Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 143 del 13/5/2002
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(Discussione sulle linee generali - A.C. 2454)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Informo che il presidente del gruppo parlamentare dei Democratici di sinistra-l'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazione nelle iscrizioni a parlare, ai sensi del comma 2 dell'articolo 83 del regolamento.
La relatrice, onorevole Bertolini, ha facoltà di parlare.

ISABELLA BERTOLINI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, senatore sottosegretario, il fenomeno dell'emigrazione, proveniente da paesi extracomunitari, ha raggiunto negli ultimi decenni considerevoli dimensioni, investendo tutti gli Stati europei e, in questi ultimi anni, in particolare l'Italia. Il numero degli stranieri nel nostro paese, secondo documenti OCSE, è raddoppiato negli ultimi dieci anni e, anche se i dati sono riferibili al periodo 1988-1998, è evidente che sono, comunque, significativi per supportare l'indicazione dell'attuale trend.
Il fenomeno emigratorio, quindi, ha assunto anche qui in Italia un carattere ormai strutturale. Diversi fattori, da quelli demografici a quelli economici e geopolitici, infatti confermano che l'immigrazione nel nostro paese è, ormai, un dato stabile, tendente ad aumentare, come emerge chiaramente dai dati in nostro possesso. Parimenti, dobbiamo tenere in seria considerazione il fatto che il fenomeno emigratorio va inquadrato in una dimensione europea, ai cui obiettivi dobbiamo riferirci dando avvio ad un quadro giuridico comunitario ancora da definirsi.
Il fenomeno dell'emigrazione, ancorché da governare nella sua complessità e nelle implicazioni che il suo impatto determina nelle società europee, deve essere considerato come un'importante opportunità di fronte alla prospettiva di arrivare alla creazione di una società composita al passo con le sfide della mondializzazione e di una sempre maggiore integrazione degli Stati europei anche nell'affrontare il problema dell'accoglimento e dell'inserimento in modo omogeneo degli immigrati. Non possiamo, quindi, sottrarci dal dovere - che ci viene dall'essere un paese civile, democratico e fra i più avanzati del mondo - di coniugare, nell'accogliere gli immigrati, i valori della solidarietà alla


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capacità di ospitare e di inserire nei nostri contesti sociali in modo dignitoso chi chieda accoglienza per svolgere un'attività lavorativa, sfuggendo da situazioni miserevoli in paesi spesso disastrati da guerre annose o abbruttiti dalle persecuzioni di regimi illiberali.
La ricerca del lavoro rappresenta, quindi, il motivo fondamentale della migrazione che interessa anche l'Italia e rappresenta, contestualmente, la condizione che sta alla base di un positivo inserimento nel paese in cui si ricerca l'accoglienza.
Dobbiamo inoltre constatare che, in Italia, la progressiva denatalità e la scarsa propensione a svolgere determinate mansioni, oltre all'oggettiva difficoltà a reperire manodopera nazionale rispetto alle esigenze del mercato del lavoro, rendono l'immigrazione una necessità per lo sviluppo produttivo e per il mantenimento dei livelli di protezione sociale del nostro paese.
L'Italia, per rispondere e governare un fenomeno tanto complesso che, al momento, assume dimensioni prevedibilmente crescenti, è stata quindi obbligata - anche se con notevole ritardo - a dotarsi di norme in grado, da un lato, di assicurare una corretta gestione del fenomeno immigratorio regolare e, dall'altro, di contrastare con fermezza l'immigrazione clandestina, con tutte le sue implicazioni negative sul territorio e sulla comunità nazionale.
Tuttavia, tali obiettivi non sono stati pienamente raggiunti poiché l'applicazione della legge Turco-Napolitano ha registrato, dal 1998 ad oggi, notevoli ritardi nell'attuazione di molti strumenti previsti, non è stata oggetto di un adeguato monitoraggio ma, soprattutto e fondamentalmente, non è stata in grado di fronteggiare le emergenze.
Gli aspetti critici di tale legge sono diversi e, tra i più significativi, vi è la scarsa efficacia delle politiche di contrasto dell'immigrazione clandestina, che contribuisce in modo sostanziale non solo all'incremento del fenomeno del lavoro sommerso e del conseguente sfruttamento dei lavoratori, ma soprattutto concorre a fare entrare gli immigrati irregolari nella spirale della criminalità, con il conseguente aggravarsi della situazione dell'ordine pubblico nel nostro paese. Altro aspetto critico è la mancata efficienza della programmazione e della gestione degli ingressi di stranieri extracomunitari finalizzati al lavoro, rispetto alle reali esigenze del nostro mercato del lavoro, in senso sia qualitativo sia quantitativo nonché rispetto alla semplificazione e alla tempestività delle procedure amministrative per la cittadinanza legale e rispetto alla compatibilità con le capacità di accoglienza e di integrazione locale.
Come si vede, non si tratta di carenze di scarsa portata, ma di insufficienze della norma vigente che hanno determinato l'urgente necessità di rivederne alcune parti, attraverso il disegno di legge di iniziativa governativa, che ci apprestiamo a discutere, recante «Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo», già approvato dal Senato.
L'obiettivo primario che il Governo intende perseguire attraverso questo disegno di legge è quello di assicurare un'immigrazione regolare, commisurata all'esigenza e alla capacità di accoglienza nel nostro paese.
Va da sé che questo obiettivo si collega strettamente ad un corretto e dignitoso inserimento del cittadino extracomunitario nel mondo del lavoro ed al suo conseguente processo di integrazione nel tessuto sociale. Ciò implica, ovviamente, anche un'attenta lotta alla clandestinità che, se non attivamente governata e controllata, può pregiudicare seriamente il conseguimento degli obiettivi del presente provvedimento.
Gli elementi qualificanti dell'iniziativa del Governo riguardano diverse innovazioni che vanno ad incidere, sostanzialmente, su due aspetti: la disponibilità ad accogliere e ad integrare lavoratori extracomunitari, garantendo e assicurando loro reali opportunità di lavoro e condizioni certe di integrazione sociale e l'esigenza di garantire la sicurezza della collettività,


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mediante azioni di contrasto, volte a proteggere il territorio dall'immigrazione clandestina.
Prima di esaminare più nel dettaglio l'articolato del provvedimento, vorrei fare un breve cenno all'iter seguito dal disegno di legge. Forse nella mia esposizione sarò troppo analitica o troppo lunga ma, non avendo la Commissione concluso i lavori - come, invece, avevamo auspicato -, ritengo sia opportuno chiarire i termini del disegno di legge, non avendolo potuto fare all'interno della Commissione.
La Commissione, per integrare gli elementi di conoscenza, utili ai fini di una compiuta valutazione del testo approvato dal Senato, ha effettuato una breve indagine conoscitiva, ha proceduto all'audizione di esponenti delle associazioni rappresentative delle categorie produttive maggiormente interessate all'impiego di lavoratori extracomunitari, di rappresentanti del dipartimento della pubblica sicurezza, dell'Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza, della Marina militare e della Capitaneria di porto nonché di rappresentanti dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, dell'Organizzazione internazionale per l'emigrazione, di Amnesty International, del Consorzio italiano di solidarietà e di Medici senza frontiere.
Concluso l'esame preliminare, la Commissione ha avviato la fase relativa alla formulazione del testo e, alla luce dell'elevato numero degli emendamenti presentati e dei tempi richiesti per il loro esame, per concludere l'iter del provvedimento entro il termine stabilito, ha proceduto alle relative votazioni secondo principi di economia procedurale. Ciò nonostante non è stato possibile esaminare tutte le proposte emendative.
Pertanto, la Commissione si riserva di approfondire le relative questioni nel corso dell'esame da parte dell'Assemblea e di procedere alla valutazione dei pareri espressi dalle altre Commissioni permanenti, presentando eventualmente emendamenti volti al loro recepimento.
Il disegno di legge in oggetto intende modificare due leggi vigenti: il testo unico sull'immigrazione, meglio conosciuto come legge Turco-Napolitano, del 1998 e la normativa sul diritto d'asilo contenuta nella cosiddetta legge Martelli n. 39 del 1990. Analizzando più nel dettaglio il disegno di legge vediamo che si compone di 32 articoli, suddivisi in tre capi: disposizioni in materia di immigrazione, di asilo e di coordinamento.
Il comma 1 dell'articolo 1, invece, modifica il testo unico delle imposte sui redditi del 1986, estendendo le agevolazioni fiscali previste per le ONLUS a nuove fattispecie, al fine di favorire le elargizioni in favore di iniziative di sviluppo umanitario di qualunque natura nei paesi che non appartengono all'OCSE. Lo stesso articolo, al comma 2, che la Commissione Affari costituzionali ha in parte riformulato attraverso la presentazione di emendamenti, fa obbligo al Governo di tenere conto, nell'ambito dei programmi bilaterali di cooperazione e di aiuto, della collaborazione prestata dai paesi interessati alla prevenzione dei flussi migratori illegali e al contrasto delle organizzazioni criminali operanti nei campi dell'immigrazione clandestina, del traffico di esseri umani, dello sfruttamento della prostituzione, del traffico di stupefacenti o di armamenti, nonché in materia di cooperazione giudiziaria e penitenziaria e nell'applicazione della normativa internazionale in materia di sicurezza della navigazione. Tale disposizione non si applica agli interventi umanitari nei confronti dei paesi appartenenti all'Unione europea.
Il comma 3, introdotto ex novo dalla I Commissione, consente la revisione dei programmi di cooperazione e di aiuto in essere, qualora i paesi interessati non adottino misure volte a prevenire il rientro illegale in Italia degli stranieri espulsi. L'articolo 2 prevede, poi, il coordinamento e il monitoraggio dell'attuazione delle norme contenute nel testo unico sull'immigrazione attraverso l'istituzione di un apposito comitato nazionale, definendone la composizione e le attribuzioni. Data la complessità della normativa in materia, che prevede molteplici provvedimenti interministeriali per la sua attuazione, l'istituzione


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di questo tavolo di lavoro, diviso nei livelli politico ed amministrativo, può facilitare la collaborazione fra le diverse amministrazioni interessate. Ai sensi dell'articolo 3 il comitato esprime un parere sul decreto annuale di definizione delle quote massime di ingresso di extracomunitari per lavoro subordinato, anche a carattere stagionale, e per lavoro autonomo. L'articolo, nel ridefinire le modalità di adozione dei decreti sui flussi, introduce il parere della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali e dispone che il decreto sia adottato entro il termine perentorio del 30 novembre dell'anno precedente a quello di riferimento. In caso di mancata emanazione, il Presidente del Consiglio dei ministri può intervenire in sede transitoria nel limite delle quote stabilite per l'anno precedente; qualora risulti opportuno possono essere emanati, nel corso dell'anno, ulteriori decreti.
La I Commissione della Camera ha modificato il testo in alcuni punti, in particolare rendendo facoltativo il decreto adottato in via transitoria dal Presidente del Consiglio dei ministri e premettendo all'articolo un comma per consentire che il documento programmatico relativo alla politica dell'immigrazione, avente di norma una cadenza triennale, possa essere predisposto, se necessario, entro termini più brevi.
L'articolo 4 modifica la disciplina vigente in materia di visto di ingresso, circoscrivendo tra l'altro a casi espressamente indicati l'obbligo di motivare il diniego al rilascio del visto e disponendo l'inammissibilità della domanda (fatte salve le responsabilità penali) se corredata da documentazione falsa o contraffatta. Un'ulteriore modifica apportata nel corso dell'esame in Commissione prevede che, insieme al visto, sia consegnato allo straniero ammesso in Italia un documento in lingua a lui comprensibile (ovvero inglese, francese, spagnolo o arabo) che ne illustri i diritti e i doveri.
L'articolo 5 disegna, sotto vari profili, la disciplina del permesso di soggiorno degli extracomunitari per motivi di lavoro subordinato o autonomo, condizionando il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato alla sottoscrizione del cosiddetto contratto di soggiorno previsto all'articolo 6. Tra le principali innovazioni ci sono la modifica della durata massima del permesso, la possibilità di rilascio di un permesso pluriennale per i lavoratori stagionali, la ridefinizione dei termini per la richiesta di rinnovo, la determinazione delle caratteristiche del documento mediante ricorso a mezzi a tecnologia avanzata con caratteristiche anticontraffazione e la previsione di sanzioni penali per i casi di contraffazione o di alterazione.
Abbiamo detto che l'obiettivo primario del disegno di legge è l'integrazione del cittadino extracomunitario, fondata sul reale inserimento nel mondo del lavoro. Da questo punto di vista e in armonia con la proposta di direttiva europea viene introdotta all'articolo 6 la figura del contratto di soggiorno per lavoro subordinato fra un datore di lavoro (italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia) e un cittadino extracomunitario. Il contratto, sottoscritto presso lo sportello unico per l'immigrazione, deve contenere la garanzia - da parte del datore di lavoro - di un'adeguata sistemazione alloggiativa per il dipendente e l'impegno al pagamento delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel paese di provenienza. La sottoscrizione di tale contratto costituisce una condizione per il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro dipendente.
L'articolo 7 subordina alla stipulazione del contratto di soggiorno la conversione del permesso di soggiorno per motivi di studio e formazione in quello per motivi di lavoro subordinato. Se si tratta poi di lavoro autonomo, la conversione è subordinata alla certificazione della sussistenza dei relativi requisiti.
All'articolo 8 è prevista una sanzione amministrativa per i casi di violazione dell'obbligo di comunicazione all'autorità di pubblica sicurezza dell'ospitalità concessa allo straniero o della sua assunzione.
L'articolo 9 eleva da cinque a sei anni il periodo di regolare soggiorno necessario allo straniero per ottenere, in presenza delle altre condizioni di legge, la carta di


