RESOCONTO STENOGRAFICO

Presidenza del vice presidente SALVI

PRESIDENTE. La seduta è aperta (ore 15,03).

Si dia lettura del processo verbale.

CAVALLARO f.f., segretario, dà lettura del processo verbale della seduta pomeridiana del giorno precedente.

Sul processo verbale

TURRONI (Verdi-U). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TURRONI (Verdi-U). Signor Presidente, nella parte conclusiva del processo verbale si dà atto della decisione del Presidente di turno della seduta di ieri di revocare la censura nei confronti della collega Dato, a seguito delle dichiarazioni da lei rese all'Aula nella seduta antimeridiana di ieri.

Ebbene, Presidente, per giustificare l'applauso rivolto all'Assemblea, la collega Dato ha usato delle parole molto significative, raccontando come si erano svolti i fatti e il presidente Calderoli, accogliendo nella seduta di ieri le parole che la senatrice Dato aveva rivolto all'Assemblea, e a lui in particolare, ha detto: "Al riguardo accolgo le sue scuse e tengo a precisare che per l'applauso non c'era stata una censura, ma un semplice richiamo all'ordine. La censura è stata motivata da un attacco fisico-verbale che sarebbe stato sanzionabile se avesse avuto le caratteristiche di aggressività. Tuttavia, verificato che si trattava invece di una incontrollabile attrazione fisica nei confronti del Presidente, revoco la nota di censura e dimentico l'incidente".

Oggi abbiamo ascoltato il presidente Calderoli chiedere di espungere queste parole, riguardanti "l'incontrollabile attrazione fisica nei confronti del Presidente" dal processo verbale. Ecco, ritengo che questo motto di spirito rivolto dal presidente Calderoli alla senatrice Dato non debba essere espunto. Anzi, debba essere mantenuto perché capisco che uno possa pentirsi del "celodurismo", però quando questo viene dal cuore non credo possa essere modificato il processo verbale e debbano essere mantenute per intero queste parole che io credo offendono tutte le donne di questo Paese nella persona della senatrice Dato.

PRESIDENTE. Senatore Turroni, la questione è già stata chiarita dal presidente Calderoli, a mio avviso più che abbondantemente. Quindi mi pare che líincidente possa essere considerato chiuso. Vorrei ricordare di non fare mai confusione tra resoconto stenografico e processo verbale, che sono due atti diversi del Senato.

Poiché non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

Congedi e missioni

PRESIDENTE. Sono in congedo i senatori: Agnelli, Antonione, Baldini, Bobbio Norberto, Bosi, Ciccanti, D'Alì, De Corato, Degennaro, De Martino, Mantica, Marano, Meleleo, Pontone, Saporito, Sestini, Siliquini, Sudano e Ventucci.

Sono assenti per incarico avuto dal Senato i senatori: Bedin, Curto, Girfatti, Greco e Murineddu, per partecipare alla missione congiunta della Giunta per gli affari delle Comunità europee e della XIV Commissione della Camera dei deputati in Polonia; Budin, Crema, Danieli Franco, De Zulueta, Gaburro, Giovanelli, Gubert, Iannuzzi, Manzella, Mulas, Nessa, Pellicini, Provera, Rigoni, Rizzi e Tirelli, per attività dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa; Brutti Massimo, Giuliano e Malentacchi, per attività del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato; Ayala e Pianetta, per partecipare alla Conferenza sul processo di ratifica e futura attuazione dello Statuto di Roma sul tribunale penale internazionale; Crinò, De Petris, Filippelli, Michelini, Pascarella e Specchia, per attività della Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse; Basile, per partecipare ad un convegno sulla Convenzione sul futuro dell'Europa.

Comunicazioni del Governo in materia di spesa sanitaria
e conseguente discussione

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca: "Comunicazioni del Governo in materia di spesa sanitaria".

Conformemente alle decisioni della Conferenza dei Capigruppo, dopo gli interventi del Governo, potrà prendere la parola un oratore per ciascun Gruppo per non più di sette minuti. Al Gruppo Misto sono attribuiti dodici minuti complessivi.

Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Vegas.

VEGAS, sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, onorevoli senatori, dividerò il mio intervento in tre parti: la prima riguarda il passato, la seconda il presente, la terza le prospettive per il futuro.

Per quanto riguarda il passato, non possiamo non partire da una constatazione, quella relativa al fatto che la somma dei disavanzi del sistema sanitario dal 1995 al 1999 ammontava complessivamente a 32.263 miliardi di vecchie lire. Di questa somma, parte è stata posta a carico del sistema regionale, parte (16.000 miliardi di vecchie lire) a carico dello Stato, che ha provveduto con ripiani successivi a far fronte alla differenza di spesa rispetto al preventivo. Lo scostamento si è mantenuto, poi, nellíanno 2000 e, come vedremo successivamente, anche nel 2001.

Perché - cíè da domandarsi - si è originato questo scostamento così rilevante? Perché il meccanismo di calcolo della spesa sanitaria è sempre stato redatto sulla base di preventivi che mano a mano, nel tempo, venivano modificati quando si aveva a disposizione il consuntivo. Se guardiamo líarco degli anni che va dal 1995 al 2001, posto líandamento della spesa per consumi finali, che è cresciuta, facendo 100 il valore del 1995, al 2001 diventato 129, la spesa sanitaria, sempre avendo come base 100 nel 1995, è cresciuta nel 2001 fino al numero indice 152,5. Dunque, in qualche modo vi è uníevoluzione straordinaria, che tuttavia ha caratteristiche di ordinarietà, della spesa sanitaria, che mostra una dinamica molto più elevata rispetto a quella dellíordinaria spesa pubblica.

Ciò ovviamente dipende da molti fattori, fattori di corto raggio e fattori di più ampio respiro. Sicuramente alcuni effetti della evoluzione della spesa sono stati attribuiti a dinamiche relative allíinvecchiamento della popolazione e al miglioramento del sistema di cure; questa è una giustificazione ma, a mio avviso, forse non per tempi così brevi. È un movimento di lunga lena che difficilmente può mostrare in pochi anni una dinamica del genere.

Sicuramente invece la dinamica va attribuita a fattori più di carattere organizzativo, relativi alla struttura del sistema sanitario. Non escluderei - non sto qui a dire che è una responsabilità o uníattribuzione - qualche effetto dovuto anche alla necessità di mettere ordine nei conti italiani in vista della partecipazione alla moneta unica che possono aver indotto a sottovalutare il livello del Fondo sanitario nazionale per poi, in una fase successiva, farlo riemergere. Anche per il Fondo sanitario nazionale forse cíè stata in passato una politica che potremmo definire di "mettere la spazzatura sotto il tappeto", salvo poi inciampare successivamente nel cumulo di spazzatura sotto il tappeto stesso.

Sicuramente in questo quadro effetti di un certo rilievo finanziario derivano dallíabolizione del ticket sulle medicine adottata con la legge finanziaria per il 2001, tantíè vero che i dati mostrano come nellíanno successivo la crescita della spesa per i farmaci sia aumentata, facendo il rapporto tra il 2001 e líanno precedente, nellíordine del 32,6 per cento. Si tratta dunque di una dinamica di forte espansione che è stata ulteriormente incrementata anche da decisioni relative, ad esempio, al contratto del personale medico negli anni successivi.

Rispetto a tale dinamica troviamo una situazione, sempre relativamente al passato, in cui veniva definito in un accordo dellíagosto del 2000 un livello di finanziamento statale per il sistema sanitario fissato, con riferimento al 2001, in 129.000 miliardi di vecchie lire.

Già al momento della sottoscrizione di quellíaccordo da parte delle Regioni e dello Stato si conveniva da entrambe le parti che si trattava di una cifra evidentemente sottodimensionata rispetto al trend della spesa. In quel modo, già nellíanno 2000, si definiva una spesa sanitaria che avrebbe automaticamente dato corso a deficit sommersi che poi sono stati in qualche modo successivamente contabilizzati. Questa situazione, per quanto concerne il 2001, è stata aggravata, come ho detto prima, dal meccanismo dellíabolizione del ticket.

Il meccanismo che ha contraddistinto i rapporti passati tra Stato e Regione in questo campo per molti aspetti assomiglia ad una sorta di ripiano a piè di lista nel quale il livello di spesa finanziato a carico dello Stato veniva definito e successivamente rettificato perché le Regioni spendevano più di quanto non fosse loro concesso in anticipo dallo Stato. In qualche modo si generava una serie di deficit più o meno sommersi che in qualche modo venivano successivamente, parzialmente o totalmente, ripianati.

Si tratta di una prassi che comunque necessariamente doveva venire a cessare con líentrata in vigore della legge costituzionale n. 3 dello scorso anno, che ha modificato il Titolo V della Costituzione, sia perché ha attribuito maggiori e più incisive responsabilità gestionali nel settore alle Regioni (e quindi una precisa responsabilità costituzionale a questi soggetti), sia perché, con una norma che sostanzialmente era già presente, immanente nel nostro ordinamento, ma non aveva valenza di norma di rango costituzionale, líultimo comma dellíarticolo 119 novellato della Costituzione prescrive il divieto di indebitamento da parte delle Regioni per spese correnti. Ciò ovviamente muta il quadro finanziario nella materia al nostro esame.

Líattuale Governo ha cercato nella materia di definire un più realistico quadro finanziario, a partire da un accordo stipulato, con la firma unanime di tutte le Regioni, lí8 agosto 2001. Mi piace riportare una breve citazione relativa a tale accordo, tratta dalla relazione sul Rendiconto che la Corte dei conti ha svolto proprio ieri. Sono parole del procuratore generale che, nel definire un quadro con alcune preoccupazioni relativamente al 2001, ha tuttavia specificato quanto segue: "Ma líanno 2001 merita di essere ricordato anche nei suoi aspetti positivi. La permanenza autonoma del Ministero della salute, il Patto di stabilità sanitaria stipulato lí8 agosto tra Governo e Regioni, che ha fra líaltro reso ancor più incisivo il ruolo di questíultima nella garanzia degli equilibri finanziari, la definizione dei livelli essenziali di assistenza, stabiliti per la prima volta dalla riforma del 1978, sono punti fermi sui quali potrà costruirsi il futuro di una rinnovata sanità".

Il Governo dunque si è fatto carico, lí8 agosto dellíanno scorso, di definire un diverso livello di finanziamento, che allíepoca veniva considerato realistico da tutte le Regioni (tanto è vero che sia quelle governate dalla maggioranza che dallíopposizione, líhanno sottoscritto); soprattutto era un accordo che prevedeva alcuni corollari.

Il primo e il più evidente innalzava il livello di finanziamento della sanità pubblica, portandolo vicino al 6 per cento del prodotto interno lordo: un livello sostanzialmente analogo a quello degli altri Paesi europei. Mi corre líobbligo di sottolineare che la successiva dinamica, sempre relativa alla spesa dellíanno 2001, ha portato a superare, ancorché di misura, tale livello.

Non si tratta di uníinnovazione da poco, tenendo conto che negli anni precedenti la media della spesa sanitaria pubblica si è attestata su una percentuale, rispetto al PIL, pari al 5,3-5,4 per cento. Questo significa (lo dico con orgoglio, come rappresentante di questo Governo) che líEsecutivo in carica, in un momento di difficoltà economica, ha considerevolmente innalzato la spesa sanitaria, ovviamente soprattutto quella destinata ai meno abbienti, portandola ad un livello pari a quello degli altri Paesi europei.

Líaccordo prevedeva inoltre la definizione dei cosiddetti livelli essenziali di assistenza (LEA); anche qui si tratta di uníattuazione in progress della nuova normativa costituzionale, che consiste nella definizione dei livelli di prestazione a cui hanno diritto tutti i cittadini sullíintero territorio nazionale (quindi le critiche di regionalizzazione, di trattamento discriminato tra i cittadini italiani non hanno, a nostro avviso, alcuna ragione di essere) e, ovviamente (apro una breve parentesi), nel presupposto che le prestazioni contenute nei livelli essenziali di assistenza non sempre necessariamente devono essere gratuite, ma possono eventualmente essere a pagamento, purché siano appropriate.

Corollario ulteriore dell'accordo dellí8 agosto è la più forte responsabilizzazione delle Regioni, che díaltronde deve essere valutata in coordinamento con il novellato Titolo V della Costituzione. Allora, se le Regioni venivano più incisivamente responsabilizzate, ne doveva discendere che erano responsabilizzate anche alla tenuta degli equilibri finanziari.

Per fare questo, il decreto-legge 8 settembre 2001, n. 347, convertito nella legge 16 novembre 2001, n. 405, che recepiva líaccordo dellí8 agosto, fissava alcuni punti. Quello principale era costituito da una modifica alla legislazione vigente in materia sanitaria, secondo il criterio costituito dal seguente principio. Mentre nel testo originale, nella legge del 1992, era prescritto che il cittadino avesse diritto alle prestazioni sanitarie e poi lo Stato, in qualche modo, sarebbe dovuto arrivare a finanziare questo bisogno, nella modifica si è invece introdotto un principio diverso; quello di fare una valutazione complessiva della quota di prodotto interno lordo da destinare a consumi sanitari, nellíambito del quale, poi, ripartire la spesa, in modo da mantenere il suo limite entro il tetto prefissato. Questo è un principio innovativo e di grande responsabilità, che naturalmente trova in questa prima fase una certa difficoltà ad essere attuato, ma che crediamo possa nel futuro mostrarsi utile.

Come dicevo, le Regioni, una volta responsabilizzate, hanno a disposizione alcuni strumenti per poter rientrare nellíambito dei tetti di spesa prefissata. Sta qui la parte innovativa dellíaccordo dello scorso anno mentre quello dellíanno precedente costituiva sostanzialmente una sorta di invito morale alle Regioni e ai responsabili della spesa sanitaria ad adeguarsi agli obiettivi fissati con il Governo, nellíaccordo del 2001 si prevedeva non solo líinvito morale, ma un meccanismo - per così dire - di salvaguardia, in base al quale, ove le Regioni non avessero mantenuto i target finanziari, non avrebbero partecipato alla suddivisione della parte incrementale della quota, rispetto a quanto previsto dalla legge finanziaria precedente.

Per stare allíinterno della spesa, si sono attribuiti alle Regioni poteri di manovra, che possono sostanzialmente essere individuati nei seguenti tre "filoni". Il primo è costituito dalla possibilità di introdurre meccanismi di controllo della domanda (sostanzialmente i ticket); il secondo è rappresentato dalla possibilità di innalzare la pressione fiscale; il terzo consiste nella possibilità di introdurre meccanismi di risparmio, quindi anche di autorganizzazione, sia nel settore sanitario che in altri settori.

Per verificare l'andamento della spesa e per controllare le misure introdotte in questo campo, è stato aperto un tavolo di monitoraggio, che è stato ulteriormente implementato in questi ultimi tempi e che dovrebbe concludere i propri lavori la settimana prossima, nel quale saranno portati i risultati relativi sia all'andamento della spesa sia agli interventi operati dalle Regioni.

Per quanto concerne l'andamento della spesa (mi riferisco al 2001, che costituisce l'anno cardine di questo meccanismo), abbiamo riscontrato un aumento rispetto alla cifra definita nell'accordo dell'8 agosto, che passa da 71 miliardi e 271.000 euro a 75 miliardi e 661.000 euro. Una parte di tale spesa è stata coperta da misure adottate già dalle Regioni che, tra maggiori spese e minori entrate, ammontano ad un totale di 1 miliardo e 549.000 euro.

Nel frattempo, il Governo ha adottato alcune misure di ulteriore contenimento della spesa, soprattutto per quanto riguarda la spesa farmaceutica, e altri interventi con effetti complessivi che, sommati a quelli operati dalle Regioni, portano a misure di risparmio per un totale di 1 miliardo e 973.000 euro.

Un problema di un certo rilievo riguarda la spesa farmaceutica. Nell'accordo dell'8 agosto veniva definito un tetto per tale spesa, fissato nel 13 per cento complessivo del finanziamento pubblico. Premesso che si tratta di un tetto riferito non alla spesa farmaceutica, ma al finanziamento pubblico della spesa, non vi è dubbio che la spesa farmaceutica, come ho già sottolineato, dopo l'abolizione del ticket, ha avuto una dinamica molto intensa.

Tuttavia, abbiamo riscontrato che, a seguito dell'introduzione da parte di alcune Regioni di meccanismi di monitoraggio delle prescrizioni, di controllo più stretto della distribuzione dei farmaci, anche con strumenti di carattere ospedaliero, di reintroduzione di ticket, l'andamento della spesa farmaceutica - anche se in termini molto differenziati tra Regione e Regione - è andata considerevolmente diminuendo. La dinamica di incremento si è quindi interrotta nellíaprile di questíanno e tale interruzione è continuata nel mese di maggio.

Questo è il motivo che ha indotto il Governo a non introdurre misure di ticket generalizzato decise centralmente. Anche se ultimamente si era diffusa questa voce, ribadisco che il Governo non intende introdurre nuove misure di ticket per il semplice motivo che tale misura funziona già nelle Regioni in cui è stata assunta, mentre dove ciò non è avvenuto questa scelta rientra comunque nell'ambito della discrezionalità e nell'autonomia decisionale delle Regioni.

Alcune di esse hanno preferito disincentivare la domanda con il sistema dei ticket, altre hanno utilizzato metodi diversi, ad esempio quello della distribuzione diretta dei farmaci, oppure intervenendo in altri campi attraverso il contingentamento dell'offerta. Le diverse misure che le Regioni stanno adottando o dovranno adottare, dal momento che non ci si potrà limitare a quelli di incremento della pressione fiscale, dovranno in qualche modo guardare alla spesa.

È nostra convinzione che in questa prima fase, di fronte ad una crescita della spesa sanitaria (che fino ad oggi non è mai stata controllata anche perché è sempre esistito il retropensiero in base al quale comunque lo Stato avrebbe pagato a piè di lista le spese delle Regioni), non si potesse passare da un giorno all'altro ad un nuovo sistema.

Il ponte di passaggio è stato proprio l'accordo dell'8 agosto. In una prima fase, abbiamo previsto di fissare un quantum di risorse che dovrebbe essere sufficiente e compatibile con la media europea; sulla base di tali risorse le Regioni distribuiranno e autorganizzeranno la spesa sanitaria e, se non riusciranno a mantenersi entro i tetti prefissati, potranno utilizzare misure autonome, quali l'inasprimento della pressione fiscale e il ricorso ai ticket o ai risparmi.

Eí chiaro che in una prima fase è più facile per tutti limitarsi ad aumentare la pressione fiscale o ricorrere ai ticket; ma questo meccanismo non è destinato a durare nel tempo per l'ovvio motivo che comporta, non dico una protesta, ma certamente una scarsa soddisfazione da parte dei cittadini.

La seconda fase, più importante, sarà quella dell'attivazione di meccanismi di risparmio nella spesa sanitaria, che possono prendere avvio dall'acquisto di beni e servizi con il sistema delle aste centralizzate che, laddove è stato adottato, ad esempio nella regione Umbria, ha portato ad una diminuzione della spesa per l'acquisto di alcuni beni dell'ordine del 38 per cento.

Tali meccanismi di risparmio riguardano anche l'organizzazione del modello ospedaliero, con la diminuzione ad esempio del numero dei posti letto per mille abitanti, che è prevista nell'accordo, e con la riconversione del sistema ospedaliero verso un sistema di medicina territoriale probabilmente meno costoso e più efficiente.

Tutto ciò riguarda il momento attuale, la fase di passaggio; nel futuro dovranno essere assunti ulteriori provvedimenti. È chiaro che il sistema sanitario non può basarsi esclusivamente su moduli di carattere finanziario, ma deve trovare la propria ragion d'essere nell'organizzazione di un servizio efficiente a favore della popolazione.

È dunque indispensabile valutare modelli organizzativi diversi e più efficienti; nel citato decreto-legge n. 347 del settembre scorso, è stata prevista la possibilità per le Regioni di sperimentare modelli gestionali nuovi, consentendo libertà di autorganizzazione e introducendo una sorta di meccanismo di competitività fra le Regioni stesse al fine di verificare quali siano i modelli che si adattano meglio e, nell'ambito delle compatibilità finanziarie, siano capaci di offrire un servizio di cura ai cittadini.

In qualche modo bisognerà comunque arrivare a definire un diverso modello di sanità pubblica, che consenta di diminuire la pressione nei confronti del settore pubblico. Stiamo uscendo da un sistema nel quale si riteneva che la sanità fosse tale solo in quanto pubblica; ciò che ha comportato i guai attuali è stata quella sorta di traslazione dei cittadini italiani verso un sistema di sanità pubblica.

Questo ha aumentato enormemente la domanda e ha fatto salire i costi; alcune Regioni, anziché seguire la strada dell'aumento dei costi, del ripiano a piè di lista, hanno seguito la strada della limitazione dell'offerta, che ricorda i vecchi meccanismi dell'economia di comando.

Tutto ciò non ha funzionato; gravare solo sulla sanità pubblica significa giungere all'esplosione del sistema. Bisogna passare ad un sistema misto, che consenta di mantenere una sanità pubblica efficace ed efficiente con livelli di finanziamento compatibili con gli equilibri economici generali, affiancando meccanismi che consentano una ripresa dei sistemi mutuo-assicurativi in modo da garantire a tutti i cittadini il miglior trattamento sanitario.

Signor Presidente, la mia esposizione non può non essere limitata, perché ci troviamo in un periodo transitorio. L'accordo è stato definito soltanto un anno fa; il meccanismo previsto comporta una maggiore responsabilizzazione dei soggetti gestori della sanità, deve misurarsi con l'attuazione difficoltosa di uníimportante innovazione costituzionale e con un crescente bisogno dei cittadini e non può non tenere conto di vincoli finanziari che derivano anche da accordi europei, ai quali non possiamo sottrarci.

Si tratta, in conclusione, di un percorso che è iniziato da poco, ma che costituisce, ad avviso del Governo, líunica strada per poter garantire un servizio sanitario pubblico efficiente a livelli di spesa compatibili con gli equilibri economici generali. (Applausi dai Gruppi FI e UDC:CCD-CDU-DE ).

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle comunicazioni del Governo.

È iscritto a parlare il senatore Pagliarulo. Ne ha facoltà.

PAGLIARULO (Misto-Com). Signor Presidente, mi limiterò a poche considerazioni.

