Come è noto, è stata approvata l’11 luglio scorso la cosiddetta legge “Bossi-Fini”, che modifica sensibilmente il testo unico delle leggi in materia di immigrazione. Esigenze di spazio ci obbligano per il momento ad affrontare solo la questione più emergente, ovvero la famosa “sanatoria” o “regolarizzazione” di cui tanto si sente parlare da mesi, per dare delle prime informazioni di massima. Per l’appunto, nella nuova legge è già prevista la possibilità di regolarizzazione, a determinate condizioni, per i soli lavoratori domestici (e le cosiddette “badanti”), ma è ormai confermato che vi sarà anche una sanatoria per tutte le altre categorie di lavoratori , in base a condizioni e requisiti analoghi a quelli previsti per i lavoratori domestici.

Per prima cosa, è opportuno far presente che bisognerà attendere ancora un po’ di tempo per avviare la procedura di regolarizzazione, perché la legge, pur essendo concluso il percorso parlamentare, non è ancora entrata in vigore: essa, infatti, dovrà essere promulgata dal Capo dello Stato, poi ne verrà disposta dal Ministro della Giustizia la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale,  quindi entrerà in vigore dopo 15 giorni dalla pubblicazione. Il Sottosegretario all’Interno On. Alfredo Mantovano ha dichiarato lo stesso giorno dell’approvazione che “la legge entrerà in vigore entro la fine di agosto, unitamente al decreto legge sulla regolarizzazione degli immigrati che lavorano in nero”. Naturalmente, non si conosce ancora il contenuto dell’annunciato decreto-legge ma si sa già che esso dovrà consentire la sanatoria per gli stranieri non in regola col permesso di soggiorno che lavorano in tutti gli altri settori, a condizioni e con modalità analoghe a quelle già previste nel testo approvato per i lavoratori domestici.

In questo momento, dunque, è superfluo presentarsi presso le questure (se non anche sconsigliabile, perché sarebbe ancora possibile l’espulsione e l’applicazione delle altre sanzioni), anche perché nemmeno gli uffici direttamente interessati hanno sinora ricevuto istruzioni specifiche --le famose circolari ministeriali-- e quindi non saprebbero, a loro volta, dare indicazioni precise.

D’altra parte, è già stato annunciato, sempre dal Sottosegretario On. Mantovano, che l’avvio della procedura di regolarizzazione dovrà avvenire, esclusivamente su domanda del datore di lavoro,  mediante compilazione di appositi moduli che saranno distribuiti ed inoltrati telematicamente da tutti gli uffici postali in Italia alle prefetture e alle questure. Solo poi –e non è difficile immaginare tempi di attesa lunghi— verranno effettuate tramite le questure le verifiche delle domande, dopodiché le prefetture convocheranno i datori di lavoro e i lavoratori per la formalizzazione dei contratti di lavoro, in base ai quali verranno rilasciati i permessi di soggiorno. Presso gli stessi uffici postali, al momento dell’inoltro dei moduli, dovrà anche essere pagato dai datori di lavoro un importo forfettario, destinato a coprire gli ultimi tre mesi di contributi previdenziali, oltre ai contributi per i precedenti periodi di lavoro. Anche la misura dei contributi da pagare non è stata ancora determinata, ma è comunque certo che i datori di lavoro che chiederanno la regolarizzazione dei rapporti di lavoro non saranno punibili per tutte le violazione delle norme relative al soggiorno, al lavoro, alle assicurazioni sociali e di carattere fiscale.