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soggiorno prevista dal testo unico, che - com'è noto -, a differenza del permesso di soggiorno, non ha un termine di scadenza.
L'articolo 10 detta norme organizzative finalizzate a potenziare il coordinamento dei controlli di frontiera. L'articolo 11 ridisegna, nel suo complesso, l'apparato delle sanzioni penali che il testo unico reca per contrastare le immigrazioni clandestine e i relativi traffici. Fra l'altro, la nuova disciplina permette di considerare come illecite anche le attività che favoriscono le immigrazioni clandestine in uscita dall'Italia verso un altro paese, attualmente non perseguibili penalmente, regolamenta in termini più rigorosi le circostanze aggravanti e il concorso tra queste e le eventuali circostanze attenuanti e limita l'applicabilità dei benefìci penitenziari ai condannati per i delitti di cui si tratta. L'articolo in questione disciplina, inoltre, la possibilità, da parte sia delle navi italiane in servizio di polizia, sia di navi appartenenti alla Marina militare, di fermare, ispezionare ed eventualmente sequestrare le navi che si ha fondato motivo di ritenere adibite al traffico illecito di migranti, distinguendo tra il caso che ciò si verifichi in acque territoriali o nella zona contigua, e quello che si verifichi al di fuori di esse. La stessa disciplina, in quanto compatibile, è applicata anche ai controlli sul traffico aereo.
L'articolo 12 incide poi in misura ampia e significativa sull'attuale disciplina relativa all'espulsione in via amministrativa dello straniero. In particolare, il decreto di espulsione - fermo restando l'obbligo di motivazione - è dichiarato immediatamente esecutivo, anche se impugnato dall'interessato, ed è di norma eseguito dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Se lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, l'autorità giudiziaria può negare il nulla osta all'espulsione solo in presenza di inderogabili esigenze processuali; il nulla osta è comunque negato nel caso si proceda per reati particolarmente gravi o per traffico di immigrati clandestini. Inoltre, l'articolo modifica vari aspetti procedurali del ricorso contro il decreto di espulsione, eleva dagli attuali cinque a dieci anni il periodo entro il quale è di norma vietato all'espulso il reingresso nel territorio dello Stato e inasprisce le pene per lo straniero espulso che rientri illegalmente nel territorio dello Stato.
L'articolo 13 detta nuove norme sull'esecuzione dell'espulsione, prolungando, tra l'altro, da venti a trenta giorni il periodo massimo di permanenza nei centri di permanenza temporanea, a seguito della convalida del provvedimento di trattenimento dello straniero. È parimenti prolungata, da dieci a trenta giorni, la durata dell'eventuale proroga del trattenimento. Trascorsi i termini di permanenza senza che sia stata eseguita l'espulsione o il respingimento, oppure quando non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni: l'indebita permanenza dello straniero è, in tali casi, sanzionata penalmente. Il comma 2 a tal proposito reca stanziamenti per la costruzione di nuovi centri di permanenza temporanea che si rendano necessari.
L'articolo 14 detta norme volte a consentire l'esecuzione dell'espulsione dello straniero colpito da provvedimento di custodia cautelare o da sentenza definitiva di condanna ad una pena detentiva.
L'articolo 15 interviene anch'esso in materia di espulsione, affiancando all'esistente ipotesi di espulsione a titolo di sanzione sostitutiva, irrogata dal giudice che pronuncia la condanna penale, una nuova ipotesi di espulsione giudiziaria: quella a titolo di sanzione alternativa alla detenzione, applicata dal magistrato di sorveglianza qualora lo straniero debba scontare una pena detentiva, anche residua di maggior pena, non superiore a due anni. La norma esclude comunque l'espulsione in caso di condanna per reati particolarmente gravi o per traffico di immigrati clandestini.
L'articolo 16 interviene sui criteri di determinazione dei flussi di ingresso dei


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lavoratori stranieri, prevedendo restrizioni per i lavoratori che provengono da paesi che non collaborano con l'Italia nel contrasto all'immigrazione clandestina, riservando quote ai lavoratori extracomunitari di origine italiana e introducendo il vincolo dell'effettiva richiesta di lavoro da parte delle realtà locali.
L'articolo 17 interviene in materia di assunzione di lavoratori stranieri, prevedendo l'istituzione in ogni provincia, presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo, di uno sportello unico per l'immigrazione, responsabile dell'intero procedimento relativo all'assunzione di lavoratori subordinati stranieri a tempo determinato ed indeterminato; esigendo la presentazione di idonea e dettagliata documentazione da parte del datore di lavoro, inclusa la proposta di contratto di soggiorno di cui al già illustrato articolo 6; richiedendo che il centro per l'impiego territorialmente competente compia una previa indagine in ordine alla disponibilità, per il posto di lavoro offerto, di lavoratori italiani o comunitari; disciplinando infine le modalità operative per la sottoscrizione da parte del lavoratore straniero del contratto di soggiorno e per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo.
L'articolo 18 sostituisce integralmente l'articolo 23 della legge Turco-Napolitano e sopprime l'istituto del cosiddetto sponsor ovvero del prestatore di garanzia a favore dello straniero che intende entrare in Italia per la ricerca di lavoro.
Tale scelta è stata dettata dalla constatazione che questo istituto nella sua attuazione non ha raggiunto l'obiettivo di favorire l'effettivo ingresso nella realtà lavorativa regolare degli extracomunitari.
Il nuovo testo dell'articolo 23 è finalizzato a preparare, nei paesi di origine, lavoratori qualificati da poter eventualmente impiegare in aziende italiane. Esso stabilisce che la frequenza da parte di lavoratori stranieri di corsi di formazione professionale nei paesi di origine, sulla base di programmi approvati dalle pubbliche amministrazioni e da enti italiani, costituisca titolo preferenziale per il loro inserimento nel lavoro in Italia o nei settori produttivi italiani che operano nei paesi di origine.
L'articolo 19 disciplina l'ingresso in Italia di stranieri per lo svolgimento di lavoro stagionale. La principale novità introdotta riguarda la verifica, da parte del competente centro per l'impiego, dell'eventuale disponibilità di lavoratori italiani o comunitari a ricoprire l'impiego stagionale offerto.
L'articolo 20 prevede la revoca del permesso di soggiorno e l'espulsione dello straniero con accompagnamento alla frontiera, qualora sia intervenuta condanna con provvedimento irrevocabile per i reati di produzione, smercio e distribuzione di prodotti falsi, contraffatti o in violazione delle norme poste a tutela del diritto d'autore.
L'articolo 21 disciplina la fissazione di un limite massimo annuale di ingresso per gli sportivi stranieri che svolgono attività a titolo professionistico o comunque retribuita. La quota annuale è fissata con decreto del ministro per i beni e le attività culturali, su proposta del CONI, sentiti i ministri dell'interno e del lavoro e delle politiche sociali; essa è quindi ripartita tra le federazioni sportive nazionali con delibera del CONI, sottoposta ad approvazione del ministro di settore.
L'articolo 22 introduce alcune limitazioni alle fattispecie di ricongiungimento familiare attualmente vigenti. In particolare, è consentito il ricongiungimento dei figli maggiorenni a carico dello straniero che ne faccia richiesta, a condizione che non possano provvedere al proprio sostentamento a causa del loro stato di salute che comporti invalidità totale; il ricongiungimento dei genitori a carico è, inoltre, consentito qualora essi non abbiano altri figli nel paese di origine o di provenienza.
L'articolo 23 disciplina in termini più rigorosi i casi in cui, in deroga al meccanismo del contingentamento annuale, è consentito l'accesso di studenti stranieri ai corsi universitari.
L'articolo 24 reca norme finalizzate a circoscrivere agli stranieri che dimostrino di essere in regola con le norme che


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disciplinano il soggiorno in Italia sia il godimento delle misure di integrazione sociale, sia l'accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica ed agli altri interventi pubblici volti ad agevolare l'accesso all'abitazione.
L'articolo sopprime, inoltre, la possibilità che il sindaco, qualora ricorrano situazioni di emergenza, offra alloggio e sostentamento nei centri di accoglienza agli stranieri non in regola. Tale facoltà è peraltro mantenuta dal successivo articolo 30 in via transitoria, fino al necessario adeguamento della rete di centri di permanenza temporanea e di assistenza.
L'articolo 26, al fine di evitare l'elusione delle norme sull'ingresso ed il soggiorno degli stranieri prevede che il permesso di soggiorno per motivi familiari, concesso a seguito di matrimonio con un cittadino italiano o straniero regolarmente soggiornante, venga revocato qualora si accerti che al matrimonio non è seguita l'effettiva convivenza, salvo che dal matrimonio siano nati dei figli.
Il disegno di legge, agli articoli 27 e 28, detta poi norme in materia di riconoscimento del diritto di asilo, rivedendo il testo della legge Martelli n. 39 del 1990. In attesa di una disciplina organica in materia che si è ritenuto opportuno rinviare a quando saranno definite le procedure minime, identiche per tutta l'Unione europea, attualmente in discussione a Bruxelles, l'intervento è orientato allo specifico fine di risolvere il problema costituito dalle domande di asilo strumentali, presentate cioè al solo scopo di sfuggire all'esecuzione di un provvedimento di allontanamento probabile ed imminente. Si vuole, quindi, garantire la tutela da discriminazioni di qualsiasi tipo, ma, al tempo stesso, evitare che l'asilo sia impropriamente utilizzato per aggirare le disposizioni sull'immigrazione.
A tale scopo, la nuova disciplina introduce una procedura semplificata per l'esame della richiesta di asilo, da applicare quando la richiesta sia presentata dallo straniero fermato per avere eluso il controllo di frontiera o subito dopo, o comunque, in condizioni di soggiorno irregolare, ovvero dallo straniero che sia già destinatario di un provvedimento di espulsione o respingimento.
Alla procedura semplificata è connessa la possibilità, ed in alcuni casi l'obbligo, di trattenere lo straniero richiedente in centri appositamente istituiti per un periodo limitato.
La procedura appare ispirata ai principi indicati nella proposta di direttiva n. 578 del 2000 in corso di esame in sede europea, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento della revoca dello status di rifugiato.
Questa disciplina prevede, inoltre, il potenziamento della commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, ridenominata commissione nazionale per il diritto di asilo, e l'istituzione di commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato presso gli uffici territoriali del Governo. Vengono disposte, infine, stanziamenti per l'attuazione della nuova disciplina e per la costruzione di questi centri di accoglienza.
L'articolo 29 reca una misura di carattere straordinario diretta all'emersione e dunque, ricorrendo a determinate condizioni, alla regolarizzazione...

