Ric.n. 2068/00 Sent.n.
1617/2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale amministrativo
regionale per il Veneto, sezione terza, nelle persone dei magistrati:
Umberto Zuballi |
– Presidente
relatore |
Italo Franco |
- Consigliere |
Mauro Springolo |
- Consigliere |
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso n. 2068/00, proposto
da Daci Ymer, rappresentato e difeso dall’avvocato Vincenzo Tallarico e
domiciliato presso la Segreteria del TAR;
c o n t r o
il Ministero dell’interno,
in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria ex lege;
per l'annullamento
del provvedimento di diniego del
permesso di soggiorno emesso dal Questore di Padova in data 5 aprile 2000 e
delle note della Prefettura di Lodi del 22 marzo 1999 e del 16 dicembre 1999;
Visto il ricorso, notificato il
23 giugno 2000 e depositato presso la Segreteria generale il 6 luglio 2000 con
i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in
giudizio del Ministero, depositato il 19 luglio 2000;
Viste le memorie prodotte dalle
parti;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta alla pubblica
udienza del 6 giugno 2001 la relazione del presidente Umberto Zuballi e udito
altresì l’avvocato Gerardis per il Ministero, nessuno comparso per
il ricorrente;
Ritenuto e considerato in fatto e
in diritto quanto segue:
F A T T O
Il ricorrente, cittadino
albanese, rappresenta di essere stato espulso a seguito di provvedimento della
Prefettura di Lodi in data 12 maggio 1998; rientrato in Italia, chiedeva la
regolarizzazione.
Domandava la revoca del decreto
espulsivo, ma la Prefettura di Lodi con atto datato 22 marzo 1999 rigettava la
istanza.
A
sostegno illustra i seguenti motivi di ricorso:
1.
Eccesso
di potere per contraddittorietà, inosservanza di circolare,
disparità di trattamento travisamento ed erronea valutazione dei fatti.
Con nota del 3 agosto 1999 la
Questura di Padova affermava che il ricorrente possedeva i requisiti per la
regolarizzazione.
2.
Inosservanza
di circolare e disparità di trattamento.
Sulla base della circolare del 21
aprile 1999, il rientro in Italia dello straniero espulso non costituisce
elemento negativo ai fini della revoca dell’espulsione. Vi sarebbe
inoltre disparità di trattamento rispetto agli stranieri presenti
clandestinamente in Italia.
3.
Travisamento
ed erronea valutazione dei fatti.
La Prefettura afferma che non
sono avvenuti fatti nuovi per far venir meno i motivi dell’espulsione.
Tali fatti nuovi invece
sussistono, tant’è che la Questura di Padova ha espresso parere
favorevole alla revoca.
4.
Violazione
del DPCM 16.10.1998, in quanto tra i requisiti di legge per la regolarizzazione
non vi è la presenza continuativa in Italia.
5.
Violazione
dell’articolo 3 della legge 241 del 1990, per carenza di motivazione.
Si è costituita in
giudizio l’amministrazione, che puntualmente controdeduce nel merito del
ricorso, concludendo per la sua reiezione, siccome infondato.
D I R I T T O
Prima di affrontare il merito del
presente ricorso, appare opportuno delineare brevemente i principi cui si
è ispirato il legislatore nel disciplinare l’ingresso e il
soggiorno dei cittadini extracomunitari in Italia, in particolare con la legge
6 marzo 1998 n. 40.
Va innanzi tutto rilevato che la
scelta è stata quella di individuare una strada intermedia tra
l’apertura incondizionata al flusso migratorio e la chiusura totale,
sulla scia di quanto è avvenuto nel corso della storia in quasi tutti i
Paesi democratici, con qualche eccezione nel senso della massima apertura (ad
esempio nei Paesi a forte immigrazione, come l’Australia e gli Stati
Uniti d’America, almeno nel secolo scorso) ovvero di una chiusura
pressoché ermetica, in periodi particolarmente turbolenti.
La normativa italiana si ispira
conseguentemente al principio del cosiddetto flusso regolato, tendente
cioè ad ammettere l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel
limite di un numero massimo accoglibile, tale da assicurare loro un adeguato
lavoro, mezzi idonei di sostentamento, in una parola un livello minimo di
dignità e di diritti, e tra questi, quelli alla casa e allo studio.
