora una volta la violenza. Il ministro degli
interni Rustu Kazim Yucelen ha scritto ai governatori delle varie province del
paese dicendo che "la campagna sulla lingua fa parte della nuova strategia
di disobbedienza civile attuata dal Pkk" e ha invitato "autorità
scolastiche e di polizia a collaborare con il ministero". La risposta
delle direzioni universitarie e scolastiche è stata immediata: centinaia
di studenti sono stati espulsi o sospesi solo per aver firmato la petizione.
Così come molti insegnanti sono stati sospesi o ‘trasferiti’
in altre scuole.
La violenta
repressione del governo contro i kurdi si colloca nel contesto delle dodici
richieste dei vertici militari (veri governanti della Turchia) al Pkk.
Richieste che, se soddisfatte, potrebbero permettere di "considerare se
considerare le proposte di pace". In una sorta di riedizione turca di
quella che nel nord Irlanda per anni si è chiamata fase dei ‘talks
about talks’ (colloqui sui colloqui, durante la quale il governo inglese
discuteva sull’eventualità di discutere con il Sinn Fein), I
militari hanno elencato dodici condizioni sine qua non, per una eventuale
prospettiva di dialogo. Le richieste (fatte trapelare ad hoc sulla stampa
nazionale) sono una lista delle cose che il Pkk deve fare per dimostrare che ha
sinceramente abbandonato la sua campagna di ‘promozione del
separatismo’. Per prima cosa deve essere abolita la parola
‘Kurdistan’ dal nome stesso del Pkk oltre che da tutte le
istituzioni politiche e culturali all’estero. Il Pkk inoltre dovrebbe
rinunciare a partecipare a incontri ufficiali o semi-ufficiali organizzati in
Europa utilizzando la parola Kurdistan. Medya-Tv (la televisione kurda che
trasmette via satellite dall’Europa) dovrebbe cessare di chiamare
Kurdistan il sud est della Turchia e dovrebbe cessare la critica alla politica
turca. Il Congresso nazionale Kurdo (che ha in qualche modo preso il posto del
parlamento kurdo in esilio) dovrebbe chiudere bottega e I kurdi dovrebbero
rinunciare a progetti come l’enciclopedia kurda o l’associazione
degli industriali kurdi. Il documento dei militari chiede anche al Pkk di non
appoggiare i gruppi armeni ‘impegnati in politiche anti-turche’. Le
richieste dei militari possono essere riassunte in un concetto: i kurdi devono
rinunciare alla loro identità, negare la loro stessa esistenza.
La risposta del
Pkk è stata affidata a Mustafa Karasu, membro del consiglio di
presidenza del partito. "E’ evidente – ha detto Karasu –
che qualcuno tra i militari voleva mandare un messaggio all’esterno. Non
è però un messaggio di pace: le 12 richieste infatti non sono
affatto serie. Come si può pretendere che un popolo neghi la sua
identità, la sua lingua, la sua storia, la sua cultura come
precondizione ad un dialogo? Di che cosa si vuole dialogare?"
CHE
FINE HA FATTO ABDULLAH OCALAN?
di
Dino Frisullo (Il Manifesto 1.2.02)
Che fine ha
fatto Abdullah Ocalan? La domanda ricorre spesso fra quanti tre anni fa,
attraverso l'odissea del presidente del Pkk e del Congresso nazionale kurdo in
esilio, scoprirono lo spessore della questione kurda. La risposta: si sforza di
sopravvivere, legge molto. Ha fatto scalpore la sua riscoperta dal carcere
dell'Avesta, l'antico libro sacro della tollerante religione zoroastriana
praticata dai progenitori dei kurdi. E scrive.
"Dalla
teocrazia dei Sumeri alla repubblica democratica" s'intitola la
monumentale autodifesa consegnata dai suoi avvocati alla Corte di Strasburgo,
che da due anni ha aperto il "processo del secolo" sulla
legittimità del sequestro e della condanna a morte del primo rifugiato
tardivamente riconosciuto dalla magistratura italiana a norma della nostra
Costituzione.
L'opera,
pubblicata all'estero in turco e in via di traduzione anche in italiano,
è stata sequestrata in patria per "istigazione al separatismo"
(il famigerato articolo 312 Cp, la cui sostanziale conferma parlamentare lacera
in questi giorni i politici turchi e le relazioni turco-europee). Per lo stesso
reato, commesso insieme all'editore turco del suo "L'interventismo
Usa", il 13 febbraio sarà alla sbarra in Turchia il linguista
americano Noam Chomski, il quale ha annunciato che non solo presenzierà
al processo ma incontrerà "gli attivisti kurdi" a Diyarbakir.
Due mesi fa il
ministro della Giustizia Sami Turk ha rifiutato "per ragioni di
sicurezza" il trasferimento di Ocalan in una prigione più salubre e
meno solitaria della celletta nell'isola di Imrali, nel mar di Marmara. E il
ministro della Difesa Cakmakoglu avvertiva che "subito dopo la decisione
della Corte europea (che non a caso slitta, pare, al 2003 - Ndr) passeremo la
decisione sull'esecuzione al parlamento". Il quale ha già escluso i
reati di "terrorismo" dall'abrogazione della pena di morte. Il
partito del ministro, il Mhp (Lupi grigi), avverte infatti: "Ocalan lo impiccheremo comunque, a
costo di pagare dieci milioni di dollari di ammenda alla Corte europea".
L'autodifesa di
Ocalan apre squarci di luce sul grande gioco internazionale che lo portò
da Damasco a Roma e da qui a Mosca, Atene, Nairobi e infine ad Imrali. Per aver
listato a lutto quel 15 febbraio di tre anni fa, quando le foto del presidente
legato sollevarono una corale rivolta kurda, sono state sequestrate a Bursa le
agende stampate dal partito Hadep, minacciato di scioglimento entro un mese da
parte della Corte suprema.
