OLTRE I CPT, RESPINGIMENTI IMMEDIATI E CENTRI DI TRANSITO: DIRITTO DI ASILO E DIRITTI DI DIFESA A RISCHIO.

 

La nuova legge sull'immigrazione arriva dopo la conversione definitiva in legge del decreto n.  51 del 9 aprile scorso che ratifica le espulsioni con accompagnamento immediato in frontiera, già praticate da mesi su vasta scala ed in forte sospetto di incostituzionalità; soprattutto dopo che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 105/2001, aveva riaffermato la necessità di un effettivo controllo giurisdizionale su qualunque provvedimento amministrativo limitativo della libertà degli immigrati irregolari, e dunque anche nei casi in cui il respingimento o l'espulsione fossero eseguiti immediatamente senza l'internamento in un centro di permanenza temporanea.

In questo modo il Governo ha voluto rispondere ad importanti pronunce della giurisprudenza che in Sicilia ed in Puglia avevano censurato l'operato degli organi amministrativi quando si era tentato di provvedere al rimpatrio immediato di immigrati irregolari, addirittura richiedenti asilo, prima che i competenti organi giurisdizionali potessero pronunciarsi sui ricorsi presentati dai loro difensori.

 

Intanto, malgrado le statistiche trionfalistiche e la "stretta" sui controlli di frontiera, continuano ad arrivare in Italia migliaia di profughi e di immigrati esclusi da qualunque possibilità di ingresso legale e dunque costretti alla clandestinità.

Ancora salvataggi da parte di navi commerciali, ancora morti gettati in mare  da scafisti senza scrupoli nel  tentativo di raggiungere le coste italiane , cadaveri che si aggiungono ad altri cadaveri disseminati nel Mediterraneo per i tanti affondamenti che nessuno denuncia, ancora sbarchi in Sicilia ed in Puglia, ed ingressi ,meno visibili, alle frontiere settentrionali; con il consueto corollario di accaniti rastrellamenti per rintracciare immigrati senza scampo, con l’internamento dei nuovi arrivati nei CPT e nei “centri di transito”, camuffati magari da centri di “prima accoglienza e soccorso”.

Tutti i migranti sono ormai trattati dai mezzi di informazione e dagli organi di polizia come “clandestini”, anche quando appare evidente la loro condizione di richiedenti asilo. Ed intanto si intensificano i contatti internazionali con paesi caratterizzati da regimi autoritari come la Turchia e la Tunisia, per favorire il rimpatrio forzato di quanti vi erano transitati o ne erano fuggiti per ragioni di persecuzione politica.

Si  è persino arrivati alla proclamazione dell’ennesimo stato di emergenza-immigrazione  da parte del Governo, autorizzando tutte le strutture decentrate dello Stato ad adottare prassi al di fuori della normativa prevista per la creazione dei CPT e dei  centri di transito.

Le Prefetture già da tempo avevano avuto carta bianca per attrezzare strutture improvvisate presso palestre, scuole, capannoni industriali e caserme, aprendo un numero imprecisato di “centri di transito” per gli immigrati appena sbarcati, prima della loro deportazione con autobus, sotto scorta, verso i centri di permanenza temporanea della Puglia e della Calabria.

 

I “vecchi” CPT aperti in Sicilia, in Puglia ed in altre parti di Italia a partire dal 1998, dopo la approvazione della legge 40, ormai scoppiano, oppure sono stati chiusi ( nel 2000, a Catania ed a Palermo-Termini Imprese) perché ingestibili.

In Puglia i centri di accoglienza funzionano ormai come veri e propri centri di permanenza temporanea, anche se sono costituiti da tende da campo e da roulotte, come a Bari Palese, anticipando di fatto quei luoghi di restrizione previsti dalla nuova legge per i richiedenti asilo.

Altre volte, in Sicilia ad esempio, sono i vecchi CPT che vengono ampliati e destinati a nuove funzioni di smistamento verso altre strutture di detenzione.