L’esperienza delle precedenti sanatorie fa ritenere a dir poco improbabile che i datori di lavoro dichiareranno periodi di lavoro iniziati da oltre tre mesi, attestandosi piuttosto sul minimo da pagare; in ogni caso, si sottolinea che per legge il costo della regolarizzazione dovrà essere tutto a carico del datore di lavoro, anche se bisogna purtroppo prevedere –altra brutta esperienza delle precedenti regolarizzazioni— il verificarsi di vere e proprie estorsioni, da parte di qualche datore di lavoro o intermediario che chiederà al lavoratore di pagare il costo dei contributi o addirittura un “prezzo” di gran lunga superiore per “fargli ottenere il permesso di soggiorno”. In realtà, è bensì vero che la discutibile concezione della sanatoria di cui stiamo parlando rimette ai soli datori di lavoro la facoltà di chiedere la regolarizzazione, ma è altrettanto vero che il datore di lavoro che omette di chiedere la regolarizzazione mantiene in atto, anche se magari decide di licenziare il lavoratore per non regolarizzarlo, una serie di violazioni che lo espongono a pesanti sanzioni di carattere penale, civile, amministrativo e fiscale.  Inoltre, resta completamente salvo (entro il termine di prescrizione di cinque anni) il diritto dei lavoratori di pretendere in ogni caso il pagamento delle differenze salariali maturate nel corso del rapporto (come stabilisce l’art.2126 del Codice Civile), ovvero la differenza tra quanto già pagato e quanto spettante in base alle tariffe stabilite dai contratti collettivi di lavoro, mentre non è da escludere la possibilità di valida impugnazione del licenziamento e di risarcimento del danno (infatti, il contratto di lavoro è nullo quando riguarda uno straniero in condizione irregolare e quindi, in caso di licenziamento, non si può rivendicare la reintegrazione nel rapporto di lavoro –perché ciò significherebbe voler far valere la legge per ripristinare un contratto contro la legge-- ma se, viceversa, il licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo avviene proprio quando il rapporto di lavoro potrebbe proseguire regolarmente, alla sola condizione che il datore di lavoro rispetti a sua volta degli obblighi di legge,  allora si dovrebbe ammettere anche il diritto al risarcimento).   

Dunque, nei casi non rari di datori di lavoro che dovessero rifiutare l’utilizzo della regolarizzazione, sarà utile che il lavoratore si rivolga alle organizzazioni sindacali per essere assistito e, magari, convincere l’imprenditore che gli può convenire far emergere il lavoro sommerso.

Un aspetto apparentemente vantaggioso dell’imminente sanatoria dovrebbe essere l’eliminazione delle code, almeno all’inizio: infatti, non servirà a nulla premere fuori dalle questure o dalle prefetture, perché l’inoltro delle domande potrà avvenire solo tramite gli uffici postali (che sono oltre 14.000 in Italia). E’ legittimo nutrire più preoccupazione per quanto riguarda i tempi di attesa del successivo smaltimento delle pratiche presso questure e prefetture, perché toccherà attendere le singole convocazioni, che saranno immancabilmente scaglionate per consentire –almeno si spera— un ordinato afflusso. Al riguardo, é molto probabile ed è comunque da auspicare che, a livello locale, le prefetture, le questure e le direzioni provinciali del lavoro provvedano a concordare misure organizzative per coordinare e facilitare i rispettivi adempimenti, mettendo insieme le rispettive risorse umane ed organizzative, magari anche dal punto di vista logistico.