Quale corollario alla decisione
di porre un limite all’ingresso dei cittadini extracomunitari, si pone
l’obbligo di espulsione per quelli che non sono in regola, sia in relazione
all’ingresso, sia al soggiorno.
Due sono i limiti esterni
all’impostazione testè esposta: uno è dato dalle ragioni di
ordine pubblico e di sicurezza dello Stato, per cui, quando sono in gioco tali
valori, uno straniero può sempre essere espulso, anche ove si trovi
regolarmente in Italia.
L’altro limite, questa
volta di segno opposto, è dato da particolari ragioni umanitarie, che
consentono una deroga alle norme sull’ingresso; si tratta, in altre
parole, di dare priorità ai principi dei diritti dell’uomo fatti
propri dalla Carta Costituzionale e recepiti nel nostro ordinamento con la
ratifica di numerosi accordi internazionali.
Vengono in rilievo, in
particolare, la tutela della famiglia e dei minori (donde le deroghe
all’ingresso per favorire il ricongiungimento familiare), di coloro che
si trovano in particolari situazioni di difficoltà (per cui si concede
l’asilo per straordinari motivi umanitari, come è avvenuto per gli
sfollati dalla ex Yugoslavia), fino a giungere, in caso di persecuzioni dovute
a ragioni etniche, religiose o politiche, alla concessione dello status di
rifugiato politico.
E’ evidente quindi che,
come affermato dalla Corte Costituzionale (sentenza 21 novembre 1997 n. 353),
le ragioni della solidarietà umana non possono essere sancite al di
fuori di un bilanciamento dei valori in gioco: tra questi, vi è
indubbiamente la difesa dei diritti umani, la tutela dei perseguitati e il
diritto di asilo, ma altresì, di non minore rilevanza, il presidio delle
frontiere (nazionali e comunitarie), la tutela della sicurezza interna del
Paese, la lotta alla criminalità, lo stesso principio di
legalità, per cui chi rispetta la legge non può trovarsi in una
posizione deteriore rispetto a chi la elude.
Il bilanciamento dei vari
interessi in gioco è stato effettuato dal legislatore, il quale ha
graduato le varie situazioni: in alcuni casi, ad esempio, ha disposto
l’espulsione dello straniero in via quasi automatica, al semplice
verificarsi di determinati presupposti, mentre, in altre ipotesi, ha ammesso
una certa discrezionalità in capo all’amministrazione, nella
valutazione e ponderazione dei fatti.
Se le grandi linee della
normativa vigente si ispirano ai principi su indicati, ovviamente
l’applicazione di detta normativa comporta notevoli difficoltà, se
non altro perché si tratta di stranieri spesso privi di adeguata
conoscenza, sia della lingua italiana, sia soprattutto dei fondamenti di uno
stato di diritto e quindi raramente consapevoli della loro posizione di
cittadini di fronte alle leggi dello Stato, con i conseguenti diritti e doveri.
Naturalmente, anche
nell’applicazione della normativa sui cittadini extracomunitari, trovano
ingresso i principi generali dell’ordinamento, in specie quelli regolanti
l’attività dell’amministrazione, tra cui basta menzionare
quello relativo all’obbligo della motivazione dell’atto
amministrativo (più attenuato qualora si tratti di un atto dovuto,
più stringente qualora la discrezionalità
dell’amministrazione sia più estesa), quello
dell’economicità dell’azione amministrativa, per cui
determinate irregolarità si considerano sanate qualora l’atto
abbia raggiunto il suo scopo e infine la potestà
dell’amministrazione di revocare in ogni tempo un atto amministrativo a
effetti permanenti, qualora vengano meno i presupposti per la sua concessione.
Per
quanto concerne in particolare la sanatoria prevista dalla citata legge 6 marzo
1998 n. 40, i requisiti per ottenerla da parte dei cittadini extracomunitari
sono tre, tutti da documentare in maniera idonea, l’effettiva presenza in
Italia prima del 27 marzo 1998, il possesso di un lavoro e di un’adeguata
sistemazione alloggiativa.