A Trapani, un intero piano del centro Vulpitta è stato adibito a struttura di transito, dove gli immigrati subiscono un primo tentativo di identificazione, vengono fotosegnalati, e quindi dopo uno o due giorni di attesa, in sale arredate soltanto con qualche panca, con le luci accese anche durante la notte, caricati su pullman e trasferiti verso la Puglia.

Lo stesso tipo di smistamento “rapido” avviene ad Agrigento, perché il CPT autorizzato dal Ministero degli interni, l’unico in Sicilia con una struttura femminile, opera costantemente ai limiti della capienza consentita.

Non diversa la situazione nella Sicilia orientale. Qui gli immigrati, in gran parte richiedenti asilo provenienti dallo Sri Lanka e dalla Turchia, vengono rinchiusi per alcuni giorni nei “centri di transito”, istituiti presso la zona portuale di Siracusa, o in luoghi diversi delle province di Ragusa e di Catania, e quindi immediatamente trasferiti verso la Puglia ( Bari-Palese, Restinco, Lecce, Foggia) in pullman.

L’unico centro di permanenza temporanea autorizzato nella Sicilia orientale, con decreto del Ministero ai sensi della legge Turco Napoletano è infatti quello, molto piccolo, di Ragusa, anche se la maggior parte dei potenziali richiedenti asilo sbarca proprio in questa parte dell’isola.

Anche qui la vera novità sono le nuove strutture di transito, che per gli immigrati appena sbarcati comportano una mobilità continua, che produce di fatto la loro “inesistenza” come soggetti titolari dei minimi diritti umani ( a partire dal diritto di difesa), anche rispetto a quanto già verificato nei CPT, che pure erano un tentativo di rendere “invisibile” il clandestino in attesa di allontanamento forzato.

 

Questa situazione di sovraffollamento dei CPT italiani ( accresciuta dall’annuncio di una sanatoria che ancora non arriva e dalla chiusura dei flussi legali per lavoro non stagionale) produce il prolungamento della detenzione dei migranti appena sbarcati nelle isole di Lampedusa ( di competenza della Questura di Agrigento) e di Pantelleria (di competenza della Questura di Trapani); le locali Questure, non potendo far transitare gli immigrati attraverso le strutture autorizzate dal ministero degli interni come CPT,  trattengono i “clandestini” per giorni e giorni

(a Lampedusa anche dieci), nei cd. Centri di prima assistenza e soccorso- veri e propri centri di detenzione- anche se previsti per casi di straordinaria necessità ed urgenza, appunto,  dall’art.23 del regolamento di attuazione approvato con il DPR 394 del 31 agosto 1999.

Queste strutture stanno diventando così la risposta normale rispetto al fenomeno costituito dalla crescita dei migranti da respingere o da espellere per effetto delle nuove disposizioni di legge, che restringono l’accesso alla procedura di asilo (ed anche per effetto delle disposizioni amministrative che consentono alla commissione centrale di intervenire direttamente nei CPT, accelerando al massimo l’accompagnamento forzato in frontiera di quanti vedono respinta la propria domanda di asilo).

Risulta frequente, sia quando si verifica il trasferimento immediato in Puglia, sia quando gli immigrati rimangono rinchiusi per giorni a Lampedusa o a Pantelleria, la impossibilità di qualsiasi contatto - anche da parte di parenti ed avvocati - con persone che vengono trattenute al di là di quanto previsto dalla legge, senza ricevere copia dei provvedimenti, senza avere diritto ad un interprete, senza potere comunicare in alcun modo con l’esterno ( possibilità questa ultima consentita solo dopo l’internamento nei “veri” CPT, oppure dopo la identificazione).

I mezzi di informazione locali e nazionali continuano intanto a parlare di “centri di accoglienza” quando anche le nuove strutture di “transito” sono veri e propri centri di detenzione, spesso all’interno di zone militari o doganali, con sorveglianza armata e recinzione metallica. Gli immigrati vengono identificati provvisoriamente con dei numeri, appiccicati sui vestiti, oppure in qualche caso, “marchiati” sul polso ( come è avvenuto lo scorso novembre a Lampedusa e ad Agrigento.