Anche se non è ancora stato chiarito, sembra comunque logico, almeno se esiste un buon senso, che i lavoratori interessati potranno proseguire il rapporto di lavoro e quindi il soggiorno in Italia anche in attesa del perfezionamento della pratica: se questo aspetto verrà precisato quanto prima dagli uffici competenti l’intera comunità ne avrà beneficio, perché di fatto si incentiverà da subito e per tutto il seguito della procedura il versamento nelle casse pubbliche dei contributi e delle ritenute fiscali. Vi sono poi dei dubbi circa la possibilità per il lavoratore di cambiare successivamente datore di lavoro e tipo di lavoro: infatti, la legge approvata stabilisce che il permesso di soggiorno rilasciato ai domestici e alle “badanti” regolarizzati verrà rinnovato dopo un anno, per lo stesso tempo, dopo avere verificato la continuazione del rapporto, il che fa pensare che non sia possibile per nessuna causa cambiare il datore di lavoro. Ma il diritto di dare le dimissioni, come pure il diritto del datore di lavoro di licenziare nei casi previsti dalla legge, non possono certo essere soppressi o limitati discriminando i regolarizzati da tutti gli altri lavoratori (compresi quelli delle sanatorie precedenti…), sicché si ritiene che questo limite –pure risultante dalla formulazione letterale della norma— non sia da considerare né effettivo né, comunque, valido. In caso contrario, d’altra parte, non si determinerebbe un normale contratto di lavoro bensì un vero e proprio contratto di “servitù”, in base al quale la vita in Italia del lavoratore risulterebbe sottoposta ad un potere di fatto abnorme del datore di lavoro, perché è evidente che se fosse consentito al lavoratore un unico lavoro egli  sarebbe di fatto costretto ad accettare qualsiasi condizione.

Potrebbe forse prestarsi ad una più difficile interpretazione il caso della risoluzione del rapporto sopravvenuta durante la procedura di regolarizzazione (che verosimilmente sarà lunga), ma comunque non si potrebbe pretendere, ad esempio, di ricacciare nella clandestinità o di espellere una “badante” il cui datore di lavoro fosse nel frattempo deceduto (cosa peraltro probabile, date le condizioni spesso molto precarie degli assistiti).

Sembra ormai assodato, in base al ragionevole presupposto che vengano stabilite condizioni analoghe anche per i lavoratori diversi dai domestici, che la regolarizzazione sarà ammessa solo alla condizione essenziale di avere un rapporto di lavoro irregolare in corso (quantomeno al momento della domanda) da almeno tre mesi: il computo all’indietro nel tempo di detta anzianità lavorativa minima dovrebbe avere, rispettivamente, come riferimento la data di entrata in vigore della legge (per i domestici e le badanti) e dell’annunciato decreto-legge (per le altre categorie di lavoratori).

Non è invece ancora chiaro se, oltre alla dichiarazione del datore di lavoro, sarà necessario fornire, come nelle precedenti sanatorie, una prova della data di inizio del rapporto di lavoro e dell’inizio della presenza in Italia: la questione è ovviamente di estremo rilievo, poiché è noto che la pretesa dimostrazione documentale di tali circostanze non solo risulta pressoché impossibile per i c.d. “clandestini” e per gli stessi datori di lavoro, ma ha dato luogo nelle precedenti esperienze ad un vero e proprio “mercato” delle prove, per niente scoraggiato dal rischio di sanzioni penali connesse alle svariate falsificazioni, senza contare che ciò ha dato luogo ad un contenzioso infinito e costoso ed ha indirettamente alimentato proprio le sacche di criminalità che si vorrebbero isolare con l’emersione del lavoro irregolare. Ad ogni buon conto, il fatto che sia previsto l’avviamento della regolarizzazione presso gli uffici postali con una domanda su apposito modulo e con il contestuale versamento dei contributi, fa sperare che stavolta (viste le precedenti esperienze assolutamente negative) si tralasci la richiesta delle famose “prove”: in ogni caso, tuttavia, resterebbe salva comunque la possibilità di respingere la domanda nei casi in cui possa essere dimostrata la falsità delle dichiarazioni rese circa i predetti requisiti temporali, ovverosia risulti l’ingresso o l’inizio del rapporto in data successiva a quella stabilita sulla base di  risultanze obiettive rilevate dagli uffici competenti (ad es. : data indicata nel timbro di ingresso sul passaporto, registrazioni di ingresso presso la polizia di frontiera, presentazione presso uffici consolari italiani, segnalazioni di altri Stati nel S.I.S., occupazione presso ditta diversa dalla richiedente rilevata in sede di accertamento ispettivo, ecc.). 