PRESIDENTE. Le chiedo scusa, onorevole relatore, ma il suo tempo è scaduto abbondantemente.

ISABELLA BERTOLINI, Relatore. Sto proprio concludendo, signor Presidente.

PRESIDENTE. Prego, onorevole relatore.

ISABELLA BERTOLINI, Relatore. Se ricorrono determinate condizioni, l'articolo 29 prevede una misura di carattere straordinario diretta alla regolarizzazione dei lavoratori domestici extracomunitari sprovvisti di permesso di soggiorno.
Per poterne usufruire occorre che l'attività lavorativa sia stata svolta nel periodo compreso tra il 1o ottobre ed il 31 dicembre 2001 e riguarda solo le seguenti attività: assistenza a componenti della famiglia


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del datore di lavoro affetti da patologie o handicap che ne limitino l'autosufficienza (le cosiddette badanti) e lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare (le cosiddette colf).
Ciascuna famiglia può procedere alla regolarizzazione di un solo lavoratore che si occupa del lavoro domestico, mentre nessun limite è posto per i lavoratori che assistono soggetti affetti da patologie o da handicap.
La denuncia della sussistenza del rapporto di lavoro deve essere presentata entro due mesi dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento.
L'articolo 31, infine, attribuisce nuove competenze al comitato parlamentare di controllo sull'attuazione ed il funzionamento della convenzione di applicazione dell'accordo Schengen e di vigilanza sull'attività nazionale Europol. Il comitato assume anche funzioni di indirizzo e di vigilanza sull'attuazione delle disposizioni in materia di immigrazione e diritto di asilo, sui relativi accordi internazionali e, più specificamente, sull'attuazione delle norme contenute nel provvedimento in esame: la sua denominazione è conseguentemente mutata in Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione.
Agli articoli 30-32 sono, infine, previste norme per l'adozione di regolamenti di attuazione e di integrazione di questo provvedimento, nonché per assicurare la copertura finanziaria necessaria agli oneri recati dal disegno di legge.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ANTONIO D'ALÌ, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Landi di Chiavenna. Ne ha facoltà.

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, come è stato già ricordato dalla collega Bertolini, l'Italia è un paese di immigrazione e ciò rappresenta un fatto incontestabile; l'immigrazione, tuttavia, non è solo una realtà legata al processo di crescita economica e produttiva italiana, ma coinvolge anche le politiche di integrazione sociale e della sicurezza a livello europeo.
Essa coinvolge anche i drammi e le conseguenze sociali, politiche, culturali, nonché religiose del mondo. Si tratta quindi di un fenomeno globale. Le forme di immigrazione dei nostri giorni sono ovviamente determinate da un insieme complesso di cause: sono in molti a ritenere che nell'esplosione del fenomeno migratorio di questo secolo abbia svolto un ruolo fondamentale il crescere delle differenze demografiche fra i paesi, vale a dire la drastica riduzione della natalità nelle nazioni sviluppate, soprattutto in quelle europee, ed i contestuali livelli di nascita, ancora elevatissimi, nei paesi in via di sviluppo. Gli squilibri nella crescita demografica finiscono per accrescere la già divergente crescita economica fra i paesi del nord e quelli del sud del mondo ed è ovvio che la povertà in cui versa gran parte della popolazione del pianeta finisce per costituire una delle principali ragioni di emigrazione verso paesi economicamente più sviluppati. Diventa quindi sempre più stretto il legame fra condizione economica, qualità della vita, instabilità sociale e sicurezza internazionale. La geografia della fame si va sempre più sovrapponendo alla geografia del terrorismo.
La necessità di fuggire da situazioni di conflittualità interna dà origine e quindi determina il dramma dei rifugiati: persone perseguitate nel proprio paese, per le loro idee politiche o per la loro appartenenza etnica. Esse sono la frequente conseguenza di guerre e di scontri etnici, di fughe da regimi non democratici, di carestie o di gravi disastri naturali. È ovvio quindi che l'espansione del carattere globale dell'economia, le trasformazioni negli equilibri internazionali e nella diffusione dei sistemi di comunicazione contribuiscono a rendere non determinanti le distanze geografiche


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e quindi ad accelerare i movimenti di popolazioni fra le diverse aree del mondo.
In questo quadro drammatico di geopolitica socioeconomica, con forti accenti etnico-religiosi, questo Parlamento si accinge a dibattere le modifiche al testo unico sulla immigrazione con la speranza - credo condivisa da tutti - che le forze politiche rappresentate in questo Parlamento affrontino tale delicato dibattito senza cadere in demagogie o in pregiudizi di carattere ideologico.
Vorrei infatti ricordare con fermezza che l'immigrazione costituisce da sempre un grave problema per l'Europa e non cesserà certo di esserlo nei prossimi decenni. La fase attuale dell'immigrazione in Europa - lo ricordava anche la collega Bertolini - è caratterizzata dall'espansione della geografia dell'emigrazione sia per i paesi di provenienza, fra i quali spiccano quelli dell'Africa settentrionale e dell'Europa dell'est, sia per i paesi d'accoglienza. Lo testimonia il fatto che l'Italia, la Spagna, la Grecia, tradizionali esportatori di manodopera, sono oramai divenuti aree di accoglimento. Proprio la specificità che ha assunto il fenomeno migratorio nell'Europa meridionale ha portato molti studiosi ad identificare un modello mediterraneo dell'emigrazione. Tale modello è determinato dal fatto che gli Stati dell'Europa meridionale sono passati negli ultimi trent'anni da bacino di emigrazione ad importante area di immigrazione. Questa trasformazione è conseguenza di un vasto insieme di fattori: la chiusura delle frontiere dei paesi dell'Europa settentrionale a metà degli anni '70; la mancanza nei paesi del sud di una tradizione in materia di politica dell'immigrazione e quindi di adeguate procedure di controllo; la vicinanza geografica di questi paesi a quelli di emigrazione ed anche il processo di modernizzazione che ha coinvolto negli ultimi decenni l'Europa mediterranea; la frattura in termini di tenore di vita e di sviluppo - una volta collocabile fra l'Europa settentrionale e quella meridionale - si è oggi spostata fra questa ed i paesi del sud del mediterraneo.
I più recenti episodi di cronaca dimostrano sempre più l'esigenza di giungere quindi a politiche capaci di governare il fenomeno dell'emigrazione, incanalandolo verso un severo controllo dei flussi. Lo spirito di accoglienza, pur doveroso nelle condizioni più drammatiche - come il recente sbarco del 19 marzo a Catania, dove su 928 immigrati si sono contati 361 bambini reduci da giorni di navigazione -, non è in alcun modo garante verso una vera politica sull'integrazione degli immigrati.
In maniera più diretta si deve affermare che l'ingresso di immigrati non può essere considerato il mero risultato dei loro comportamenti e il paese di accoglienza non può essere considerato un agente passivo.
Gli arrivi di clandestini si impongono in questi ultimi anni con sempre maggiore rilievo non solo in Italia, ma in tutta Europa. Nei soli primi sei mesi del 2001 sono state quasi 20 mila le persone immigrate bloccate mentre tentavano di oltrepassare a piedi il traforo sotto la Manica ed entrare da clandestini in Gran Bretagna. Quindi, la situazione è drammatica in tutti gli Stati d'Europa, in modo particolare in quelli che si presentano più esposti alla pressione per la loro collocazione nell'area del bacino meridionale.
Peraltro l'Italia, come la Spagna e il Portogallo, presenta nella distribuzione territoriale degli immigrati forti diseguaglianze regionali, dovute fondamentalmente alle caratteristiche dei mercati del lavoro locale. In Italia si ha un'alta concentrazione di lavoratori immigrati nelle regioni del nord (quasi i due terzi degli immigrati presenti), una presenza significativa al centro ed una presenza davvero modesta (meno del 15 per cento) al sud. Al contrario, è proprio nelle regioni del Mezzogiorno e nelle occupazioni prevalenti di queste regioni, soprattutto per lavori agricoli e stagionali, che si concentra massimamente l'occupazione non ufficiale, in larga parte precaria e priva di garanzia, di tutela. È significativo anche il fatto che, a seguito delle quattro sanatorie avutesi nel nostro paese - nel 1987, nel 1990, nel


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1995 e nel 1999 - e alla conseguente uscita dalla clandestinità di significativi gruppi di immigrati, si sia verificato un considerevole spostamento di immigrati dal sud verso le regioni del nord alla ricerca di condizioni di lavoro regolari, obiettivo che spesso però non è stato raggiunto, determinandosi così quella vasta area grigia di sommerso che il centrodestra ha inteso e intende contrastare fermamente.
Non crediamo, infatti, che sia possibile avallare richieste di manodopera extracomunitaria, in numeri anche imponenti, salvo poi non concorrere alla sua reale integrazione, e l'integrazione passa attraverso la regolarizzazione del lavoro e, quindi, l'emersione del lavoro nero. Questo fenomeno è stato ampiamente evidenziato anche dal compianto Marco Biagi nel suo libro bianco sul lavoro, in cui stigmatizza che una politica di maggiore apertura nei confronti dell'immigrazione extracomunitaria deve essere accompagnata da misure aggiuntive per eliminare il lavoro non dichiarato, che è esso stesso causa o comunque sostegno dell'immigrazione illegale.
La lotta contro il lavoro nero deve essere condotta con tutta la scienza che la politica e le strategie di controllo del Governo possono mettere in campo. L'obiettivo è quello di bloccare l'illegalità, non di produrla. Il rischio è creare un'area grigia di illegalità ancora più nascosta a causa del rinforzo dei controlli, dove il clandestino diviene vittima di un sistema economico tutto in nero, che trae vantaggio proprio dalla sua condizione di illegalità. In altri termini, è opportuno evitare che si creino situazioni per cui l'economia dei settori deboli tragga vantaggi dalla presenza di immigrati clandestini e, così facendo, ne alimenti la permanenza.
L'obiettivo del centrodestra, quindi, è quello di rendere compatibile il processo di integrazione degli extracomunitari con la sicurezza del territorio e, dunque, con le leggi nazionali. Ciò significa regole chiare e definite per i flussi migratori, leggi severe per contrastare l'immigrazione clandestina ed una politica avveduta e lungimirante che consenta una coerente integrazione nel tessuto sociale e culturale degli extracomunitari regolarmente introdotti e che, soprattutto, non trascuri il dovere di rappresentare i bisogni della stessa società italiana che sente in pericolo la propria sicurezza.
In tal senso diventa necessario garantire la certezza a favore dei cittadini, affinché non si sentano espropriati dei propri diritti. La sicurezza del territorio e l'applicazione e il rispetto delle regole sono pertanto da considerarsi elementi fondamentali per garantire una convivenza socialmente sostenibile tra cittadini italiani e stranieri. Il centrodestra propone un percorso di contrasto reale all'immigrazione clandestina, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo, e di piena valorizzazione di quella regolare; non accettiamo, quindi, lezioni di democrazia da chiunque esse provengano.
L'ingresso di nuove popolazioni in una società provoca, da sempre, tensioni di carattere economico, sociale, politico e culturale, che rimettono in discussione gli equilibri preesistenti.
Il fenomeno migratorio appare come un fattore sociologicamente sempre più complesso, implicante questioni politiche, religiose e culturali. Il suo peso e l'impatto destabilizzante sulle politiche di Governo sono resi evidenti dalle ultime elezioni francesi, ossia dal caso Le Pen. Il voto francese racconta, in tal senso, il disagio e la disgregazione sociale delle periferie urbane; denuncia un senso di insicurezza e di xenofobia latente che trae origine e si alimenta da una difficile convivenza ed integrazione tra identità diverse, e soprattutto evidenza il fallimento di politiche di integrazione che, al di là di istanze sociologiche e moraliste, non sono riuscite a garantire un inserimento degli immigrati in armonia con le condizioni socioculturali delle collettività che li ospitano. Ne deriva un forte senso di disagio politico della comunità che vede in pericolo la propria sicurezza. Non solo in Francia; anche alle prossime elezioni tedesche - così come in quelle inglesi e come sta avvenendo in