Abbiamo cercato di denunciare in ogni modo questa situazione, chiedendo anche all’ACNUR di intervenire per verificare la condizione dei richiedenti asilo, adesso molti sudanesi ed irakeni, che si mescolano alla migrazione dei magrebini che cercano di raggiungere la Sicilia per lavorare come stagionali ( come è noto la Sicilia non ha goduto di significative quote di ingresso neppure per gli stagionali).

 

I profughi arrivati in Sicilia ed in Puglia, dunque,  anche se potenziali richiedenti asilo, sono stati rinchiusi in centri di permanenza temporanea, già prima della nuova legge Bossi- Fini, che prevede appunto il trattenimento dei richiedenti asilo privi dei documenti. Sorte che peraltro non era stata neppure risparmiata ai profughi sudanesi, eritrei, somali, pakistani e cingalesi, giunti nei mesi scorsi  in Sicilia, a Lampedusa, a Porto Palo, a Pozzallo.

A nessun di loro era stato consentito presentare domanda di asilo , erano mancati interpreti e informazioni circa le condizioni di trattenimento e i provvedimenti relativi al trattenimento ed all’espulsione erano stati emessi dalle Prefetture e dalle Questure siciliane con molti giorni di ritardo, rispetto al momento del loro ingresso nel territorio nazionale ( e rispetto anche a quanto previsto dalla normativa vigente).

Spesso, proprio nella fase della prima verbalizzazione, in difetto di una piena informazione sul diritto di asilo nel nostro paese, vengano rese dagli immigrati dichiarazioni che poi precludono l'accesso alla procedura, come ad esempio quella resa da un immigrato cingalese, che appena sbarcato, oltre a dichiarare di fare parte di un partito di opposizione, avrebbe affermato di essere giunto nel nostro paese "perchè aveva bisogno di denaro per far fronte al matrimonio di due sorelle"; caso nel quale il Tribunale di Catania, con sentenza del 26 febbraio scorso, ha respinto il ricorso avverso l'espulsione. Altre volte, a negare il diritto di asilo, ci pensa direttamente la Commissione centrale, riconoscendo ad esempio che la persona proviene effettivamente da una zona dove si è scatenata la guerriglia di opposte fazioni, ma escludendo il rischio di “una persecuzione individuale” solo perché il richiedente non ha potuto provare una posizione eminente nella vita politica e sociale, tale da esporlo a tale rischio. Insomma, asilo per i comandanti ed i leader politici ( sempre che non siano sospetti di terrorismo…), porte chiuse per la truppa semplice e per le popolazioni in fuga dagli orrori della guerra, tribale o internazionale che sia. E’ questo oggi il diritto di asilo che la Commissione centrale applica nel nostro paese, in attesa che vengano attivate le Commissioni decentrate previste dalla nuova legge Bossi-Fini.

Ma sulla testa dei richiedenti asilo arrivati clandestinamente in Italia incombono altre minacce.

 

L’approvazione del Decreto Legge 51 dello scorso aprile sta incentivando espulsioni sempre più sbrigative, ed incide anche sulla condizione di molti potenziali richiedenti asilo, ritenuti spesso come soggetti che hanno presentato istanze “manifestamente infondate” ed ormai  destinati al rimpatrio forzato; grazie anche alla "collaborazione" diretta dei rappresentanti dei paesi di provenienza, con frequenti visite di consoli turchi e cingalesi ( che hanno avuto libero accesso nei CPT pugliesi, magari in prossimità della visita della commissione per l’esame delle domande di asilo). Questi agenti diplomatici e consolari possono contattare direttamente ed intimidire i richiedenti asilo, garantendo formalmente un rimpatrio “tranquillo”, evidenziando la inutilità ed i rischi della domanda di asilo; in realtà messi in condizione, proprio dalla nostra polizia, in assenza di avvocati ed interpreti indipendenti, di procedere a schedature che possono essere direttamente utilizzate nei paesi di provenienza per intimidire i familiari di quanti insistono nella richiesta di asilo.