Secondo
"Apo" la cattura ad opera dei servizi Usa, greci e israeliani doveva
portare alla sua uccisione, bloccata dai militari turchi preoccupati, allora
come adesso, dall'impatto devastante sui kurdi della sua morte. Al contrario,
il calcolo dei rapitori (identificati negli Usa anche dall'ex presidente
Demirel in un'intervista alla Cnn) era di scatenare la guerra civile in Turchia
e nel Medio oriente. Un'anticipazione dell'attuale strategia di Bush in
Palestina, con la demolizione di Arafat. Secondo Ocalan ne era a conoscenza
Massimo D'Alema, citato difatti come teste a Strasburgo.
Da allora Ocalan
dalla cella della morte si batte per un dialogo di pace, con una tenacia che ha
convinto il congresso dell'Arci a proporlo per il Premio Sacharov per i diritti
umani. La sua strategia di "Serhildan (Intifada) politica", con la
rinuncia unilaterale alla lotta armata salvo l'autodifesa, è stata
assunta da un intero popolo e da un partito che, secondo fonti citate dalla
Reuters, sta per
rilanciarla in un imminente congresso clandestino.
Ma Ankara
insiste. Insorge per la mancata inclusione (per ora, rassicura Bruxelles) del
Pkk nella lista nera europea del "terrorismo", e chiede
l'estradizione di 155 "terroristi" alla Germania. La quale è
costretta a declinare la richiesta, permanendo in Turchia la pena di morte. Ma
intanto condanna ad oltre tre anni di galera il dirigente del Pkk Tanboga per
l'occupazione, in quel convulso '99, del consolato greco a Duesseldorf.
Sul Turkish
Daily News Ilnur Cevik
minaccia: "La campagna di disubbidienza civile conferma l'intenzione
separatista del Pkk e mette in pericolo la vita del suo presidente". Il
fratello del condannato a morte, Osman, ribatte: "Abbiamo scelto la pace,
ma entro il 2002 vogliamo che sia aperto un dialogo vero".
"LA
MIA MEMORIA NON DISPERA"
Intervista
ad Ocalan (Trad. e sintesi di D.F. da "Ozgur Politika")
Presidente
Ocalan, dopo tre anni di detenzione a Imrali qual è la sua condizione
fisica e morale?
Il clima di
quest'isola è molto duro, e l'isolamento pesa. Chi è stato internato
qui, come Rifat Ilgaz, dice che non si può reggere più di qualche
anno. Soffro di sinusite e di tosse di origine allergica e dormo non più
di quattro o cinque ore a notte. Il mio fisico è assai provato e non so
quanto reggerà ancora, anche se non uso lamentarmi per non rattristare
la mia gente. Ma faccio esercizio di pazienza, e soprattutto conservo e
preservo la memoria e la lucidità. Non ho mai avuto un attimo di
disperazione, mai ho imprecato né supplicato. Questa attitudine
socratica mi accompagnerà anche fino al patibolo, se verrà
quell'ora. Perché la resistenza è rispetto di sé, è
spessore ideale ed etico di vita. La mia speranza è più grande
che mai.
Riceve molte
lettere…
Sì, per
me sono molto importanti anche se non sempre posso rispondere. Quelle che mi
giungono dalle donne, specie se prigioniere, hanno una sensibilità e una
profondità particolare. E poi m'incantano quelle dei bambini… La
mia più grande ambizione è progettare un futuro per loro. A
volte, non mi vergogno a dirlo, alla mia età mi sento anch'io un
bambino.
Lei ha preparato
un'ampia memoria per la Corte europea, che è stata definita "un
manifesto della civiltà democratica". Qual'è la sua tesi di
fondo?
Molta gente
crede di vivere in pace solo perché beneficia delle opportunità
di quest'epoca senza fare i conti con la propria coscienza. E la coscienza
nasce dalla sofferenza, come dimostrano i miti fondativi di tutte le religioni
e le civiltà. Io ho cercato di rintracciare nella storia carica di
sofferenze dei popoli della Mesopotamia il filo di una possibile e necessaria
rivoluzione culturale. Questo lavoro è stato per me una rivelazione
intellettuale. Il tempo del cambiamento è aspro come ogni gestazione,
come l'avvio di ogni lavoro umano. Il dolore di cui è carica la nostra
storia potrebbe essere benedetto un giorno, se sapremo cogliere
l'opportunità per un grande cambiamento. Si tratta di scrollarsi di
dosso la veccha mentalità, ideologia, coscienza di sé e
concezione del conflitto, della relazione sociale, dell'amore. Di uscire dalle
trappole ideologiche e fondare un'etica nuova. La liberazione sarà
contemporaneamente economica, politica e morale, o non sarà.
E' ciò
che nel testo lei definisce "il terzo Rinascimento"…
Sì, sono
convinto che l'alba del XXI secolo vedrà la pace kurda, come all'inizio
del secolo scorso kurdi e turchi insieme aprirono la fase delle lotte di
liberazione dall'imperialismo. Se oggi si realizzasse la stessa unità
d'intenti, la Turchia potrebbe aprire un nuovo cammino per l'insieme dei popoli
del Medio oriente, del Caucaso, dei Balcani e dell'Asia centrale. Ma questa via
non passa per il rovesciamento delle strutture statali, la rivolta o la
guerriglia endemica. Senza l'affermazione dei diritti l'autodifesa popolare
è legittima, e per i kurdi essa è oggi una necessità in
tutti i quattro stati in cui sono divisi: ma va intrecciata allo sviluppo di
organismi non governativi, e va costruita una società in cui essa non
sia più necessaria. Sarà l'autorganizzazione della società
civile, quello che io chiamo "Terzo campo", a realizzare il
cambiamento ed a conquistare la democrazia. Lasciandosi alle spalle i
tribalismi, i nazionalismi, la menzogna fascista del legame
patria-stato-bandiera. Mi sono dedicato all'approfondimento storico
perché credo che la storia della Mesopotamia renda possibile ciò
che non si è potuto realizzare in Palestina: da una cultura del sangue a
una cultura dell'amore e del rispetto di tutte le identità.