La spesa sanitaria in Italia è attorno al 6 per cento del PIL: così diceva, se non sbaglio, il Sottosegretario; in Europa, però, mi risulta che essa si attesti al 7 per cento. Al di là della retorica ricorrente sullíeccesso di spesa, la verità è uníaltra: la spesa sanitaria in Italia deve essere aumentata, non diminuita.

Certo, cíè un disavanzo, ma se ne ricerchiamo le ragioni a me pare che non sia causato solo dalla spesa sanitaria ma anche dallíaccreditamento selvaggio dei privati che ha aumentato i costi, oltre che i rischi sanitari. Invece di operare correzioni e di individuare in modo differenziato, Regione per Regione, i motivi del disavanzo, si mettono le Regioni sullo stesso piano. Il motivo è semplice: si vuole rendere incompatibile il sistema del finanziamento pubblico del Servizio sanitario nazionale.

La sanità invece si governa ponendo al centro la programmazione e contrastando líaziendalizzazione e il primato del fatturato. Líaccordo dellí8 agosto, di cui parlava il Sottosegretario, partiva già da una sottostima di 6.000 miliardi di vecchie lire, come aveva dichiarato Ghigo; quellíaccordo sta causando, come ha detto in altre parole il Sottosegretario, líaumento delle tasse, líintroduzione di ticket e il taglio dei servizi.

Io penso che la linea che il Governo persegue richiami quella seguita dallíonorevole Formigoni: si vuol fare entrare capitali privati, come i soggetti assicuratori; si vuole aprire alle fondazioni; si vuole far uscire i ceti più ricchi dal sistema di finanziamento. È questo il punto più allarmante, perché così si indebolisce il sistema di finanziamento e si introducono due sistemi sanitari: quello dei ricchi e quello dei poveri.

È questo il diverso modello di sanità pubblica di cui parla il Sottosegretario? Si sappia che stiamo andando - come è stato detto - verso un sistema misto: altro che efficacia ed efficienza del sistema pubblico! Andiamo verso un sistema inefficace e inefficiente per la stragrande maggioranza della popolazione.

Assieme si sta cercando, per i dipendenti del settore sanitario, di demolire la contrattazione nazionale passando a quella regionale: come per la scuola e per il lavoro, líattacco è alle fondamenta.

Noi ci batteremo per un DPEF che salvaguardi il modello pubblico universalistico e il suo sistema di funzionamento. (Applausi dai Gruppi Misto-Com, Misto-RC e DS-U).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Sodano Tommaso. Ne ha facoltà.

SODANO Tommaso (Misto-RC). Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, nella relazione sulla situazione economica del Paese è stato evidenziato un incremento della spesa sanitaria rispetto alla situazione dellíanno precedente. La parte maggiore di tale aumento viene imputata alla spesa farmaceutica (+ 32,6 per cento, ci diceva il sottosegretario Vegas) e alla spesa ospedaliera, mentre vi è una contrazione di altre prestazioni e degli investimenti nel settore sanitario.

Líelemento critico, evidenziato anche dallíanalisi qui svolta, della spesa sanitaria si ritiene prevalentemente riconducibile allíaumento della spesa farmaceutica, da imputare - come ci hanno detto in molti - allíeffetto dellíeliminazione dei ticket sui farmaci.

In merito, desidero svolgere due brevi considerazioni. In primo luogo, per effetto della legge finanziaria del 2001 avrebbero dovuto essere eliminati tutti i ticket, ma líabolizione di quelli sulla diagnostica è stata prorogata, anzi è stato annunciato che si vogliono reinserire in via definitiva. Relativamente al maggiore costo derivante dallíeliminazione dei ticket, quantificato in circa 2.500 miliardi di vecchie lire, il precedente Governo aveva stanziato il rimborso alle Regioni e comunque tale cifra è molto più bassa rispetto alla maggiore spesa di circa 7.000 miliardi di vecchie lire che è stata evidenziata.

A nostro avviso, líallarme lanciato per líaumento della spesa sanitaria è del tutto strumentale e finalizzato ad eliminare una misura di equità (quella dellíeliminazione dei ticket) e a colpevolizzare gli utenti, rei di fare uso dei farmaci. Non solo, ma questo attacco allarmistico ha anche lo scopo di nascondere quanto poco in Italia si spenda per la sanità pubblica.

È stato detto che si sarebbe dovuto arrivare al 6 per cento del PIL, ma i dati OCSE mostrano che siamo ancora al 5,5 per cento e comunque al di sotto della soglia europea e molto al di sotto dei Paesi a noi vicini, come la Francia e la Germania. In effetti líincidenza della spesa sanitaria sul PIL è passata dal 6 per cento del 1990 al 5,5 per cento (sono dati ISTAT), mentre in altri Paesi europei, nello stesso periodo, è aumentata dello 0,8 per cento.

A nostro avviso il primo problema che si pone è che una spesa sanitaria così bassa e che si vuole a tutti i costi mantenere, anzi contrarre, può avere una sola soluzione: tagli del personale, di strutture o di interventi. E se, fino ad oggi, per effetto della riforma sanitaria del 1978 si sono avuti buoni risultati in termini di salute per la popolazione, non vorremmo fare la fine dellíInghilterra che, dopo la mannaia della Thatcher, a fronte di una situazione che vantava un livello di prestazioni tra le più avanzate oggi ha una sanità notevolmente peggiorata.

Il primo discorso da affrontare è quello dell'aumento della spesa sanitaria. Non che non ci siano ancora delle economie che possano essere fatte, ma non basta. Intanto, rispetto agli sprechi e alle disfunzioni presenti, si è visto che non sono i direttori generali coloro che in modo più autentico sono in grado di intervenire. Basti pensare al giudizio negativo espresso nei confronti di alcuni ospedali come quelli di Milano e Torino, con la gestione illecita di alcuni appalti.

Per intervenire sugli sprechi è necessario informare e rendere partecipi i cittadini. Noi vorremmo che l'esperienza del bilancio partecipativo che stanno facendo alcune amministrazioni pubbliche si estendesse anche al settore sanitario, coinvolgendo così i cittadini, come previsto dalla legge n. 229 del 1999 allíarticolo 14.

Crediamo che il Governo, con questo clima e anche con l'allarme lanciato ieri dalla Corte dei conti, voglia portare un ultimo attacco alla sanità pubblica. Si finge di ignorare che molte Regioni hanno già provveduto, per scelta o per costrizione, a reintrodurre l'imposizione dei ticket sui farmaci in maniera diversificata l'una dall'altra. L'idea è di realizzare ventuno sistemi sanitari diversi, annullando nei fatti l'universalità del diritto alla salute.

Ci opporremo con tutte le nostre forze a questo disegno e vigileremo sul rispetto degli impegni che qui il Sottosegretario ha assunto rispetto alla non applicazione di ticket su scala nazionale. Credo però che la vera battaglia sarà sul prossimo DPEF e sulla finanziaria al fine di garantire l'universalità del sistema sanitario.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Magri. Ne ha facoltà.

MAGRI (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, la prima preoccupazione che sorge su questo argomento è quella di riuscire - come diceva giustamente il sottosegretario Vegas - a guardare anche al futuro. Ho letto ieri su "Il Sole 24 Ore" grosso modo quello che egli ha avuto la bontà di riassumerci oggi, devo dire con qualche preoccupazione perché non vedo punti fermi, punti di arrivo. Non dico che non vedo certezze perché queste non fanno parte dell'umana condizione, ma non vedo nemmeno impegni da rispettare a termine.

Questo è per noi un dato estremamente grave nella misura in cui si tende ad enfatizzare il famoso accordo dell'8 agosto 2001 come un punto fermo nella programmazione sanitaria di questo Paese. Quell'accordo, sulla cui consistenza tecnica abbiamo più volte espresso critiche durissime, si è dimostrato fallace fin dall'inizio.

È vero che il Governo ci ha detto che le misure e i provvedimenti erano stati proposti dalla componente regionale, ed è vero che gli assessori regionali alla sanità di diverse Regioni hanno richiamato più volte la propria paternità sulla formulazione tecnica del provvedimento. È anche vero però che quando abbiamo dovuto affrontare in quest'Aula le conseguenze di quel provvedimento dal punto di vista legislativo fummo fin troppo facili profeti nel prevedere il reiterarsi di tanti piccoli provvedimenti, praticamente a scadenza mensile, per cercare di porre rimedio ad un intervento che si dimostrò fallace già il mese successivo.

Lo dico ovviamente con un poí di dispiacere, senza nessuna iattanza, essendo io orgogliosamente componente della maggioranza, credendo in essa e sostenendo lealmente e con fiducia questo Governo. Ritengo però che si debba avere l'onestà intellettuale di riconoscere che qualche passo diverso deve essere compiuto.

Finché ci ostineremo a valutare solo con parametri di macroeconomia, quasi si trattasse di un fenomeno industriale, la sanità non riusciremo ad avere valutazioni corrispondenti a quei parametri di qualità che sono necessari e fondamentali quando si legifera e si interviene in questo campo.

Ho visto con estremo dispiacere il fatto che il disegno di legge n. 1425, l'ultimo degli ennesimi provvedimenti che questo Governo ha sfornato per cercare di contenere la spesa sanitaria, sia stato discusso con un banale parere (lo definisco tale perché l'ho formulato io stesso) nella Commissione sanità, mentre mi risulta sia stato discusso in modo approfondito nelle Commissioni bilancio e finanze.

Ecco, non vorrei trovarmi domani di fronte a un ennesimo provvedimento del Consiglio dei ministri e poi ad un provvedimento di legge, magari discusso tra qualche tempo nelle Commissioni finanze, bilancio, o in altre, che magari noi della Commissione sanità veniamo a conoscere in ritardo e in ordine al quale continueremo a fare le Cassandre prevedendo cose che regolarmente si verificano.

Faccio líennesima, piccola e facile previsione, perché non sono un genio, sono probabilmente uno stupido educato: se noi in breve tempo, come dice la Corte dei conti (perché la relazione della Corte dei conti va letta tutta e non va citata solo ad usum delphini), non avremo il coraggio a livello nazionale di istituire un ticket cosiddetto leggero, di contenimento, noi da questa situazione non verremo fuori. E non voglio sentire líipocrisia del "no al ticket" quando già ci sono otto regioni che autonomamente lo hanno instaurato.

Non voglio nemmeno sentire dei discorsi in base ai quali si continuano a fare provvedimenti sporadici sul farmaceutico quando questo settore nel mondo occidentale oscilla tra il 10 e il 12 per cento della spesa sanitaria complessiva.

Noi non abbiamo il coraggio di parlare degli sprechi nellíedilizia sanitaria (pensiamo allíaumento del 40 per cento del biennio 1999-2000); non abbiamo il coraggio di imporre il "riccometro", di imporre líOsservatorio per le spese nel biomedicale, di andare a vedere le cosiddette ristrutturazioni straordinarie nei policlinici, laddove líedilizia sanitaria diventa la fonte di spesa principale.

Su che cosa ragioniamo? Andiamo a proporre, probabilmente domani, la sesta o settima modifica nel settore della farmaceutica in soli sei mesi. Credo che un industriale serio che debba programmare la propria azienda, almeno sulla base di una budgettizzazione annuale, abbia qualche problema ad inseguire queste molteplici modifiche del Governo. Dovrebbero essere magari provvedimenti tampone, in attesa di una programmazione di lungo periodo, con qualche segnale un poí più importante, magari preso dalla letteratura internazionale, perché qui noi non inventiamo niente.

Nel "patto scellerato" dellí8 agosto 2001 le Regioni ci imposero alcuni modelli di contenimento della spesa farmaceutica, vedi il famoso farmaco di riferimento, che in quei giorni la Norvegia stava abbandonando e che Gran Bretagna e Stati Uniti avevano abbandonato da anni. Esiste tutta una letteratura nel campo della farmaco-economia su cui noi cerchiamo, non si sa bene perché, di non mettere mano.

Pazienza, fino a quando le Regioni avranno questo tipo di atteggiamento e di riferimenti, in una visione, bontà loro, da me combattuta di neocentralismo regionale su posizioni contrattualistiche verso il Governo. Oggi però il Governo deve avere il coraggio e la forza di riaffermare che esistono tre problemi fondamentali: la programmazione, la gestione e un solidarismo (o un federalismo solidale, chiamiamolo come vogliamo) che dobbiamo costruire.

Non possiamo considerare uníItalia a diverse velocità, come al termine di un procedimento già concluso, perché - vedete - alla fine, in questo caso, non è un problema di sofferenza di qualche industria ma un problema che investe la salute dei nostri concittadini. (Applausi dal Gruppo UDC:CCD-CDU-DE).

CARELLA (Verdi-U). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARELLA (Verdi-U). Signor Presidente, signor Sottosegretario Vegas, signor sottosegretario Cursi, devo dire la verità: mi aspettavo molto di più da questa comunicazione del Governo.

Al di là delle questioni che riguardano gli addetti ai lavori (parlo a nome della 12a Commissione del Senato, di cui sono componente), chi ha letto la stampa nazionale avrà visto che in tutti i quotidiani veniva riportato il grande tema della spesa sanitaria, con le osservazioni della Corte dei conti, il continuo ritornare su questi argomenti da parte del Governatore della Banca díItalia e della stessa Confindustria.

Appare evidente che ci troviamo di fronte ad un problema serio, che incomincia a preoccupare seriamente i cittadini che devono affrontare le questioni che riguardano la salute. Anche alla luce di quanto ho ascoltato questo pomeriggio, non possiamo nasconderci che ci troviamo nella confusione più totale. Ci troviamo cioè di fronte ad uníesposizione del sottosegretario Vegas abbastanza tranquillizzante.

In fondo, sembra dire, non si capisce di cosa ci dobbiamo preoccupare, c'è un allarmismo diffuso e immotivato. Non si vorrà sostenere che la stampa sia di parte, perché tutta la stampa pone questa grande questione della spesa sanitaria.

Poi ascoltiamo líintervento del collega Magri il quale, con grande onestà intellettuale di cui dobbiamo dargli atto, dice esattamente le cose come stanno. Dice che in realtà quel famoso accordo dell'8 agosto 2001 è stato un accordo - bisogna avere il coraggio di dirlo - "scellerato"; il fatto che l'abbiano sottoscritto tutte le Regioni non significa che esso sia positivo per i cittadini.

Con questo "accordo scellerato" il Governo ha messo poche briciole sul tavolo (penso ai fagioli o ai ceci con cui fu ringraziato Garibaldi quando si fece l'unità d'Italia), ma le conseguenze di quell'accordo le hanno pagate poi i cittadini nel corso dell'ultimo anno, dato che è quasi passato un anno dall'8 agosto del 2001.

Dico questo perché è ancora singolare quanto affermato ieri dal sottosegretario Vegas, ma anche dal ministro Sirchia ieri da Lussemburgo, cioè che il Governo non introdurrà nuovi ticket . Ma che bisogno c'è di introdurre nuovi ticket quando li hanno già introdotti le Regioni?

Vorrei citare dei dati, anche per rendere giustizia ai nostri resoconti parlamentari. Lazio: 1 euro a pezzo, due pezzi per ricetta; Sicilia: 13 euro per le cure di pronto soccorso; fascia A, farmaci essenziali, gratuiti; fascia B, ticket al 50 per cento; Lombardia: escluso il rimborso su alcuni farmaci di fascia B; Sardegna: ticket al 20 per cento su farmaci di fascia B1, ticket al 50 per cento su farmaci di fascia B2; Veneto: 1 euro per ricetta (un euro sono circa 2.000 vecchie lire, ricordiamocelo!); Liguria: 2 euro al pezzo, tre pezzi per ricetta; Piemonte: 2 euro a pezzo, 4 euro a prescrizione; Campania: due confezioni al massimo per prescrizione; Puglia: non rimborsabili alcuni farmaci di fascia B1 e B2; Calabria 1 euro a ricetta.

Qui la fantasia è la più ampia e stiamo correndo il rischio di avere ventuno repubbliche sanitarie. Se un cittadino da Roma si reca in Piemonte, non sa con che criterio potrà andare in farmacia ad acquistare medicinali: abbiamo ormai 21 sistemi diversi.

I ticket già sono stati introdotti, e quindi non c'è bisogno che il Governo ne introduca dei nuovi. Questi ticket sono il risultato di quell'accordo Stato-Regioni dell'agosto dell'anno scorso, perché era impossibile che le Regioni potessero mantenere gli impegni assunti e sottoscritti nell'agosto del 2001.

Sono d'accordo con quanto sostenevano i colleghi Pagliarulo e Sodano: si sta facendo tutto questo chiasso sulla spesa farmaceutica perché in realtà l'obiettivo del Governo (e lo ha detto in maniera squisita il sottosegretario Vegas) è molto più alto: è quello di pensare ad un diverso sistema sanitario, un sistema ben diverso da quello che noi vogliamo sostenere, cioè un servizio sanitario pubblico universale che abbia l'obiettivo di garantire il diritto alla salute sancito dall'articolo 32 dalla Carta costituzionale in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. Si pensa a un nuovo sistema sanitario in cui finalmente si spiana la strada al business del privato. Questo è il nocciolo della questione, ma si enfatizza l'aspetto della spesa farmaceutica.

E allora, sottosegretario Vegas, con tutta la stima che ho nei suoi confronti, si può veramente sostenere che l'incremento della spesa farmaceutica sia la conseguenza dell'abolizione dei ticket, quando l'esclusione dal pagamento dei ticket costava 2.500 miliardi, se i dati sono quelli che lei ha ricordato?

Credo che i problemi siano tre, quelli che lei individua, a cominciare dalla riorganizzazione del sistema sanitario. Con le proposte di modifica avanzate, in particolare la modifica dellíarticolo 117 della Costituzione, come è possibile pensare di programmare un sistema sanitario efficiente se la materia sanitaria, secondo le intenzioni del Governo, diventerà materia esclusiva delle Regioni? Quali saranno i meccanismi di controllo per garantire il diritto alla salute sancito dalla Carta costituzionale?

Questi sono i veri problemi di cui dobbiamo discutere, altrimenti rischiamo di confondere le carte. (Applausi dai Gruppi Verdi-U e DS-U).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Boldi. Ne ha facoltà.

BOLDI (LP). Signor Presidente, avevo preparato un certo tipo di intervento, ma dopo aver sentito i colleghi devo cambiarne líimpostazione. Vorrei ricordare a chi ha parlato - della maggioranza ma anche dellíopposizione - che la modifica del Titolo V che ha posto la materia sanitaria in capo alle Regioni non líabbiamo fatta noi, ce la siamo trovata. Noi addirittura non abbiamo nemmeno sostenuto il referendum che la sanciva: è un qualcosa che ci siamo trovati.

Fatta questa precisazione, perché è assurdo sentire colleghi andare contro quello che loro stessi hanno sollecitato, vorrei puntualizzare due aspetti, a cominciare dalla spesa sanitaria e dal rapporto tra questíultima e il PIL. Al riguardo, mi trovo perfettamente díaccordo con il sottosegretario Vegas, quando afferma che per anni la spesa sanitaria è stata sottostimata in quanto ciò era più comodo per non portarla ad incidere sulla spesa globale e per tirarla fuori alla fine. In questo modo, però, abbiamo abituato tutti a tendere la mano per chiedere ripiani a piè di lista a fine gestione. E questo non va.

Uno sforzo questo Governo líha fatto perché proprio in quello che è stato chiamato "patto scellerato" il rapporto della spesa sanitaria con il PIL è almeno arrivato al 6 per cento. Siamo comunque un poí sotto la media europea, perché ci sono Paesi dellíUnione dove effettivamente questo rapporto è più alto. Quindi forse cíè una sottostima delle necessità della sanità.

Per quanto concerne la spesa farmaceutica, apprezzo líatteggiamento del Governo che è quello di lasciar decidere ad ogni Regione cosa intende fare. È giusto che sia così perché, se abbiamo stabilito che ogni Regione ha la possibilità di decidere come gestire la sua sanità, ogni Regione saprà quali decisioni prendere in base alla quantità della spesa farmaceutica, agli incrementi, alle politiche di riduzione e di accorpamento degli ospedali (quindi dei posti letto), alle politiche relative agli approvvigionamenti e alle spese. Anzi, avrei ritenuto uníingerenza non appropriata del Governo decidere un ticket uguale per tutte le Regioni italiane.

Faccio notare che non è vero che il ticket non è servito, perché nelle Regioni che, come il Piemonte, la mia Regione, hanno introdotto il ticket di due euro la spesa farmaceutica si è notevolmente abbassata. A questa decisione è stata anche parzialmente attribuita la colpa del recentissimo risultato elettorale in Piemonte, ma la spesa farmaceutica si è abbassata. Meno efficaci sono stati i provvedimenti presi in altre Regioni, dove ticket di un euro o semplici manovre di spostamento dei farmaci dalle liste non hanno ottenuto gli stessi risultati.

Quindi, dal mio punto di vista, dal punto di vista di chi è convinto che la sanità debba diventare di competenza esclusiva delle Regioni, direi che questo atteggiamento del Governo è giusto. Diverso è invece il fatto di pensare che al Ministero della salute debbano rimanere alcune funzioni di monitoraggio e di controllo degli andamenti non solo della spesa sanitaria, ma anche della qualità delle prestazioni sanitarie. Ciò dovrebbe essere garantito dallíintroduzione dei LEA e da quella commissione di monitoraggio, che dovrebbe operare trimestralmente o semestralmente, introdotta sempre con quel famoso decreto.

Detto questo, anchíio a volte, sono quantomeno stupita ñ ed in questo concordo con gli altri componenti della Commissione sanità ñ dello scarso coinvolgimento della Sanità nelle scelte che si fanno sulla sanità. Non so se il concetto che ho espresso è chiaro, ma credo che ci debbano essere uno scambio e una sinergia maggiori tra il Ministero dellíeconomia e delle finanze e quello della salute quando si vogliono prendere decisioni relative alla salute dei cittadini. (Applausi dai Gruppi LP, FI e del senatore Mascioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Liguori. Ne ha facoltà.

LIGUORI (Mar-DL-U). Signor Presidente, ringrazio e saluto i tre Sottosegretari oggi presenti in Aula. Mi sembra che ciò rappresenti un progresso rispetto alla discussione sul decreto-legge n. 63 del 2002, il cosiddetto salva-deficit, in cui il rappresentante del Governo per la Sanità era assente. Si tratta di un piccolo passo in avanti, anche se è una presenza silenziosa. Ieri era un silenzio legato ad uníassenza, oggi ad una presenza.