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Olanda o è avvenuto in Danimarca - l'immigrazione si appresta a diventare un tema caldo della battaglia elettorale.
Con una pressione migratoria crescente e con flussi continui ed imponenti, è, quindi, doveroso, nei confronti della nostra comunità, non solo gestire il fenomeno senza dare l'impressione di subirlo, ma anche combattere le infondate percezioni di un evento ineludibile, scarsamente contrastabile. L'immigrazione, se correttamente programmata, inserita all'interno di uno Stato capace di far rispettare le leggi, è in grado di produrre vantaggi, sia economici sia socioculturali. Di fatto, l'immigrazione è anche funzionale allo sviluppo economico del paese di accoglienza e, in tal senso, risponde ai bisogni reali della società italiana che, non solo ricerca persone che lavorino in fabbrica, ma anche quelle che si prendano cura degli anziani e quelle che colmino l'insostenibile tasso di invecchiamento della popolazione.
Numerose analisi demografiche internazionali segnalano che, nei prossimi cinquant'anni, molti grandi paesi industrializzati come il nostro dovranno affrontare la prospettiva di un rapido invecchiamento e, di conseguenza, anche di una riduzione della forza lavoro.
Il bilancio demografico provvisorio del 2001, presentato dall'ISTAT, fa registrare, quest'anno, il pareggio tra nascite e morti, dopo otto anni di eccesso di morti sulle nascite. Al riguardo, una ricerca della fondazione Agnelli mostra che il numero degli alunni stranieri nelle scuole è in forte crescita. Nell'anno scolastico 2000-2001 ha raggiunto le 150 mila unità, pari all'1,8 per cento degli iscritti.
Nelle province di Bologna, di Brescia, di Firenze, di Mantova, di Modena, di Prato e di Reggio Emilia i figli di immigrati iscritti nelle nostre scuole superano già il 4 per cento. Ci si trova, quindi, di fronte ad un gravissimo dilemma: governare un processo migratorio destinato ad aumentare, a tassi che potranno provocare forme di pesante disagio sociale - come quello che sta scontando la banlieue francese - oppure contrastare l'immigrazione ed essere pronti, con la prossima generazione, ad affrontare la crisi del sistema sociale dovuta al calo demografico, con possibili, se pur diverse dalle precedenti, ricadute sulla collettività.
Ecco, allora, che il sostegno alle giovani famiglie e alla natalità diviene un elemento integrante di un'organica politica sociale che comprenda anche quella dell'integrazione degli immigrati e del controllo dei flussi. Ma occorre anche ribadire la necessità di un approccio culturale e politico verso l'immigrazione che non sia superficiale o che sia dettato solo dal pendolo delle scadenze elettorali.
L'ordine ed il rispetto delle regole sono, dunque, indispensabili per un effettivo governo del fenomeno migratorio. Tuttavia, delineare un governo dei flussi migratori improntato prevalentemente alle questioni dell'ordine pubblico, della sicurezza e della guerra alla criminalità non è sufficiente. Una repressione senza prevenzione rischia di produrre un esito contrario a quello auspicato. Il fenomeno migratorio richiede una vera e propria politica estera dell'immigrazione, capace anche di alimentare i processi di sviluppo delle aree più povere del mondo da cui provengono gli immigrati e di lanciare la nostra economia verso quei territori dove si possano trovare, non solo braccia e competenze a costi competitivi, ma anche nuove aree di consumo. Un ruolo che si gioca, dunque, attraverso una politica di concertazione europea ed una comune presa di coscienza dei valori universali quale la più coerente ridistribuzione delle ricchezze prodotte dal pianeta per consentire i processi di globalizzazione e di produrre effetti rapidi di maggiore sviluppo delle aree povere del globo.
Nel particolare, il nodo per un governo ed un controllo pieni dell'immigrazione sembra concretamente concentrarsi sugli aspetti di coordinamento dei movimenti di frontiera nell'area Schengen e sulla questione degli ingressi irregolari. Tale obiettivo non può essere perseguito unicamente tramite strumenti di polizia, bensì anche attraverso una politica lungimirante, che prenda in debita considerazione l'esigenza di collaborare con i governi dei paesi di


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provenienza degli immigrati, attraverso la definizione di opportuni accordi bilaterali.
Anche Marco Biagi, nel suo libro bianco, ha sottolineato questa necessità quando, in tema di incontro tra domanda ed offerta di lavoro, scrive: la scelta del Governo è quella di avvicinare la domanda e l'offerta di lavoro intervenendo sui paesi di origine dei flussi migratori e agendo in stretta collaborazione soprattutto con i paesi con i quali esistono accordi di cooperazione su questa materia, al fine di creare mercati del lavoro interregionali trasparenti e governabili. In tale ambito, è opportuno favorire azioni di formazione e screening preventivo nei paesi di origine, supportando l'azione degli operatori privati e delle associazioni di categoria.
Proponiamo dunque - il centrodestra di questo si fa artefice - un maggiore sviluppo della politica di formazione in loco, accompagnato, ovviamente, da strategie di partenariato commerciale, per incanalare la spinta migratoria verso un più organico sistema di flussi, orientato ad un inserimento guidato nel mercato del lavoro italiano là dov'è necessario.
In tal senso, un esempio positivo viene dal Friuli-Venezia Giulia, dove è in atto un progetto per la selezione e la formazione di lavoratori extracomunitari rumeni nel loro paese di origine. Gli obiettivi sono il reperimento e la qualificazione di manodopera destinata ad essere impiegata sia in territorio rumeno - dalle nostre imprese del nord-est che hanno delocalizzato alcune produzioni - sia in Italia, in specifiche aree produttive. La regione Friuli-Venezia Giulia metterà a disposizione il know-how formativo e personale per i corsi, mentre i rumeni forniranno la struttura già presente sul territorio.
Per citare un altro esempio, un recente studio sull'immigrazione dal Senegal ha messo in evidenza il significativo risveglio di interessi commerciali, tra l'Italia e questo paese, registrato da una missione multisettoriale organizzata dall'Istituto per il commercio con l'estero. Tra le richieste più frequenti che gli operatori senegalesi hanno avanzato agli italiani in tale occasione, sono emerse quelle relative all'apertura di filiali commerciali in Senegal. Questa situazione mostra l'esigenza, fortemente sentita da parte senegalese - come, probabilmente, da parte di altri paesi africani esportatori di manodopera e di immigrazione -, di creare occupazione in loco entrando in contatto, allo stesso tempo, con la realtà economica italiana.
Noi scegliamo, quindi, una politica dell'immigrazione forte e ferma negli obiettivi, nel governo del processo come nel controllo organico della manodopera immigrata; perseguiamo una politica che favorisca, in un ambito di collaborazione internazionale, cooperazione allo sviluppo, politiche formative e sanitarie nei paesi dai quali provengono, in prevalenza, gli immigrati presenti, per creare, in quelle realtà, condizioni di sviluppo tali da assicurare un futuro meno incerto soprattutto alle generazioni più giovani; contrastiamo fortemente, perciò, le polemiche tendenti ad isolare, nella questione generale dell'immigrazione, soltanto alcuni aspetti: quelli che maggiormente si prestano al fraintendimento dei valori sociali, storici ed etici del processo dell'immigrazione.
Lo stesso studio sui dati migratori del Senegal ha valutato l'impatto che il disegno di legge governativo, una volta approvato, potrebbe determinare sul fenomeno dell'immigrazione in Italia. L'analisi è sviluppata a partire da un quadro di insieme della politica italiana in materia di visti e si sofferma sulle prevedibili riduzioni quantitative dei flussi di ingresso, prendendo in considerazione le tipologie di visto più interessate dal disegno di legge ovvero quelle connesse con gli ingressi per inserimento nel mercato del lavoro con sponsor e per ricongiungimenti famigliari. L'indagine, condotta attraverso un punto di osservazione particolare e privilegiato, qual è l'ambasciata italiana in Senegal, dimostra che le modifiche proposte in materia di visti di ingresso, in particolare quelle relative a sponsor e ricongiungimenti famigliari, comporterebbero variazioni irrilevanti rispetto al numero di visti concessi per il 2001 con la legge Turco-Napolitano, che non meritano, dunque, l'allarmismo al riguardo creato.


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In particolare, in riferimento ai visti per l'anno 2001, quelli assegnati per l'inserimento nel mercato del lavoro con l'istituto dello sponsor sono stati 126 su un totale di 2.283, quindi uno scarso cinque per cento. L'intento del disegno di legge governativo è l'eliminazione dell'istituto dello sponsor e la sua sostituzione con forme di istruzione e formazione nei paesi di origine.
Tale proposta rappresenta, anche secondo le associazioni di assistenza agli immigrati attivi a Dakar, una buona risposta a molti problemi pratici. Non sono pochi i casi di persone che con la legge Turco-Napolitano avrebbero avuto diritto a venire in Italia anche tramite ricongiungimento familiare, ma che non conoscono né la lingua né la cultura italiana; e un processo di vera integrazione sociale passa attraverso la conoscenza della lingua, degli usi e dei costumi della nostra comunità.
Il caso del Senegal studiato dimostra inoltre come l'introduzione della nuova legge non potrà più produrre gli effetti attesi se non riuscirà peraltro a confrontarsi con l'esigenza di una sistematica armonizzazione dell'azione di Governo nei campi della politica estera e della politica economica con quella in corso di elaborazione a livello comunitario. Le migrazioni, in quanto uno degli effetti della globalizzazione, sono un fenomeno internazionale: ne deriva che la politica migratoria di una nazione deve essere concordata con gli altri paesi. Su una politica come quella dell'immigrazione il singolo Stato deve infatti confrontarsi con una serie sempre più ampia di diritti e di obblighi, di pressioni interne ed esterne. Il rischio, evidenziato peraltro da molti studiosi internazionali, può essere quello di vincolare l'autorità dello Stato e di limitare principi fondamentali nel controllo dell'immigrazione; per esempio, in Francia e in Germania i tribunali amministrativi e le Corti costituzionali hanno bloccato alcuni tentativi operati dal legislatore di imporre delle restrizioni alla riunificazione della famiglie, per il fatto che tali restrizioni avrebbero violato gli accordi internazionali.
La politica dell'immigrazione non risulta più circoscritta quindi ad un ristretto ambito governativo di intenzioni ministeriali e amministrative e, in tal senso, anche l'opinione pubblica e il dibattito politico, come evidenziato dai recenti risultati elettorali francesi e inglesi, sono ormai parte del quadro in cui prende corpo la politica dell'immigrazione.
Oggi la posizione sull'immigrazione può arrivare a determinare la collocazione politica di un intero partito, specie in qualche paese europeo (il riferimento alla Francia è ovvio). Di qui la necessità che l'Italia si faccia artefice e parte forte di un processo di comunitarizzazione delle norme e delle legislazioni a livello europeo, perché il problema dell'immigrazione, il problema della pressione dei flussi migratori non può essere solo riversato sulle spalle dell'Italia, ma deve trovare comune condivisione e responsabilità da parte europea.
Concludo, signor Presidente. Noi oggi ci troviamo di fronte a fenomeni incerti. Gli elevati flussi che stiamo registrando in questi anni nel mondo, in Europa, nel nostro paese, appartengono ancora alla categoria delle immigrazioni o rischiano di diventare vere e proprie migrazioni? Gran parte della risposta a questa domanda dipende dalla nostra capacità di gestire e regolare questi fenomeni. Questo è l'impegno delle forze liberali e sociali del centrodestra. È un impegno di alto profilo politico e culturale che non può e non deve scadere nella demagogia o nella rincorsa ad un consenso elettorale che può pagare nel breve periodo ma risultare devastante nel medio e lungo periodo. Consci di questa grande responsabilità e forti del fallimento delle sinistre europee anche in materia di immigrazione, ci accingiamo quindi a licenziare il disegno di legge di modifica del testo unico sull'immigrazione, convinti che esso sia solo il primo tassello di un più ampio progetto al quale il Governo - e Alleanza nazionale, che rappresento - è pronto a dedicare energie, impegnando la propria credibilità,


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quella di una destra democratica, moderna, solidale e libera da pregiudizi culturali e ideologici.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cento. Ne ha facoltà.

PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, per quanto chi mi ha preceduto nel presentare l'articolato di questo disegno di legge si sforzi di dare l'immagine di una destra moderna e liberale, non possiamo che dire, con chiarezza, ma anche con pacatezza - poiché siamo forti delle nostre ragioni - che il disegno di legge Bossi-Fini è fortemente caratterizzato da un andamento «lepenista» che attraversa l'Europa e a cui anche in Italia si tenta di dare accoglienza con un provvedimento come questo: demagogico, incapace di affrontare i problemi reali che certamente l'immigrazione pone, incapace di offrire soluzioni alla necessità di garantire contemporaneamente accoglienza, sicurezza e legalità agli immigrati che entrano nel nostro territorio.
Nel corso degli anni precedenti il Governo dell'Ulivo, del centrosinistra, aveva messo in campo una proposta che, all'applicazione concreta, ha dato risultati positivi: la legge meglio conosciuta come legge Turco-Napolitano che, pur con alcuni elementi contraddittori (penso ai centri di accoglienza per immigrati), attraverso alcuni strumenti specifici individuava, da una parte, la necessità di rendere il nostro paese accogliente e, dall'altra, la necessità di fornire strumenti capaci di coniugare questa accoglienza con la domanda di sicurezza che viene dai cittadini e la domanda di garanzia per coloro che vanno ad occupare una quota consistente del mercato del lavoro in Italia.
Il disegno di legge Bossi-Fini da una parte smantella questa legge con le sue applicazioni positive riscontrate in questi mesi e, dall'altra, introduce elementi innovativi che giudichiamo pericolosi e che contrasteremo con tutti gli strumenti possibili all'interno del dibattito parlamentare con il chiaro obiettivo di non far raggiungere alla Lega il risultato di approvare il disegno di legge prima del 26 maggio. Sappiamo, infatti, che vi è un in tentativo strumentale di carattere elettorale che ha determinato una forzatura dei tempi anche nell'ambito del lavoro svolto in Commissione, in quanto si voleva dare agli italiani il risultato di una legge apparentemente severa per nascondere il fallimento delle politiche sulla sicurezza e sull'immigrazione di questo Governo, per nascondere il fatto che, al di là delle promesse elettorali, gli immigrati - anche se al Governo vi è il centrodestra, anche se al Governo vi sono la Lega ed Alleanza nazionale - continuano ad entrare clandestinamente nel nostro territorio, continuano ad offrire manodopera per il lavoro nero entrando in concorrenza sleale con i nostri lavoratori, continuano ad essere in parte strumenti di quella criminalità organizzata che, da un lato, ne organizza i viaggi e, dall'altro, una volta arrivati nel nostro territorio, spesso si presenta come unico interlocutore per l'incapacità dello Stato di offrire risposte e soluzioni ai problemi dell'immigrazione.
Questo fallimento, ormai ad un anno dal risultato del 13 maggio, lo si vuole nascondere con un disegno di legge demagogico che ogni giorno che passa si arricchisce di elementi demagogici come il dibattito sulle impronte digitali - chi le vuole per alcuni, chi le vuole per tutti, chi le vuole a metà - che ricorda il dibattito di qualche estate fa a proposito del braccialetto elettronico per i detenuti. Oggi nessuno spiega agli italiani che la proposta del braccialetto elettronico per i detenuti è fallita, che l'applicazione è stata fallimentare e che è stata dimenticata, ma allora serviva per agitare lo spauracchio della sicurezza così come oggi, allo stesso fine, serve parlare delle impronte digitali sapendo che, come non ha risolto il problema il braccialetto elettronico, allo stesso modo non lo risolveranno le impronte digitali che sono solo un ulteriore strumento di odiosa discriminazione tra cittadini sulla base della loro etnia, del territorio di provenienza, della religione.


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Questo disegno di legge non ci convince per almeno tre motivi. Innanzitutto, non ci convince il modo con cui viene affrontato il rapporto tra immigrazione e mercato del lavoro: se da una parte l'immigrato, nel nostro paese, diventa titolare di diritti solo se accede ed ha la garanzia di un posto di lavoro, dall'altra non si compie alcun intervento nei confronti di quelle imprese che, mentre magari agitano il problema dell'immigrazione, sono al contempo pronte ad utilizzare gli immigrati clandestini in quanto possono pagarli assai di meno rispetto ai lavoratori italiani. Se esiste un motivo per cui nei quartieri periferici di Parigi o nelle zone di provincia della Francia vince Le Pen, questo non è certo rappresentato dalla sua capacità di interpretare la domanda di sicurezza - sicurezza che costituisce un problema ben più complesso, che non può essere sovrapposto a quello dell'immigrazione - bensì proprio dal rapporto tra immigrazione e lavoro; se vi è un motivo per cui esiste un conflitto, un disagio sociale e popolare nei confronti dell'immigrazione, ciò è dato proprio dal mercato del lavoro e dal fatto che l'immigrato clandestino, da una parte ripudiato, viene dall'altra utilizzato dalle imprese perché può essere pagato la metà di un lavoratore italiano, senza che gli siano riconosciuti diritti sindacali e sanitari. Il clandestino, pertanto, viene preferito, attraverso un meccanismo di concorrenza sleale, ad un giovane del nostro paese. Ebbene, proprio su tale questione, sulla quale sarebbe necessario intervenire introducendo sanzioni pecuniarie e penali nei confronti di quegli imprenditori che impiegano manodopera clandestina, il disegno di legge Bossi-Fini è incapace di prevedere strumenti di prevenzione e di repressione, è incapace di intervenire a tutela del lavoratore italiano, perché l'immigrazione è un problema che va affrontato con durezza quando rappresenta un problema sociale ma diviene invece un problema su cui bisogna chiudere gli occhi dal punto di vista delle sanzioni quando si trasforma in un bacino da cui attingono le imprese. Anzi, più il lavoratore è clandestino, minori sono i suoi diritti e, quindi, ancor più può essere utilizzato, senza sanzioni, dalle imprese. Penso che, se esiste un terreno di sfida culturale e sociale che il centrosinistra deve lanciare alla destra, questo è rappresentato proprio dall'impiego degli immigrati nel mondo del lavoro, tema che non viene affrontato, se non attraverso sanzioni ridicole ed inadeguate, dal disegno di legge oggi all'esame del Parlamento.
Il secondo motivo per cui siamo fortemente contrari al presente provvedimento riguarda la totale assenza, in esso, di un contenuto solidaristico (che non è un contenuto generico). Nei giorni scorsi davanti al Parlamento ha manifestato la comunità di Sant'Egidio, che certamente non si caratterizza né per estremismo ideologico né per partigianeria politica. La comunità di Sant'Egidio - attraverso la sollecitazione della riflessione su una contraddizione presente in questo disegno di legge relativa alle colf ed a coloro che svolgono funzione di ausilio a migliaia e migliaia di famiglie e di anziani nel nostro paese - ha voluto evidenziare come il presente provvedimento, restringendo in maniera incomprensibile le norme relative alle collaborazioni familiari ed agli ausiliari sanitari, commetta un'ingiustizia non solo nei confronti di cittadini stranieri, bensì anche nei confronti di tante famiglie italiane. Il centrodestra su ciò si è diviso, ha tentato un compromesso, ha tentato di dare una risposta ad una sollecitazione che veniva da parte consistente del mondo cattolico, ma non ha risolto il problema fondamentale che veniva posto dalla presenza simbolica della comunità di Sant'Egidio fuori dal Parlamento. Non lo ha fatto perché è intriso di una cultura che, sui temi dell'immigrazione, fa demagogia e propaganda, senza però avere la capacità di affrontarne i punti nodali; il centrodestra non riesce cioè a garantire un quadro legislativo moderno ed avanzato che dia possibilità al cittadino straniero di essere accolto nel nostro paese, trovando in esso diritti e doveri nonché la sua «possibilità». Viviamo ormai in un sistema sempre più aperto, dove nessuno può più raccontare di chiudere le frontiere, anche perché


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quando è al governo si dimostra incapace di praticare questa soluzione improponibile, ed allora si accanisce con provvedimenti demagogici.
Il terzo motivo per cui siamo contrari a questo disegno di legge è relativo alla questione del diritto di asilo. È una questione umanitaria e di rilevanza costituzionale, che costituisce la sostanza di un paese civile e democratico, rispetto ad un altro che non può definirsi tale. Non si comprende il motivo per cui una norma così complessa, quale quella sul diritto d'asilo, che certamente richiede anche un ulteriore intervento legislativo rispetto all'attuale regolamentazione, venga inserita nell'ambito di un provvedimento che ha come scopo dichiarato quello di limitare e contrastare l'immigrazione clandestina. Cosa c'entra il diritto di asilo con l'immigrazione clandestina? Mi chiedo quale cultura distorta possa fare introdurre, in uno stesso provvedimento, norme con obiettivi così diversi: da una parte, quello civile concernente il diritto d'asilo e, dall'altra, quello di limitare e contrastare l'immigrazione clandestina.
Vi sono poi altri argomenti che credo debbano essere affrontati. In primo luogo, quello dei centri per gli immigrati che, attraverso questo disegno di legge, diventano dei veri e propri centri di detenzione, con una dilatazione dei tempi di permanenza. Vi è una incapacità di introdurre regole all'interno di queste strutture, alla luce dell'esperienza negativa, fatta anche durante i governi di centrosinistra. I centri per l'accoglienza degli immigrati si sono trovati, giustamente, al centro di proteste e contestazioni da parte delle associazioni di solidarietà con l'immigrazione e delle associazioni antirazziste. Possibile che, dal momento in cui si sente il bisogno di intervenire sulla legge Turco-Napolitano, non si modifichi l'unico articolo che in sede di applicazione aveva addirittura portato più di un magistrato a proporre un ricorso alla Corte costituzionale, non potendo essere dichiarata la manifesta infondatezza dell'incostituzionalità dei centri stessi? Essi, infatti, a differenza delle carceri, sono privi di regole e si trovano alla mercé delle prefetture, costrette ad applicare regolamenti che non hanno alcun riferimento sostanziale e formale alla nostra legislazione. Quando essi vengono dati in gestione ad associazioni di volontariato, c'è solo da augurarsi che capitino nelle mani di enti che abbiano a cuore i diritti degli immigrati, anche quando gli stessi non hanno nome o sono apparentemente posti in condizione di non dignità.
Abbiamo costruito le gabbie: a Ponte Galeria, a Roma, dopo ripetute proteste, siamo riusciti a smantellarle attraverso l'istituzione di una commissione del Ministero dell'interno. Abbiamo visto istituire le gabbie di via Corelli a Milano, mentre adesso, a Bologna, tutti coloro che desideravano il centro di accoglienza, hanno paura ad aprirlo, grazie alle iniziative e alla denuncia costante fatta dalle associazioni; ciò perché, con riferimento al centro di via Mattei, tutto si può dire tranne che si tratti di un centro d'accoglienza per immigrati; è un vero e proprio carcere, senza neanche i diritti che, giustamente, vengono riconosciuti ai detenuti all'interno di un carcere.
Credo, allora che, di fronte a una proposta, per un verso, così smaccatamente elettorale e demagogica e, per l'altro, priva della capacità di intervenire laddove i problemi si manifestano, noi Verdi, come tutti gli altri colleghi del centrosinistra e dell'opposizione, abbiamo il dovere di condurre una battaglia dura e senza sconti, capace di richiamare la parte moderata del centrodestra, che fa riferimento ai valori del mondo cattolico, ad una riflessione molto più profonda di quella che è stata svolta fino ad oggi.
È evidente che useremo tutti gli strumenti a nostra disposizione per impedire l'approvazione di questo disegno di legge; qualora esso dovesse essere approvato, ricorreremo nelle sedi di garanzia nazionale ed europea, perché questo provvedimento è - come ho detto in precedenza - assai improntato al vento «lepenista» che sta attraversando l'Europa e che intendiamo contrastare con forza.