LA
REPRESSIONE DEI KURDI E DELL'HADEP: DAL SENATO...
INTERROGAZIONE
Al ministro
degli Affari esteri
Per sapere -
premesso che:
negli ultimi tre
mesi giungono dalla Turchia notizie assai preoccupanti, sia dalle
organizzazioni di tutela dei diritti umani e dal partito Hadep, sia da
delegazioni ed osservatori italiani, circa un pesante inasprimento della
repressione nei confronti della popolazione, della cultura e delle
organizzazioni rappresentative kurde;
in particolare
sono centinaia gli arresti e le incriminazioni nei confronti delle decine di
migliaia di studenti che, anche alla luce delle recenti modifiche della
Costituzione turca che formalmente consentono il pluralismo linguistico, hanno
rivendicato con una petizione l'introduzione dell'insegnamento della lingua
kurda;
nei confronti
degli stessi studenti, nonché di molti degli arrestati in seguito alla
brutale repressione delle pacifiche manifestazioni kurde sia nel Sud-est sia a
Istanbul e nelle altre metropoli turche, si conferma da parte dell'Associazione
e della Fondazione turca per i diritti umani e di Amnesty International l'uso crescente
della tortura negli uffici di polizia;
negli ultimi
giorni la Procura generale dello Stato ha chiesto formalmente, nel corso di un
procedimento penale a porte chiuse, lo scioglimento del partito Hadep, unico
canale di espressione legale delle rivendicazioni kurde, mentre le
organizzazioni locali dello stesso partito sono sottoposte a sistematiche
irruzioni di polizia e numerosi dirigenti sono stati arrestati, aggrediti o
addirittura sono scomparsi dopo l'arresto;
il partito Hadep
è l'erede del partito Dep, al quale appartenevano gli ex parlamentari
Leyla Zana, Selim Sadak, Hatip Dicle e Orhan Dogan, tutti condannati a quindici
anni di prigione e tuttora incarcerati nopnostante che la Corte europea per i
diritti umani, nella sua decisione del 17 luglio 2001, abbia concluso
all'unanimità che la procedura giuridica sfociata nella condanna non
rispettava il diritto fondamentale a un processo equo ai sensi della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali;
anche a seguito
di tale sentenza, il 13 dicembre 2001 il Parlamento europeo ha approvato
all'unanimità la risoluzione BS-0769/01, nella quale, richiamandosi ai
princìpi di rafforzamento della democrazia e dello stato di diritto e di
rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali che il
Trattato sull'Unione europea inserisce fra i principali obbiettivi della
politica estera e di sicurezza comune europea, nonché alle
finalità del Premio Sacharov attribuito dallo stesso Parlamento europeo
a Leyla Zana, esso chiede: l'immediata liberazione dei quattro ex deputati
detenuti; un impegno del Consiglio e della Commissione europea per seguire la
situazione dei diritti umani in Turchia e in particolare la vicenda personale
di Leyla Zana; un intervento delle istituzioni europee affinchè la
Turchia abroghi la legislazione antiterrorismo, riformi il suo codice penale ed
attui tutti gli altri adempimenti richiesti ed imposti dalla sentenza citata
della Corte europea per i diritti umani;
la minaccia di
scioglimento del partito Hadep, al contrario, si basa proprio sulle norme che
andrebbero abrogate e rischia di inasprire drammaticamente la tensione,
privando la popolazione kurda di una rappresentanza politica democratica
proprio mentre la crisi politica ed economica turca sembra precipitare verso
elezioni anticipate, nelle quali tutti gli osservatori politici ritengono
credibile che il partito Hadep possa superare la soglia di sbarramento (sia che
rimanga al 10%, sia che venga abbassata, come richiedono diversi partiti
turchi) e riportare, come ai tempi di Leyla Zana e dei suoi colleghi, un'ampia
rappresentanza kurda nel parlamento turco;
insieme ai venti
di guerra che spirano sull'area mediorientale, questa situazione di estrema
tensione in Turchia, che non trova più alcuna giustificazione o alibi
nella "lotta al terrorismo" in presenza della scelta operata ormai da
oltre tre anni dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) di rinunciare
alla lotta armata ed alla rivendicazione di una statualità kurda in
favore di una strategia di democratizzazione e convivenza pluralistica, sta
moltiplicando la spinta all'esodo dei kurdi verso l'Italia e l'Europa, ormai
definibile come una vera e propria pulizia etnica;
il 16 gennaio
scorso il quotidiano Hurriyet pubblicava, attribuendola alle forze di sicurezza
turche, una lista di condizioni poste dallo Stato turco per una rivalutazione
della questione kurda, fra le quali la rinuncia ad ogni rivendicazione di
ordine non solo nazionale ma culturale, lo scioglimento delle istituzioni
rappresentative kurde all'estero e la chiusura dell'emittente Medya-Tv, e
addirittura la fine, segnatamente in Italia e in Belgio, di quelle che vengono
definite "attività separatiste" e che nell'ordinamento europeo
configurano l'esercizio dei suoi diritti democratici da parte della diaspora
kurda;
quali passi il
governo italiano intenda intraprendere, sul piano delle relazioni bilaterali e
nelle istituzioni europee ed Onu, affinchè siano attuate le sentenze
della Corte europea per i diritti umani e le risoluzioni del Parlamento
europeo, del Consiglio d'Europa e della sua Commissione per la prevenzione
della tortura, nonché le risoluzioni più volte reiterate dal
Parlamento italiano, in direzione dell'instaurazione di ampio pluralismo culturale
e linguistico e di una democratizzazione delle istituzioni e dell'ordinamento
giuridico turco;
se il ministro
degli Esteri possa dissipare in parlamento ogni ragionevole dubbio circa il
fatto che il silenzio assoluto finora osservato dal governo italiano sulle vicende
citate debba ascriversi al ruolo geopolitico e militare svolto dalla Turchia
nelle operazioni militari tuttora in corso in Afghanistan ed in quelle
più volte progettate o ventilate in territorio irakeno, ruolo che in
nessun caso può prevalere sul rispetto dei diritti umani e culturali e
delle libertà fondamentali.