Difficile- se non impossibile- in queste condizioni, per gli avvocati e le associazioni  indipendenti

( che non abbiano voluto accettare il convenzionamento con la Prefettura), comunicare tempestivamente con gli immigrati reclusi in queste strutture di "transito".

Sono quindi poche, ma significative, per le storie e gli abusi che fanno emergere, le sentenze della magistratura che annullano provvedimenti di espulsione di potenziali richiedenti asilo.

Gli accompagnamenti forzati in frontiera vengono ormai eseguiti, anche in questi casi, prima che i magistrati si possano pronunciare sui ricorsi contro le decisioni della Commissione centrale o delle commissioni decentrate ( che in realtà operano già da tempo).

 

Ma la Sicilia è lontana, anche per la commissione asilo già decentrata che si è spinta fino alla Puglia, e qui le prassi amministrative si caratterizzano ancora una volta per la loro orignalità.

In alcuni casi con la liberazione immediata del richiedente asilo, prima ancora che vi sia stato un minimo vaglio della sua istanza, altre volte con un ferreo preconcetto del carattere strumentale della richiesta di asilo. Manca qualunque uniformità e prevedibilità dei giudizi degli uffici stranieri delle questure, al punto che verrebbe da dubitare che la vera ragione di molte decisioni sia l’esaurimento dei posti nei CPT finora attivati.

 In attesa, adesso, che vengano organizzate dopo la nuova legge le nuove commissioni provinciali competenti ad esaminare in procedura abbreviata le istanze di asilo, ed in attesa soprattutto di vedere come e da chi saranno organizzati i nuovi centri di detenzione per richiedenti asilo previsti dalla nuova legge.

Si deve aggiungere che spesso la espulsione, ad Agrigento soprattutto, è comminata nella certezza che il richiedente asilo non potrà mai essere rimpatriato, ad esempio, nel caso dei Somali e dei Sudanesi, non fosse altro che per il divieto introdotto dall’art. 19 del T.U. 286 del 1998 ( principio di non refoulement), ma all’evidente scopo di “scaricare” su altre Questure e Prefetture il problema della proposizione della domanda di asilo e del relativo contributo per i primi 45 giorni. Ma la “liberazione” del potenziale richiedente asilo, dopo la espulsione, gli da solo una apparente sensazione di libertà, perché la persona, anche se destinataria di un provvedimento di respingimento e non di una espulsione rimane inserita per sempre nel SIS, e non avrà in futuro altra possibilità che la condizione di clandestinità. In ogni caso questi soggetti fanno perdere rapidamente le proprie tracce e né gli avvocati, né le associazioni riescono a fornire alcun tipo di tutela: un altro vero regalo fatto al racket…

 

Quando intervengono i giudici, non mancano le pronunce di annullamento di espulsioni illegittime: dai loro provvedimenti emerge così,  in modo inconfutabile, il mancato rispetto delle minime garanzie procedurali da parte degli uffici della Questura e della Prefettura, almeno nella maggior parte dei casi che giungono all'attenzione del magistrato. Dati tanto più gravi quanto a danno di persone qualificabili spesso come richiedenti asilo.

Così sono state annullate dal magistrato di Agrigento, lo scorso novembre, le espulsioni dei profughi sudanesi già trattenuti a Lampedusa (sulla base del fatto notorio che gli stessi profughi provenivano da un paese come il Sudan nel quale è in corso se non una guerra civile, una persecuzione a base religiosa), che non potevano dunque essere espulsi né rimpatriati coattivamente, in base a quanto sancito dall’art. 19 del vigente testo unico sull’immigrazione.

Lo stesso provvedimento del magistrato ( già pubblicato sulla rivista Diritto, immigrazione e cittadinanza, 4/2001 con una mia nota), oltre a dichiarare la illegittimità delle espulsioni, confermava peraltro quanto da noi già denunciato più volte; e cioè la circostanza che gli stessi immigrati sudanesi non avevano potuto usufruire di un interprete né presentare una tempestiva domanda di asilo.