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PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bellillo. Ne ha facoltà.

KATIA BELLILLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, Carlo Giuliani aveva un manifesto nella sua stanza in cui era scritto: il tuo Cristo è giudeo, la tua democrazia è greca, i tuoi numeri sono arabi, la tua scrittura è latina, il tuo caffè brasiliano, la tua camicia indiana, il tuo cellulare giapponese e tu consideri il tuo vicino uno straniero. Il padre di Carlo commenta, affermando che proprio in queste parole c'è il grande valore della solidarietà, della fraternità, del non sentirsi nemici perché diversi, ma fare della diversità un arricchimento, una comunità più disponibile e più civile.
Voi avete come obiettivo quello di dividere fra loro le persone ed i lavoratori per garantire alle oligarchie economiche l'utilizzo delle nuove opportunità offerte dal progresso per soddisfare il loro unico egoistico interesse di conseguire profitto. Per questo, utilizzando con spregiudicatezza i media, usate in modo osceno il tema della sicurezza facendo leva sulle paura della gente piuttosto che sulla ragione perché non comprenda che i diritti, il lavoro, la ricchezza prodotta dagli immigrati a nostro favore rappresentano le basi sulle quali fondare accoglienza e rispetto delle regole.
Questo disegno di legge è vergognoso perché fondamentalmente ispirato dalla xenofobia, dal razzismo, dalla discriminazione razziale e dall'intolleranza. È evidente la vostra strumentalizzazione ideologica sulla questione dell'immigrazione. Si tratta di una questione quanto mai complessa, difficile, delicata, inedita, certamente tra le più sconvolgenti della nostra epoca, ma anche la più ineludibile, sulla quale i giudizi sono, ovviamente, controversi. Tuttavia, il senso di responsabilità dovrebbe indurre la classe dirigente del paese ad una riflessione attenta e ad un approfondito confronto che tenda non ad esprimere demonizzazioni aprioristiche nei confronti dell'immigrazione quanto a governare le conseguenze con fermezza, ma anche con spirito rivolto al dialogo ed alla convivenza. È necessaria una visione multiculturale della società italiana adeguata al mondo di oggi: è lo sbocco a cui tendono i paesi civili e democratici ed in cui sicurezza, solidarietà, integrazione rappresentano un trinomio inscindibile.
Vi è anche un altro obiettivo nella presentazione di questo disegno di legge di natura esclusivamente politica ed elettoralistica. Infatti, volete rassicurare il senso di insicurezza dei cittadini, ma la verità è che questo nuovo ordinamento si rivelerà illusorio, effimero se non, addirittura, controproducente. Volete far credere all'opinione pubblica che per ottenere un cambiamento sia sufficiente elaborare e far approvare dal Parlamento una legge e ciò crea, invece, esclusivamente illusioni. Se veramente si volessero risolvere i problemi e, soprattutto, rispondere alle preoccupazioni dell'opinione pubblica sarebbe più efficace un'azione politica, amministrativa e diplomatica per la migliore attuazione delle norme vigenti. Voi, invece, vi preoccupate di reprimere il fenomeno migratorio, ma proprio per questo il risultato sarà effimero. Infatti, come dimostrano le esperienze di altri paesi, senza una realistica riduzione delle concause che lo provocano, il risultato sarà di avere un fenomeno meno regolare e meno controllato.
Questo disegno di legge pone gravi problemi: la violazione di norme costituzionali, internazionali e comunitarie, la non applicabilità per insufficienza di coperture finanziarie e amministrative di personale, la scarsa efficacia nella regolamentazione del fenomeno migratorio. Volete modificare la legge non tanto per cambiare, ma più semplicemente per poter dire e far pensare che le cose ora cambieranno e far credere ai cittadini che voi difendete l'ordine pubblico e l'interesse nazionale.
È abbastanza significativo, peraltro, che gran parte del disegno di legge contrasti o non adegui l'ordinamento italiano alle norme comunitarie approvate di recente o che sono in corso di discussione proprio in tema di immigrazione o di richiesta di asilo a livello europeo. Mi riferisco ai


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nuovi ingressi di lavoratori e lavoratrici immigrate, al ricongiungimento familiare, all'asilo ed allo status di immigrati ed immigrate titolari di un soggiorno di lungo periodo. Inoltre, alcune norme del disegno di legge contrastano con quanto previsto nella legge comunitaria 2001 approvata da questa stessa maggioranza - legge 1o marzo 2002, n. 39, recante «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alla Comunità europea» - che prevede la delega al Governo per l'emanazione di decreti legislativi, entro un anno dall'approvazione della legge comunitaria, per quattro direttive: la direttiva 40/2001 del 28 maggio 2001 sul riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi; la direttiva 51/2001 del 28 giugno 2001 che integra le disposizioni dell'articolo 26 della Convenzione di Schengen, cioè le sanzioni nei confronti dei vettori; la direttiva 55/2001 del 20 luglio 2001 sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati; infine, la direttiva 43/2000 del 29 giugno 2000 che attua il principio della parità di trattamento fra le persone, indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica.
Tuttavia, per quest'ultima direttiva, l'articolo 28 del disegno di legge comunitaria prevede anche criteri specifici, ai quali il Governo dovrà attenersi nell'emanare i decreti legislativi, e provvede all'attuazione diretta di alcune parti; peraltro, tale direttiva trova già una parziale attuazione nei vigenti testi degli articoli 43 e 44 del testo unico sull'immigrazione. Ebbene, diverse norme del disegno di legge al nostro esame contrastano con una linea politica più realistica relativa ai nuovi ingressi e rendono più problematica la condizione degli immigrati e delle immigrate che vivono in Italia nel pieno rispetto delle norme vigente.
Certo, è legittimo interesse dello Stato contrastare l'immigrazione clandestina e favorirne una regolare ma voi, invece, non avete molto chiaro come il fenomeno dell'immigrazione abbia assunto connotati epocali e che, pure in presenza di una pressione migratoria senza confronto rispetto al passato, del fenomeno vanno colti gli aspetti positivi e la connotazione di risorsa in una società che conosce un drammatico calo demografico e un crescente invecchiamento.
Invece, il vostro disegno di legge centra quasi esclusivamente il problema dell'immigrazione clandestina e risente, quindi, della carenza di un vero e proprio piano strategico a medio e lungo termine sull'integrazione dei nuovi cittadini. In particolare, risulta non accettabile, perché troppo generalizzata, l'esecuzione immediata di espulsione con provvedimento amministrativo del questore senza alcuna garanzia di giusto processo o di effettiva possibilità di ricorso, con conseguenze personali e familiari di notevole peso per l'immigrato, in contrasto con quanto previsto dalla Costituzione.
Viene, di fatto, proposto un giro di vite che rende più problematico il soggiorno dello straniero regolare, sia per quel che riguarda la stabilità del suo soggiorno sia per la sua integrazione sociale. Bastano alcuni esempi: la drastica riduzione del periodo di soggiorno, le modifiche al regime dei permessi di soggiorno, la riduzione del tempo concesso per trovare un nuovo lavoro, la restrizione dei criteri per l'accesso all'alloggio popolare, per non parlare, addirittura, della restrizione dei ricongiungimenti familiari, che è contraria al diritto a vivere con la propria famiglia e annulla il diritto all'affettività. Inoltre, sono rese inutilmente più difficili e più rigide le richieste per l'ingresso regolare per ragioni di lavoro: si tratta di un ritorno alla chiamata nominativa del datore di lavoro e anche un aggravio di costi per lo stesso - per esempio il pagamento del viaggio di rientro - che tenderà a scoraggiare il ricorso alle assunzioni regolari, favorendo in concreto il lavoro nero e, di conseguenza, l'immigrazione clandestina.
Che si tratti di un'operazione intrinsecamente di facciata lo dimostrano più fatti, in primo luogo la regolamentazione per le colf e le badanti, nonché le anticipazioni di flusso per gli stagionali occupati


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in agricoltura. La necessità di rispondere alle istanze del mondo produttivo e delle regioni per coprire la carenza di personale in molti comparti produttivi e in alcuni settori dei servizi comporteranno inevitabilmente una nuova sanatoria. Invece, per rispondere positivamente alle richieste del proprio elettorato, i partiti di maggioranza - se avessero voluto farlo - avrebbero potuto proporre una migliore attuazione delle norme vigenti, che consentono un'ampia discrezionalità al Governo e anche una maggiore e più consistente azione diplomatica presso i paesi di origine degli immigrati e delle immigrate. La normativa vigente, infatti, già consente di potenziare la dotazione e l'organizzazione delle forze di polizia, di aumentare il numero dei centri di permanenza temporanea, di negoziare nuovi accordi bilaterali e di riammissione con altri paesi, di adottare la programmazione annuale delle quote di ingresso per lavoro ma, naturalmente, questa sarebbe stata la strada che avrebbe effettivamente dato la sicurezza ai cittadini che, veramente, si vuole regolamentare il flusso migratorio.
Il disegno di legge al nostro esame, in realtà, non contiene azioni innovative per ridurre le situazioni irregolari, anzi - come dicevo - si rendono più difficili le regolari condizioni di ingresso e di soggiorno con il risultato, appunto, di far aumentare i clandestini, con conseguente ampliamento del lavoro nero e delle violazioni da parte dei datori di lavoro. D'Amato e la Confindustria saranno soddisfatti perché, sfruttando ed umiliando gli immigrati, sarà possibile colpire i diritti che i lavoratori italiani si sono conquistati e farli ritornare indietro.
Nei confronti degli immigrati e delle immigrate non vi è senso di umanità, anzi, questo disegno di legge tende a far passare nell'immaginario collettivo l'idea che tutti gli immigrati siano clandestini e, quindi, che questi ultimi siano tutti delinquenti. Altrimenti, che senso avrebbe l'indecorosa proposta di rilevare le impronte digitali, che noi consideriamo indecorosa e assolutamente inaccettabile anche qualora si decidesse di riservare tale trattamento ai soli clandestini?
In tante chiacchiere sulla tolleranza zero una cosa va detta con chiarezza: ciò che è intollerabile è l'intolleranza. Troppe volte, nel dibattito sull'immigrazione, echeggia il richiamo all'identità nazionale e alla cultura europea. La nostra - si dice - è una cultura fondata sulla democrazia e sui diritti, dunque, dobbiamo difenderla dalla contaminazione con culture che questi diritti non riconoscono e non rispettano.
Tuttavia, ciò che minaccia la nostra identità nazionale non è il difficile incontro tra religioni e tra culture, ma i piccoli gesti fin troppo facili del razzismo quotidiano, le molestie, i diritti negati, i tentativi di trasformare l'Italia e l'Europa nella fortezza chiusa della ricchezza e dello sfruttamento senza regole, nelle piccole patrie nazionalistiche e nostalgiche di un passato di violenza e di dominio.
Con questo disegno di legge sferrate un nuovo terribile attacco non solo ai diritti di tutti i migranti, ma a quelli di tutti e minate la stessa idea di uguaglianza del diritto. Noi intendiamo riproporre con forza - semmai, nel passato, fossimo stati tiepidi - il terreno della solidarietà, che è tanto più forte in quanto chiede non per sé ma per gli altri, per i più deboli, e lo facciamo riferendoci non a concezioni ideologiche, ma a valori.
La lotta alle discriminazioni non è, non può e non deve essere materia che si piega all'opportunità e alle strumentalizzazioni politiche. È dichiarazione solenne e norma inderogabile, scritta da decenni nelle convenzioni e nei trattati internazionali, che sanciscono i diritti umani e le libertà fondamentali di tutti, in tutto il mondo.
Il rispetto dell'individualità e il rispetto dell'integrazione non solo tra comunità e tra culture, ma anche e soprattutto fra persone, titolari di diritti inalienabili, sono stati i pilastri fondamentali che hanno caratterizzato le politiche italiane in materia di immigrazione. Si tratta di un patrimonio prezioso!