Sen. Luigi
Malabarba (Prc)
Sen. Antonio
Martone (Verdi)
Sen. Tana De
Zulueta (Ds)
IL
MASSACRO E L'AGONIA NELLA CARCERI TURCHE:
DAI
VERBALI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
INTERPELLANZA SU
CARCERI TURCHE, TUTELA DEI DIRITTI UMANI
CONDIZIONE
PREGIUDIZIALE PER ENTRARE NELL'UE
(Comunicato
stampa del gruppo Prc Camera - 31.1.02)
E' stata
discussa, questa mattina, un'interpellanza urgente al Presidente del Consiglio
e Ministro degli Esteri per sapere quali iniziative il Governo italiano intende
assumere affinché si vigili sul rispetto dei diritti carcerari ed umani
da parte del Governo turco, rispondendo alla richiesta di associazioni italiane
ed europee, coordinate da Don Luigi Ciotti. "La Commissione Europea ha
già respinto la richiesta della Turchia di ingresso nell'Unione sulla
base delle denuncie di costanti violazioni e pesanti repressioni che hanno
portato, anche dopo l'introduzione delle celle definite di tipo F, detenute e
detenuti allo sciopero della fame. - e' quanto ha affermato Giovanni Russo
Spena, Vicepresidente del Gruppo Parlamentare di Rifondazione Comunista alla
Camera, illustrando l'interpellanza, che ha raccolto le adesioni di esponenti
di quasi tutti i Gruppi Parlamentari - L'organizzazione mondiale contro la
tortura ha ripetutamente condannato la Turchia per le torture sistematiche
contro gli oppositori, effettuate sia nelle carceri sia all'esterno, con
continue perquisizioni, rastrellamenti e attacchi militari. E' stato chiesto,
quindi, un impegno forte di levare alta la propria voce, sia in sede nazionale
sia internazionale, affinché detenute e detenuti non si sentano
prigionieri del nulla, costretti a lanciare un grido disperato, che ogni
governo democratico ha il dovere di accogliere. In questa fase storica - ha
proseguito Russo Spena - in cui la tutela dei diritti umani e' il grumo da cui
puo' ripartire una nuova stagione democratica, e' necessario che la garanzia
dei requisiti elementari fondamentali di uno stato di diritto sia condizione
pregiudiziale perché si possa far parte della stessa Unione Europea.
Prendo atto in maniera favorevole che, questa mattina, il Governo italiano si
è impegnato a sostenere una posizione che condiziona l'ingresso della
Turchia nell'Unione Europea al rispetto degli standard minimi dei diritti umani
e carcerari. - ha concluso Russo Spena, dopo aver ascoltato la risposta del
Sottosegretario agli Esteri Margherita Boniver - Mi auguro che questa posizione
venga portata avanti con coraggio e determinazione"
Roma, 31 gennaio
2002
.......................................................................
I sottoscritti
chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio
dei ministri, il
Ministro degli affari esteri, per sapere -
premesso che:
una parte
rilevante dell'associazionismo italiano, come ha
evidenziato una
lettera aperta ai parlamentari italiani di don Luigi
Ciotti, sta con
sofferenza e passione lavorando sulla drammatica
situazione delle
carceri turche e chiede un intervento istituzionale
ufficiale nelle
sedi parlamentari;
già nello
scorso agosto le associazioni si erano rivolte al
Presidente della
Commissione europea, professor Romano Prodi,
affinché
le gravi e ripetute violazioni dei diritti umani nelle
prigioni turche
fossero all'attenzione dell'Unione europea, la cui
Commissione ha,
in effetti, al momento respinto la richiesta della
Turchia di
ingresso nell'Unione, rinviandone l'esame;
nelle
motivazioni della decisione negativa della Commissione, si fa
esplicito
riferimento allo sciopero della fame in corso da parte
delle detenute e
dei detenuti turchi. Una protesta estrema, in corso
ormai da un
anno, che coinvolge almeno 2.000 prigionieri ed i loro
familiari e che
ha già portato alla morte più di 50 persone;
il motivo della
protesta è, nello specifico, collegato
all'istituzione
delle celle, definite di tipo F, che comportano il
costante
isolamento dei prigionieri; più in generale, vengono
denunciate
costanti violazioni e pesanti repressioni, sia nelle
carceri sia
all'esterno, con continue perquisizioni, rastrellamenti,
attacchi
militari: in novembre, ad esempio, per citare un solo caso,
il quartiere
Kucuk Armutlu, diventato simbolo della protesta, è stato
interamente
devastato e distrutto da polizia e militari;
un'associazione indipendente
sui diritti umani in Turchia ha
denunciato 762
casi di tortura nei confronti dei carcerati,
segnalandone un
incremento del 50 per cento nei primi mesi del 2001
rispetto
all'anno 2000; mentre il governo turco ha negato ad Amnesty
International il
permesso di aprire una propria sezione in Turchia.
Ciò
accresce il timore che si stia predisponendo le condizioni per
una repressione
ancora più brutale;
nell'ottobre
scorso, rispondendo alle istanze delle associazioni
italiane, il
Presidente Prodi ha scritto: "la Commissione europea ed
io personalmente
seguiamo con grande attenzione la situazione delle
prigioni in
Turchia. Simile attenzione viene anche assicurata ai
diritti dei
prigionieri. A questo proposito abbiamo espresso più
volte rammarico
per le vittime di questa tragedia umanitaria e
l'impellente
urgenza di porvi fine è stata comunicata in più
occasioni alle
autorità turche nell'ambito di contatti ufficiali al
più alto
livello" -:
quali iniziative
bilaterali ed iniziative in sede europea e nei
consessi
internazionali il Governo italiano intenda assumere affinché
si vigili sul
rispetto dei diritti carcerari ed umani da parte del
governo turco:
la garanzia dei requisiti elementari fondamentali di
uno stato di
diritto è, infatti, condizione pregiudiziale perché si
possa far parte
della stessa Unione Europea.