Dalla data del provvedimento di espulsione si desume anche il notevole scarto temporale ( dieci giorni) tra l’ingresso, l’arresto dei profughi a Lampedusa e l’emissione dei provvedimenti di espulsione e di trattenimento da parte delle competenti autorità di Agrigento. Per legge ( e secondo la Costituzione: art. 13), entro 96 ore dall’arresto il magistrato deve convalidare il provvedimento della polizia limitativo della libertà personale, dovendosi in caso contrario procedere all’immediata liberazione della persona trattenuta.

Questa previsione ( che adesso è confermata dal DL 51, seppure con gravi sospetti di incostituzionalità perché sembra consentita la esecuzione dell’espulsione anche prima della convalida da parte del magistrato) continua ad essere disattesa in tutte le procedure di trattenimento coatto degli immigrati appena sbarcati o comunque irregolarmente entrati nel nostro paese, che essendo privi di documenti, ben difficilmente possono essere riconosciuti e dotati di documenti di viaggio entro il termine delle 96 ore.

L’escamotage inventato agli inizi di questo anno, al di fuori di ogni previsione di legge, consiste nel trattenere le persone per giorni senza emettere alcun provvedimento, o non chiedendo la convalida del magistrato, ma avvertendo i consolati ed avviando le procedure per il riconoscimento, e poi notificare i provvedimenti di espulsione o di respingimento solo quando il riconoscimento è avvenuto, nell’immediata prossimità dell’imbarco su un volo charter che riconduce in patria i clandestini (compresi i richiedenti asilo la cui domanda sia stata ritenuta strumentale) .

Così ad esempio, nel provvedimento del Tribunale di Lecce n. 852/2002 del 10 aprile 2002 che non convalida un provvedimento di trattenimento emesso dalla Questura di  Lecce, in data 6 aprile stesso anno, relativo ad un cittadino singalese rintracciato in Sicilia, e precisamente ad Avola, il 15 marzo in prossimità dello sbarco.

Il giorno dopo lo sbarco, avvenuto nella Sicilia orientale, veniva notificato allo straniero un decreto di respingimento emesso dal Questore di Siracusa, con richiesta di trattenimento presso il CTP di Lecce ma la convalida di tale provvedimento da parte del magistrato sarebbe dovuta intervenire entro 48 ore ed invece lo stesso straniero veniva trasferito in Puglia, dove la Questura di Lecce , solo con atto depositato in cancelleria il 19 marzo, chiedeva la convalida del provvedimento emesso dal Questore di Siracusa. Su tale richiesta non interveniva alcuna convalida da parte del Tribunale. Dopo altri giorni di internamento presso il CTP di San Foca denominato Regina Pacis, e dopo il respingimento della richiesta di asilo presentata nelle more, a seguito di uno sbrigativo esame da parte della Commissione ( già "decentrata", come se la nuova legge fosse entrata in vigore), allo stesso straniero, frattanto trasferito in un altro centro di permanenza pugliese, veniva notificato un ulteriore provvedimento di espulsione , emesso il 6 aprile, questa volta dal Questore di Lecce, con richiesta di convalida depositata in tribunale solo in data 9 aprile 2002. In tutti i provvedimenti difettava la traduzione in lingua conosciuta dal ricorrente e l'avviso al difensore.

Dal 15 marzo al 10 aprile di quest'anno, in altri termini, questo cittadino straniero- peraltro richiedente asilo- assieme a tanti altri nelle sue stesse condizioni, è rimasto detenuto dalla polizia ed è stato trasferito dalla Sicilia in Puglia, dove è stato pure visitato dai rappresentanti consolari del proprio paese, senza che i provvedimenti amministrativi di cui era stato destinatario fossero tempestivamente convalidati dall'autorità giudiziaria, come prescritto dalla legge, e dall'art. 13 della Costituzione.

 

Anche i magistrati di Agrigento,  Catania e di altre città italiane hanno annullato espulsioni o non hanno convalidato i provvedimenti di trattenimento, per vizi procedurali o per ragioni di merito.