Se volessi in qualche modo essere incoraggiato dallíintervento del collega Magri, dovrei cominciare il mio intervento con una battuta, nel senso che dovrei chiedermi come si può parlare di allarme per la sanità, di contenimento della spesa in tale settore, se questo federalismo strabico che si è iniziato a perseguire, proprio nel già richiamato decreto-legge n. 63 ha previsto un finanziamento libero di 851 miliardi di vecchie lire attraverso la regione Lazio, per il cosiddetto risanamento del Policlinico Umberto I.

Siccome, però, ci dobbiamo sforzare di essere quanto più puntuali possibili rispetto ai dati richiamati dal sottosegretario Vegas senza alcuna alterazione nella sua relazione, sarà necessario metterli in ordine inserendoli nel giusto contesto, assai complesso, della sanità italiana.

Dovremmo innanzitutto dire che se è vero che appare allarmante, come sostiene la stessa Corte dei conti - la relazione va letta in tutte le sue angolazioni - il tasso di crescita del fabbisogno sanitario, che nel 2001 è stato di 142.000 miliardi (circa 73.500 milioni di euro) con un incremento del 6,2 per cento, è altrettanto vero che il picco del 2000 del 9 per cento rispetto al 1999 si è ridotto sensibilmente. Quindi, la ragione dellíallarme - se questo è effettivamente il trend - non è molto giustificata.

Se sono veri - e credo che lo siano, così come lo sono i dati richiamati dal Sottosegretario - i dati riportati nel resoconto dellíOsservatorio sulla terza età presso la Comunità europea (questo è il vero punto che dovremmo cominciare ad inquadrare), risulta uníevoluzione della spesa pubblica per la sanità in rapporto al PIL sostanzialmente invariata, nel senso che la demografia della nostra Italia si trasforma: se nel 1975 vi erano 17,5 milioni di giovani sotto i 20 anni e 9 milioni di ultrasessantenni oggi questi rapporti stanno per invertirsi e si invertiranno ancor di più nella proiezione per il 2010 e per il 2025.

Indipendentemente dalla questione, che talvolta sfiora il populismo, se vogliamo fare la sanità degli abbienti o dei non abbienti, dovremmo capire, più semplicemente, se vogliamo fare una sanità per curare solo coloro che hanno uníetà che arriva fino ai 40 anni o ai 50 anni o se vogliamo curare anche coloro che hanno uníetà di 70 anni. Questo nellíaccezione più semplice: la qualità della vita migliora e gli anni che viviamo sono di più perché ci sono farmaci che vengono normalmente comprati ed assunti, perché ci sono interventi chirurgici fino a ieri impensabili che oggi vengono portati a termine con successo e che devono continuare ad essere fatti con successo.

Vedete, ridurre il problema della sanità (e non lo ha fatto il Sottosegretario, non voglio dire questo) allo sfondamento della spesa farmaceutica è davvero una piccola cosa. Il problema della spesa farmaceutica è antico e ieri (fino al 1999-2000) riguardava prevalentemente quattro Regioni díItalia (la Campania, il Lazio, la Puglia e la Sicilia) che rappresentavano da sole lí80 per cento dello sfondamento nazionale.

Certo, oggi il problema è diventato più consistente, probabilmente anche per líeliminazione, o meglio per la riduzione del ticket. Io credo però che sia (e mi incoraggia líintervento svolto dal senatore Magri) un gesto di ipocrisia e anche di vigliaccheria affermare che non si vogliono adottare nuovamente i ticket, nel senso (e lo ha spiegato bene il senatore Carella) che il problema in qualche modo è stato devoluto alle Regioni che - presto o tardi - dovranno reintrodurre i ticket. Quindi il problema non è di ordine morale, ma di opportunità politica, che riusciamo anche a capire seppure non a condividere.

Allora, se è vero quanto ci mostrano i dati, dovremmo dire che per la spesa farmaceutica lo Stato italiano riserva per ciascun cranio 201,25 euro, la Gran Bretagna ne riserva 209, la Francia 265 e la Germania 266.

Poi ci sono gli argomenti di ordine generale. Siamo arrivati a questo 6 per cento del PIL nel tentativo di non fare più sottostime, sbagliate nel passato e nel presente. Non è serio, infatti, fare un accordo nellíagosto 2001 e sette mesi dopo dover aggiungere altri 2000 miliardi di vecchie lire a quanto si era ratificato.

Se siamo un Paese maturo (e spero davvero che quello della maturità del nostro Paese possa essere un patrimonio comune), non dobbiamo allinearci alla Grecia o alla Spagna, che riservano meno del 6 per cento del PIL alla spesa sanitaria, ma alla Francia, che le riserva una percentuale del 7,3 e alla Germania, più volte invocata dal ministro Sirchia come esempio per le assicurazioni integrative. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U e Verdi-U).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Tonini. Ne ha facoltà.

TONINI (DS-U). Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, credo che il dibattito di oggi presenti elementi di grande interesse, perché conferma la nostra sensazione (che avvertiamo non da oggi) che ci sia una certa confusione strategica nella maggioranza rispetto al problema del governo della sanità. Cíè innanzitutto un problema istituzionale, che riguarda la regia di questo Governo.

Vorrei ricordare a tutti noi che il Governo, nella prima seduta del Consiglio dei ministri, con un decreto di dubbia opportunità costituzionale, volle reintrodurre, con una scelta decisa, il Ministero della salute e tuttavia in questi mesi, ogni volta che ci è stato un passaggio importante nel governo del sistema sanitario, abbiamo avuto come interlocutore principale il Ministero dellíeconomia, con disagio evidente anche nella stessa maggioranza di Governo su questo tema.

Il Ministero della salute tende ad essere assente o relegato sullo sfondo nei passaggi delicati e fondamentali. Cíè una preponderanza assoluta del Ministero dell'economia che lascia immaginare anche uno schema culturale che vede nel tema della salute innanzitutto un problema finanziario piuttosto che una questione di civiltà all'interno del Paese.

Dopodiché assistiamo ad un disegno di legge sulla devolution - rispetto al quale si è in attesa dei pareri della competenti Commissioni del Senato - che rende competenza esclusiva delle Regioni la materia relativa all'organizzazione e all'assistenza sanitaria, deprivando sostanzialmente di qualunque ruolo, persino di regia, il Ministero della salute.

Se la presente è una direzione di marcia che verrà confermata, bisogna allora capire che senso abbia avuto la forzatura di ripristinare con un atto quasi di imperio il Ministero della salute quando poi lo si considera come una presenza marginale. Sottolineo che è stata necessaria la nostra insistenza per poter avere oggi qui in Aula la presenza silenziosa - come è stata definita dal collega Liguori - del sottosegretario Cursi che ringraziamo, anche se dobbiamo comunque esprimere questo disagio ed imbarazzo istituzionale.

Esiste poi un problema di confusione strategica sul governo della sanità. Infatti, sono stati espressi alcuni giudizi da parte di esponenti autorevoli della maggioranza che considerano addirittura "scellerato" l'accordo dello scorso 8 agosto, successivamente tradotto in legge.

Di tale accordo consideriamo almeno un aspetto come positivo, quello di rendere trasparente la diversa resa dei modelli in atto nelle diverse Regioni. Aspetto, questo, che ci può consentire una discussione non solo accademica, per esempio sul rapporto pubblico-privato, evocato alla fine del suo intervento dal sottosegretario Vegas.

Un dato sotto gli occhi di tutti è che i modelli che hanno migliore resa, anche in termini di equilibrio finanziario e quindi di efficienza del sistema medesimo, sono proprio i modelli a forte regia pubblica. Se la pur giusta preoccupazione per una dinamica di incremento della spesa (conseguenza in modo particolare dell'invecchiamento della popolazione e dell'innovazione tecnologica che comporta costosi problemi di gestione) si traduce nell'invocazione di maggiore privatizzazione del sistema, di fatto ci si pone di fronte ad una scelta.

Se la privatizzazione è quella che conosciamo e che abbiamo visto in particolare in Lombardia e nelle altre Regioni del Nord gestite dal centro-destra, per non parlare poi di quelle del Sud, possiamo senz'altro affermare che essa ha portato ad una dilatazione continua della spesa. Si tratta di una privatizzazione finta, che si traduce nella corsa all'accreditamento di strutture private a spese del pubblico. Chiamiamola privatizzazione!

In realtà, abbiamo assistito ad una crescita esponenziale della spesa che ha portato ad una situazione di impasse critico questi modelli. Se invece andiamo verso una privatizzazione dura, allora procediamo verso un ridimensionamento dei livelli essenziali di assistenza da parte del pubblico e verso una entrata massiccia nel sistema assicurativo di tipo privatistico, con enormi problemi di equità, dei quali sarebbe bene che il Paese potesse discutere.

Riteniamo quindi necessario chiedere al Governo maggiori delucidazioni su questo aspetto: che cosa vuol dire sottosegretario Vegas, che si va verso una maggiore presenza di elementi di privato, di privatizzazione nell'ambito del sistema?

Infine, non è del tutto chiaro quale sia il giudizio del Governo rispetto all'attuale situazione della spesa. Si oscilla infatti tra comunicazioni di allarme per l'equilibrio della spesa, provenienti anche da fonte autorevole, il Presidente del Consiglio, ed atti parlamentari che vanno in tutt'altra direzione. Mi riferisco all'accoglimento di emendamenti alla Camera, durante l'esame del decreto salva deficit, che testimoniano un maggiore ottimismo rispetto all'equilibrio finanziario.

Chiediamo dati più certi, a partire da un monitoraggio più ravvicinato di alcune misure di razionalizzazione introdotte dall'accordo del 2001, riguardanti i farmaci e gli acquisti centralizzati, delle quali non abbiamo capito l'impatto sulla spesa. (Applausi dai Gruppi DS-U e Mar-DL-U)

PRESIDENTE.È iscritto a parlare il senatore Sanzarello. Ne ha facoltà.

SANZARELLO (FI). Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il dibattito svoltosi questa sera, senza riflettori e con pochi uditori, grazie alla relazione introduttiva del sottosegretario Vegas ha rimesso le cose al giusto posto. Dopo gli allarmi lanciati dalla Corte dei conti, dalla Banca europea e dal Fondo monetario internazionale, in ragione dell'accelerazione della spesa sanitaria in Italia, si era creata una certa mistificazione intorno al problema, che non è stato considerato nella sua essenza.

La sintetica, lapidaria relazione del Sottosegretario ha rimesso le cose in riga dal punto di vista cronologico e fattuale. Voglio ricordare, nel solco di quanto è stato detto, che dopo l'insediamento del nuovo Governo, allorché è stato nuovamente istituito il Ministero della salute che era stato soppresso, l'Esecutivo ha dovuto fare i conti con l'esplosione di una bomba ad orologeria, che era stata piazzata un anno prima. Mi riferisco alla rimozione dei ticket: nessuno coltivava illusioni su tale misura.

L'ordigno è deflagrato secondo modalità che sono sotto gli occhi di tutti. Tuttavia, poiché vi era un impegno da parte della coalizione diventata maggioranza di non ripristinare i ticket ciò non è accaduto e ci si è fatti carico, prima con il Documento di programmazione economico-finanziaria e poi con il decreto n. 347 del 2001, di rifinanziare la sanità. Anche se impropriamente quel decreto fu chiamato taglia-spese, esso ripianava i disavanzi delle Regioni, sollevando il tappeto che aveva coperto l'immondizia, quantificandola e rimuovendola. Quella normativa, oltre a ripianare i conti delle Regioni, ha rifinanziato il Fondo sanitario riportandolo, come è stato riconosciuto anche dall'opposizione, nella media europea, a quel quasi 6 per cento che nel passato era un sogno.

A causa di un'altra bomba ad orologeria - il modello di federalismo che l'attuale opposizione ha sostenuto nella precedente legislatura - ci troviamo a fare i conti con una Conferenza Stato-Regioni accresciuta nel proprio ruolo e nella propria capacità di contrattazione. Abbiamo detto in tutte le occasioni che vi è stata un'incapacità da parte delle Regioni nel capire fino in fondo a che cosa andavano incontro con la sottoscrizione di impegni che non avrebbero potuto mantenere. Sapevamo tutti che il tetto del 13 per cento non sarebbe stato mantenuto, soprattutto da alcune Regioni, perché la velocità di crescita della spesa, grazie alla rimozione dei ticket, era talmente alta da non poter essere frenata nel giro di qualche mese.

Poiché il limite del 13 per cento era stato inserito nel patto di stabilità, il suo mancato rispetto ha fatto esplodere il grande scandalo. Se quella percentuale non fosse stata inserita nel patto di stabilità, in maniera separata, e se la spesa farmaceutica fosse stata collocata nell'ambito del Fondo sanitario nazionale e delle risorse distribuite alle Regioni, ciò non sarebbe probabilmente successo.

La legge n. 405 del 2001 non era però solo questo, era anche razionalizzazione degli acquisti, ulteriore riduzione dei posti letto; essa rappresentava una razionalizzazione complessiva e anche il tentativo di mantenere un ruolo, che a mio avviso ci deve essere, del Ministero responsabile della sanità.

Al riguardo, condivido quanto è stato evidenziato da tutti i colleghi: se è stato mantenuto il Ministero della salute occorre che esso abbia un ruolo maggiore, che sia visibile. Colgo spesso imbarazzo nella struttura e nei rappresentanti del Governo che fanno capo al Ministero dellíeconomia per il doversi occupare di dettagli che a volte sono squisitamente sanitari piuttosto che di macroeconomia, la quale deve certamente sovrintendere alla sanità, ma non più di tanto.

Nel corso di questo anno la maggioranza ha dovuto affrontare tutto questo: fare i conti con la rimozione del ticket e con uníincapacità delle Regioni ad autogovernarsi che ci deve illuminare - desidero dirlo con estrema chiarezza - su quello che dovrà essere il federalismo futuro, soprattutto per quanto riguarda la sanità. Le ventuno diverse sanità sono alla porta, líarticolo 32 della Costituzione è in vigore.

Occorre allora, sulla scorta degli errori commessi nellíapplicazione della legge n. 405 del 2001 o dellíaccordo dell'8 agosto 2001 che personalmente non definisco "scellerato" (certamente non per volontà del Governo, che aveva cercato di prendere tutte le precauzioni possibili ed immaginabili), ma che comunque ha mostrato numerosi limiti cui dobbiamo, apportare correzioni e modifiche, ora e per il futuro. Diversamente, se nelle Regioni non si riesce ad effettuare una programmazione così come non si è riusciti in questo scorcio di anno, la spesa sanitaria rischia di diventare effettivamente incontrollabile.

Questo è il tema da affrontare: la sanità è stata rifinanziata; il Ministero della salute esiste e dovrà avere un ruolo più visibile ed incisivo; si sono istituiti i LEA che costituiscono un ulteriore vincolo per le Regioni e uníulteriore opportunità di livellare la risposta in termini di salute per i cittadini su tutto il territorio nazionale. Vi è quindi una grande attenzione da parte del Governo e una grande preoccupazione; il livello di guardia è certamente alto e siamo qui insieme a cercare di parare i colpi di una spesa sanitaria che è in continua evoluzione. (Applausi dai Gruppi FI e UDC:CCD-CDU-DE).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione.

Come stabilito dalla Conferenza dei Capigruppo, sospendo brevemente la seduta, che riprenderà alle ore 16,30 con il seguito della discussione del disegno di legge n. 795-B.

(La seduta, sospesa alle ore 16,23, è ripresa alle ore 16,34).

Seguito della discussione del disegno di legge:

(795-B) Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo (Approvato dal Senato e modificato dalla Camera dei deputati) (Relazione orale)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 795-B, già approvato dal Senato e modificato dalla Camera dei deputati.

Ricordo che, ai sensi dell'articolo 104 del Regolamento, oggetto della discussione e delle deliberazioni saranno soltanto le modificazioni apportate dalla Camera dei deputati, salvo la votazione finale.

Ricordo che nella seduta antimeridiana è stata illustrata e respinta una questione pregiudiziale, presentata dal senatore Turroni.

Dichiaro pertanto aperta la discussione generale.

E' iscritto a parlare il senatore Viviani. Ne ha facoltà.

VIVIANI (DS-U). Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, il testo del disegno di legge di riforma dell'immigrazione, dopo le modifiche introdotte dalla Camera non ha subito, a mio parere, sostanziali cambiamenti nella filosofia di fondo, che rimane di segno profondamente discriminatorio, xenofobo e classista nei confronti di chi viene nel nostro Paese per corrispondere a un'esigenza del nostro mercato del lavoro, cercando contemporaneamente - ed è il caso di molti - di uscire da una situazione soggettiva di fame endemica e di povertà. Anzi, alcune novità introdotte nell'altro ramo del Parlamento hanno per certi versi accentuato queste caratteristiche negative.

Si sono, cioè, introdotte alcune modifiche che rendono ancora più rigida la normativa, più onerose e complesse le procedure per i lavoratori immigrati e per le imprese che li assumono, confermando così quel contesto normativo e procedurale fatto di complicazioni burocratiche, di sfiducia pregiudiziale e regole repressive che determinerà fatalmente una moltiplicazione dei clandestini. Tutto ciò, mentre numerose ricerche dimostrano che l'orientamento dei cittadini italiani di fronte al fenomeno dell'immigrazione manifesta posizioni meno radicalmente negative del passato, anche se permane una certa preoccupazione.

In ogni caso, i contenuti del provvedimento al nostro esame contraddicono vistosamente questa tendenza, accentuando una paura e una diffidenza nei confronti degli immigrati che fanno enormemente aumentare le difficoltà di integrazione, al punto che, signor Presidente, quando alla Camera si è cercato formalmente di mitigare alcune misure, lo si è fatto introducendo modalità ulteriormente discriminatorie, a dimostrazione che una cultura condizionata dalla paura e da atteggiamenti xenofobi non cambia i suoi effetti, anche quando le circostanze costringono a fare apparentemente scelte diverse.

Basta constatare come è stata risolta la questione relativa alla regolarizzazione di colf e badanti. Che senso ha stabilire che solo una colf per famiglia può essere regolarizzata? A quale criterio efficace di lotta agli immigrati clandestini obbedisce? L'unica ragione comprensibile appare quella di limitare comunque al massimo le regolarizzazioni, indipendentemente da ogni oggettiva necessità. Si legifera, cioè, sulla base di un pregiudiziale rifiuto dell'immigrato e questo fa compiere scelte sbagliate e discriminatorie.

Altrettanto immotivato appare il pervicace rifiuto di estendere la regolarizzazione alle persone entrate, o divenute irregolari, e che oggi svolgono un lavoro certificato dal datore di lavoro. Perché non si vuole prendere atto che in questi casi è intervenuto un processo di incontro spontaneo tra domanda e offerta di lavoro che è andato a buon fine, come avviene nella quasi totalità delle assunzioni dei lavoratori italiani, e che quindi si sono determinate, sia pure a posteriori, le condizioni, cioè l'esistenza di un normale rapporto di lavoro e un giudizio positivo del datore di lavoro, che legittimano la presenza di queste persone nel nostro Paese?

In seguito alla scontro che si è aperto nella maggioranza alla Camera, il Governo ha assunto l'impegno di affrontare il problema con un provvedimento a parte, che doveva essere contestuale a questa riforma e che invece non ha ancora visto la luce. Se si ritiene che la regolarizzazione sia giusta, perché complicarsi la vita con un altro provvedimento, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, e non invece introdurre ora un emendamento analogo a quello Tabacci, che semplificherebbe le cose per tutti, dal momento che esso consiste nella semplice soppressione di poche parole del testo oggi in discussione?

Di fronte a comportamenti così ambigui e immotivati, è lecito pensare che con tale scelta dilatoria si voglia tentare poi di bloccare la regolarizzazione nel corso dell'iter parlamentare. Eppure gli immigrati rimangono non solo una risorsa, ma una necessità per il nostro Paese. In relazione alle proiezioni demografiche, l'ONU ha ipotizzato per l'Italia la necessità di un flusso di immigrati extracomunitari di circa 300.000 l'anno per garantire un normale sviluppo della nostra vita economica e sociale.

Essendo líattuale livello dei flussi meno di un terzo di tale cifra, la regolarizzazione, oltre allíemersione di una quota di lavoro irregolare con effetti positivi sulle entrate contributive e fiscali, rappresenta un forte fattore di trasparenza del nostro mercato del lavoro e di adeguamento della popolazione lavorativa alle esigenze vitali del Paese.

Ma altri motivi di aggravamento dei caratteri negativi della legge e di ulteriore discriminazione sono stati introdotti alla Camera, signor Presidente. Mi riferisco, ad esempio, alla possibilità prevista per i lavoratori immigrati che ritornano nel Paese di origine di recuperare líammontare dei contributi previdenziali versati durante il rapporto di lavoro solo al compimento del sessantacinquesimo anno di età e calcolati, ovviamente, con il metodo contributivo.

Quale coerenza ha una norma del genere quando la presenza di questi lavoratori nel nostro Paese è resa strutturalmente precaria, visto che il permesso è limitato ad un anno per chi ha un lavoro a termine e a due anni per chi ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato? Líaver spostato allíetà di 65 anni la possibilità di recuperare líammontare dei contributi versati, cioè ad una età che appare sempre più improbabile data la durata del rapporto di lavoro, e la paura di non poter quindi più riscattare i contributi stanno determinando la partenza di un numero consistente di lavoratori regolari dal nostro Paese, che molto probabilmente saranno sostituiti da altrettanti clandestini.

Di particolare curiosità risulta poi la scelta di sottoporre gli immigrati che entrano regolarmente nel nostro Paese ai rilievi fotodattiloscopici e segnaletici, comprese cioè le cosiddette impronte digitali. Líemendamento introdotto alla Camera stabilisce che i lavoratori extracomunitari saranno sottoposti a tale controllo senza alcuna garanzia di riservatezza: ciò è contrario sia ai diritti di integrità garantiti dalla Costituzione, sia alla legge di tutela della privacy.

Anche in questo caso dunque viene confermato líimpianto vessatorio e burocratico che avrà come effetto uníevidente sottrazione di libertà e di dignità al lavoratore immigrato e una complicazione procedurale che renderà più difficile líingresso regolare degli immigrati che vengono a lavorare.

Una verifica di quello che succederà líabbiamo già avuta con la gestione dei flussi di entrata di questíanno, che ha determinato sia per i lavoratori normali che per quelli stagionali una situazione di costante incertezza e precarietà, che in particolare ha inciso profondamente nella regolarità delle attività stagionali connesse allíagricoltura. Ciò è tanto più grave perché le disfunzioni che si sono verificate con le stesse modalità negative riscontrate in passato sono frutto di una gestione strumentale dei flussi, finalizzata a determinare una pressione sulla maggioranza per fare approvare questa legge.