(2-00217)
Presentatore
RUSSO SPENA
Giovanni RIF.COM. (RC)
Cofirmatari
ABBONDANZIERI
Marisa DEMOCRATICI DI SIN.-L'ULIVO (DS-U) BARBIERI Emerenzio CCD-CDU
BIANCOFIORE (CCD-CDU) BATTAGLIA Augusto DEMOCRATICI DI SIN.-L'ULIVO (DS-U)
BIANCHI Giovanni MARGHERITA, DL-L'ULIVO (MARGH-U) BIELLI Valter DEMOCRATICI DI
SIN.-L'ULIVO (DS-U) BIMBI Franca MARGHERITA, DL-L'ULIVO (MARGH-U) BIONDI
Alfredo FORZA ITALIA (FI) BUEMI Enrico MISTO (MISTO) BULGARELLI Mauro MISTO
(MISTO) CALZOLAIO Valerio DEMOCRATICI DI SIN.-L'ULIVO (DS-U) CARBONELLA
Giovanni MARGHERITA, DL-L'ULIVO (MARGH-U) CENTO Pier Paolo MISTO (MISTO) CIMA
Laura MISTO (MISTO) CORDONI Elena Emma DEMOCRATICI DI SIN.-L'ULIVO (DS-U) DE
SIMONE Titti RIF.COM. (RC) DEIANA Elettra RIF.COM. (RC) FOLENA Pietro
DEMOCRATICI DI SIN.-L'ULIVO (DS-U) GIACHETTI Roberto MARGHERITA, DL-L'ULIVO
(MARGH-U) GIANNI Alfonso RIF.COM. (RC) GRANDI Alfiero DEMOCRATICI DI
SIN.-L'ULIVO (DS-U) LOLLI Giovanni DEMOCRATICI DI SIN.-L'ULIVO (DS-U) LUCIDI
Marcella DEMOCRATICI DI SIN.-L'ULIVO (DS-U) LUMIA Giuseppe DEMOCRATICI DI
SIN.-L'ULIVO (DS-U) MANTOVANI Ramon RIF.COM. (RC) MARIANI Raffaella DEMOCRATICI
DI SIN.-L'ULIVO (DS-U) MASCIA Graziella RIF.COM. (RC) MOSELLA Donato Renato MARGHERITA,
DL-L'ULIVO (MARGH-U) PISAPIA Giuliano RIF.COM. (RC) REALACCI Ermete MARGHERITA,
DL-L'ULIVO (MARGH-U) RIZZO Marco MISTO (MISTO) RODEGHIERO Flavio LEGA NORD
PADANIA (LNP) SANDI Italo DEMOCRATICI DI SIN.-L'ULIVO (DS-U) SINISCALCHI
Vincenzo DEMOCRATICI DI SIN.-L'ULIVO (DS-U) TRUPIA Lalla DEMOCRATICI DI
SIN.-L'ULIVO (DS-U) VALPIANA Tiziana RIF.COM. (RC) VENDOLA Nichi RIF.COM. (RC)
VIGNI Fabrizio DEMOCRATICI DI SIN.-L'ULIVO (DS-U) ZANELLA Luana MISTO (MISTO)
GIORDANO Francesco RIF.COM. (RC) PERROTTA Aldo FORZA ITALIA (FI)
..........................................................................................................
(Situazione
delle carceri turche - n. 2-00217)
PRESIDENTE.
L'onorevole Russo Spena ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n.
2-00217
GIOVANNI RUSSO
SPENA. - Signor Presidente, il
problema sollevato con questa interpellanza allude ad un tema che, oltre ad
evidenziare la drammaticità e l'urgenza per le stesse vite umane dei
detenuti, in questo contesto mondiale, peraltro caratterizzato da uno stato di
guerra, è di per sé paradigma di civiltà, vorrei dire
cartina al tornasole dello stesso stato di diritto internazionale. Lo stato di
detenzione, il diritto dei detenuti, il sistema carcerario, la concezione
stessa della pena, l'habeas corpus, come sappiamo, danno infatti la misura dello stato regressivo o
progressivo di un paese: si tratta di standard irrinunciabili ed
incomprimibili. Tra l'altro, in questa fase storica, la tutela assoluta ed
incondizionata delle garanzie dei diritti umani è il grumo da cui
può ripartire - lo pensano molti sociologi, pensatori, uomini e donne di
Governo a livello mondiale - una nuova e più alta stagione democratica.
Infatti, non è possibile negare quanto disinvolta o rimossa sia oggi la
tutela dei diritti umani, che troppo spesso soccombe di fronte alle ragioni
della geopolitica e dell'accumulazione economica. Anche per questa riflessione
generale e generica a cui appena accennavo, è un dato di soddisfazione
il fatto che questa interpellanza - voglio ricordarlo anche per gratitudine
alle colleghe e ai colleghi - ha raccolto decine di adesioni e grande
sensibilità: infatti, è stata presentata - ed io ho l'onore di
illustrarla a loro nome - da colleghe e colleghi di quasi tutti i gruppi
parlamentari, di sinistra, di centrosinistra e di centrodestra (mi sembra che
sia escluso un solo gruppo parlamentare, probabilmente non per
insensibilità, ma per ragioni tecniche o di dimenticanza). Voglio
ringraziare pubblicamente il Vice Presidente della Camera dei deputati Biondi,
il quale, tra l'altro, se riuscirà ad essere qui, mi ha promesso e si
è ripromesso di replicare lui al Governo; lo ringrazio anche per la sua
sensibilità garantista e per la sua professionalità di insigne giurista.