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Voi, con questo disegno di legge, volete imporre una brusca inversione di tendenza, un pesante ritorno al passato, volete impantanare il nostro paese in una condizione di perenne paura di chiunque sia diverso, in una sindrome di assedio che impedisce e inasprisce la convivenza.
Intendo concludere - così come ho iniziato - con le parole pronunciate dal padre di Carlo Giuliani, il quale afferma: A Carlo piaceva una poesia di Eugenio Montale, quella intitolata Ossi di seppia, che si conclude con due versi memorabili: «Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». In quel «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo» ci sono quei grandi valori morali, quei grandi sentimenti di democrazia e di libertà, quelle grandi aspirazioni e pratiche di solidarietà che consentirono, con la Resistenza, il riscatto. Oggi, come allora, possono essere una sintesi alta per la difesa e la piena affermazione dei diritti e della dignità di tutti e di ciascuno, per consentire al nostro paese di uscire dalla fase umiliante ed inquietante nella quale viviamo.

PRESIDENTE. Vorrei rivolgere un saluto agli alunni e agli insegnanti della scuola elementare «Evaristo Dandini» di Frascati e agli alunni e agli insegnanti delle classi 5A e 5B della scuola elementare «G. Giacosa» di Caluso, in provincia di Torino, che stanno assistendo con interesse ai nostri lavori.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Luca. Ne ha facoltà.

ALBERTO DI LUCA. Signor Presidente, rivolgendomi all'Assemblea e agli alunni presenti in aula, vorrei precisare che, quando verranno scritti i libri di storia del terzo millennio, grande attenzione sarà certamente data alla globalizzazione non solo economica o dei mercati, ma soprattutto umana.
L'immigrazione è sicuramente un aspetto non marginale di questa globalizzazione umana e guai a chi volesse minimizzarne o celarne gli effetti e i contenuti.
Ricordo a tutti che Forza Italia da sempre sostiene due punti caratterizzanti del nostro pensiero che, in questi anni, noi non abbiamo mai modificato. Il primo punto è il seguente: l'immigrazione ha in sé contenuti e valenze positivi, mentre la clandestinità è un problema da affrontare seriamente e da reprimere. Quanto al secondo punto, la solidarietà - quella vera - prevede l'accoglienza nel nostro paese di tutti coloro che possano almeno sopravvivere, senza vedersi costretti a rubare, a spacciare o a prostituirsi per sfamare se stessi o i propri familiari.
Sulla base di queste due premesse, illuminanti della nostra politica e costanti in queste ultime tre legislature, il nostro gruppo si trova oggi a discutere il disegno di legge governativo che finalmente dà una risposta positiva a chi vuole coniugare l'accoglienza al rispetto di equilibri umani, prima ancora che normativi. Se da un lato immigrazione vuol dire accogliere bene chi può garantirsi un livello di vita sufficiente e dignitoso, per saperlo al riparo dall'attenzione di organizzazioni malavitose, dall'altro lato vuol dire pure che avere un lavoro regolare è una necessità per sé, prima ancora che per la collettività.
Allora, ben venga che, nel disegno di legge in esame, sia superato il tabù comparso con la legge Turco-Napolitano che, invece di legare il concetto di dignità a quello di lavoro, preferiva legare quello di finta solidarietà alle frontiere aperte più o meno per tutti. Come Forza Italia ha sostenuto da sempre, non c'è modo migliore per incrementare l'interesse di chi vuole varcare clandestinamente i nostri confini che rendere noto a queste persone, o ai criminali che su di esse guadagnano e speculano, come in Italia si possa venire da clandestini, tanto nessuno ti può cacciare veramente. I sostenitori della legge Turco-Napolitano, in genere, non condividono queste considerazioni; tuttavia, basta leggere i dati e informarsi presso le questure delle nostre città: con la legge attualmente in vigore un clandestino può essere fermato venti e più volte ed essere espulso venti e più volte. È un dettaglio non da poco. Il mio esempio si riferisce al


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caso concreto di un clandestino che ha dichiarato, ventun volte, ventuno generalità differenti.
Il punto chiave è, quindi, quello della certezza dell'identità. Il fatto che questo elemento sia così debole nella legge Turco-Napolitano rende, di conseguenza, altrettanto debole qualsiasi possibilità seria di contrasto della clandestinità. Nella scorsa legislatura mi sono battuto, tutta Forza Italia si è battuta per cercare di porre un rimedio almeno a questo aspetto, ma la sinistra, allora come oggi, era divisa: oggi è il tema delle impronte digitali, di cui parlerò più avanti; a quell'epoca erano i centri di permanenza, la novità della legge Turco-Napolitano. Tutti ricorderanno che la mancanza di accordo sul punto caratterizzante della legge produsse una mediazione al ribasso che, nei fatti, confermò la totale inadeguatezza della soluzione proposta. I centri di permanenza, definiti allora da una parte della sinistra lager e tuttora contestati, dovevano essere il luogo che avrebbe permesso l'identificazione dello straniero. La terribile mediazione al ribasso portò all'inutile soluzione del trattenimento per un massimo di venti giorni, eventualmente più ulteriori dieci. Tutti sapevano - e, quando dico tutti, non intendo soltanto Polo e Lega, perché anche la sinistra lo sapeva molto bene - che inserire per legge un periodo massimo di permanenza in un centro così breve era come dire di non volere veramente identificare il clandestino; piuttosto, si faceva un po' di scena per consegnare un'inutile foglio di via da contabilizzare in qualche statistica, ma il cui unico e vero scopo era quello di andare a riempire i cestini della spazzatura.
Attenzione: il buco della legge Turco-Napolitano era ed è così lampante che non solo i clandestini che arrivano in Italia con le carrette del mare sfruttano questa incredibile opportunità, ma addirittura lo fanno quelli - che stento a definire disperati - che entrano in Italia con un comodo aereo, i quali, appena sbarcati, buttano via i loro documenti: ciò è ampiamente documentato dai consistenti ritrovamenti di passaporti o carte d'identità stracciati negli spazi aeroportuali prospicienti alla zona di controllo dei documenti.
L'altro punto caratterizzante della legge Turco-Napolitano è quello dello sponsor. Anche al riguardo, in Forza Italia l'istituto dello sponsor ha sempre suscitato numerosi dubbi, diventati certezze osservando la disapplicazione pratica di ciò che in linea meramente teorica avrebbe potuto essere risolutivo. I casi verificati in cui lo sponsor non era un vero garante ma un prestanome o, addirittura, un connivente sono assai numerosi. La mancanza di rapporti veri di lavoro a fronte di dichiarazioni di senso opposto è frequente, così come le soluzioni abitative garantite da alcuni sponsor, che si traducevano in condizioni disumane quando dieci, quindici o anche venti persone dovevano convivere in un monolocale. Ma quello è vivere? Certamente no. Le facili odierne contestazioni dell'opposizione, peraltro strumentali, suggeriscono che non si può e non si deve eliminare l'istituto dello sponsor solo perché qualcuno ne aveva fatto un uso improprio. Ma se questa è l'osservazione, allora chiedo: perché queste eventuali modifiche per farlo funzionare non le ha applicate chi prima di noi è stato al Governo per sei anni e mezzo? La verità è che, se da un punto di vista teorico, la soluzione ha motivo di interesse, sul piano pratico - come si è concretamente visto - essa è assolutamente e totalmente ingestibile, a meno che non si applichino controlli e filtri burocratici esasperati per cui si arriverebbe alla definitiva paralisi.
Anche la proposta di eliminare i furbi obbligando lo sponsor ad una fideiussione appare ragionevole, ma è invece totalmente inadatta e pericolosa. Mi spiego: se l'importo da coprire con la garanzia fideiussoria è alto (come, per esempio, 40 o 50 mila euro), ciò sembrerebbe restringere l'opportunità applicativa ad un numero di persone, non solo ridotto, ma certamente discriminante; viceversa, se si rimanesse su importi abbordabili a tutti o a molti - come poche migliaia di euro -, allora si cadrebbe nel rischio opposto, ossia chiunque potrebbe essere disponibile a prestarsi per fare lo sponsor, anche se poi di fatto


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non lo fosse. Per fare un esempio, un piccolo imprenditore potrebbe essere il primo a volere l'applicazione di una legge che preveda l'istituto dello sponsor con una fideiussione bassa: per lui ci sarebbe un costo fisso (basso) e poi la possibilità reale di avere un rapporto di lavoro in nero con lo straniero. Ebbene, noi questo non lo vogliamo. Ecco perché capiamo che alcune persone, o alcune categorie di piccoli imprenditori, possano condividere la soluzione dello sponsor, ma capiamo meno come mai la preziosa esperienza acquisita sul territorio dalle nostre forze dell'ordine, nel momento in cui esprimono un giudizio negativo sull'istituto dello sponsor, resti inascoltata, anche se ufficializzata nel corso delle audizioni in I Commissione.
Per noi è importante che ci sia una legge che aiuti e favorisca anche la necessaria opera di pulizia nel sommerso. Lo ribadisco ancora: noi siamo favorevoli ad accogliere tutti gli stranieri a cui possiamo garantire un livello di vita dignitosa e non discriminante. Il vero razzismo lo si alimenta, infatti, permettendo a chicchessia di entrare nel nostro paese, per poi, spinti da evidenti necessità di sopravvivenza, vederli finire nelle mani della delinquenza. Questo è razzismo! Questa è l'antitesi della solidarietà vera, quella che chiediamo da anni, ovvero garantire che ogni straniero possa avere un lavoro ed una casa. Ecco perché il nostro provvedimento vuole garantire l'indissolubile legame tra il rapporto di lavoro ed il permesso di soggiorno.
A questo punto sarei tentato di sostenere che la nostra linea deve essere quella dell'efficacia e della severità contro la clandestinità e contro il crimine, senza guardare in faccia nessuno. Ho usato il condizionale perché non posso essere così aspro e sprezzante da dire: «senza guardare in faccia nessuno», non posso assumermi la paternità di questa frase; essa infatti appartiene all'onorevole Rutelli ed è riportata tra virgolette nella sua intervista apparsa su la Repubblica il 6 maggio scorso ed intitolata: «Tolleranza zero con i clandestini». Per storia personale e per carattere non sono abituato a cercare la pagliuzza negli occhi altrui ma quando, come fa sempre la sinistra, si impugna il bastone dialettico per infilarlo nei nostri occhi politici, allora bisogna essere estremamente chiari. Quando si dice - come fa l'onorevole Fassino - che questo provvedimento è un classico esempio di demagogia e populismo, non si può non richiamare l'attenzione di chi ci ascolta sulle palesi, obiettive e gravi contraddizioni all'interno dell'opposizione. Delle due l'una: o tutta l'opposizione ritiene - in accordo con l'onorevole Fassino - che il provvedimento che stiamo esaminando sia demagogico e populista e quindi, pur permanendo nel diabolico errore, sono almeno coerenti con le posizioni di chi, all'interno della sinistra, chiede di chiudere i centri di permanenza o addita come razzista l'emendamento che prevede la rilevazione delle impronte digitali, oppure l'opposizione si trova d'accordo con l'onorevole Rutelli che, a pochi giorni dalle elezioni amministrative, afferma che la linea deve essere di severità contro la clandestinità - e ripeto le sue parole -, senza guardare in faccia nessuno, e condividendo - anzi proponendo, come ha fatto al Senato un suo uomo - il rilevamento delle impronte.
Per inciso: chi oggi critica questa proposta dovrebbe ricordare che alla Camera nella scorsa legislatura, in occasione della revisione della legge Turco-Napolitano nel dicembre del 2000, uno dei pochissimi emendamenti accettati dal centrosinistra fu quello del sottoscritto che proponeva l'obbligatorietà del rilevamento delle impronte ai clandestini che non fornivano dati di identità certa. Ricordo alcuni deputati che votarono a favore del mio emendamento: Boato, Maura Cossutta, Folena, Pistone, Berlinguer, Sinisi, Bonito, Bindi, Soda e Soro. Certamente mi interesserò dell'agire di questi deputati - di coloro i quali sono stati rieletti - nei confronti del mio emendamento che, naturalmente, riproporrò. Va da sé che, se si vuole effettivamente porre una barriera fra gli immigrati regolari ed i clandestini, bisogna aumentare il tempo di permanenza nei centri. A questo proposito