In conclusione, ci troviamo oggi di fronte a un provvedimento che mantiene tutti i limiti già chiaramente emersi durante le discussioni precedenti, con alcune aggravanti che lo rendono tanto più vessatorio nei confronti della vita personale e familiare degli immigrati.

La rigida subordinazione della permanenza nel nostro Paese di un lavoratore extracomunitario alla vigenza di un contratto di lavoro - che peraltro non viene riconosciuto quando è frutto di un incontro spontaneo tra offerta e domanda sul mercato del lavoro - costituisce un sopruso nei confronti della dignità di queste persone e alimenta in loro un sentimento di diffidenza e di sfiducia verso di noi che nel futuro potrà anche sfociare in reazioni di massa violente. La proclamazione dei primi scioperi di questi lavoratori contro líinsieme delle condizioni lavorative e sociali in cui sono costretti costituisce già di per sé un segnale preoccupante.

Questa legge è anche una legge contro la famiglia. Attraverso le regole sul ricongiungimento familiare essa rompe la famiglia dei lavoratori immigrati, la rende del tutto subalterna, nella sua stessa esistenza, allíesigenza di una presunta nostra sicurezza; divide artificiosamente i genitori dai figli e i coniugi dai genitori e ciò costituisce un atto di violenza sullíintegrità dellíistituto familiare; priva le persone degli affetti, del sostegno e della solidarietà tra i componenti la famiglia, tanto più necessari quando si è costretti a vivere in un Paese straniero.

Qui, vorrei dire ai colleghi della maggioranza, si scopre qual è la vera considerazione in cui essi tengono la famiglia. Qui si infrange la loro malferma propaganda dei pochi soldi elargiti alle famiglie italiane con figli utilizzando le risorse sottratte al diritto acquisito dai cittadini di veder ridotte le loro tasse.

Questa è anche, signor Presidente, una legge contro líintegrazione degli immigrati perché li mantiene, anche quando lavorano con un contratto a tempo indeterminato, in una condizione di precarietà nella quale la loro permanenza nel nostro Paese rimane sempre pregiudizialmente incerta, sub iudice, indipendentemente dal loro comportamento.

Cosa succederà tra qualche anno quando questo rapporto di diffidenza e di esclusione sarà vissuto e sedimentato a livello di massa? Dietro la propaganda sulla sicurezza che voi della maggioranza portate avanti, state preparando un futuro incerto, denso di pericoli e contrassegnato da probabili tensioni e conflitti. Non a caso, secondo una recente ricerca della fondazione diretta dal professor Diamanti nellíimprenditore del Nord-Est questo disegno di legge ha determinato il giudizio più critico e di forte insufficienza nei confronti dellíattuale Governo.

Nel recente Vertice europeo di Siviglia la posizione sostenuta dal Governo italiano di ridurre automaticamente gli aiuti nei confronti dei Paesi del Sud del mondo non adeguatamente impegnati nella lotta allíimmigrazione clandestina è stata battuta in favore di un atteggiamento meno pregiudizialmente ostile, e credo anche più efficace, di fronte alla risorsa dellíimmigrazione.

DallíEuropa viene un segnale culturale e politico: si può essere rigorosi ed efficaci nella lotta allíimmigrazione illegale clandestina senza líausilio della cultura xenofoba e senza ridurre i diritti sociali e civili oltre che la dignità di chi viene da noi alla ricerca di una vita migliore.

Tutto ciò è parte essenziale della nostra storia, della nostra cultura e della nostra migliore etica pubblica improntata a giustizia e solidarietà. Con questa legge, colleghi della maggioranza, rimettete in discussione questo patrimonio e ciò rende la nostra posizione serenamente intransigente, coscienti che solo con un radicale cambiamento del provvedimento in esame potremo favorire una convivenza più serena e civile con gli immigrati, titolari dei diritti e dei doveri stabiliti dalle nostre leggi e progressivamente integrati nelle nostre comunità. Con ciò faremo sicuramente il bene dellíItalia. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e del senatore Pagliarulo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Valditara. Ne ha facoltà.

VALDITARA (AN). Signor Presidente, voglio subito premettere che sono preoccupato per alcuni interventi che ho ascoltato sia in Commissione sia in Aula e che testimoniano come una parte almeno del centro-sinistra non abbia un vero senso dello Stato. Ma non voglio ritornare su tutti gli argomenti che sono già stati oggetto dei miei interventi in sede di prima lettura; voglio soltanto affrontare rapidamente alcuni temi sollevati nel corso di questo ulteriore dibattito.

Intanto, rivolgo sommessamente un invito allíopposizione a decidersi. Líopposizione ha contestato, ad esempio, il carattere razzista del famoso emendamento relativo al prelievo delle impronte digitali. Occorre riconoscere che una parte della stessa opposizione ha evidenti connotati razzisti, se è vero com'è vero che il senatore Cambursano della Margherita propose in prima lettura in Commissione un emendamento del tutto analogo a questo.

Mi chiedo inoltre come, mai proprio ieri, sia stato santificato il professor Sartori che sulle colonne del "Corriere della Sera" aveva giudicato in modo assolutamente positivo una misura di questo tipo. Allora anche Sartori è un razzista? Voi santificate un razzista? Credo che forse sarebbe il caso anche su questo di fare chiarezza.

Lo è allora anche Tony Blair? Lo sono gli Stati Uniti díAmerica di Clinton? Non parlo della nuova amministrazione Bush, perché, come sapete, per entrare in America e ottenere il permesso di soggiorno da diversi anni occorre farsi prendere le impronte digitali. Così ancora, díaltro canto, diversi Paesi europei hanno giudicato questa misura assolutamente opportuna (penso alla Spagna).

È stato detto che noi vogliamo rifiutare gli immigrati, ma questo non è vero: sapete anche voi che la vostra è solo propaganda. Piuttosto, credo che tutte le persone responsabili debbano riconoscere che non si può accogliere chiunque, che occorre ad un certo punto regolamentare questa immigrazione in modo serio, più adeguato e anche più severo rispetto a quanto non sia stato fatto sino ad ora.

È stato detto in passato che questa nuova normativa ci metterebbe al di fuori dellíEuropa: ma come potrebbe avvenire, visto che proprio tutti i Paesi europei, recentemente, hanno sostanzialmente condiviso la normativa italiana? Soprattutto vi è una direttiva europea in materia di contratto di lavoro, che condiziona líingresso di extracomunitari, fra líaltro, al fatto che in quel determinato Paese vi sia una richiesta specifica di lavoratori che non si trovano né in quello stesso Paese né nellíambito della Comunità europea.

Díaltro canto, cíè anche la questione dellíalloggio: líavere a disposizione un alloggio prima dellíingresso è quanto viene richiesto in molti Paesi europei, dove addirittura si richiede un reddito minimo per consentire líingresso (penso a quanto avviene in Germania od anche in Svizzera, la quale ultima, per esempio, non fa parte dellíUnione europea, ma certamente non può essere considerato un Paese razzista).

Per quanto riguarda la questione delle espulsioni, è stato affermato che si violerebbe líarticolo 3 della Costituzione. Sono stati citati tanti articoli e non voglio ripetere quanto ha ricordato il senatore Consolo questa mattina, ma líarticolo 3, come insegnano i costituzionalisti, presuppone un trattamento diverso per situazioni differenziate: Non è vero, quindi, che tale articolo debba necessariamente significare trattamento uguale in tutte le situazioni, perché - ripeto - eguaglianza significa anche trattamento diverso per situazioni differenziate.

E poi ancora devo osservare che la normativa prevede la possibilità di appellarsi ad un giudice, quindi viene garantito questo diritto; però bisogna anche riconoscere che lo Stato di diritto deve difendere i propri confini, ma soprattutto líordinato svolgersi della vita al proprio interno.

Poco fa ho sentito fare delle affermazioni secondo cui questa nuova legge sarebbe destinata a ingenerare tensioni, conflitti, pulsioni razziste o quantíaltro; ebbene, credo proprio che invece essa miri a prevenire tensioni e conflitti che invece potrebbero scatenarsi se, per ipotesi, líimmigrazione dovesse sfuggire al controllo.

Sono stati citati poi il Nord-Est e Treviso, la sua "capitale", líopposizione forte che il Nord-Est (soprattutto, per così dire, quello produttivo, delle partite IVA e dei piccoli imprenditori) tenderebbe a scatenare nei confronti di questo provvedimento. Ma allora non si spiegherebbe come mai alle recenti consultazioni amministrative, una forza politica, che è stata cofirmataria di questo provvedimento, abbia ricevuto da sola oltre il 70 per cento dei voti, proprio nella provincia di Treviso.

MONTI (LP). Quel qualcuno si chiama Lega!

VALDITARA (AN). Effettivamente, quella forza politica si chiama Lega, come giustamente ha sottolineato il senatore Monti. Consentitemi poi uníultima osservazione.

Nelle scorse settimane è stato espresso un consenso ormai generalizzato in numerosi Paesi europei sui prìncipi ispiratori di questa legge e sul provvedimento medesimo. Credo che la sinistra, ormai, inseguendo le sue utopie internazionaliste, rischi di perdere il contatto con la realtà, ma soprattutto ritengo che siate voi fuori dallíOccidente, fuori dai princìpi e dai valori che sono maggioritari in Occidente.

Ritengo, allora, che in questo Paese si stia creando un problema grave: líassenza di uníopposizione matura, responsabile, propositiva e capace di dialogare in modo serio con questa maggioranza e con il Governo. Ritengo anche che tutto questo debba costituire motivo di seria riflessione da parte di quelle componenti più responsabili e avvertite, che pur stanno in mezzo a voi.

Termino a questo punto il mio intervento, non fossíaltro che per riconfermare la piena, totale adesione nei confronti di questo provvedimento. Ebbene, sapete, soltanto il futuro dirà se abbiamo ragione noi o se avete ragione voi. Noi siamo convinti della bontà di ciò che abbiamo fatto (Applausi dai Gruppi FI, UDC:CCD-CDU-DE e LP).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Petrini. Ne ha facoltà.

PETRINI (Mar-DL-U). Signor Presidente, signor Sottosegretario, onorevoli colleghi, non manca nella relazione del senatore Boscetto un riferimento alla polemica che il centro-sinistra avrebbe innescato nella trattazione di questi argomenti.

Secondo il senatore Boscetto, c'è da parte del centro-sinistra un atteggiamento ideologico, anzi una sorta di furore ideologico che ci porta a distorcere la realtà della quale trattiamo e su cui dobbiamo legiferare. Ebbene, non è una responsabilità che attribuisco specificatamente alla persona del relatore, sempre molto attento e preciso, giacché egli si limita semplicemente a raccogliere una posizione e una opinione alquanto diffuse nell'ambito della maggioranza.

Vede, senatore Boscetto, noi siamo perfettamente coscienti del fatto che l'immigrazione è un rilevante problema con il quale deve misurarsi la nostra società. Siamo perfettamente coscienti, infatti, che l'immigrazione è fenomeno ineluttabile e in qualche modo incomprimibile, poiché rappresenta la spinta di un mondo povero e pieno di problemi rispetto a un mondo molto più ricco, anche di prospettive per il futuro.

Ebbene, questa ineluttabile spinta porta con sé tutto quel corteo di problemi che verifichiamo pressoché quotidianamente e conduce anche all'esigenza di valutare in che modo le persone che vengono nella nostra nazione possono trovare una integrazione sociale, compreso il rischio che, non trovandola, possano portare elementi di disgregazione.

Con questo intendo dire che, per quanto ci riguarda, avremmo l'atteggiamento giusto per intavolare un discorso che sia realmente di approfondimento e che individui una soluzione per questa problematica.

Avremmo voluto, ad esempio, avviare fin dall'inizio un'indagine conoscitiva sullo stato di applicazione della legge Turco-Napolitano. Ciò avrebbe permesso di scoprire gli elementi di insufficienza che in tale normativa possono senz'altro esservi, ovvero stabilire quegli aspetti di insufficienza strutturale che rendono inapplicabili i provvedimenti che invece, dal punto di vista legislativo, sono validi ed efficaci; infatti, dobbiamo sempre distinguere questi due diversi piani.

Avremmo sicuramente accettato che di fronte ad una problematica di questo genere vi fosse una continua revisione legislativa che si commisurasse con il divenire del problema, approntando di volta in volta quei correttivi necessari ad un suo efficace controllo. Tuttavia, tutto ciò non è stato possibile, e non certo per colpa dell'opposizione. Infatti, come lei ben sa, senatore Boscetto, qui poco possiamo decidere, molto possiamo criticare ma - ripeto - assai poco decidere! Questo non è accaduto, invece, per un atteggiamento pregiudiziale della maggioranza, la quale, sì, ha sempre avuto un approccio ideologico nei confronti di questo problema.

Questo problema è stato, per esempio, uno dei cavalli di battaglia nella campagna elettorale di tutta la coalizione della Casa della libertà, e in particolare di alcune formazioni politiche. Il cavallo di battaglia è stato cavalcato in modo abbastanza spregiudicato, senza farsi scrupolo di rappresentare tutti gli aspetti più terrifici del problema in modo che i cittadini italiani fossero non già responsabilizzati bensì più direttamente spaventati.

Presidenza del vice presidente DINI

(Segue PETRINI). In questo atteggiamento si è palesata pienamente la pregiudiziale ideologica che ritroviamo nel provvedimento legislativo.

Onorevole Boscetto, il disegno di legge, checché voi ne diciate, non introduce rilevanti innovazioni riguardo ai mezzi con i quali si potrà contrastare l'aspetto degenerativo del problema, cioè l'immigrazione clandestina. Non lo fa per la semplice ragione che i mezzi a disposizione sono quelli - ahimè alquanto imperfetti e senz'altro perfettibili - che ha disegnato la legge Turco-Napolitano e non ve ne sono altri. Vi siete invece accaniti nel modificare alcuni aspetti legislativi che funzionavano e non avevano soverchio bisogno di innovazione.

Il relatore ha indicato tre capisaldi, tre innovazioni che caratterizzerebbero il provvedimento legislativo in esame: l'abolizione dello sponsor, il respingimento alla frontiera, il collegamento del permesso di soggiorno con l'offerta di lavoro. Rispetto a quest'ultimo elemento, in linea di principio, siamo assolutamente concordi: è giusto che vi sia una garanzia relativamente al fatto che gli extracomunitari vengano nel nostro Paese per svolgere un'attività lavorativa, perché in ciò è insita anche la garanzia di un sostanziale inserimento dell'extracomunitario nel tessuto sociale.

Questo era stato previsto anche da noi; il fatto è che le modalità da voi previste sono assolutamente vessatorie nei confronti di persone che risiedono in Italia nel rispetto della legge e che non sono assolutamente, o non dovrebbero essere, nella condizione di nuocere all'ordine sociale, come accade invece per le ben diverse situazioni di clandestinità.

Nel momento in cui vi accanite con dispositivi di controllo nei confronti di lavoratori che operano in condizioni di legalità, non fate altro che determinare un incentivo al passaggio in clandestinità nel momento in cui il lavoratore non potrà più assolvere alle incombenze cui lo obbligate per aver temporaneamente perso un posto di lavoro.

Annunciate come innovativo il concetto di respingimento alla frontiera, ma ciò era previsto anche dalla legge Turco-Napolitano. Il problema è che il respingimento alla frontiera viene eseguito quando è possibile farlo. Ciò varrà anche per voi, perché non siete dei maghi. Anche voi dovrete gestire situazioni in cui l'extracomunitario ha attraversato la frontiera e risiede in modo clandestino sul territorio nazionale.

Questo è il problema ed è gestibile con gli stessi strumenti previsti dalla Turco-Napolitano, perché non ve ne sono altri. Occorre cioè predisporre un reimpatrio; è necessario aver stipulato un trattato bilaterale con il Paese d'origine; bisogna essere in grado di risalire all'identità del clandestino. Era esattamente questo il problema per il Governo di centro-sinistra e gli strumenti sono esattamente i medesimi previsti dalla legge Turco-Napolitano.

È molto indicativo che il vostro disegno di legge non sia identificato come "Maroni-Scajola" bensì "Bossi-Fini" perché rispecchia esattamente líintento propagandistico che lo caratterizza, quello di far credere che finalmente sia cambiata una filosofia nellíapproccio al problema: non cíè più il pietismo del centro-sinistra, non c'è più quella noiosa attenzione ai diritti della persona, cíè un interventismo maschio, che finalmente rende ragione dei diritti dei cittadini italiani nei confronti di questi "invasori".

Questa è la filosofia disgraziata che anima il disegno di legge in esame, la quale ha impedito - mi rivolto al senatore Boscetto - un confronto sereno e franco in ordine a un problema che è reale e grave: non è stato il nostro, ma il vostro pregiudizio.

Líesempio più eclatante è quello delle impronte digitali. Mi fa molto piacere che il senatore Boscetto abbia citato il professor Sartori, perché personalmente leggo sempre le sue dichiarazioni, anche quando parla di conflitto di interessi (peraltro, sarebbe opportuno che certe analisi del professor Sartori venissero recepite anche quando sono rivolte ad altre tematiche).

Orbene, se si parla di impronte digitali come strumento tecnico, adatte allíidentificazione di una persona, siamo naturalmente aperti a una discussione in tal senso, per valutare quando e se servano, come e quando debbano essere rilevate. Se ne può parlare tranquillamente perché sono un elemento di identificazione, di identità; invece, voi avete posto il problema in un altro modo: ne avete parlato come uno strumento di classificazione di estraneità dellíextracomunitario rispetto al consesso civile e sociale, ma questo è inaccettabile.

Se líimpronta digitale fosse soltanto un elemento di riconoscimento che può essere applicato anche ai cittadini italiani come prevede, ad esempio, la legge Bassanini che noi riproponiamo come emendamento al vostro disegno di legge, non ci sarebbe nulla di male nellíintrodurre questo ulteriore elemento, che può essere estremamente utile. Ad esempio, sulla mia patente ho una fotografia scattata nel 1971, nella quale ero glabro e lunghicrinito per cui non mi riconoscerebbe nemmeno mia madre: se líimpronta digitale è strumento più proprio allíidentificazione, benissimo, che venga líimpronta digitale! Ma che non sia mai uno strumento di discriminazione; piuttosto, soltanto un elemento utile.

È questa la distonia che cíè tra noi e voi nellíaffrontare il problema e che rende gravemente impossibile un confronto sereno sullíargomento, il quale - lo ripeto - andrebbe anche approfondito al di là degli aspetti di ordine pubblico che pone; si tratta di un problema epocale, che è il segno di una trasformazione della nostra società, una trasformazione probabilmente ineluttabile che è quella dei tempi, e pone problemi di integrazione, di convivenza, di tolleranza e di multiculturalismo.

Di tutto ciò questo consesso dovrebbe discutere se vi fosse però il presupposto utile, e cioè se fosse fatto sgombro il campo da tutti i pregiudizi e gli opportunismi propagandistici che invece lo hanno caratterizzato fino ad oggi.

Mi auguro che, essendo ormai alle spalle le elezioni e avendo ormai avuto il proprio effetto la cosiddetta legge Bossi-Fini - virilità del centro-destra - per il futuro ci sia spazio per ragionamenti più sereni. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U e del senatore Pagliarulo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Calogero Sodano. Ne ha facoltà.

SODANO Calogero (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, onorevoli colleghi, per fortuna i toni sono meno accesi di quelli che si sono avuti in Commissione su questo provvedimento, che personalmente definisco legge sull'immigrazione, proposta dal Governo e che ha suscitato nel Paese polemiche spesso strumentali, tant'è che il centro-sinistra già da questa mattina è insorto definendola razzista e addirittura infame. Eppure sia il Governo socialdemocratico di Schroeder che quello di Blair hanno introdotto norme molto più restrittive di quelle volute dal centro-destra in Italia.

Ma questa legge non nasce da una conventio ad excludendum, bensì da una conventio ad includendum, nel senso della dignità da dare e da offrire a questi lavoratori extracomunitari.

Credo che su questo argomento vi siano due aspetti sui quali non si può che essere tutti concordi. Innanzitutto, il dovere che abbiamo di dare una risposta umana e generosa alle istanze dei popoli più poveri che pressano alle frontiere europee per trovare una soluzione ai loro problemi vitali. In secondo luogo, l'esigenza di ottenere questo risultato senza compromettere la sicurezza del nostro Paese e dell'Unione europea e senza danneggiare popoli a cui apparteniamo e verso i quali siamo direttamente e immediatamente responsabili.

Queste considerazioni, apparentemente banali, costituiscono - a mio avviso - i confini per ogni discussione in argomento, rispettati i quali con onestà di intenti e rigore morale ogni discorso in merito può diventare tecnico o più esattamente spassionato e al suo interno la ricerca delle soluzioni può prevalere su qualsiasi orientamento politico individuale.

Nessuno vuol cacciare nessuno. Si vuole solo regolamentare un fenomeno che preoccupa - e non può non preoccupare - ogni persona di buon senso. Chiudere gli occhi su un problema reale significa non volerlo risolvere. Per questo credo che tutte le proposte avanzate per la soluzione delle questioni in discussione vadano prese serenamente in considerazione, senza pregiudiziali.

Ed è in questa ottica che, nel presentare le nostre rispettive idee, spero si rinunci a priori al gioco delle parti. Non credo spetti necessariamente ai sostenitori della maggioranza fare proprie le tesi più restrittive, né a quelli della minoranza sostenere quelle più estensive. Mi ostino, infatti, a credere che si miri tutti alla ricerca di soluzioni e non all'esercizio di una dialettica politica sterile a cui troppo spesso si finisce per dare troppo spazio.

Ad Agrigento, dove sono stato sindaco per ben lunghi sette anni, ho risolto un problema che riguardava gli extracomunitari. Ho delegato una persona senegalese, un certo Pape Diop, che credo fosse laureato nel suo Paese, perché ad Agrigento esistevano ed esistono 1.000 lavoratori extracomunitari regolarmente denunciati e almeno altri 1.500 lavoratori extracomunitari clandestini. I conflitti erano durissimi e non nascevano tra gli agrigentini e gli extracomunitari che abitano nella parte antica della città araba, nel quartiere Rabato. Con una sorta di nemesi storica essi hanno rioccupato quello che i loro antenati avevano costruito attorno all'anno 1000 a Palermo e ad Agrigento.