 Si doveva tuttavia dare un segnale di copertura da parte del governo all’operato delle forze di polizia e questo segnale è giunto appunto con il decreto legge n. 51 frettolosamente approvato agli inizi di aprile, mentre non si hanno più notizie del Commissario per l'immigrazione pomposamente annunciato dai mezzi di informazione agli inizi di marzo. 

Questo il quadro generale, ma non mancano le storie esemplari.

Abbiamo denunciato la lunga detenzione degli immigrati trattenuti nel centro di prima accoglienza situato all’interno della zona militare dell’aeroporto di Lampedusa. Ancora all’inizio dell’estate 2002, in questa struttura, oltre ai capannoni già fatiscenti in servizio da anni, sono state montate diverse tende da campo che contengono oltre duecento persone.

Dopo la “smentita” ricevuta dalla Questura di Agrigento abbiamo appreso che quello di Lampedusa non è un centro di “prima accoglienza e soccorso”, ma un vero e proprio centro di detenzione ( alias CPT). Saremmo ancora curiosi di conoscere i relativi decreti adottati dal Ministero dell’interno, e le modalità degli appalti con i quali sono stati affidati alla Croce Rossa i servizi logistici, ma probabilmente il decreto del governo che proclama lo stato di emergenza e consente ai Prefetti di superare ogni problema procedurale, mette adesso tutto “ a posto”.

Pensavamo che a Lampedusa vi fosse solo un centro di primo soccorso ed assistenza, previsto dall’attuale regolamento di attuazione del T.U. sull’immigrazione (art.23), per “il tempo strettamente necessario per l’avvio” degli stessi stranieri nei centri siciliani di permanenza temporanea, come quello di San Benedetto ad Agrigento. 

Avevamo quindi criticato le condizioni igieniche e la eccessiva durata del trattenimento a Lampedusa prima del trasferimento ad Agrigento, dati che ci risultavano direttamente dalla vicenda dei profughi sudanesi, arrivati a ripetizione nell’isola dallo scorso ottobre, dando comunque per scontato, oltre alla destinazione della struttura a finalità di soccorso e prima accoglienza, che la particolare distanza di Lampedusa dalla Sicilia comportasse comunque alcuni giorni di ritardo nella emanazione dei provvedimenti amministrativi ( espulsione, respingimento e trattenimento) diretti ai cd. “clandestini”.

Quanto abbiamo appreso dalla Questura di Agrigento, che qualifica la struttura di Lampedusa come un vero e proprio CPT,  ci induce a chiedere se nel centro di permanenza temporanea di Lampedusa, ammesso che sia un centro di permanenza temporanea come gli altri quattordici attualmente operanti in Italia, siano garantiti i diritti di accesso alla difesa e di informazione sui propri diritti ( ivi compreso il diritto di asilo), nonché il diritto di visita, anche da parte di associazioni che assistono i richiedenti asilo e di avvocati.

Ma questo, per chi applica le nostre leggi sull’immigrazione, forse non ha neppure importanza, come testimonia la risposta infastidita che è stata fornita quando le associazioni hanno lamentato questo tipo di trattamento. Tutti i profughi sudanesi giunti lo scorso novembre, peraltro, dopo altri giorni trascorsi nel centro di Agrigento, erano stati rimessi in libertà, espulsi con l’intimazione a lasciare comunque il nostro territorio nazionale entro quindici giorni .

 

Solo per i superstiti della strage di Lampedusa, dopo la visita lampo del Ministro Scajola, è stata adottata una procedura speciale particolarmente celere, tanto speciale che ha permesso con tutta probabilità l'allontanamento degli scafisti, anche loro destinatari di uno speciale permesso di soggiorno per richesta asilo o per motivi umanitari ( non si è mai capito), ma sicuramente sottratti all'indagine penale sulle responsabilità della nostra Marina che ha assistito al naufragio mandando in soccorso dei naufraghi una sola scialuppa.