Quindi, l'ampiezza delle adesioni parlamentari è stata certamente
determinata - voglio ricordarlo - anche dalla ampia presa di coscienza di tanta
parte dell'associazionismo italiano. Infatti, noi ci troviamo di fronte ad un
primo intervento e ad una lettera aperta ai parlamentari italiani (da cui
è nata, appunto, pian piano l'idea e la costruzione di questa
interpellanza urgente) di don Luigi Ciotti, che insieme a tanta parte
dell'associazionismo italiano sta lavorando con passione e sofferenza anche
sulla drammatica situazione delle carceri turche. È stato richiesto un
intervento istituzionale a noi parlamentari attraverso l'interpellanza urgente
al Governo: noi qui siamo. Voglio soltanto ricordare a me stesso e anche agli
atti - il Governo lo sa benissimo - che già nello scorso agosto, queste
stesse associazioni si erano rivolte al Presidente della Commissione europea,
professor Prodi, affinché le gravi e ripetute violazioni dei diritti
umani nelle prigioni turche fossero poste all'attenzione dell'Unione europea.
In effetti, la Commissione europea se ne è interessata a fondo: ha
costruito una occasione di monitoraggio e al momento ha respinto la richiesta
della Turchia di ingresso nell'Unione, rinviandone l'esame. - mi pare di
ricordare il documento, lo cito a memoria - in base ad una serie di standard di
cui ci si propone il raggiungimento, fra i quali vi era la questione dei
diritti umani e i mutamenti costituzionali. Era espressamente citata la
questione della tortura, dello stato di detenzione nelle carceri della Turchia,
oltre alla risoluzione in termini pacifici della questione curda.
Il motivo
specifico della protesta - voglio ricordarlo - è collegato
all'istituzione delle celle, definite di tipo F, che comportano il costante
isolamento dei prigionieri; più in generale, vengono denunciate costanti
violazioni e pesanti repressioni, sia nelle carceri sia all'esterno, con
continue perquisizioni, rastrellamenti, attacchi militari: in novembre, ad
esempio, per citare un solo caso, il quartiere Kucuk Armutlu, diventato simbolo
della protesta - dove risiede la maggior parte dei familiari dei detenuti -
è stato interamente devastato e distrutto da polizia e militari, come
hanno testimoniato, con immagini, una serie di servizi televisivi; qualche
giorno fa, di notte, anche a me è capitato di vedere - pur non riuscendo
a vedere molto spesso la televisione - uno splendido servizio.
Più
rapporti di Amnesty International, di Human Rights e di associazioni internazionali - oltre che locali - dei diritti
umani hanno denunciato questa situazione. In un caso specifico, il Governo
turco ha negato ad Amnesty International il permesso di aprire una propria
sezione in Turchia, avendo tale associazione denunciato 762 casi di torture nei
confronti dei carcerati, segnalando un incremento del 50 per cento nei primi
mesi del 2001 rispetto all'anno 2000. Nell'ottobre scorso, rispondendo alle
istanze delle associazioni italiane, il presidente Prodi ha testualmente
scritto - l'ho citato nell'interpellanza, lo ricordo -: "La Commissione
europea, ed io personalmente, seguiamo con grande attenzione la situazione
delle prigioni in Turchia. Simile attenzione viene anche assicurata ai diritti
dei prigionieri. A questo proposito abbiamo espresso più volte rammarico
per le vittime di questa tragedia umanitaria e l'impellente urgenza di porvi
fine è stata comunicata in più occasioni alle autorità
turche nell'ambito di contatti ufficiali al più alto livello".
Potrei citare mille rapporti internazionali che ci parlano di torture esercitate
nelle carceri turche e quindi il pericolo che carceri che portano
all'isolamento - come quelle di tipo F in costruzione - possano accrescere il
pericolo della tortura stessa. Voglio ricordare, poiché si tratta di un
dato politico, e ci troviamo all'interno di una sede politico-parlamentare, un
solo e significativo caso. Tre giorni fa, dopo la redazione e la scrittura
dell'interpellanza, un deputato turco, noto per la sua attività di
denuncia della tortura, ha fondato un nuovo partito, sostenendo che i partiti
esistenti in Turchia non tengono in nessuna considerazione il pessimo stato dei
diritti umani nel paese. Ovviamente la fondazione di un nuovo partito è
da considerarsi come un dato di provocazione politica. Questo parlamentare si
chiama Sema Piskinsut; con le sue visite a sorpresa nelle prigioni di polizia -
come vengono chiamate in Turchia - è stata testimone negli ultimi anni
di moltissimi casi di torture e violenze contro i detenuti da parte dei
poliziotti, provocando anche serie tensioni nel Governo. Fino al settembre scorso,
infatti, questo parlamentare militava nel partito di maggioranza del premier
Bulent Ecevit. Nel fondare il suo nuovo partito socialdemocratico, al quale,
peraltro, hanno già dichiarato di aderire altri due deputati centristi,
Piskinsut ha affermato che la politica turca è intrisa di corruzione e
che i tribunali non sono all'altezza degli standard democratici minimi. Oltre a
cercare di operare per un più serio rispetto dei diritti umani, il nuovo
partito turco si propone di arrivare ad una profonda modifica della
Costituzione, che risente delle restrizioni alle libertà imposte dai
vertici militari dopo il colpo di Stato. Concludo ricordando che la Turchia
è un paese importante - lo sappiamo benissimo e lo sa anche chi si
interessa di politica estera ed internazionale -. È una cerniera
culturale ed economica tra est ed ovest, Europa ed Asia. Sappiamo bene che gli
interessi, anche economici, dell'Italia sono in quel paese molto rilevanti ed
il Governo turco ce lo ricorda di continuo; quest'ultimo tende a fare di questi
interessi elementi di pressione, affinché (anche a me è capitato
di ricevere lettere dall'ambasciata turca dopo la presentazione di
interrogazioni) la comunità internazionale non entri negli affari dei
detenuti, ritenuti questione interna alla Turchia; non lo fa solamente la
Turchia, ma moltissimi paesi per i quali il parlare di diritti umani
comporterebbe un'ingerenza indebita nei problemi interni dei paesi; ciò,
tuttavia, non ci deve fermare! Credo che gli standard minimi dei diritti umani
non sopportino frontiere, confini, territori e, soprattutto, restrizioni
mercantili. Sappiamo bene che la Turchia è candidata ad entrare
nell'Unione europea e conosciamo lo status di transizione di questo percorso.