Ebbene, questo delegato sindaco, investito da me di tale funzione, suscitò polemiche soprattutto a sinistra nel senso che un sindaco del centrodestra aveva nominato un extracomunitario suo delegato, per fortuna a titolo gratuito. Fino ad oggi egli è stato colui che ha risolto conflitti durissimi tra gli stessi lavoratori extracomunitari e tra questi ultimi e gli agrigentini.

Dicevo che nessuno vuol cacciare nessuno. LíUDC ha opportunamente ritirato alla Camera dei deputati l'emendamento Tabacci, per problemi di ordine politico, in attesa di un decreto del Governo che sani i lavoratori extracomunitari che lavorano in nero. Molti datori di lavoro, soprattutto al Nord, non hanno denunciato migliaia di lavoratori extracomunitari, e mi rivolgo soprattutto ai colleghi della Lega. (Commenti dal Gruppo LP). Questo è un problema reale e cíè un impegno del Governo a sanare comunque tali situazioni.

LíItalia non è in condizione di ospitare dignitosamente tutti coloro che decidono di venire nel nostro Paese. I 1.500 lavoratori extracomunitari, di cui parlavo prima, che abitano ad Agrigento dormono in catoi di appena 20 metri quadrati senza aria e senza servizi igienici. I catoi corrispondono ai "bassi" napoletani; sono quei magazzini del quartiere Rabato, privi di luce e di servizi igienici. Per questo diciamo che non ci troviamo nelle condizioni di ospitare dignitosamente tutti coloro che decidono di venire nel nostro Paese. Chi dice cose diverse non conosce il problema e nascondere la testa, come gli struzzi, sarebbe un gravissimo errore.

Dire che gli immigrati clandestini e quelli irregolari sono uguali, così come ho sentito poco fa e questa mattina e che tutti i Paesi hanno una capacità di accoglienza infinita, è solo una pericolosissima ipocrisia. Líaccoglienza è limitata ed è inaccettabile che tutti gli immigrati debbano pagare a causa dei clandestini e delle mafie che ne approfittano.

È necessario quantificare con precisione il numero di extracomunitari che siamo in grado di ospitare dignitosamente di anno in anno, privilegiando in tale ambito la posizione di chi entra palesemente per motivi di lavoro rispetto a quella di chi entra clandestinamente con il determinante aiuto delle organizzazioni criminali.

È quindi positivo subordinare ogni aiuto ai Paesi in via di sviluppo alla dimostrazione da parte loro di una reale volontà di prevenire e reprimere líimmigrazione clandestina nel momento del suo formarsi.

Sappiamo che in Libia possono entrare liberamente tutti i cittadini dei Paesi africani, dal Senegal, alla Mauritania, dallíUganda al Congo (perché la politica del colonnello Gheddafi è quella di avere uno Stato libico leader per quanto riguarda líAfrica) e da qui arrivare al confine della Tunisia e sbarcare, dopo 6-7 ore di navigazione, sulle coste di Lampedusa. Quest'isola ha un centro di accoglienza che può ospitare soltanto 80 persone, mentre in questo momento ne ha 140. Quindi, non garantiamo neanche come Stato quei servizi essenziali ed elementari che dovremmo comunque dare ad un uomo e ad un cittadino, sia esso anche extracomunitario.

Solo nel mese di marzo di questíanno sono stati arrestati 3.000 immigrati clandestini in Spagna, 3.000 in Austria, 1.000 in Germania e ben 9.000 in Italia. LíItalia ha il più alto numero di extracomunitari arrestati rispetto a tutti questi Paesi; queste cifre parlano da sole.

I problemi da risolvere sono dunque essenzialmente pratici. Niente di male, quindi, nellíuso delle impronte digitali, nonché di altro mezzo, per accertare líidentità di quanti entrano nel territorio nazionale. Rilevare le impronte a chi arriva in Italia dai Paesi extracomunitari dà una certezza necessaria, forse líunica in una situazione completamente diversa da quella del cittadino europeo, il quale può averle già depositate nel proprio Paese e che comunque è identificabile attraverso il passaporto o un documento di identità.

Guardiamo a queste iniziative senza demagogia, con la giusta serenità, pur disponibili ad allargare anche a tutti líiniziativa se ne avremo sicuri vantaggi, non per un semplice fatto demagogico, che purtroppo insegue la sinistra.

Proprio una posizione di insensata permissività ha decretato il fallimento dei Governi di centro-sinistra in materia di immigrazione. Se arrivano sulle coste pugliesi, siciliane e calabresi centinaia di clandestini senza documenti, come fare a conoscere l'identità di chi non ha interesse a dichiararla e che spesso arriva senza certezze anagrafiche dal proprio Paese d'origine?

Si chiedeva in questi giorni nei suoi editoriali il politologo Sartori come mai i cinesi non muoiono mai, che fine fanno i loro corpi, che fine fanno, soprattutto, i loro passaporti. E come mai i Governi di centro-sinistra non hanno mai indagato su questi problemi? Se lo avessero fatto, avrebbero dovuto concludere che erano necessari seri controlli, comprese le impronte digitali su chi entra nel Paese, e si sarebbero certamente scontrati con gli spensierati fautori di un mondo senza frontiere, oggi chiamati, no global, così numerosi in quella maggioranza.

Inoltre, ogni Paese ha situazioni diverse e noi siamo i più esposti. La società italiana, come quella europea, ha non solo il diritto ma anche il dovere di difendersi. È forse più giusto e logico portare aiuti concreti, magari con controlli più severi, nei Paesi di origine: aiutiamoli a svilupparsi con piani che prevedano sì aiuti alimentari, ma anche e soprattutto tecnologie e formazione.

Il presente provvedimento, nonostante quello che dice l'onorevole Violante, cioè che si tratta di un vero e proprio manifesto al razzismo, è invece rigorosa e dà risposte concrete a reali problemi, garantisce sicurezza e integrazione, coniugando il rigore nei confronti dei clandestini ad una doverosa solidarietà verso chi viene in Italia per lavorare e si inserisce nella nostra società, rispettandone le regole. Non so perché bisogna scaldarsi e scandalizzarsi tanto quando si dice che un extracomunitario, o comunque qualunque cittadino del mondo, deve rispettare le regole del nostro Stato.

L'UDC, al Senato prima e alla Camera dopo, con gli emendamenti sulle colf, sulle badanti, sui minori e sul ricongiungimento, oltre che l'impegno del Governo per eliminare il sommerso e far emergere i lavoratori extracomunitari impiegati in nero nelle imprese, ha delineato il quadro di un provvedimento più comprensivo dei valori e dei bisogni del nostro Paese.

Abbiamo il dovere e il compito di rispondere alle comprensibili preoccupazioni dei nostri concittadini sull'immigrazione legale e sul traffico di esseri umani. Lo stesso presidente Ciampi, durante la visita in Marocco, il Paese dell'Africa da cui arrivano più immigrati, ha dichiarato che l'Italia e l'Europa hanno una limitata capacità di accoglimento e che, anziché illudersi di poter trasformare il vecchio continente nell'Eldorado del Terzo millennio, è arrivato - come dicevo prima - il momento di portare più lavoro nel Sud del mondo, puntando dunque più sullo sviluppo di quest'area che sull'immigrazione.

Anche la loro integrazione suscita enormi problemi, perché spesso i lavoratori extracomunitari di religione musulmana nella maggioranza dei casi non hanno alcuna voglia di integrazione. A Milano esistono scuole islamiche per bambini che frequentano soltanto quelle e il rispetto e la tolleranza che mostriamo nei confronti della loro cultura, spesso vengono vissuti come una permissiva adesione a qualsiasi tipo di comportamento, anche in aperto contrasto con le nostre regole civili.

Si tratta di comportamenti trasgressivi - non dimentichiamolo - spesso indotti dall'improvviso e traumatico scontro con la civiltà occidentale di popoli abituati ad un diverso tenore di vita e che, proprio nel loro impatto con la nostra organizzazione sociale, necessitano di una guida ferma e sicura.

In sintesi, credo che di tutto si possa, anzi si debba discutere avendo soltanto presente l'interesse del nostro Paese, la sua sicurezza e quella dell'Europa, e ciò senza pregiudizio della nostra volontà di aiutare, nell'ambito delle nostre possibilità, chiunque si trovi in stato di necessità. Anzi, in quest'ultimo senso sostengo che norme speciali debbano sempre sussistere per coloro che chiedono asilo politico al nostro Paese per ragioni particolari documentabili ed evidenti.

È infatti sostenuto, anche in ambienti religiosi certamente insospettabili, tranne i gesuiti, che a fronte del dovere di aiutare il nostro prossimo non esiste tuttavia alcun obbligo di farci invadere silenziosamente, né ovviamente di porre a rischio la sicurezza stessa dei nostri Paesi e della nostra civiltà. Il fenomeno immigratorio non può divenire per la nostra società motivo di regresso, di caos e di disorganizzazione; non lo giustifica la solidarietà con chi arriva per bisogno nel nostro Paese e che da una giusta regolamentazione può trarre solo certezze e aiuti concreti: lo esige il diritto degli italiani a vedere garantita la propria sicurezza e difesa la propria democrazia e libertà.

Per queste motivazioni, noi dellíUDC voteremo a favore del disegno di legge in discussione. (Applausi dal Gruppo UDC:CCD-CDU-DE e del senatore Magnalbò. Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Turroni. Ne ha facoltà.

TURRONI (Verdi-U). Signor Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, a distanza di diversi mesi dalla sua approvazione in Consiglio dei ministri e a quattro anni dallíapprovazione definitiva in questíAula di quella che divenne la legge n. 40 del 1998 e poi il testo unico sullíimmigrazione, siamo chiamati oggi e nei prossimi giorni - con uníurgenza sottolineata dallíiter parlamentare - ad approvare il disegno di legge n. 795-B di modifica del medesimo testo.

Dovremmo porci tre domande: perché è stato necessario, dopo un tempo così breve, emanare un provvedimento di modifica della legge precedente? Come mai il disegno di legge licenziato dal Governo Berlusconi, come uno degli atti principali del programma del nuovo Governo di centrodestra, ha incontrato tanta opposizione nella Commissione affari costituzionali preposta al suo esame, tanto da dover essere trasmesso allíAula nel corso della prima lettura con un atto di imperio, senza che la Commissione medesima finisse il suo lavoro e un giusto confronto?

Come mai questo provvedimento è stato tanto criticato da settori così differenti: giuristi, associazioni di imprenditori, organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori dipendenti, associazioni del volontariato sociale religioso e laico, vari movimenti e addirittura la Chiesa cattolica nella sua massima espressione - la Conferenza episcopale italiana - e, con parole di rara e paterna bontà, lo stesso Santo Padre?

È di oggi una lettera, che vorrei leggere in questíAula, arrivataci dalla Presidente della Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna. "La Commissione Parità esprime forte preoccupazione per líapprovazione del disegno di legge n. 79-B in discussione al Senato (Ö). Riteniamo che, anche a seguito del vertice di Siviglia, la strada da perseguire in materia di immigrazione sia quella di promuovere líintegrazione e aprire alcune piste certe di inclusione soprattutto nel campo del lavoro irregolare che già esiste abbondantemente in Italia.

L'obiettivo è quello di riconoscere il lavoro degli immigrati come una risorsa economica e umana di cui la società italiana ha bisogno per progredire.

In particolare esiste una domanda delle famiglie italiane di lavoratori, ma soprattutto di lavoratrici straniere per la cura di bambini e anziani che attualmente non ricopre uníofferta di lavoro regolare.

A questo proposito, pur apprezzando la previsione dellíart. 29 del disegno di legge n. 795 di emersione del lavoro irregolare delle persone di origine extracomunitaria adibite ad attività di assistenza e sostegno al bisogno familiare, ci preoccupano: la restrizione alla sola assistenza a componenti delle famiglie affetti da patologie o handicap che ne limitano l'autosufficienza (Ö) il pagamento di contributo forfettario pari allíimporto trimestrale (Ö)" e così via.

Una lettera anche questa di forte censura e di forte preoccupazione per un provvedimento che consideriamo sbagliato e, come ho avuto modo di dire questa mattina, addirittura incostituzionale.

A nome dei Verdi cercherò adesso di rispondere a questi preoccupanti interrogativi partendo dalla storia di questi ultimi quindici anni della vita sociale e politica del nostro Paese.

Abbiamo detto fin dal 1997 che líItalia è un Paese di immigrazione e abbiamo affermato giuridicamente il principio dellíinclusione. Abbiamo fotografato la realtà: un Paese ad economia sviluppata ma già con un forte arresto demografico, un Paese con un ruolo internazionale di primo piano in uníUnione europea che si avviava a consolidare la propria personalità giuridica, economica e sociale in un contesto mondiale ancora suddiviso tra le due superpotenze.

Abbiamo approvato la legge n. 483 del 1986, che riguardava soltanto i lavoratori subordinati, attribuendo anche ai lavoratori stranieri non comunitari, in applicazione della Convenzione OIL n. 143 del 1975, i medesimi diritti dei lavoratori italiani: parità di trattamento e uguaglianza dei diritti.

Dopo ci sono state altre leggi sul tema: la n. 81 del 1988, la n. 39 del 1990 e, appunto, la n. 40 del 1998, ma sempre mantenendo fermi i princìpi di parità e di uguaglianza fra lavoratori subordinati. Il disegno di legge n. 795-B, che oggi discutiamo, vuole abolire nei fatti questi princìpi e introdurre un sistema inferiore di diritti per gli immigrati. Vuole affermare giuridicamente il principio dellíesclusione.

Che cosíè, del resto, il contratto di soggiorno, che viene contrapposto al contratto di lavoro subordinato che hanno i lavoratori italiani, se non la possibilità di prendere un lavoratore straniero, quando serve allíimpresa o alla famiglia, e di buttarlo fuori dallíItalia, quando non serve più, impedendogli di usufruire del diritto ad essere disoccupato e di avere un trattamento come gli altri lavoratori italiani?

Qual è lo strumento per raggiungere questo obiettivo? È il permesso di soggiorno, che più precario non può essere. Già al tempo della discussione della legge n. 40 del 1998, noi Verdi ci eravamo battuti alla Camera dei deputati affinché non fosse introdotta - in maniera così coercitiva - la dimostrazione del reddito, ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno.

Sapevamo, conoscendo l'ignominia di ampi settori dellíimprenditoria italiana, anche nei confronti dei nostri concittadini - soprattutto giovani - che gli immigrati sarebbero stati le vittime del sommerso italiano. E così è stato.

Quanti immigrati hanno perso il permesso di soggiorno perché non hanno potuto dimostrare il reddito, perché gli imprenditori disonesti non li hanno voluti dichiarare?

Quanti hanno rinunciato a presentare la domanda di rinnovo, perché non avevano i sempre più restrittivi requisiti richiesti anche dalla precedente legge e quindi sono diventati irregolarmente soggiornanti o - come dice Bossi, storcendo la bocca in maniera infamante - clandestini?

Quanti hanno ricevuto il decreto di espulsione, perché il Ministro dellíinterno di turno decideva di far vedere la "vigilanza" dello Stato, soprattutto in momenti difficili della politica interna o di fatti internazionali, prendendosela con gli immigrati che non avevano il permesso di soggiorno? Sono stati tantissimi.

Cíè poi una questione tutta aperta. La politica degli ingressi esiste nel nostro Paese dal 1990. La verità è che non è mai stata applicata se non nel 2000, per interromperla forzatamente nel 2002. La gestione dei flussi migratori, tra líaltro, non ha mai soddisfatto la necessità di includere nel tessuto produttivo italiano i lavoratori non comunitari. Sono proprio gli imprenditori italiani che chiedono da diversi anni più lavoratori perché più grande è il fabbisogno, soprattutto non comunitari, per posti di lavoro che i cittadini italiani rifiutano, per soddisfare le esigenze di produzione e mantenere salda la loro competitività sul mercato internazionale.

Si stima che líesigenza delle imprese italiane sia di 150.000 lavoratori immigrati allíanno, il 21 per cento della domanda complessiva di lavoro. Davanti a questo dato il Governo ha partorito il suo topolino, un provvedimento in grado non soltanto di calpestare la dignità di esseri umani, differenti solo perché nati al di fuori di confini geografici non da loro stabiliti, ma non ha saputo neanche rispondere alle reiterate richieste del mondo produttivo italiano.

Eppure il nostro Presidente operaio e imprenditore dovrebbe conoscere bene la materia. La verità è che in questo provvedimento si evince líincapacità di interpretare i cambiamenti della società italiana e si racchiude una cultura discriminatoria e strumentale, rivolta alla sola massimizzazione dei consensi elettorali e alla creazione di un diffuso sentimento di paura per il diverso, per quello che non si conosce.

Líapice si è toccato con la legge per líemersione dal sommerso, nella quale i lavoratori non comunitari sono considerati diversamente da quelli italiani, riconoscendo la regolarizzazione per questi ultimi e condannando i lavoratori immigrati a rimanere nel sommerso. Le stesse continue difficoltà nellíemanare questo ormai famoso "provvedimento fantasma" sulla regolarizzazione dei lavoratori non comunitari è la riprova che volevate soltanto dimostrare i muscoli al vostro elettorato e molto poco cervello politico dato che parliamo di problemi di produttività ed efficienza del nostro sistema imprenditoriale.

Ci chiediamo quali princìpi, se non quelli razzisti, abbiano ispirato questi provvedimenti, tra altro non accorgendosi che per rispondere a logiche del tutto interne alla tenuta della maggioranza, si sono completamente calpestate le regole della convivenza democratica e del principio di eguaglianza tra i cittadini.

Vi chiediamo, come abbiamo evidenziato nei nostri emendamenti, un ripensamento sui principali aspetti di questa legge, anche a costo di un ulteriore passaggio in Parlamento; altrimenti, vi aspetterà non solo la nostra opposizione e ostruzionismo al provvedimento, ma un sicuro monito delle Associazioni a difesa dei diritti umani, di qualche Agenzia delle Nazioni Unite, come tra líaltro già è successo sullíuso delle navi militari per contrastare il traffico clandestino e in materia di asilo, e anche dagli organismi comunitari, già intervenuti per aprire ai cittadini extracomunitari le porte di una cittadinanza attiva e partecipata e non la buia segregazione a cui puntate.

Questo è avvenuto negli ultimi 6-7 anni e oggi si cerca ancora di aggravare. Si cerca di istituzionalizzare líesclusione, di impedire la parità di trattamento salariale e líuguaglianza dei diritti sociali per tutti gli esseri viventi umani che stanno nel nostro Paese.

Togliere il diritto alla difesa contro gli abusi che líamministrazione esercita nei confronti degli immigrati; mettere paura agli immigrati perché sono stranieri e perché hanno bisogno, e quindi, in quanto tali, sono ricattabili; questi sono i princìpi, che noi riconosciamo, del disegno di legge n. 795. Sono dei disvalori contro i quali (anche se questa maggioranza vorrà vincere e quindi far perdere la ragione, il buonsenso, la dignità degli uomini) lotteremo nella società, continuando ad applicare quei princìpi e quei valori che la Carta costituzionale dei fondatori della Repubblica ci ha tramandato. (Applausi dai Gruppi Verdi-U e Mar-DL-U).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Pagliarulo. Ne ha facoltà.

PAGLIARULO (Misto-Com). Signor Presidente, onorevoli senatrici e senatori, francamente intervenire oggi sul disegno di legge relativo alla materia dellíimmigrazione e dellíasilo mi sembra quasi imbarazzante e non solo per il vuoto impressionante che cíè nellíAula.

Il disegno di legge che noi Comunisti giudicavamo pessimo quando ne discutemmo in Senato, torna dalla Camera ulteriormente peggiorato. Fra le tante, sottolineo due ragioni di critica radicale a questo provvedimento.

La prima è che trovo in esso qualche cosa di persecutorio, di vessatorio (come ha detto bene pocíanzi il collega Viviani): cíè un compiacimento, ricercato e ostentato, nel rendere la difficilissima vita da emigranti ancora più difficile, molto più difficile; la seconda è che cíè uníidea del presente e del futuro del nostro Paese che non corrisponde per nulla alla società e alle sue prospettive di sviluppo, cioè alla realtà.

"Il deficit e lo squilibrio demografici, il rifiuto di certi lavori, che spesso riduce lo sviluppo anche dellíoccupazione qualificata, le difficoltà di reperire manodopera nazionale rispetto ad una elevata espansione della domanda, soprattutto nel Nord-Est, rendono líimmigrazione una necessità economica per lo sviluppo produttivo e per il mantenimento dei livelli di protezione sociale del Paese". Queste non sono le parole dellíopposizione, ma queste sono le parole, come il Governo sa benissimo, tratte dalle osservazioni e proposte del CNEL.

Invece di considerare líimmigrazione come una risorsa necessaria, alla luce della debole crescita demografica e dei tanti lavori che non sono né saranno svolti dagli italiani (questo è un trend irreversibile, che riguarda il futuro del nostro Paese e che quindi va governato con saggezza e lungimiranza), si considera questo fenomeno come una sorta di elemento di corrompimento dellíordinata vita sociale e dello sviluppo del popolo italiano. Uníidea ridicola, allevata da una cultura palesemente xenofoba, alimentata dal comunitarismo tradizionalista che è proprio dellíestrema destra italiana.

Sia chiaro, esprimo uníopinione sul bizzarro dibattito sollevato sui quotidiani di qualche settimana fa, in cui qualcuno sembrava dire: "Che cíè di male ad essere xenofobi?" La xenofobia, cioè la paura dello straniero, è una tara civile che va combattuta e sconfitta, perché rappresenta il passaggio verso un punto di vista razzista, e perciò suscitatore di uníidea di conflitto fra popoli, fra etnie, fra genti. Attenzione, colleghi, nella storia dellíumanità sono già capitate circostanze in cui il sonno della ragione ha generato dei mostri.

Le forze politiche che hanno inteso cavalcare questa tigre esprimono líacquiescente volontà di accondiscendere nei confronti di un sentimento di insicurezza che spesso, e per ben altre ragioni, è espresso da una parte della nostra popolazione.

Cíè il tentativo di scaricare sui migranti líangoscia di una mancanza di certezze, che comincia ad affacciarsi in una parte del popolo italiano in ragione delle difficoltà economica, delle promesse mancate, della ripresa che non cíè, del pericolo di una crescita zero, cioè dello scoprire che le promesse elettorali di questo Governo erano in parte consistente, come era prevedibile e previsto, un libro dei sogni.