Se quello di Lampedusa è un centro di permanenza temporanea come tutti gli altri, dovremmo pensare che un magistrato possa convalidare il trattenimento entro le 96 ore dall’arrivo dei profughi dentro la struttura ( come richiede lo scomodo art. 13 della Costituzione), e che siano garantiti interpreti e diritti di difesa, ma questo non ci risulta avvenga a Lampedusa ( nè a Pantelleria o nelle altre strutture di transito ubicate in Sicilia). Attendiamo notizie e chiarimenti sul punto. La limitazione della libertà personale è una questione molto delicata, anche quando riguarda immigrati privi di permesso di soggiorno, giunti clandestinamente ( se gli è andata bene) sulle nostre coste; a maggior ragione quando questi stessi “clandestini” sono sottoposti a delicate indagini di polizia per appurare da dove vengono e chi li ha trafficati.

Ma Lampedusa non è un caso isolato, anche se quella struttura risulta la più inaccessibile e le poche informazioni che filtrano giungono da servizi e filmati trasmessi dalla RAI. Anche in altre regioni italiane, accanto ai centri di permanenza temporanea si stanno attrezzando nuove strutture di transito, in particolare in prossimità dei valichi aeroportuali e dei posti di frontiera marittima.

 

Al di là delle difficoltà di accesso si riscontra un continuo tentativo di delegittimazione delle associazioni e degli avvocati che difendono gli immigrati ed i richiedenti asilo.

Si nega addirittura che gli avvocati nominati dai richiedenti asilo possano presentare una istanza di ammissione a tale procedura " atteso che solo il richiedente può fornire quegli elementi biografici che possano fondare la sua domanda". In questo modo, considerando lo stato di restrizione della libertà personale del richiedente asilo e l'impossibilità di esprimersi in italiano ( o in inglese e francese), oltre che per la assenza di interpreti indipendenti , e di informazioni obiettive al riguardo, si chiude di fatto ogni possibilità di richiedere asilo.

Come ha osservato invece il Tribunale di Catania, con la sentenza del 30 marzo 2002, che annulla un provvedimento di espulsione emesso dalla Questura di Catania a carico di un cittadino singalese di etnia tamil, richiedente asilo,"non è possibile comprendere come la Prefettura e/o la Questura di Catania possano arrogarsi il potere di sindacare una richiesta di asilo, decidendone l'irritualità sotto il profilo del modo di presentazione, e, nel merito, non è possibile comprendere perchè il funzionario estensore delle memorie difensive in questione sostenga che la tutela di un diritto come quello di asilo non sia perseguibile dall'interessato- al pari di mille altri diritti- anche a mezzo di procuratore".

 

La sollecitazione che le associazioni rivolgono alle Questure per fare ascoltare qualche immigrato che manifesta la propria volontà di chiedere asilo è vissuta sempre con fastidio, e con la preoccupazione che anche altri immigrati che vengono a conoscenza della possibilità di liberazione tramite la richiesta di asilo si “aggrappino” a questa ultima possibilità. Ma anche questo problema ricade nella responsabilità di chi gestisce queste strutture nella più totale promiscuità, ritardando la liberazione dei veri richiedenti asilo ed affidando di fatto il ruolo di interprete a qualche immigrato “ di fiducia”, più esperto degli altri e capace di parlare l’italiano

( magari per essere stato già in carcere in Italia).

Tutti i potenziali richiedenti asilo che giungono in Italia ( e spesso i loro avvocati e le associazioni che li assistono ) sono invece sospettati di reticenza sull’esatto percorso seguito nel loro viaggio,  e gli immigrati, prima di potere presentare formalmente la richiesta di asilo, sono sentiti più volte dalla polizia che cerca soprattutto di scoprire la organizzazione che li ha fatti arrivare nel nostro paese. Questo, in molti casi, comporta la dichiarazione iniziale di false generalità, o di false nazionalità, da parte di persone doppiamente intimorite, dagli scafisti con i quali sono costretti a convivere, e dalla polizia che vuole conoscere a tutti i costi i nomi, le date, le tappe del viaggio che li ha condotti in Italia.