Non vorrei
offendere alcun Governo, nemmeno quello turco ovviamente, ma quest'ultimo vive
come una fase di osservazione internazionale, anche sui temi della democrazia.
In casi simili è stata sempre applicata per analogia - penso a tante
discussioni di diritto internazionale - la convenzione di Ginevra che stabilisce
che ogni Stato del mondo può, anzi deve esigere il rispetto delle norme
della Convenzione da parte di qualsiasi altro Stato, in qualsiasi circostanza.
Chiediamo ai firmatari dell'interpellanza appartenenti a tutti i gruppi
parlamentari ed al Governo italiano - senza alcuna critica - un impegno forte
(non vi è il problema di essere più o meno d'accordo con quello
che il Governo dirà, poiché tutti insieme dobbiamo impegnarci ed
è questo lo spirito costruttivo dell'interpellanza) e di levare alta la
propria voce in sede internazionale, ovviamente in sede europea, perché
i detenuti e le detenute nelle carceri turche non si sentano prigionieri del
nulla, come è stato scritto, ma avvertano la pressione, il
condizionamento, il controllo della comunità internazionale. Essi
(più di 50) si sono lasciati morire per sciopero della fame, lanciando
un grido disperato che è un segnale di allarme anche per il diritto
internazionale; qualche giorno fa è morto il quarantanovesimo o il
cinquantunesimo (i dati sono molto incerti). Credo che sia un dovere di ogni
Governo democratico e di ogni Parlamento democratico accogliere questo grido
disperato.
PRESIDENTE. Il
Sottosegretario per gli affari esteri ha facoltà di rispondere.
MARGHERITA
BONIVER, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri.
- Signor Presidente, vorrei anzitutto ringraziare l'onorevole Russo
Spena per l'illustrazione di questa importantissima interpellanza, il cui
contenuto è condiviso (come egli ha ricordato) anche da molti membri
della maggioranza, che si riferisce ad una annosa questione della tutela dei
diritti umani in un grande paese europeo che è la Turchia; una questione
che, evidentemente, non ha ancora trovato una soluzione soddisfacente da alcun
punto di vista.
La questione
della tutela dei diritti umani viene attentamente seguita dal Governo italiano,
onorevole Russo Spena (vorrei subito rassicurarla in merito a ciò), che
considera il rispetto della tutela dei diritti umani indispensabile
affinché Ankara prosegua il suo avvicinamento all'Unione europea, nella
prospettiva della sua adesione finale.
Consapevole
dell'esigenza di rispettare i criteri stabiliti nel Consiglio europeo di
Copenaghen del giugno 1993, che prevedono in particolare il raggiungimento di
una stabilità istituzionale che garantisca un livello di democrazia
minima, il principio di legalità, i diritti umani, il rispetto e la
protezione delle minoranze, il Governo turco ha, da parte sua, compiuto alcuni
progressi in tale direzione che sono state anche riconosciuti in occasione del
Consiglio europeo di Laeken di qualche settimana fa. All'inizio dello scorso
mese di ottobre, il Parlamento turco ha votato, a larghissima maggioranza, un
pacchetto di riforme costituzionali che ha, in particolare, aperto la via ad
emendamenti al codice penale e alla legge antiterrorismo. Ankara ha introdotto
inoltre taluni specifici provvedimenti per la riforma del proprio sistema
carcerario. Non senza riserve all'interno del Governo stesso e delle forze
dell'ordine, sono state promosse misure legislative che hanno tenuto, in
qualche modo, conto delle raccomandazioni formulate dal comitato per la
prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa, quali la possibilità,
anche per i detenuti delle carceri di massima sicurezza, di svolgere attività
sociali, sportive e ricreative, l'istituzione di giudici di sorveglianza nei
penitenziari e la creazione di consigli di monitoraggio competenti anche per la
preparazione di rapporti e la formulazione di proposte a beneficio del
Ministero della giustizia e della Commissione parlamentare sui diritti umani.
Si tratta, come si vede, di passi in avanti che tendono ad avvicinare il
sistema penitenziario turco agli standard minimi fissati dal Consiglio d'Europa e dalle Nazioni
Unite, anche se persistono palesi e pesanti inadeguatezze, così come
illustrate efficacemente dall'interpellante. Tuttavia, anche dopo il varo di
questi provvedimenti migliorativi, la protesta, che l'onorevole interpellante
ha prima ricordato, comprendente lo sciopero della fame ad oltranza che ha provocato
decine di morti, non è affatto rientrata, raggiungendo anzi livelli
drammatici. All'origine di questa protesta, come ricordato dall'onorevole
interpellante, è stata l'introduzione in Turchia di carceri e celle di
tipo "f" e le condizioni di isolamento che le nuove strutture
avrebbero comportato per i detenuti: si tratta infatti di celle singole in
luogo di dormitori, che secondo le autorità turche erano diventati nel
tempo anche una sorta di palestra di mobilitazione ideologica per talune organizzazioni
di estrema sinistra, oltreché di attività criminale comune. In
questo drammatico contesto, l'Italia ha sempre svolto e continuerà a
svolgere, anche attraverso questo Governo, insieme, beninteso, ad altri paesi
dell'Unione europea, una attenta e minuziosa opera di monitoraggio delle
condizioni carcerarie e, in particolare, di incoraggiamento all'introduzione di
misure sempre più incisive di riforma del sistema penitenziario di quel
paese. Il rispetto dei diritti dei detenuti e, più in generale, dei diritti
fondamentali umani costituisce parte essenziale, e non negoziabile, del
partenariato con la Turchia stipulato con l'Unione europea nel dicembre del
2000. L'Unione europea segue attentamente il cammino di questo grande paese,
non mancando di apprezzarne i progressi, ma puntualmente segnalando le
persistenti inadeguatezze, in un dialogo che vuole comunque essere sempre
costruttivo e mirato al progressivo avvicinamento di Ankara all'Unione europea.