Questo
Collegio è ben consapevole che, mentre i requisiti alloggiativo e quello
lavorativo possono essere accertati con relativa accuratezza, sorgono problemi
non indifferenti per quanto concerne la prova della presenza in Italia prima
del 27 marzo 1998, sia in quanto - per un cittadino extracomunitario - proprio
la situazione di irregolarità e clandestinità rende talvolta
estremamente arduo dimostrare la presenza in Italia, sia perché,
d’altro canto, non può essere consentita una prova priva di
riscontri, frutto talvolta di dichiarazioni compiacenti ovvero palesemente
artefatte.
Va
ribadito che le norme di sanatoria, come quella che consente il rilascio del
permesso di soggiorno agli extracomunitari irregolarmente presenti in Italia,
per loro natura vanno interpretate in senso restrittivo, costituendo una deroga
al sistema e presupponendo una violazione da parte degli interessati della
vigente normativa.
Come
già indicato, i requisiti per ottenere la sanatoria per i cittadini
extracomunitari sono tre, tutti da documentare in maniera idonea,
l’effettiva presenza in Italia prima del 27 marzo 1998, il possesso di un
lavoro e di un’adeguata sistemazione alloggiativa.
L’articolo
6 del DPCM 16 ottobre 1998, attuativo della legge 6 marzo 1998 n. 40 che
disciplina la materia, con una tipica norma di chiusura afferma poi che non
possono ottenere i permessi di soggiorno in sanatoria gli stranieri per i quali
l’ingresso e il soggiorno in Italia non possono essere consentiti.
Tra
questi ultimi rientrano, a mente dell’articolo 4, comma 6°, della
citata legge 40 del 1998, gli stranieri già espulsi. Ne consegue che chi
abbia già subito un precedente provvedimento di espulsione non
può usufruire della sanatoria, a meno che non ne ottenga,
preventivamente, la revoca.
La
revoca del decreto di espulsione costituisce un provvedimento discrezionale
dell’amministrazione, non previsto da alcuna norma, libero quindi non
solo nel quando ma anche nell’an.
In
sostanza, l’amministrazione ha ritenuto, nella sua
discrezionalità, di allargare i limiti ristretti della sanatoria,
riservandosi peraltro di valutare caso per caso l’opportunità di
una revoca. In altri termini, gli stranieri già espulsi dal territorio
nazionale non avrebbero alcun diritto ad ottenere il permesso di soggiorno in
sanatoria, tuttavia possono chiedere la revoca della precedente espulsione,
senza peraltro poter accampare alcun diritto in tal senso.
Venendo al caso in esame, la
stessa esposizione in fatto del ricorrente evidenzia che egli non ha impugnato
tempestivamente il decreto del Prefetto di Lodi del 22 marzo 1999, che aveva
rigettato l’istanza di revoca della precedente espulsione datata 13
agosto 1997 (il diniego di revoca era conosciuto nei suoi elementi essenziali
al ricorrente perlomeno alla data del 17 gennaio 2000, come si evince dalla
nota del patrono del ricorrente di stessa data, in cui si fa riferimento
appunto alla determinazione della Prefettura di Lodi).
Va poi aggiunto che la seconda
istanza di revoca del decreto espulsivo non vale a rimettere in termini il
ricorrente, che ha omesso di impugnare tempestivamente il precedente rigetto
della richiesta di revoca. Infatti la Prefettura di Lodi, a seguito della seconda
istanza, con la nota del 16 dicembre 1999 si è limitata a richiamare le
precedenti determinazioni già assunte in merito.
Dal momento che l’esistenza
di un valido decreto espulsivo costituisce un ostacolo insuperabile
all’accoglimento della domanda di regolarizzazione, ne discende
l’inammissibilità del presente ricorso.
Vi
sono tuttavia ragioni per compensare le spese di giudizio tra le parti.
P. Q. M.
il Tribunale amministrativo
regionale per il Veneto, sezione terza, definitivamente pronunziando sul ricorso
in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione,
lo
dichiara inammissibile.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza
sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia,
nella camera di consiglio del 6 giugno 2001.
Umberto Zuballi –
Presidente estensore
Il
Segretario