Un libro dei sogni. Non c'è alcuna capacità di governo in tutto questo! Questa legge avvicina la linea del Governo italiano non a quella della destra, ma dell'estrema destra europea. Non sto di nuovo a ragionare sui punti di critica essenziali alla legge, a cominciare dall'assurdo giuridico di un contratto fra le parti, che per altro non si conoscono, come condizione del soggiorno. Non sto cioè ad argomentare sullo spirito di una legge che mi sembra anticostituzionale oltre che illiberale, in contrasto con la valanga di chiacchiere sulla libertà che ogni giorno la destra italiana, populista e demagogica, ci propina.

Non sto a sottolineare quanto la retorica governativa sulla famiglia si infranga sugli implacabili articoli di questa legge. Non sto a ripetere che questa legge introduce una categoria di lavoratori figli di un dio minore. Non sto a sottolineare - lo hanno già fatto i diretti interessati - quanta parte del mondo dell'imprenditoria veda con fastidio e spirito critico una legge che renderà ancora più problematico lo sviluppo di tante imprese italiane.

Sarebbe comico, se non fosse tragico, sottolineare come i signori del Governo ci fanno la lezione sulla necessità di modificare l'articolo 18, che non serve assolutamente a nulla dal punto di vista del rilancio economico, mentre infilano diverse leggi, questa compresa, che danneggiano le reali prospettive di sviluppo dell'imprenditoria italiana.

Voglio invece riferirmi ad alcune delle novità contenute nella parziale riscrittura della legge. Si minacciano in essa ritorsioni nei confronti di quei Paesi che non adottino le misure necessarie di vigilanza per il rientro dei cittadini espulsi. Mi riferisco al comma 3 dell'articolo 1. Proprio questo punto è in conclamato contrasto, diversamente da quanto affermato pochi minuti fa dal senatore Valditara, con le conclusioni del recente Vertice di Siviglia, a conferma dell'europeismo zoppo e cieco di cui questo Governo è portatore. Cova il fascino del libro "Il deserto dei tartari", con l'Europa fortezza surreale ed inesistente, ma pronta ad attaccare un nemico altrettanto surreale ed inesistente.

Mi riferisco poi a tutta la parte relativa agli stranieri che violerebbero le disposizioni del testo unico, ove credo necessario che gli accertamenti e le decisioni vengano assunti da un giudice e non da un questore, oppure dove, relativamente alla revoca del permesso di soggiorno, noi proponiamo che vi sia quanto meno la possibilità di un ricorso.

Vorrei sottolineare da questo punto di vista che Milano è del tutto improbabilmente la capitale della Padania, a meno che non si voglia il ritorno del Lombardo Veneto, e di conseguenza l'aggregazione all'impero austro-ungarico. Ma Milano, invece, è sicuramente la patria di Cesare Beccaria, e quindi il nostro Paese ha una cultura giuridica che non merita la caduta prevista in questo disegno di legge.

Cito ancora che il CNEL a questo proposito ha scritto: "La clandestinità va combattuta non derogando dai princìpi giuridici, nazionali ed internazionali, civili ed umani. La nuova disciplina sull'espulsione dell'immigrato irregolare" - continua il CNEL - "senza convalida dell'Autorità giudiziaria, e nei fatti senza diritto alla difesa se non dopo il rientro nel Paese di origine, deve essere valutata dal Parlamento - cioè da noi - con molta attenzione perché ha conseguenze molto rilevanti per le persone e le famiglie, compromettendo irreparabilmente la libertà personale come ha riconosciuto la stessa Corte costituzionale e ponendo quindi problemi molto delicati sulla legittimità costituzionale".

Mi riferisco poi all'articolo 6, ove chiediamo che il venir meno di una adeguata sistemazione alloggiativa per una qualsiasi ragione per il migrante, non comporti automaticamente la nullità del contratto di soggiorno per lavoro subordinato.

Oppure ancora mi riferisco all'articolo 18, ove registro la misteriosa scomparsa in tanti punti del vecchio testo di legge delle parole "assistenza" e "accoglienza". Potrei continuare a lungo. Preferisco però soffermarmi per pochi secondi, per poi concludere, sulla pretesa necessità dei rilievi fotodattiloscopici da parte dello straniero che richiede il permesso di soggiorno.

Si tratta di un provvedimento del tutto inutile perché colui che richiede il permesso di soggiorno è già in possesso di documenti di identità. A cosa serve una misura ammissibile per coloro la cui identificazione è incerta ma stupidamente vessatoria per tutti gli altri?

Stiamo parlando di un numero enorme di persone che soggiornano nel nostro Paese. Prendo atto di un fatto simbolico: le critiche della comunità ebraica, i pesanti dubbi di tanta parte del mondo cattolico, la delusione delle comunità islamiche. È positivo registrare, dopo tante divisioni anche laceranti, un punto di unità fra credenti di diverse fedi; tutti fuori dalla realtà, come afferma il senatore Valditara? E cosa ci racconta il contrasto avvenuto in Aula, pochi minuti fa, fra il collega dell'UDC e alcuni colleghi della Lega?

Ancora: che ruolo ha il controllo della Marina militare se non quello di spostare il flusso di clandestini verso zone costiere meno controllate, ove è più difficile e pericoloso sbarcare? Registro solo per la cronaca che mi risulta che in quest'anno di presunti legge e ordine, di proclami altisonanti contro l'orda di emigranti, di propaganda, di scomparsa dell'ingresso di clandestini dai telegiornali della Rai, l'afflusso dei clandestini è in realtà aumentato rispetto all'anno precedente di poco meno del 5 per cento.

Nessuno nega l'opportunità e la necessità di controlli seri, ampiamente possibili con le leggi vigenti. Il vero dramma di questa legge xenofoba è che essa determina una restrizione drammatica della possibilità di regolarizzare la condizione dei migranti.

Ciò comporterà un aumento proporzionale del fenomeno della clandestinità che è esattamente quello che il Governo a chiacchiere dice di voler combattere. Aumentando la marginalità e l'esclusione, aumenterà presumibilmente l'induzione alla delinquenza. E su di voi, signori del Governo, ricadrà la responsabilità di aver aggravato non solo la condizione di vita di tanti stranieri ma anche la condizione di vita di tanti italiani, che pagheranno lo scotto dell'aumento della clandestinità e della delinquenza.

Voi parlate di sicurezza ma la vostra politica è contraria alla sicurezza degli italiani e mina la coesione sociale. Siamo noi fuori dalla realtà o siete voi, come io credo, a dare un'ulteriore prova di una rara, straordinaria, pericolosissima incapacità di governare? Vedete, ho letto sui quotidiani di questi giorni che, al raduno della Lega, il Vicepresidente del Senato, il senatore Calderoli, ha affermato: "Da noi vota chi ha la cittadinanza. Se qualcuno non ci sta, può prendere su il cammello e andare a votare a casa sua, nella tenda in mezzo al deserto". E poi ancora: "Mille per mille di clandestini buttati fuori a calci nel sedere".

Relata refero, come si dice; potrei continuare a lungo con altre dotte citazioni, lette sui giornali, che ci danno la misura di una regressione civile che il nostro Paese non merita. Se solo parte di queste parole è stata effettivamente pronunciata, tutti noi, componenti il Senato della Repubblica italiana, dovremmo prendere atto del precipitare dei pronunciamenti di alcune forze politiche che ci governano. Notate bene che questo non lo affermo solo io, e sia chiaro che io lo affermo alto e forte; lo afferma anche l'osservatorio europeo del fenomeno del razzismo e della xenofobia: pure loro, tutti comunisti?

E poi voi, signori del Governo, ci raccontate la favola del vogliamoci bene, predicate la predisposizione all'amore da parte della Casa della libertà, propagate la retorica vuota e falsa del buon padre di famiglia, suonate le trombe del vittimismo ogni volta che vi si critica.

Voi state dando vita ad una vera e propria caccia alle streghe. Con questa legge vi assumete ancora una grave responsabilità. Diamo tempo al tempo. Gli italiani si stanno già accorgendo che state operando contro l'interesse del nostro popolo e del nostro Paese. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U).

PRESIDENTE.È iscritto a parlare il senatore Battisti. Ne ha facoltà.

BATTISTI (Mar-DL-U). Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, siamo chiamati ad occuparci di un tema che è assolutamente transnazionale, di un problema certamente comune a tutta l'Europa occidentale. Il fenomeno è relativamente nuovo per noi, ma è antico per altri continenti, come quello americano, che hanno affrontato questo problema prima di noi.

Ho ascoltato gli interventi che mi hanno preceduto e sono d'accordo con il senatore Valditara, quando ha fatto riferimento ad una diversità di valori. Non v'è dubbio che alcuni valori che il centro-sinistra rappresenta sono ben diversi da quelli che appartengono al bagaglio culturale e alla storia del centro-destra.

Su una cosa non sono díaccordo e cioè sul misurare la forza e líintensità di quei valori sulla base della condivisione di essi da parte di maggioranze o di minoranze. La storia ci ha insegnato, purtroppo moltissime volte, che idee molto sbagliate e valori certamente non condivisibili sono stati sostenuti da maggioranze che hanno sbagliato.

Non solo ritengo che il bagaglio di valori di cui questa parte politica è portatrice - di cui fanno parte senza dubbio gli ideali di solidarietà e di accoglienza - non possa essere commisurato ad un dato numerico, ma sono anche convinto che sia necessario, in tematiche come queste, esercitare una capacità di governo che non credo il centro-destra dimostri nel presentarci questo testo di legge.

Penso che prima di entrare nel merito del provvedimento si debbano sottolineare alcuni princìpi che dovrebbero essere patrimonio comune e acquisito di tutti i sistemi democratici, in primo luogo i princìpi del diritto o almeno quella parte di essi che è universalmente riconosciuta nel mondo civile.

Al riguardo, è stato trattato il tema delle espulsioni e dellíaccompagnamento coattivo alla frontiera; è stato esaminato e criticato il carattere di immediata esecutività dellíatto di espulsione anche se impugnato, ma oggetto, nello stesso tempo, di una convalida giurisdizionale; è stata denunciata, a tal proposito, líincongruente commistione di istituti e materie diverse (quella penale e quella amministrativa); si discute di trattenimento (in questo caso di una forma di restrizione della libertà personale) nei centri di permanenza con termini temporali che sono stati raddoppiati rispetto ai precedenti.

Sono tutti temi - non da ultimo quello del diritto díasilo - che cancellano il diritto; sono tutti temi che tengono da parte la civiltà giuridica che abbiamo conquistato in tutti questi anni. Ciò è tanto vero, che le vostre tesi non sono state condivise finanche da altri Governi del centro-destra europeo nel recente Vertice di Siviglia (mi riferisco alla Francia del presidente Chirac).

Vorrei anche riprendere alcuni temi che sono stati e sono oggetto di discussione. Cíè una pretesa nella cultura che ispira questo provvedimento e nelle dichiarazioni rese dagli esponenti di Governo: quella di impedire, di bloccare, di avere la capacità di arrestare il fenomeno migratorio, anziché di governarlo.

Il ministro Tremonti ha sostenuto - credo di recitare una sua frase - che il problema non è solo "di impedire o gestire líimmigrazione, ma anche di impedire che questa avvenga". Credo che questa sia una pretesa assolutamente impossibile da realizzarsi e a tal proposito vorrei tentare di smentire le tre o quattro tesi che giustificano questa posizione, sulle quali si è sviluppata una discussione.

La prima tesi è che la crescita del reddito in un Paese in via di sviluppo produca automaticamente una minore propensione ad emigrare. Abbiamo visto e gli studiosi di diritto demografico ci hanno dimostrato, che non è così: le grandi emigrazioni soprattutto dellíItalia, che prendiamo ad esempio, si verificarono in concomitanza con due principali momenti di modernizzazione economica del Paese: agli inizi del Novecento e nel secondo Dopoguerra. Sono stati proprio fenomeni di sviluppo economico che hanno prodotto líemigrazione.

La seconda tesi ignora il fatto che la stessa emigrazione può rappresentare un fattore di sviluppo se e in quanto sia capace di alleggerire il mercato del lavoro interno, di regalare al Paese di origine capitali freschi attraverso le rimesse. I fattori economici e demografici che producono emigrazione non si possono correggere in un futuro prossimo. Essi hanno uno sviluppo temporale che è certamente molto lontano nel tempo, e in questo senso vanno governati.

L'altra ipotesi è quella secondo la quale i Paesi di immigrazione - dato e non concesso che siano in grado di farlo - possono chiudere le proprie frontiere senza danni per le proprie economie e le proprie società. Ma è vero il contrario, cioè che i lavoratori immigrati concorrono alla crescita economica di un Paese e nella fattispecie del caso europeo e in misura ancora maggiore di quello italiano concorrono a riempire i buchi nell'offerta di lavoro autonomo. Nel caso italiano i buchi riguardano anche, e soprattutto, il lavoro non specializzato.

Ora, ritengo che queste tematiche debbano essere oggetto di maggiore riflessione perché è proprio questo disegno di legge che impedisce quello sviluppo economico che deve conciliare gli interessi, facendo leva su un principio di solidarietà sociale e di crescita del mondo del lavoro.

Per entrare maggiormente nel dettaglio del provvedimento, tra le molte critiche che sono state avanzate, la parte dedicata al lavoro credo che presenti numerose anomalie; ad esempio, nelle prescrizioni contrattuali, che nella sostanza configurano l'introduzione di nuovi oneri impropriamente trasferiti al datore di lavoro. Oneri che, di fatto, si traducono in un maggior costo del lavoro, a parità di trattamento economico rispetto al costo corrispondente di lavoratori italiani e comunitari.

In questo senso la normativa rappresenta certamente un disincentivo all'impiego regolare di manodopera extracomunitaria, oppure precostituirà le condizioni per trattamenti economici peggiori, a parità di prestazioni, per i lavoratori stranieri. Questo non solo contrasta con il dettato costituzionale (perché avremo disparità di trattamento rispetto a posizioni identiche e non ci uniformeremo a quel criterio di ragionevolezza che la Corte costituzionale ha indicato), ma viola anche palesemente la Convenzione dell'OIL n. 143 del 1957, ratificata dall'Italia nel 1981, che prescrive parità di trattamento e piena parità di diritti per i lavoratori extracomunitari regolari.

Che dire poi dell'accompagnamento coattivo alla frontiera, di quello immediatamente esecutivo e della convalida, di cui abbiamo già a lungo discusso? E, ancora, che dire del raddoppio dei 60 giorni di trattenimento nei centri di permanenza temporanea?

Ritengo che il testo proposto dal Governo incida profondamente sulla disciplina vigente in materia di immigrazione e si configuri come una riforma inorganica e incoerente, limitandosi ad interventi di tipo restrittivo rispetto al sistema di obblighi e sanzioni esistenti, la cui finalità appare meramente punitiva più che positivamente innovativa.

Penso che la strada che avremmo dovuto intraprendere è molto diversa e che il cardine degli incentivi su cui commisurare la capacità di governo di questo Paese sarebbe stato quello di creare un clima cosmopolita e tollerante capace di coniugare le esigenze di sicurezza e di certezza di diritto con le capacità di accoglienza e soprattutto di governo che voi, colleghi della maggioranza, continuate a non dimostrare. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Eufemi. Ne ha facoltà.

EUFEMI (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, onorevole Sottosegretario, colleghi, il testo al nostro esame giunge in terza lettura al Senato dopo le modifiche intervenute alla Camera e si avvia dunque alla definitiva approvazione. Ho posto líattenzione, in Commissione prima e in Aula poi, esclusivamente su due questioni, una tecnica e líaltra politica.

La prima è quella relativa ai minori, che ha trovato parziale accoglimento alla Camera. La seconda, squisitamente politica, è quella relativa al recepimento dellíordine del giorno dellíUDC relativo allíarticolo 33 sullíemersione del lavoro irregolare, approvato appunto dalla Camera.

Pur apprezzando il lodevole sforzo compiuto in direzione di una maggiore tutela dei minori stranieri non accompagnati, abbiamo espresso la nostra preoccupazione sullíarticolo 25, sugli effetti che potrebbe produrre tale disposizione.

La disposizione infatti verrebbe ad applicarsi ad una piccola porzione di minori presenti, senza invece risolvere la situazione della maggior parte di essi e con effetti di più preoccupante rilievo nel medio periodo. Vi è il rischio di uníimmigrazione più precoce e dellíaumento di bambini stranieri non accompagnati, con gravi conseguenze sia rispetto alla tutela dei minori sia rispetto ai costi per la società italiana, in quanto líassistenza e la tutela di minori infraquattordicenni implica costi nettamente superiori rispetto allíaccoglienza dei ragazzi più grandi.

Comprendiamo pienamente la difficoltà di stabilire norme che tutelino i diritti dei minori stranieri entrati irregolarmente in Italia, senza, nel contempo, produrre un effetto richiamo. Temiamo tuttavia che porre la condizione dellíingresso prima dei 14 anni non diminuirebbe in modo rilevante questo effetto richiamo. Sarebbe stato auspicabile tenere separati il problema del futuro da quello dellíesistente.

Per il futuro sarebbe stato preferibile ipotizzare un progetto superiore allíanno e quindi il termine attuale di tre anni non avrebbe dovuto essere ridotto ad un anno. Per il passato sarebbe stata preferibile una norma transitoria, che tenga presente tutti i minorenni entrati in Italia prima del 31 dicembre 2001 e che hanno seguito un progetto díinserimento serio e continuativo.

Non si tratta di una sanatoria, perché non tutti i ragazzi entrati in Italia prima di quella data hanno questa caratteristica. Aggiungo ancora che i ragazzi di questo tipo hanno già fatto la loro scelta di rimanere fuori dal mondo della droga, della prostituzione e della delinquenza in generale. Questi soggetti, inoltre, hanno già sfruttato fondi pubblici e privati che verrebbero ad essere sprecati se dovessero rientrare nel loro Paese díorigine.

Riteniamo che una griglia così stretta così come quella prevista dei tre anni di permanenza e di due anni di percorso di recupero, non tenga nel giusto conto la reale situazione dei minori e il ruolo svolto dai servizi di assistenza, accoglienza e recupero.

Rispetto alle risposte, certamente cortesi, del sottosegretario Mantovano, riteniamo che non sia stata chiarita la possibilità di consentire líesercizio di attività lavorativa a minori stranieri, titolari di permesso di soggiorno per minore età. Non è stato chiarito che la detrazione debba essere portata alla quota díingresso per líanno solare successivo. Si rischia di fare una norma rigida, ma priva di una completa efficacia rispetto al significato più autentico, che sta nellíazione di solidarietà verso i più deboli, e allíesigenza di combattere le organizzazioni criminali sottraendo carne umana.

Per quanto attiene al recepimento dellíordine del giorno relativo allíemersione di lavoro irregolare, la questione è divenuta essenzialmente politica, perché riteniamo che quel patto politico vada rispettato da tutti. La nostra coerenza e la nostra lealtà ci impongono di ritenerlo pienamente valido.

Abbiamo tenuto presente il problema dellíindustria e dellíagricoltura italiana; come UDC, non abbiamo presentato emendamenti perché riteniamo che quel patto, al quale annettiamo grande significato, vada rispettato.

In tema di permessi abbiamo insistito affinché, inoltre, sia prevista una più forte semplificazione degli atti. Infatti, vi sono molte aziende che fin dal primo momento sono in grado di assumere lavoratori a tempo indeterminato, ma che sono costrette a richiedere i lavoratori stagionali, con tutta la trafila burocratica che ne discende, fino all'assunzione definitiva e sempre che il numero di quote, con i relativi squilibri territoriali che non ho mancato di sottolineare in Commissione, lo consenta.

Tale esigenza scaturisce direttamente dalle aziende, che hanno la possibilità tecnica ed economica di assumere lavoratori extracomunitari. Non dimentichiamo che questi ultimi, regolarmente avviati al lavoro, rappresentano un bacino di contribuzione non indifferente per il Paese. Insomma, abbiamo davvero bisogno che si faccia al più presto qualche cosa di serio e di concreto, liberando il tema dell'immigrazione da tutti gli orpelli derivanti dalla demagogia e dallíincapacità di osservare la realtà.

Dobbiamo evitare che persone che oggi lavorano nel sistema, già presenti in Italia, siano obbligate ad uscire dal nostro Paese e poi rientrarvi per poter finalmente accedere al posto di lavoro, con immani complicazioni per i datori di lavoro e per i lavoratori stessi. Perché non regolarizzarli, seppure in un distinto ma parallelo e contestuale provvedimento, insieme a colf e badanti?

È necessario presentare i dati e i fatti nella loro elementare crudezza per far risaltare l'incandescenza di questa situazione, che può bruciare la vita di molte aziende agricole e delle loro produzioni. È necessario opporre solidi argomenti ai sussulti demagogici per colpa dei quali il fuscello viene ingigantito dalla lente mediatica, mentre la trave che offusca la capacità di essere di aiuto al Paese viene ignorata.

Noi ritenevamo questa strada la più corretta, la più incisiva, la più efficace, la più rispondente agli interessi non della nostra parte politica, ma del Paese. Abbiamo cercato di far prevalere la ragione, cogliendo l'opportunità di questo provvedimento per affrontare i complessi problemi del Paese, che non possono essere né sottaciuti né dimenticati.

Nessuno più di noi vuole la pronta operatività di un provvedimento, come quello che regola l'immigrazione, fortemente auspicato. La nostra iniziativa legislativa è dell'inizio della legislatura, ben prima di quella governativa, a dimostrazione che è un tema da noi particolarmente sentito. Quello che noi abbiamo auspicato è un prodotto legislativo funzionale agli interessi della Nazione.

Ribadiamo con forza che la situazione richiede che non si determini un vuoto normativo che avrebbe effetti disastrosi e conseguenze penali sugli imprenditori e sui lavoratori, oltre che sulle imprese agricole e industriali. Ecco perché abbiamo insistito sulla contestualità tra approvazione della legge e intervento sul sommerso.

Siamo leali verso il Governo, verso il Parlamento, verso il Paese. Non abbiamo alzato nessun prezzo, abbiamo posto questioni serie, che meritano risposte serie. Abbiamo cercato di guardare ai problemi non con la lente deformata del provincialismo, dell'ideologismo o della speculazione politica, ma con la consapevolezza di coniugare rigore, fermezza e sicurezza nei confronti dei cittadini con i princìpi della solidarietà in una società aperta, globalizzata e multietnica.

Non vi possono essere leggi, muri, barriere in grado di fermare il movimento dei poveri, un movimento che sale nel Mediterraneo da Sud verso Nord e che richiede risposte coerenti e soprattutto europee.