In realtà, una prova realmente affidabile (non del rapporto di lavoro ma almeno) della presenza in Italia vi potrebbe essere per le persone già legalmente soggiornanti per motivi diversi dal lavoro (ad es.: persone in attesa di riconoscimento dello status di rifugiato, minori non accompagnati, titolari di soggiorno per studio, lavoratori autorizzati al soggiorno per le ipotesi previste dall’art.27 del T.U., come lavoratori dello spettacolo, dipendenti di imprese estere, ecc.): in questo caso, come è avvenuto nelle precedenti sanatorie, si dovrebbe ammettere –ma staremo a vedere-- la possibilità di “conversione” del permesso di soggiorno per stabili motivi di lavoro, facendo comunque prevalere la concreta condizione di lavoratore occupato in condizioni irregolari.

E’ stata invece espressamente esclusa (quantomeno nella norma di sanatoria già approvata per colf e badanti) la possibilità di regolarizzare le persone che risultino colpite da un provvedimento di espulsione dal territorio nazionale per motivi diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno: potrebbero regolarizzarsi, quindi, solo gli “ex regolari” colpiti da provvedimento di espulsione, mentre gli “irregolari puri” non potrebbero invece regolarizzarsi se precedentemente colpiti dall’espulsione. Sembra una specie di lotteria, che a parità di condizioni premia i fortunati che hanno saputo sottrarsi meglio ai controlli ed invece punisce i più sfortunati, che si sono nascosti meno bene o che non hanno saputo correre abbastanza forte… Ad ogni buon conto, poiché la speranza resiste almeno quanto il buon senso, c’è da augurarsi che, al momento dell’attuazione pratica, le solite circolari stabiliscano una regola analoga a quella fissata (anche in questo caso, in contrasto col testo normativo) nella sanatoria del D.P.C.M. 16/10/98: anche allora, infatti, la sanatoria era esclusa per gli espulsi, tuttavia venne poi “precisato” che era comunque possibile proporre la domanda unitamente ad un’istanza di revoca dell’espulsione rivolta al prefetto competente, cosicché se il prefetto avesse revocato l’espulsione (cosa avvenuta nella maggior parte dei casi) sarebbe stato comunque possibile prendere in esame la domanda di regolarizzazione.

Altra ipotesi di esclusione dalla sanatoria è poi l’eventuale condanna per uno dei reati elencati agli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, che tanto per fare un esempio vanno dal tentato furto di una scatoletta in un supermercato fino ai crimini più efferati. In tale lunghissima serie sono compresi anche reati che sono punibili solo su querela di parte, sicchè ci potremo persino trovare, ad esempio, di fronte a situazioni in cui lo straniero dovrà magari “chiedere perdono” al connazionale a cui ha dato un pugno (anche senza lesioni) per convincerlo a ritirare la querela e potersi così regolarizzare. Inoltre, la condanna per uno di tali delitti avrebbe l’effetto ostativo anche nel caso in cui il giudizio non sia ancora definitivo, la qual cosa rispetta ben poco il principio costituzionale di non colpevolezza fino a condanna definitiva: per fare un esempio, il dr. Silvio Berlusconi ha giustamente il pieno diritto di svolgere la funzione di Presidente del Consiglio perché le condanne emesse nei suoi confronti non sono ancora definitive (in quanto sottoposte ad impugnazione), ma se fosse straniero senza permesso di soggiorno, pur essendo un “buon operaio” (come dice Lui),  non potrebbe regolarizzarsi !

Battute a parte, quanto detto sopra è in sintesi ciò che al momento si può dire e sapere sulla prospettiva di regolarizzazione, per il resto bisognerà punto attendere che ci siano indicazioni precise (verosimilmente all’inizio di settembre), con un’ultima raccomandazione: è bene quindi che gli interessati si tengano in contatto con le associazioni che operano seriamente a livello locale, per avviare correttamente la pratica appena sarà possibile, senza inseguire le voci, gli affaristi e i numerosi millantatori e truffatori che promettono i miracoli o le scorciatoie.   

Marco Paggi