In questo modo si dimentica che l’ingresso clandestino rimane l’unica via di fuga consentita ai profughi da una legislazione che antepone il contrasto all’immigrazione clandestina al rispetto dei diritti fondamentali dei migranti. E che non si riesce neppure a scoprire i trafficanti, non certo per la scarsa collaborazione delle vittime del traffico, ma perché gli organi di governo continuano a mantenere normali rapporti diplomatici con quei paesi diretti da regimi dittatoriali  che speculano sul traffico di clandestini, per ragioni economiche, come la Tunisia, in vista di più lucrosi accordi di riammissione, o per ragioni politiche, come la Turchia, magari per negoziare il loro ingresso nell’Unione europea.

 

L’Europa chiama, la Turchia risponde. Dopo la proposta di Blair che vuole attivare una polizia marittima internazionale per intercettare vicino alle coste dei paesi di transito le navi dei migranti clandestini, il governo turco ha ordinato il blocco di una carretta del mare carica di disperati. Con le armi. Le navi turche hanno sparato ad altezza d’uomo sui clandestini asserragliati su una carretta del mare a poche miglia dal porto d’imbarco, uccidendo e ferendone alcuni. La nave è stata poi ricondotta in porto, gli uomini separati dalle donne e dai bambini, e rinchiusi in carcere, molto probabilmente sotto tortura, nel caso dei Kurdi. Questa è l’Europa nella quale il nostro governo si riconosce, intensificando i contatti con il governo Turco per la stipula di un accordo di riammissione, questa è l’Europa che nega i diritti fondamentali della persona umana e che in nome della sicurezza internazionale ha praticamente annullato il riconoscimento del diritto di asilo e di protezione umanitaria ( si vedano al riguardo i più recenti documenti delle istituzioni comunitarie sul diritto di asilo in rapporto ai problemi della sicurezza interna e del terrorismo).

I diritti dei richiedenti asilo costretti all’ingresso clandestino dalla mancanza di flussi migratori legali verranno ancora conculcati in futuro, non solo per effetto della nuova legge sull’immigrazione, ma in base alle tante misure di contrasto dell’immigrazione clandestina, considerata sempre più come veicolo di criminalità e terrorismo. Ma non sembra questa la strada per garantire maggiore sicurezza alle nostre società. In questo modo la chiusura drastica delle frontiere, la discriminazione, e la esclusione produrranno una clandestinità ancora maggiore e un clima di intolleranza reciproca che potrebbero compromettere  ogni possibilità di convivenza pacifica.

Nei rapporti tra italiani ed immigrati sono già percepibili sintomi evidenti di questo degrado determinato dalla cultura  dell’egoismo, dalle ideologie securitarie e dagli interessi economici e politici di chi gestisce attualmente le politiche migratorie a livello nazionale ed europeo.

Ad ognuno tocca svolgere con rigore il proprio ruolo, di denuncia, di assistenza, di proposta politica. Una diversa politica dell'immigrazione è possibile, a condizione di non farsi condizionare dagli errori del passato e dalla rincorsa elettorale.

Occorre evitare in particolare che le nuove direttive comunitarie in materia di immigrazione e sicurezza cancellino il diritto di asilo . Va garantita la legittimità, anche costituzionale, delle procedure di rimpatrio forzato.

Chiediamo ancora all’ACNUR , agli organismi del Consiglio d’Europa, a tutte le agenzie umanitarie ed alle associazioni che assistono i richiedenti asilo di visitare periodicamente la struttura di Lampedusa e gli altri centri di detenzione italiani per verificare le condizioni di trattenimento di quanti vi sono internati e la possibilità effettiva di accesso alle procedure dell’asilo e della protezione umanitaria.

Bisogna che tutte le ONG operanti in Italia si diano carico della piena applicazione diretta dell'art. 10 della nostra Costituzione, che prevede un diritto di asilo politico più ampio di quello riconosciuto dalla Convenzione di Ginevra ( che limita l'azione dell'ACNUR) ed assistano direttamente i migranti potenziali richiedenti asilo, trattenuti nelle nuove sezioni specializzate dei centri di detenzione o nei centri di transito, almeno allo scopo di garantire la presenza di interpreti, un minimo di informazioni ed il riconoscimento dei diritti di difesa.

Palermo 2 giugno 2002

Fulvio Vassallo Paleologo