Questo provvedimento rappresenta la realizzazione di un punto rilevante degli impegni programmatici della coalizione di centro-destra. Il risultato viene raggiunto in tempi rapidi, considerata la complessità della materia, e ciò è stato possibile per l'azione svolta dai Gruppi della coalizione che hanno valorizzato il momento del confronto e il Parlamento come sede della mediazione politica.

Mentre rivolgiamo un ringraziamento e un apprezzamento al relatore Boscetto e al rappresentante del Governo Mantovano per líattento lavoro svolto, esprimiamo soddisfazione per líimpianto del provvedimento e per i miglioramenti apportati al testo originario, in particolare sulle colf e le badanti, sui minori, sui ricongiungimenti familiari, che con il nostro rilevante contributo, attraverso un confronto serio, approfondito, certo qualificato, a volte anche aspro, hanno determinato le condizioni politiche per giungere a quei risultati attesi che ci portano ad esprimere il nostro consenso al disegno di legge sullíimmigrazione. (Applausi dai Gruppi UDC:CCD-CDU-DE, FI e AN).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Forlani. Ne ha facoltà.

FORLANI (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, onorevoli colleghi, con la seconda lettura in Senato, si avvia a compimento líiter legislativo del testo di riforma della normativa sullíimmigrazione, che ha suscitato un intenso dibattito nel Parlamento ma anche nel Paese.

Quello dellíimmigrazione è certamente un tema tra i più controversi, inevitabilmente destinato ad accendere polemiche, diffidenze, resistenze e incomprensioni, così come facilmente si presta a strumentalizzazioni di parte, ad atteggiamenti demagogici, ad allarmismi spesso fuorvianti.

Credo che la parte politica nella quale mi riconosco abbia concorso, tanto durante il dibattito in prima lettura in questíAssemblea quanto durante líesame alla Camera, a ricondurre il problema alla sua giusta dimensione e a porre in luce le autentiche esigenze a cui la riforma doveva e deve corrispondere.

Sappiamo che líimmigrazione di massa era un fenomeno pressoché sconosciuto alle generazioni più recenti del nostro Paese, che aveva invece sperimentato líemigrazione di massa, e che le forme in cui questa immigrazione dai Paesi in via di sviluppo si è manifestata in questi ultimi due decenni hanno trovato dunque inevitabilmente il nostro Paese impreparato, tanto sotto il profilo legislativo quanto relativamente al tessuto sociale ed economico, anche per le caratteristiche morfologiche del nostro territorio e per le dimensioni della sua superficie.

Più ancora che in altri Paesi, di antica tradizione coloniale, multietnica o caratterizzati da un più forte sistema produttivo, in Italia le immigrazioni di massa hanno suscitato preoccupazione e insofferenza, spesso anche situazioni di panico, di difficoltà di adattamento alla convivenza, talvolta perfino reazioni che rasentano líintolleranza e il razzismo. Eravamo impreparati e ritengo che líadattamento richiedesse necessariamente del tempo anche sotto il profilo normativo, al fine di individuare una disciplina degli accessi equilibrata e proporzionata alle dimensioni assunte dal fenomeno.

Si sono succedute nel tempo diverse normative. Ricordo quelle che assunsero la veste di discipline orientate a regolare il fenomeno nella sua generalità: la cosiddetta legge Martelli (la n. 39 del 1990), la legge n. 617 del 1996 e soprattutto il decreto legislativo n. 286 del 1998, il testo unico concernente la disciplina dellíimmigrazione e la condizione dello straniero, in cui si innesta, modificandola sensibilmente, il disegno di legge ora al nostro esame.

Non credo, onorevoli colleghi, che queste precedenti normative debbano ritenersi fuorvianti o sbagliate di per se stesse e che in particolare líultima di quelle citate, la cosiddetta Turco-Napolitano, sia stata una cattiva legge.

Il relatore, senatore Boscetto, che ha svolto un ottimo e proficuo lavoro al servizio del Parlamento e di tutti noi con competenza, pazienza, grande cortesia, e che dunque ringrazio, nella sua relazione introduttiva di giovedì scorso diceva che la normativa in esame sana le negatività della legge Turco-Napolitano, pur mantenendone líimpianto. Benché abbia compreso il senso delle sue parole e il significato di quanto voleva esprimere e lo condivida, sul piano letterale forse líespressione "negatività" deve considerarsi eccessiva.

Ripeto, io credo che le leggi precedenti, nel momento in cui furono approvate siano state delle buone leggi ma che oggi, comunque, si richiedesse un passo in avanti, uno sforzo ulteriore di adeguamento, rappresentato appunto da questo disegno di legge presentato dal Governo Berlusconi, che oggi per la seconda volta siamo chiamati ad esaminare.

Il problema dellíimmigrazione dal Terzo mondo è molto complesso, coinvolge tante tematiche diverse: la fame, la povertà, lo squilibrio nella distribuzione delle risorse, la violenza e líintolleranza di alcuni regimi, la capienza del nostro Paese, le sue contraddizioni economiche, la nostra anomala disoccupazione che convive con una disperata ricerca di manodopera, il nostro precario e tuttavia ambitissimo benessere, un mito per gran parte del mondo in via di sviluppo, la lotta alla criminalità, la convivenza di culture e religioni diverse.

Un fenomeno così complesso, con tante e tali implicazioni, sviluppandosi nel nostro Paese in pochi anni in forme tanto dirompenti, non avrebbe potuto non richiedere una successione di normative generali nel tempo, una continua evoluzione della legislazione per perfezionare gli istituti e le forme di intervento e di regolamentazione ed adeguarli progressivamente alle sempre nuove emergenze evidenziate dalla concreta esperienza.

Dice ancora il relatore che oggi, con líapprovazione di questo disegno di legge, vi sarebbero le condizioni per il superamento degli aspetti drammatici del problema per il nostro Paese. Vorrei condividere il suo ottimismo, ma penso che più che una soluzione complessiva questa nuova normativa debba ritenersi un ulteriore passo in avanti, coerente con le impostazioni del passato, volta ad integrare le normative vigenti con ulteriori accorgimenti che consentano una migliore tutela della comunità civile, della sicurezza e degli stessi immigrati, alla luce dellíesperienza maturata e delle evoluzioni che si sono riscontrate in questi anni.

Con questa legge è stato fatto un buon lavoro: si è finalmente stabilita una stretta correlazione tra il diritto allíingresso e la previa acquisizione di un posto di lavoro; si è conferita una valenza di effettività allíespulsione, con líaccompagnamento alla frontiera degli irregolari, che diventa la regola generale; è stato eliminato líistituto dello sponsor, non perché líidea di per se stessa fosse sbagliata, ma perché nellíesperienza concreta si è rivelata fallimentare ai fini di combattere la clandestinità.

Queste innovazioni e le altre contenute nel testo in esame erano - a nostro giudizio - necessarie, ma non possono ritenersi esaustive, risolutive delle tante difficoltà che quotidianamente si presentano a chi debba poi concretamente applicare la legge e governare il fenomeno.

Sarà necessario un continuo monitoraggio, una costante azione di verifica degli effetti delle nuove norme, lo sviluppo dei rapporti bilaterali e della collaborazione con i Paesi di provenienza, líincremento della cooperazione allo sviluppo, líazione dissuasiva verso quei Paesi che alimentino il fenomeno attraverso violenze e persecuzioni. E qui ci ricolleghiamo al problema del diritto di asilo, parzialmente regolamentato anche da questa normativa.

Ci sono Paesi rispetto ai quali sarà difficile riaccompagnare i profughi o i fuggitivi alla frontiera. Risulterà difficile riaccompagnare i curdi che fuggono dallíIraq tra le braccia di Saddam Hussein; sarà difficile riconsegnare i profughi alla Somalia che non ha più un governo ma più governi, che non ha più un vero e proprio Stato.

Queste fattispecie dovranno essere regolate da una disciplina organica del diritto díasilo che da tempo il nostro Paese attende. Forse si renderanno ancora necessarie nel tempo nuove e più adeguate norme emanate anche in sede comunitaria, per rendere omogenea la risposta dei vari Paesi dellíUnione. Sono questi i diversi fronti tramite i quali il fenomeno deve essere affrontato.

Credo che anche alla Camera sia stato fatto un buon lavoro. In particolare voglio citare alcuni punti: la possibilità di rivedere i programmi di cooperazione e di aiuto per interventi non a scopo umanitario nei confronti di quei Governi che non adottino misure di prevenzione e di vigilanza per prevenire il rientro illegale sul territorio italiano (ciò in conformità anche con le decisioni assunte nel recente Vertice di Siviglia); la modifica introdotta allíarticolo 4 che impedisce líingresso dello straniero che secondo criteri certi sia ritenuto una possibile minaccia per líordine pubblico del nostro Paese.

Altre innovazioni che ritengo rilevanti sono la diminuzione della pena per líimputato accusato di attività legate allíimmigrazione clandestina che, cooperando con il nostro ordinamento e con i nostri inquirenti, aiuti a sgominare queste organizzazioni, questo traffico di persone, e líesclusione dellíespulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione nei casi in cui verrebbe messa a repentaglio la vita o la salute dellíespulso.

Cíè un altro elemento che ha caratterizzato, in particolare, líimpegno dei nostri Gruppi parlamentari, tanto al Senato quanto soprattutto durante líesame del provvedimento alla Camera. Líaspetto carente che rilevammo fin dagli inizi della prima lettura in Senato riguardava soprattutto il pregresso, gli immigrati regolari già presenti in Italia e inseriti, sia pure in nero, nel mercato del lavoro. Questi erano completamente ignorati dal disegno di legge nel testo che fu inizialmente presentato dal Governo.

Su questo punto conservo uníopinione ben precisa: chiunque si sia pacificamente integrato nei processi produttivi del nostro Paese svolgendo, sia pure in nero, attività di per se stesse lecite e spesso necessarie ai nostri equilibri economici e sociali, deve essere regolarizzato senza essere obbligato ad un previo rientro nel Paese di provenienza.

Durante la prima lettura in Senato, come tutti sapete, il massimo di mediazione che si poté conseguire era stata la regolarizzazione delle colf e delle cosiddette badanti: questione importante e sacrosanta, anche per il ruolo che queste figure svolgono nelle nostre famiglie. Ma come si può stabilire la maggiore dignità o la maggiore utilità di una badante rispetto a un bracciante, a un operaio, a un cameriere, ugualmente utile, ugualmente desideroso di lavorare, di integrarsi, di servire la nostra comunità e il nostro Paese?

Da queste considerazioni prese forma alla Camera líemendamento Tabacci, ritirato dopo giorni di polemiche e di confronto anche allíinterno della maggioranza, a condizione che il Governo presentasse un nuovo disegno di legge per líemersione delle categorie cui líemendamento stesso si riferiva.

Onorevole Mantovano (colgo líoccasione per ringraziare anche lei per la collaborazione data durante líiter di questo provvedimento), credo che quellíimpegno debba essere mantenuto: non però come riconoscimento dellíesigenza di una parte politica - non ci interessa questo, non è questo il problema - ma come garanzia di equità e di rispondenza della normativa a logiche di equilibrio produttivo e di solidarietà.

Riteniamo dunque che questo provvedimento, frutto di un lavoro difficile e di una seria e ponderata analisi dellíevoluzione del fenomeno, sia necessario e debba essere approvato. Ma nessuna legge umana può considerarsi perfetta, soprattutto se disciplini fenomeni in rapida evoluzione. Non deve perciò considerarsi esaustivo, una sorta di opzione definitiva, dogmatica, chiusa ad ulteriori successivi elaborazioni e aggiustamenti legati allíesperienza concreta, allíevoluzione delle condizioni migliorando, con il tempo, anche qualche aspetto di maggiore rigidità.

Penso, per esempio, ad una forse eccessiva limitazione dei ricongiungimenti familiari; penso anche alla questione delle impronte digitali, che sarebbero accettabili se diventassero un criterio normale di censimento dellíidentità di tutta la popolazione residente, italiana e non (come è capitato a molti di noi durante il servizio militare), perché allora nessuno lo avvertirebbe come una mortificazione bensì come un normale adempimento, ma poiché riguardano soltanto gli stranieri qualche perplessità in noi possono suscitarla.

Bisogna evitare, appunto, o magari stemperare qualcuna di queste rigidità, che invece in questa fase non è stato possibile correggere. (Applausi dal Gruppo UDC:CCD-CDU-DE e dei senatori Boscetto e Magnalbò ).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Baio Dossi. Ne ha facoltà.

BAIO DOSSI (Mar-DL-U). Signor Presidente, ringrazio il relatore e il sottosegretario Mantovano, apprezzando soprattutto la disponibilità allíascolto in uníAula semideserta.

Durante la discussione generale, soprattutto da parte dei colleghi della maggioranza è stato evidenziato lo sforzo che è stato fatto nel corso dellíesame del provvedimento prima in Senato, poi alla Camera ed ora nuovamente in questíAula.

Apprezziamo lo sforzo che è stato compiuto rispetto al testo iniziale. Mi permetto però di usare, da lombarda e da milanese, un'espressione, una massima manzoniana per riassumere l'atteggiamento che contraddistingue il Gruppo della Margherita: "Questa legge non s'ha da fare!".

MANTOVANO, sottosegretario di Stato per l'interno. Erano i bravi che si rivolgevano a don Abbondio.

BAIO DOSSI (Mar-DL-U). Sì, certamente, è il dialogo tra i bravi e don Abbondio in riferimento al matrimonio fra Renzo e Lucia.

Qui non si tratta di un matrimonio, anche se questo termine potrebbe essere usato in uníaccezione larga, ampia: qui si tratta di un provvedimento che dovrebbe diventare una delle leggi fondamentali di uno Stato civile, sapendo che il tema dellíimmigrazione e delle migrazioni è tra i più complessi che sono oggi sul tappeto, non solo e non tanto a livello italiano ma all'interno dei Paesi occidentali, in particolare in ambito europeo.

Questo disegno di legge sarebbe dovuto servire a far riflettere e quindi ad individuare delle risposte corrette, sapendo che non sono le risposte migliori, ma solo quelle possibili in questo momento; riflettere anche sulle buone prassi europee perché il fenomeno migratorio interessa il continente europeo ormai da anni e non è più nuovo. Esso riguarda marginalmente in termini percentuali il territorio italiano, se lo si confronta, ad esempio, con quello tedesco e francese.

Quindi, le buone prassi europee avrebbero potuto illuminare e migliorare questo disegno di legge, che avrebbe dovuto servire a verificare le due filosofie che si confrontano a livello europeo, confronto che tengo ad evidenziare. Infatti, credo che ognuno di noi abbia la consapevolezza di mantenere la propria identità, la propria specificità, anche come Paese e Nazione; tuttavia, soprattutto per quanto riguarda le politiche relative alla sicurezza, al lavoro e al Welfare, è fondamentale allargare la nostra visione al livello europeo.

Le due filosofie che si confrontano sono quella francese e quella tedesca. In Francia, dopo pochi anni di permanenza, un cittadino extracomunitario diventa a tutti gli effetti cittadino francese. I figli dei polacchi, degli ungheresi che vivono in Francia e sono nati in quel Paese si ritengono a tutti gli effetti francesi.

La tesi tedesca è invece quella della distinzione e della separazione. Sto traducendo queste filosofie in termini umanistici, non giuridici; lo sottolineo perché non vorrei essere accusata di stravolgere le filosofie su cui si basa il processo di accoglienza e di integrazione in questi due Paesi.

Vorrei tuttavia evidenziare che in Germania - ho potuto verificarlo con i miei occhi - accanto a questa separazione tra la comunità tedesca e quella turca o algerina il processo di integrazione è molto avanzato. Nelle scuole, per esempio, la presenza dei mediatori culturali è una presenza riconosciuta, naturale e ormai ritenuta spontanea. Quindi, la separazione non comporta la non integrazione o la mancata individuazione di politiche di integrazione.

La legge Turco-Napolitano aveva scelto una strada diversa da queste due tesi, che rappresentava una mediazione fra i due modelli, proprio nel rispetto della nostra identità e specificità culturale.

Poiché siamo ancora in fase di discussione generale, e spero che la maggioranza non consideri blindato il testo licenziato dalla Camera, con spirito di confronto mi permetto di osservare che il disegno di legge non è ispirato da una filosofia, ma si limita a rispondere ad un bisogno, pure legittimo e giustissimo.

La maggioranza che governa oggi líItalia ha colto un problema esistente, ha colto l'esigenza di rispondere all'atteggiamento di insicurezza o al bisogno di sicurezza, alla paura, all'ansia che i nostri cittadini esprimono nel confronto con i cittadini extracomunitari. Questo dato è sotto gli occhi di tutti coloro che vivono nei nostri comuni, nelle grandi come nelle piccole città.

Tuttavia, la risposta che il disegno di legge configura è, a nostro parere, molto inadeguata; non fa emergere una filosofia. Qual è la vostra filosofia? Il tentativo di rispondere all'ansia, al bisogno di sicurezza tradisce una visione parziale. Voi individuate aspetti insufficienti, che riguardano soltanto - mi si passino espressioni eccessivamente riassuntive - l'individuazione di strumenti repressivi, di cui avevamo magari bisogno, e un atteggiamento un po' poliziesco. Tutto sommato, il provvedimento lascia trasparire una sorta di rifiuto, che emerge anche dalla lettura degli articoli relativi al tema del lavoro.

Il senatore Forlani ha parlato dell'accoglimento dell'emendamento sulle badanti; mi permetto di osservare incidentalmente che questo termine è veramente brutto, voi che siete più bravi nella comunicazione trovate un'altra parola, si parli di assistenti domiciliari o familiari.

Dal disegno di legge emerge innanzitutto che il rapporto fra uomo e lavoro è fondamentale; fin qui si tratta di una scelta, che non condivido integralmente, ma che è legittima. Non si va però al fondo della questione, trascurando il problema di cittadini che lavorano in Italia, che contribuiscono fortemente al nostro benessere e alla stabilità della nostra economia. Tra l'altro, la necessità di lavoratori extracomunitari vale non solo nelle Regioni più ricche del Nord, come la mia o come può essere il Veneto, ma anche in alcune regioni meridionali.

Come si motiva la vostra scelta di sicurezza, se non avete accolto l'emendamento Tabacci e fate una promessa troppo vaga? Era quella l'occasione per riconoscere l'esistenza, sul nostro territorio, di un problema, certamente spiacevole da affrontare (non è piacevole per nessuno legalizzare persone che erano presenti in Italia illegalmente) e per individuare una soluzione, scegliendo poi di percorrere una strada diversa rispetto al passato.

Almeno il disegno di legge avrebbe contenuto una filosofia completa, invece così esso è líannuncio di qualcosa, ma di fatto non va minimamente al cuore del problema e non lo risolve.

Ho citato líesempio del lavoro anche perché è stato oggetto di maggiore dibattito allíinterno del Paese; accanto a questo discorso, credo che uno dei limiti di fondo del disegno di legge in esame sia che non accoglie, bensì rifiuta, quello che invece, che lo si voglia o no, è un dato oggettivo e incontrovertibile: il fenomeno della mobilità è inarrestabile, e non lo è da oggi.

Personalmente allargo le braccia, ma non per arrendermi di fronte a tale fenomeno; come sottolineava pocíanzi il senatore Battisti, ci si può arrendere ad esso e sopportarlo, mentre è bene tentare da una parte di governarlo e dallíaltra, soprattutto, di farlo diventare un elemento di arricchimento e uno strumento di crescita, la quale non consiste solo nello sviluppo economico, ma anche nel confronto culturale.

Il disegno di legge in esame non ha voluto risolvere il problema dei lavoratori del settore agricolo piuttosto che metalmeccanico (e quindi rispondere alle piccole-medie imprese di Milano o a quelle di Verona), a loro non avete voluto rispondere; almeno però esso avrebbe dovuto essere espressione di uníaltra scelta: visto che abbiamo una legge sullíimmigrazione che a voi che governate questo Paese non va bene, questo disegno di legge avrebbe dovuto servire quanto meno per scrivere due o tre regole che per noi sono irrinunciabili.

A questo proposito, citerò un altro esempio, perché altrimenti si rischia di rimanere solo a livello di princìpi generali. Dal 1975, in Italia esiste il diritto di famiglia; nel momento in cui ci si confronta con persone che vengono da Paesi geograficamente differenti e da civiltà profondamente diverse dalla nostra, non solo dal punto di vista religioso, ma anche culturale, non si possono porre loro, come un paletto per noi irrinunciabile, i princìpi contenuti nel diritto di famiglia relativamente alla parità tra uomo e donna (che ormai per noi sono un dato acquisito culturalmente e non più solo un dettato di legge; cinquantíanni 50 anni fa cíera bisogno di cambiare la cultura in Italia, oggi è un dato acquisito); non si può imporre a coloro che vengono da una cultura diversa dalla nostra, per esempio quella musulmana, la parità tra i coniugi come uno dei princìpi fondamentali.

Questo disegno di legge sarebbe stato utile prima di tutto per definire con chiarezza i nostri punti di riferimento, magari limitando líintervento. Ciò sarebbe servito anche a noi, come cittadine e cittadini italiani, almeno per individuare due o tre punti in cui identificarci tutti, visto che oggi amiamo più distinguerci che riconoscerci.

Tutto ciò non attraversa minimamente il disegno di legge in discussione, perché esso ha voluto tamponare alcuni aspetti di tipo economico e ha tentato di rispondere, in modo molto confuso e impreciso, allíansia e al bisogno di sicurezza dei cittadini cercando di porre fine alla paura collettiva che, per alcuni aspetti, invece esso aumenta. Infatti, nel momento in cui si lancia ai cittadini e alle cittadine italiani il messaggio - sintetizzerò così il concetto - che si useranno le navi da guerra per fermare i gommoni su cui arrivano i clandestini, credo che si dia un messaggio non rassicurante, ma allarmante che non risponde ai bisogni che invece essi ci rappresentano. Proprio perché non va incontro a tali bisogni, credo che questo disegno di legge "non síha da fare".

Riprendo uno dei punti cui ho accennato in precedenza, vale a dire l'aspetto economico, a cui voi della maggioranza attribuite una particolare rilevanza; il binomio extracomunitario-lavoratore che passa attraverso questo provvedimento, ritengo sia limitativo.

E' vero che la persona umana si realizza attraverso l'espressione professionale e lavorativa - è scritto anche nella nostra Costituzione che recita : "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro" - ma la persona umana non si esprime solo ed esclusivamente attraverso il lavoro. Quindi, questa filosofia economicistica, lavoristica è molto riduttiva e forse si riferisce ad un'idea che voi dite quotidianamente di condannare.