Siamo assolutamente consapevoli della drammaticità di questa situazione
e personalmente ho avuto modo di approfondire tali argomenti con l'ambasciatore
della Turchia a Roma, nel corso di un incontro alla Farnesina, durante il quale
ho richiesto informazioni dettagliate sulla sorte dei parlamentari di origine
curda, attualmente incarcerati. In quell'occasione non ho mancato di
rappresentare il vivo e costante interesse del Governo e del Parlamento
italiani al rispetto dei diritti umani, anche e soprattutto in ambiti difficili
e a rischio quali sono abitualmente le condizioni carcerarie di moltissimi
paesi, in modo particolare quelli turchi.
PRESIDENTE.
L'onorevole Russo Spena ha facoltà di replicare per la sua interpellanza
n. 2-00217.
GIOVANNI RUSSO
SPENA. - Come avevo già accennato, se il regolamento me lo permette, non
parlerei di soddisfazione o insoddisfazione, perché credo si tratti di
uno sforzo che tutti insieme - Governo, Parlamento - dobbiamo fare, soprattutto
in un orizzonte europeo. Credo sia molto importante e prendo atto di precise
parole, pronunciate dalla sottosegretaria Boniver - che ringrazio - che intendo
in questo senso: sono indispensabili passi in avanti, sul tema dei diritti
umani e delle condizioni carcerarie, perché si possa procedere verso la
conclusione del percorso di ingresso della Turchia nell'Unione europea.
Ciò significa che una concezione (in verità non di questo
Governo) che durante la scorsa legislatura ho criticato tante volte, in
Commissione esteri, e che un ministro importante - oggi, peraltro, segretario
dei Democratici di sinistra - rispondendo ad una serie di interrogazioni
presentate da tutti i partiti, come avvenne anche due anni fa, chiamò
teoria "della contaminazione democratica", secondo la quale un paese
doveva entrare al più presto, senza controllo - teoria, peraltro, poi
contraddetta dalla Commissione europea, dal professor Prodi e dal Parlamento
europeo 48 ore dopo - fosse, in qualche modo, errata.
Prendo atto che
vi è, come il Parlamento europeo ha indicato, anche nel Governo
italiano, la volontà di condizionare, in qualche modo, l'ingresso della
Turchia nell'Unione europea al fatto che il rispetto dei diritti umani diventi
un fatto reale. Conosco anch'io abbastanza bene - perché, come la
sottosegretaria, me ne interesso da qualche anno - il problema dei cosiddetti
avanzamenti, per quanto riguarda la Turchia. Su questo, il mio giudizio - ma
non ne voglio fare un problema politico, perché, ripeto, dobbiamo
lavorare tutti insieme - è un po' diverso, anche per quel che mi dicono
i partiti socialdemocratici con cui ho i contatti più frequenti.
All'interno della Turchia, mi pare che i militari non siano molto d'accordo sul
fatto che anche quei minimi emendamenti poi arrivino a conclusione. Il tema
della pena di morte è stato accantonato ed era al centro della risoluzione
del Parlamento europeo (mi pare alla lettera F). Sulla prevenzione della
tortura e su avanzamenti, per quanto riguarda la tortura - che nelle carceri
turche è sistematica, secondo tutti i rapporti - pare che passi in
avanti, per volontà dei militari, che condizionano molto lo stesso
Presidente del consiglio, non ve ne siano stati. Credo, quindi, che ci troviamo
di fronte a due aspetti, di cui uno più urgente, sul quale il Governo
italiano non è intervenuto - ed è certamente una mutilazione del
suo intervento - e sul quale chiedo intervenga immediatamente, perché vi
è un dato di emergenza: la scorsa settimana, vi erano due parlamentari
belgi (non so qual sia la situazione in questo momento, io ho parlato con loro
telefonicamente) che seguivano una trattativa - che, finalmente, si è
aperta - fra i familiari dei detenuti e il ministro della giustizia turco, in
merito ad alcuni compromessi relativi all'isolamento nelle carceri (si parlava
di due o tre ore di non isolamento, in modo che si potesse controllare se i
detenuti venivano torturati o meno). Chiederei al Governo che, magari anche in
maniera informale, facesse sapere ai firmatari di questa interrogazione se tale
trattativa e tale compromesso, per quanto minimo - ma che può portare
alla fine dello sciopero della fame ad oltranza, fino alla morte - siano andate
avanti. Vorrei sapere in che modo può incidere, nell'emergenza, il
Governo italiano su questa trattativa che il Parlamento belga ha ufficialmente
aperto e che è stata accettata dal ministro della giustizia turco.
In secondo
luogo, vi è un problema di prospettiva, come la sottosegretaria ha
ricordato: il rispetto degli standard minimi per l'ingresso nell'Unione
europea. Credo che siamo molto lontani da questi standard, credo che la
contaminazione democratica non abbia funzionato, credo che i progressi siano
molto formali, ma è importante che si vada avanti e che non ci si lasci
annebbiare la vista da "ricatti" di tipo mercantile, come mi risulta
stia accadendo in questo momento (si parla di lettere inviate al Governo da
decine di imprese italiane, su pressione dell'ambasciata turca). Conosciamo
molto bene il problema e sappiamo che l'elemento mercantile può essere
un elemento di pressione affinché non si vada a vedere, disturbando
troppo il manovratore, per quanto riguarda i diritti umani.
Ricordo un
famoso e splendido film di un grandissimo regista turco che parlava delle
carceri turche. Uno dei film più belli, toccanti, commoventi ed
importanti. Ci parlava della tortura sistematica, nella barbarie delle carceri
turche.
Dobbiamo, forse, prendere atto che questa mattina - un giorno a cavallo tra gennaio e febbraio 2002 - ci troviamo a discutere ancora della visione di quello splendido film. Spero che faremo dei passi in avanti.