EDITORIALE

 

Al nr. 6/2001- In stampa

            Il 18 dicembre la Commissione Affari costituzionali del Senato ha concluso una fase rilevante della discussione sulla modifica della disciplina dell’immigrazione e dell’asilo, dedicando la seduta all’illustrazione dei numerosissimi emendamenti che formeranno oggetto di votazione alla ripresa dei lavori parlamentari prevista verso la metà del prossimo mese di  gennaio.

            L’impegno del Governo è preciso: pervenire all’approvazione dell’intera riforma in tempi ristretti, non escludendo – a parere di molti osservatori – anche il ricorso alla fiducia. 

            Ciò potrebbe comunque porre qualche problema in quanto, come è noto, anche all’interno della stessa maggioranza  si registrano orientamenti non del tutto convergenti, in particolare rispetto ad una ipotesi – sempre più probabile – di una regolarizzazione.

            Il tema è particolarmente scottante perché ripropone uno strumento di politica migratoria notoriamente inviso allo schieramento di centrodestra che, però, si trova oggi nelle condizioni di non poter ignorare né le forti spinte provenienti dall’area cattolica né le aspettative di una imprenditoria – soprattutto nel settore primario - bisognosa di mano d’opera.

            Non può sorprendere, perciò, se tra i dodici emendamenti presentati sul tema regolarizzazione, tre siano a firma di qualificati esponenti  del CCD (Forlani e Zanoletti) e se le proposte siano volte a soddisfare sia le attese di tante famiglie che occupano illegalmente stranieri nella collaborazione domestica e nell’assistenza agli anziani sia più in generale quelle dell’imprenditoria.

Sorprende invece il fatto che il Governo, a questo punto quasi certamente orientato verso una regolarizzazione  più o meno “mirata”, si accinga a ripetere gli stessi errori clamorosi commessi in occasione dell’ultima regolarizzazione del 1998.

Nel 1998 la regolarizzazione fu preannunciata con largo anticipo rispetto alla  emanazione del provvedimento con il quale si dette inizio alle operazioni. Ciò determinò un massiccio afflusso di clandestini, provenienti soprattutto dai Paesi dell’UE attraverso le frontiere interne prive di controlli, mossi dalla speranza di poter beneficiare della sanatoria.

Oggi si sta percorrendo la stessa strada!

Quali contenuti potrà assumere la prossima regolarizzazione (riguarderà solo i collaboratori domestici e chi presta assistenza agli anziani, oppure tutti coloro che siano in grado di dimostrare un rapporto di lavoro in atto o un impegno per una qualunque attività?); qualunque sarà il criterio temporale prescelto e le ulteriori eventuali condizioni da soddisfare, ecc., il Governo  commetterebbe un grave errore qualora attendesse la conclusione dell’iter parlamentare per avviare le relative operazioni. Se, come sembra, esiste una effettiva volontà di procedere alla regolarizzazione, questa dovrebbe essere avviata immediatamente con un decreto legge. Contestualmente, così come avvenuto tra il 10 ed il 31 gennaio 2000 per iniziativa del Belgio in concomitanza di una sanatoria avviata da quel Paese, si dovrebbe attivare la procedura prevista dall’articolo 2, comma 2, della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen e richiedere il temporaneo ripristino dei controlli alle frontiere interne per il tempo strettamente necessario alla definizione della regolarizzazione .

Se dovesse prevalere ancora una volta l’approssimazione e l’incertezza è molto probabile che rivedremo file interminabili e scomposte davanti alle questure, che riesploderanno i casi di mercimonio per la fittizia costruzione di prove della presenza in Italia e per la stipula di compiacenti contratti ed offerte di lavoro, che si moltiplicheranno i casi di vessazione in danno dei più deboli; ciò soprattutto se dovesse essere riproposta la turpe procedura, sperimentata con i decreti Dini del 1995, di richiedere il versamento anticipato dei contributi da parte dei datori di lavoro, dicasi in realtà dei lavoratori.

In sintesi, in una società – purtroppo - poco propensa al rispetto delle regole, dove la furbizia è ancora virtù, lo Stato dovrebbe agire con grande tempestività, prudenza e fermezza, e quindi rimettere al solo straniero la responsabilità dell’emersione dalla clandestinità e pretendere, solo in un secondo momento, dopo la concessione di un breve permesso di soggiorno e di uno status giuridico che affievolisca i rischi del ricatto, un contratto di lavoro che consenta la prosecuzione del soggiorno in Italia.

Resta inteso che questa, come qualunque altra soluzione che potrà essere adottata ai fini dell’emersione, non potrà prescindere dall’immediato potenziamento del sistema di controllo (oggi in gran misura strutturato in funzione dei soli riscontri burocratici in ufficio) per garantire efficaci verifiche – sul posto – dei contratti di lavoro. Ciò significa irrobustire e riorganizzare gli uffici immigrazione delle questure (anche allegerendone gli adempimenti burocratici) e, ovviamente, gli ispettorati del lavoro.

 

 

Raffaele Miele