Per quanto riguarda, dunque, l'aspetto economico, non è che uno Stato debba rispondere immediatamente ogni volta le associazioni imprenditoriali esprimono una necessità, anche se nei vostri programmi elettorali avete sostenuto questo. Credo però che la nostra economia abbia manifestato il bisogno di avere sul territorio queste persone che contribuiscono, sia nelle basse che nelle medio-alte professioni, a migliorare e a rendere ancora più stabile la nostra economia e ad accrescere il prodotto interno lordo. Questi sono tutti elementi da non sottovalutare.

Di conseguenza, risolvere il problema delle assistenti domiciliari o domestiche è mettere un tampone che fa sorridere, anche se personalmente sono díaccordo con questo tipo di misura perché queste persone ci aiutano a "fare famiglia"; figuriamoci allora se non deve essere data loro la possibilità sia di ricongiungersi con la propria famiglia sia di avere una stabilità di lavoro nel nostro Paese. Dobbiamo però riconoscere onestamente che si tratta di un tampone, che non ci piace e che non ci soddisfa. Soprattutto non dobbiamo dire che questo provvedimento aiuta a risolve il problema di coniugare la nostra economia con quella degli altri Paesi. Pertanto, auspico che si chiariscano meglio, anche con riferimento al diritto d'asilo, gli articoli contenuti in questo provvedimento.

Mi permetto di concludere il mio intervento citando una frase che riassume un poí il pensiero della mia parte politica su questo tema. Anche il senatore Battisti ha parlato di libertà e di solidarietà: la solidarietà in fondo cosa fa? Ci aiuta a vedere l'altro (persona, popolo o nazione) non come uno strumento qualsiasi da sfruttare e quindi da abbandonare quando non ci serve più. Non è che queste persone ci servono di giorno e poi di sera ci fanno paura per cui le vogliamo cacciare.

La solidarietà ci permette non solo di servirci, ma anche di andare incontro al nostro simile; perché anche se l'immigrato è diverso da noi, è comunque un nostro simile ed è per questo che dobbiamo accoglierlo e valorizzarlo, rendendolo partecipe, al pari di noi, al banchetto della vita, che è il nostro banchetto e che forse può essere condiviso anche con lui.

Se questa filosofia (che non è semplice da tradurre in dettato legislativo) informasse maggiormente questo provvedimento, esso probabilmente ne uscirebbe migliorato. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U e del senatore Boscetto. Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Magnalbò. Ne ha facoltà.

MAGNALBO' (AN). Signor Presidente, il mio intervento sarà molto ridotto giacché mira soltanto a dare voce ad Alleanza Nazionale per ribadire la sua posizione sull'argomento.

Questo provvedimento - ad avviso del mio Gruppo - è puntuale e ragionevole, articolato e conforme ai criteri europei. Esso poggia su tre pilastri semplicissimi. Innanzi tutto, líidentificazione del numero delle persone che vengono iscritte nei flussi migratori. In secondo luogo, il respingimento per chi non ha le carte in regola, e cioè non può dimostrare di essere entrato legittimamente in Italia. In questo senso, Presidente, si tratta anche una lotta agli scafisti, che non era mai stata fatta dal momento che negli anni scorsi costoro erano diventati i padroni di questo mercato di persone e di schiavi. Il terzo pilastro importante è quello del lavoro, che è la soluzione qualificante.

Quindi, Alleanza Nazionale è díaccordo su tale provvedimento, ritenendolo puntuale, ragionevole e articolato. Faccio presente che Alleanza Nazionale nel 1998 era stata la prima - come risulta da tutti gli atti del Senato - ad ipotizzare un interessamento doveroso dellíEuropa ai flussi migratori che riguardano il nostro Paese. Così come noi abbiamo ceduto tante sovranità - oggi non si usa più dire così ma si usa uníaltra espressione - abbiamo anche diritto a che questa Europa salvaguardi i suoi confini marini di cui noi siamo parte sostanziale.

Presidente, questo provvedimento, reca delle innovazioni e restituisce allíItalia un lustro particolare, cioè il ruolo di guida culturale e istituzionale che per secoli ha avuto nei confronti dellíEuropa. Ne è prova quanto leggo oggi sui giornali e cioè che la Francia seguirà i provvedimenti adottati dallíItalia per quanto concerne i beni statali (si tratta di quel provvedimento che la sinistra - in questo momento totalmente assente - ha duramente criticato), così come líEuropa seguirà il provvedimento riguardante le impronte digitali. LíItalia è quindi sempre il Paese che si caratterizza come guida culturale e istituzionale nellíEuropa.

Il dato politico fondamentale è che la Casa delle Libertà è unita e compatta per quanto concerne questo provvedimento e io voglio esprimere apprezzamento agli amici dellíUDC, che hanno ben compreso le regole e pur sostenendo le loro istanze si sono accordati con noi e con tutta la Casa delle Libertà perché questo provvedimento, che anche loro ritengono compiuto, vada in porto.

Successivamente, attraverso un provvedimento a latere, potranno essere apportate correzioni o previste regole complementari meditate per quanto concerne le varie emersioni oppure líingresso di familiari, più o meno per tutti coloro che possono essere accolti in Italia.

Alla senatrice Baio Dossi, al momento non presente, vorrei dire che noi qui stiamo facendo delle leggi, non svolgendo un dibattito culturale e filosofico sulle immigrazioni. Vorrei dirle che noi italiani siamo stati spettatori di immigrazioni da secoli, possiamo dire da millenni, perché tutti i popoli che vengono dallíEst sono passati attraverso líItalia. Personalmente, come individuo che viene da una famiglia nata e vissuta lungo la costa orientale della Penisola, posso affermare con certezza di avere il sangue di tre o quattro razze diverse: romana, longobarda, araba e anche bizantina.

Quindi non ci scandalizziamo di fronte a niente, sappiamo benissimo come stanno le cose. Però qui stiamo dando delle regole ad un Paese che ne ha bisogno. Non possiamo dire che una persona normale, che vive in una comunità, per amore di un dibattito culturale e filosofico non debba essere protetta e non debba vivere nella sicurezza. I dibattiti facciamoli a parte, prendiamo delle sale e organizziamo dei convegni; qui però facciamo le leggi, che sono importanti.

Questo è uno stimolo dietro al quale ormai corre dietro questa sinistra, che è diventata salottiera: la sinistra di Piazza Navona, la sinistra intellettuale e folcloristica, che è tanto distante nel suo apice dalle pulsioni e dai problemi del suo elettorato.

Mentre qui si discute quasi in favore dei clandestini, lungo le coste e negli agglomerati urbani gli elettori della sinistra, quelli della base, debbono confrontarsi tutto il giorno con le prostitute, con le gang di piccoli criminali, con gli spacciatori, con tutto quello che ruota attorno questo mondo clandestino e del vizio.

Ecco, Alleanza Nazionale vuole ben scindere. Noi siamo a favore di questo provvedimento perché secondo noi detta regole precise e necessarie. Alleanza Nazionale, insieme a tutta la Casa delle libertà, che ringrazio nelle sue varie componenti, voterà a favore di questo provvedimento. (Applausi dai Gruppi UDC:CCD-CDU-DE e FI).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, erano iscritti a parlare anche i senatori Carrara, Dentamaro, Fassone, Toia, Guerzoni, Cambursano, De Zulueta, Maffioli e Vitali. Considero la loro assenza dall'Aula come rinuncia a partecipare alla discussione generale del provvedimento in esame.

Pertanto, dichiaro chiusa la discussione generale.

Ha facoltà di parlare il relatore.

BOSCETTO, relatore. Signor Presidente, onorevoli senatori, mi compiaccio per questa discussione generale, che è stata molto serena. Come già avevo detto durante la relazione, i toni utilizzati su questo provvedimento si sono man mano abbassati, dai toni quasi furibondi dell'inizio della discussione in Commissione affari costituzionali e quindi nell'Aula del Senato, a quelli più smorzati, ma ancora alti, del dibattito alla Camera, ai toni calmi, tranquilli, pacati di questa terza lettura.

Da una parte, forse, perché si è compreso che questo provvedimento va verso la sua definizione ed approvazione definitiva; dall'altra perché tantissime cose sono state dette; da un'altra ancora perché forse ci si è resi conto che su questa riforma della legge Turco-Napolitano si è fatto un grande movimento di opinione, talvolta si sono troppo agitate le bandiere, talvolta, come diceva il senatore Petrini, si è scosso, o si è raggiunto il furore ideologico.

Da una parte le opposizioni hanno visto questo strumento legislativo come l'oggetto per polemizzare contro la nostra parte politica, dall'altra parte noi abbiamo resistito a questa impostazione cercando di evidenziare tutti i buoni aspetti di questa legge.

Calati i toni, sceso completamente il furore ideologico di cui parlavo, non ci rimane oggi, soprattutto alla fine di questa discussione generale, che valutare tutte le positività contenute nella legge medesima dopo i passaggi in prima lettura al Senato e in seconda lettura alla Camera.

Noi ravvisiamo - e lo può ravvisare chiunque impegni onestà intellettuale - un grosso sforzo della maggioranza per migliorare la legge Turco-Naplitino, per evitare quegli inconvenienti, che, a nostro parere, l'avevano resa deficitaria ed avevano creato una serie di scompensi, e per aggiungere normative non solo utili alla sicurezza, ma ampie nel clima di tolleranza e di integrazione che - ci si contesta - noi non avremmo voluto mettere in essere.

Noi, per tabulas, dalla lettura della legge, possiamo dimostrare come si sia fatto tutto il possibile, direi tutto il doveroso, per riuscire a rendere questo strumento legislativo abbastanza mite nella sostanza generale, pur nel rispetto di quelle esigenze di sicurezza che la nostra popolazione richiede e che se non fossero rispettate oggi e nel futuro finirebbero - come qualcuno ha detto - per creare sconquassi e lotte fra gruppi.

Lotta spero sempre civile, ma comunque incomprensione tra cittadini italiani e coloro che vengono a prestare qui il proprio lavoro. Costoro - si badi bene - hanno tutte le possibilità di integrarsi e di vivere nel nostro Paese per tutta la vita, acquisendo con il passare degli anni diritti fondamentali: dopo sei anni di residenza continuativa, lavorando in questo Paese, possono ottenere la carta di soggiorno, che è uno status privilegiato, e dopo dieci anni possono chiedere la cittadinanza.

Quindi, tutti i momenti polemici sulla volontà di non integrare gli immigrati, tutti i momenti polemici che fanno riferimento ad immigrati con la valigia che faremmo venire per lavorare di giorno e tenere chiusi in casa di notte nella speranza di farli allontanare il più presto possibile, appena i bisogni dei nostri imprenditori dovessero cessare, non hanno alcun fondamento reale, né in quello che abbiamo voluto fare, né soprattutto in quello che abbiamo scritto nel provvedimento.

Ma cíè di più. Gli interventi alla Camera si sono posti problemi che erano nati al Senato, taluni espressi dalle opposizioni. Si era detto che il meccanismo dellíimpugnazione dellíasilo era insufficiente: alla Camera è stato introdotto un riesame del primo provvedimento della commissione territoriale, aggiungendo così uníulteriore garanzia rispetto al testo del Senato.

Si era detto che il trattamento degli asilanti era deficitario sul piano dellíaccoglienza e dellíassistenza quotidiana: con un enorme sforzo per la ricerca della copertura finanziaria - e di questo ringrazio personalmente il Ministro dellíinterno e il sottosegretario Mantovano - in una delle norme del provvedimento si è stabilito un programma asilo che è un gioiello, che rispetta tutta líesperienza che gli enti locali avevano già messo in essere in termini pressoché volontaristici e aggiunge finanziamenti di pertinenza del Ministero dellíinterno, e in senso lato dello Stato, per riuscire a migliorare il programma in favore degli asilanti e dei rifugiati.

Si temeva che i meccanismi di ingresso dei lavoratori, previa ricerca e formazione della proposta del contratto di lavoro, nei consolati e nelle ambasciate fossero rallentati dalla mancanza di personale: siamo riusciti ad aumentare il numero di coloro che in tali sedi lavoreranno per questa bisogna e abbiamo trovato anche la possibilità di inviare funzionari esperti del Ministero dellíinterno per prestare la propria opera nelle sedi estere.

Questo significa credere in una legge, ma significa anche operare a favore di questa legge affinché si concretizzi nellíinteresse di tutti. Infatti, come tanti hanno detto, questo è un problema che non si riuscirà mai a risolvere in modo perfetto con una legge: dovremo comunque ancora intervenire, aggiungere, sostituire. Ne siamo ben consci, ma siamo anche consci di aver fatto tutto il possibile per riuscire ad introdurre norme eque, che fanno sì che la legge Turco-Napolitano sia trasformata e arricchita.

Quando uscirà sulla Gazzetta Ufficiale come legge dello Stato noi tutti, anche le opposizioni, ma soprattutto i cittadini, avremo il piacere di leggere un testo di legge degno, che andrà a regolare una difficilissima materia, nel vero interesse di tutti, nellíarmonia, nellíequilibrio, in quelle situazioni buone e belle che sole possono essere utili in questo rapporto talvolta difficile che si crea tra coloro che accolgono i cittadini dei Paesi extracomunitari e costoro, che arrivano con le loro tradizioni, i loro usi e i loro costumi.

Si pensi che la Germania e il Regno Unito stanno introducendo norme affinché gli immigrati extracomunitari apprendano lingua ed elementi della cultura locale. Noi questo non lo abbiamo chiesto, ma sappiamo che ciò si creerà naturalmente. Speriamo che non vi siano resistenze da parte degli immigrati extracomunitari in questo senso.

LíItalia è un Paese realmente cosmopolita, un Paese storicamente aperto a flussi di tutti i tipi, un Paese che non ha mai avuto tendenze razziste, che non è stato razzista neanche quando vigevano le leggi che imponevano di esserlo. Ma non ci si chieda di ospitare comunque ed indiscriminatamente chiunque perché ciò non è mai avvenuto né qui né in qualsiasi altro Paese del mondo.

Noi saremo qui, pronti a garantire questa accoglienza legata al lavoro, ma saremo anche decisi e virili, come diceva il senatore Petrini, nel respingere i delinquenti e i clandestini (Applausi dai Gruppi AN e UDC:CCD-CDU-DE. Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

MANTOVANO, sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, dopo líintervento del relatore cíè ben poco da aggiungere. Innanzitutto voglio ringraziare líAula del Senato e tutti coloro che sono intervenuti per líimportante contributo di approfondimento al dibattito su un provvedimento obiettivamente complesso.

Un provvedimento che non pretende di dire líultima parola su una materia delicata e in continua evoluzione, ma che in ogni caso si pone líobiettivo di riportare, come ricordava poco fa il relatore, senatore Boscetto, a serietà líintera disciplina e nel contesto europeo, in qualche misura anticipandolo, se è vero che ciò che si trova scritto nellíarticolo 1 del disegno di legge è stato nella sostanza ripreso nel recente Vertice di Siviglia che, lungi dallíessere stato una sconfitta per la linea italiana, così come solo qualche commentatore ha avuto modo di rilevare, è stata invece líoccasione per ribadire una linea di tendenza che nel disegno di legge era già stata individuata originariamente.

Non si stabilisce alcun automatismo tra il comportamento dei Paesi dai quali provengono i maggiori flussi migratori, soprattutto dai quali partono i carichi di clandestini, e i programmi per la cooperazione e lo sviluppo.

Nel disegno di legge si dice - e a Siviglia è stata questa la linea accettata da tutti i partner dellíUnione europea - che si tiene conto di tale comportamento ai fini delle decisioni relative alla cooperazione e allo sviluppo. Guai se così non fosse perché altrimenti la cooperazione avrebbe basi assai incerte ed instabili.

Ringrazio il Senato anche perché líapprofondimento svolto in sede di prima lettura ha trovato poi un seguito in termini di raccolta delle sollecitazioni e delle proposte pervenute sia dalla maggioranza sia dallíopposizione, che si è tradotto in modifiche al provvedimento, sulle quali si è incentrata maggiormente la discussione nel successivo esame da parte dello stesso Senato.

Una delle ipotesi avanzate dallíopposizione, raccolta alla Camera, è stata quella relativa allíobbligatorietà dei rilievi fotodattiloscopici, che non aveva avuto seguito già in prima lettura perché non vi era stato il tempo per trovare líadeguata copertura; una volta trovata la copertura, vi è stata la traduzione in norma.

Certo, poi i presentatori di questa proposta oggi hanno cambiato idea, ma questo è un dato soggettivo, che non toglie nulla alla fondatezza della proposta stessa, che va nella direzione non di schedare tutto lo schedabile, ma della certezza dellíidentificazione, che è un dato che non criminalizza, ma stabilisce dei rapporti legali, regolari allíinterno di una comunità. È una prospettiva che, come il Ministro dellíinterno ha avuto modo di sottolineare, riguarderà tutti coloro che risiederanno sul territorio nazionale, inclusi i cittadini italiani.

Vi è un programma di investimenti in questo senso, nella prospettiva di una carta di identità elettronica che riguardi tutti, ma intanto si introduce nei confronti degli extracomunitari, perché per la loro situazione si ha necessità di questa certezza di dati, da un lato per circoscrivere il più possibile il fenomeno dei documenti e dei permessi falsi, e dallíaltro per fare in modo che i rapporti siano basati su dati sicuri.

Questo riguarda tutti gli extracomunitari e - lo ripeto - non soltanto in una prospettiva di devianza, ma in una prospettiva che valorizza líidentificazione anche in situazioni di difficoltà, anche in caso (è letteratura più recente) di incidenti stradali e di impossibilità di risalire con certezza allíidentità di una persona, con la necessità di praticare cure adeguate, di effettuare trasfusioni di sangue e così via.

Nella valutazione della Camera, che ha recepito sollecitazioni del Senato, rientra anche il potenziamento del personale delle rappresentanze diplomatiche italiane che, come ha già ricordato il relatore, è necessario per rendere più funzionale il sistema e per far sì che vi sia una pronta rispondenza tra il lavoro che saranno chiamate a svolgere le prefetture e quello delle rappresentanze diplomatiche.

Vi è uníestensione della possibilità del ricongiungimento familiare anche ai genitori, senza necessariamente il vincolo dellíunico figlio, ma con criteri più ampi. Questo fa seguito, in particolare, ad alcune sollecitazioni che erano state fatte in prima lettura dal Gruppo dellíUDC: la disciplina compiuta circa la sorte dei minori stranieri non accompagnati, rispetto ai quali vi è la valorizzazione dei programmi di integrazione svolti dalle organizzazioni e dalle associazioni del volontariato, nella prospettiva della prosecuzione dello studio o dellíavvio dellíattività di lavoro.

Vi è una facilitazione nella permanenza dellíextracomunitario, dal momento che il rinnovo del permesso di soggiorno può essere fatto non soltanto nel luogo di residenza, ma anche in quello di dimora, il che da un lato consente una maggiore facilità di movimento e dallíaltro risolve una serie di problemi concreti.

Vi è anche una disciplina più compiuta e organica dei contributi previdenziali, essendo state ridotte alcune sperequazioni che potevano profilarsi dal testo licenziato in prima lettura dal Senato.

Vi è líintroduzione, come fuori quota, della categoria degli infermieri professionali, e questo credo che sia un dato da non sottovalutare, perché è una categoria della quale vi è notevole esigenza nel nostro territorio e rispetto alla quale vi è una altrettanto notevole disponibilità da parte di extracomunitari. Non sarà dunque necessario attendere il decreto sui flussi per consentire questi arrivi né, una volta che il tetto del flusso verrà individuato, si sarà vincolati al tetto medesimo.

È prevista, infine, una serie di garanzie per i richiedenti asilo, sia quelli che ancora devono vedersi riconoscere lo status, e che hanno però la possibilità di ricorso in sede amministrativa alla Commissione territoriale in una valutazione ulteriore che consenta, nel tempo che si ha a disposizione, di produrre ulteriori documenti ed elementi di considerazione, rimanendo sul territorio nazionale, quindi senza correre il rischio del rientro nella località d'origine, sia nella prospettiva di una maggiore integrazione di chi ha già ottenuto il riconoscimento dello status, con il programma nazionale asilo che raccoglie le indicazioni e le esperienze di tanti municipi italiani e anche dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i profughi e i rifugiati (ACNUR).

Il Governo sta apprestando tutti gli strumenti adeguati per far sì che questa legge, una volta approvata, sia pienamente operativa, anche nella parte relativa alla regolarizzazione per la quale si stanno individuando delle misure amministrative tese ad evitare il più possibile le file davanti agli uffici. In via di definizione vi è infatti una convenzione con l'Ente Poste che farà sì che ci si rivolga per la consegna dei dati agli uffici postali - certamente più numerosi delle questure e delle prefetture - e affinché fra gli uffici postali e le prefetture vi sia poi una trasmissione dei dati in forma telematica che abbrevierà notevolmente i tempi, riducendo allo stretto indispensabile le attese.

Tutto ciò nella prospettiva di rendere pienamente operativo l'impegno, formalmente assunto dal Governo alla Camera, di procedere alla regolarizzazione del comparto più ampio del lavoro subordinato dell'extracomunitario che si trovi in Italia, regolarizzazione che avverrà nei fatti contestualmente all'entrata in vigore del presente disegno di legge.

Vi sono quindi tutte le prospettive perché - pur con tutte le difficoltà che la materia presenta e la complessità che spinge a non ritenere mai nessun provvedimento pienamente soddisfacente e risolutivo di tutti i problemi - con estremo realismo si possa fare un passo avanti significativo nella direzione dell'integrazione e della serietà, in un quadro europeo che ci vede sempre più vicini e in certi casi iniziatori di orientamenti che si stanno consolidando non solo nei principali Paesi europei, ma nell'intera Unione. (Applausi dai Gruppi AN, FI e UDC:CCD-CDU-DE).

PRESIDENTE. Rinvio il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.

Mozioni e interrogazioni, annunzio

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute alla Presidenza una mozione ed interrogazioni, pubblicate nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.

Ordine del giorno
per le sedute di martedì 2 luglio 2002

PRESIDENTE. Il Senato tornerà a riunirsi in seduta pubblica martedì 2 luglio, in due sedute pubbliche, la prima alle ore 10 e la seconda alle ore 16, con il seguente ordine del giorno:

(vedi ordine del giorno)

La seduta è tolta (ore 19,13).