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preannuncio che, a titolo personale, presenterò un emendamento perché i trenta giorni previsti nel provvedimento aumentino a sessanta, con possibile proroga di altri sessanta.
Mi pongo una domanda: l'onorevole Rutelli, arlecchino nelle dichiarazioni e, a quanto afferma oggi il presidente Nicola Mancino, anche leader di un partito arlecchino, si è improvvisamente convertito al pragmatismo mantenendo comunque intatto il suo noto senso dell'opportunismo politico? Se così fosse, allora avremmo la prova che il presidente Mancino ha ragione quando dichiara - come ha fatto stamattina - che la Margherita si sveglia solo in vista degli appuntamenti elettorali. Ricordo a chi non lo sapesse, o a coloro che volessero far finta di non sapere, che la permanenza nei centri serve esclusivamente a dar modo alle ambasciate ed ai consolati di identificare lo straniero che non vuole farsi identificare.
Vorrei avviarmi alla conclusione, non prima però di aver fatto un po' di chiarezza su alcuni dati inventati da solerti mistificatori; mi riferisco alle affermazioni fatte da persone del centrosinistra rispetto all'andamento degli ingressi dei clandestini da quando il centrodestra è al Governo. Naturalmente, quando parlo di mistificatori o di bugiardi istituzionali, non penso né all'onorevole Rutelli, né all'onorevole D'Alema che hanno entrambi dichiarato che, con la destra al potere, gli sbarchi sono già raddoppiati. Per Rutelli e D'Alema sono certo si tratti soltanto di disinformazione e di impreparazione grave, ma pur sempre di disinformazione e di impreparazione. Non posso crederli così in malafede!
Comunque, a coloro che non sanno (quindi, Rutelli e D'Alema) e a coloro che inventano dati fantasiosi e diffamatori dico che, nello stesso periodo dei primi quattro mesi di quest'anno, rispetto ai primi mesi dell'anno scorso, si è manifestata, sì, una crescita degli sbarchi, ma del 3 per cento; per la precisione, del 3,6 per cento, altro che il raddoppio dichiarato da Rutelli e da D'Alema.
È altresì, necessario, ricordare che, con il Governo Berlusconi (non dimentichiamo che fino ad oggi è stato costretto ad applicare la legge esistente, la legge Turco-Napolitano) le espulsioni sono, invece, aumentate del 30 per cento.
Pertanto, anche in presenza di una legge tanto insufficiente ed inadeguata, quando vi è la volontà politica di arginare un problema, si può fare comunque qualcosa di buono (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Meduri. Ne ha facoltà.

LUIGI GIUSEPPE MEDURI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nella conferenza stampa di fine anno, parlando di immigrazione, sostenne nelle sue dichiarazioni, con il solito tono solenne, che il fenomeno era ormai, grazie alle doti taumaturgiche del Governo, in netta controtendenza rispetto al passato, tant'è che gli sbarchi sulle nostre coste erano diminuiti del 246 per cento. Purtroppo, non era così!
La posizione geografica così particolare del nostro paese fa sì che le nostre coste continuino ad essere meta di approdo per disperati di ogni provenienza. La mia regione, la Calabria, solo negli ultimi sei mesi ha visto crescere il numero degli sbarchi del 152 per cento.
Mi corre l'obbligo di cogliere l'occasione per ringraziare la comunità calabrese, le associazioni cattoliche e laiche di volontariato, la Croce rossa italiana, i semplici cittadini, coloro che, sapendo cosa vuol dire essere stati emigranti, considerano la solidarietà un valore assoluto. Un encomio va anche alle forze dell'ordine, alla Guardia di finanza, alla polizia, ai carabinieri, alla guardia costiera e alla marina militare che, come hanno evidenziato anche le cronache degli ultimi giorni, a rischio della propria incolumità, hanno messo in salvo centinaia di persone che si erano arenate al largo della costa ionica calabrese.


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I sindaci della Calabria e le loro comunità, certo non opulente, che hanno sostenuto e sostengono il massimo sforzo nell'emergenza, hanno, inoltre, rivolto al Governo una richiesta formale affinché la questione degli sbarchi venga affrontata seriamente e non con slogan demagogici.
Dall'inizio dell'anno sono stati già dodici gli sbarchi, con oltre un migliaio di immigrati giunti sulle coste calabresi. Vi è preoccupazione per la disattenzione sostanziale verso i problemi reali, legati al traffico degli esseri umani. In particolare, su questo tema è bene alzare il livello di guardia.
Il procuratore nazionale antimafia, Pierluigi Vigna, ha tenuto una riunione con i vertici della direzione distrettuale antimafia a Reggio Calabria nel corso della quale è emerso che, su oltre seimila provvedimenti elaborati dalla direzione nazionale, quasi la metà riguardano reati come la tratta delle persone ed il traffico di immigranti.
Si tratta di reati di tipo transnazionale per i quali le indagini dovrebbero essere accentrate nelle direzioni distrettuali antimafia per avere un coordinamento efficace soprattutto dal punto di vista dell'efficacia preventiva.
Il prossimo 19 maggio è prevista la relazione di Eurojust e per quella data la procura nazionale antimafia ha voluto acquisire tutti gli elementi utili scaturiti dalle indagini sugli sbarchi che hanno interessato soprattutto la Calabria. Vi è il rischio di una saldatura degli interessi malavitosi fra le organizzazioni criminali locali ed estere sul traffico di clandestini e vanno pertanto intensificati gli sforzi per impedire che ciò avvenga. I sindaci, le amministrazioni locali sono preoccupati di questa escalation di sbarchi e per questo chiedono al Governo attenzione.
Abbiamo chiesto all'Unione europea che in favore della Calabria, in considerazione della sua peculiarità geografica, venga riconosciuto lo status di regione di frontiera, al fine di assicurare al territorio uno status adeguato al sacrificio sopportato, in quanto le coste calabresi sono la porta d'Europa dal Mediterraneo, da dove giungono questi disperati. Prima di vincere le elezioni, il centrodestra considerava questa una battaglia importante ed accusava il centrosinistra di non fare abbastanza. Purtroppo questo problema non è stato nemmeno sollevato da quando il centrodestra è al Governo. Ci siamo rivolti al commissario dell'Unione europea per gli affari interni Vitorino ed auspichiamo fortemente che questa proposta venga fatta propria dal Governo italiano.
La nostra opposizione a questo disegno di legge non è pregiudiziale, ma di merito, perché esso non affronta i veri nodi del fenomeno dell'emigrazione, puntando soltanto a manifesti demagogici, senza concretezza. Bisogna coniugare solidarietà e sicurezza, declinando questi termini in modo da garantire il principio dell'accoglienza nella certezza delle norme. Purtroppo il disegno di legge Bossi-Fini non aiuta, anzi rischia di aggravare le cose, non puntando sull'integrazione effettiva ed alimentando la clandestinità.
Il centrosinistra, quando era al Governo, ha subìto su questo tema una continua aggressione da parte di quella che era all'epoca l'opposizione, che cavalcava i timori, le paure, a volte giustificati, a volte meno, dei cittadini che si sono trovati di fronte ad un problema nuovo, come quello rappresentato dall'integrazione.
Molti telegiornali, molti autorevoli giornali aprivano con servizi incentrati sul tema dell'immigrazione, valutandolo soltanto come problema di ordine pubblico. Oggi - sarà un caso, ma non credo - con una concentrazione di organi di informazione nelle mani di un solo editore (peraltro si tratta della stessa persona che nelle conferenze-stampa di fine anno sparava quelle cifre), l'immigrazione è scomparsa come problema di ordine pubblico. Eppure, le rapine nelle ville continuano ad interessare il nord d'Italia, gli sbarchi continuano ad interessare le coste calabresi, siciliane e pugliesi.
Il disegno di legge in questione fa intendere quale sia l'impostazione culturale di questa maggioranza che si nasconde dietro l'alibi del timore diffuso


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della pubblica opinione. Non possiamo considerare gli essere umani solo come strumenti di produzione utili a sostenere le nostre fabbriche ed a lavorare nei nostri campi e che vorremmo far uscire dalla sfera lavorativa per non turbare la nostra tranquillità.
Vediamo purtroppo nella Casa delle libertà sensibilità marginalizzate, costrette a lottare - molto spesso a soccombere - su ogni questione attinente all'impostazione solidaristica propria della cultura cattolica, democratica e liberale. L'utilizzo della marina militare come forza di polizia - non si sa in quale ruolo -, il limite alla sanatoria delle colf sono aspetti che dovrebbero indurre ad una riflessione gli spiriti liberi che pure vi sono nella Casa delle libertà.
Quando l'alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati contesta la filosofia del disegno di legge c'è qualcosa che non va ed è qualcosa di profondo. In una serie di interviste rilasciate agli organi di informazione del nostro paese, l'alto commissario dell'ONU per i rifugiati ha sostenuto che, secondo la sua valutazione, la soluzione deve essere articolata in tre punti: una legge organica per il riconoscimento del diritto di asilo; una gestione del problema da parte dell'Unione europea; maggiore cooperazione, infine, con i paesi al di fuori dell'Unione europea.
Purtroppo si ripetono in Italia casi di stranieri che giungono per chiedere asilo e che sono costretti a tornare indietro, vedendosi negare le garanzie che pure, sulla base del nostro ordinamento e del dettato costituzionale, sono previste.
Il nostro paese è ancora l'unico, nell'ambito dell'Unione europea, a non avere una normativa che regoli il diritto d'asilo, con un vuoto legislativo che pregiudica lo Stato di diritto per chi chiede asilo nel nostro paese, costretto a fuggire da territori dove non sono garantite le basilari forme di libertà per gli esseri umani. Molti immigrati che erroneamente consideriamo clandestini - come sinonimo di delinquenti - sono stati rimpatriati nei paesi di provenienza, senza approfondire il loro status, in paesi dove i sistemi sanzionatori per chi emigra clandestinamente sono duri e lesivi della dignità umana.
Lo stesso discorso vale per la normativa in materia di ricongiungimento dei familiari, che sfavorisce ogni politica di integrazione e di cura sociale e lascia un'ampia discrezionalità all'apparato amministrativo su una materia delicatissima che attiene alla garanzia universale dei diritti dell'uomo.
Infine, vi è il problema del contratto di soggiorno, che riduce la persona a soggetto utile alla produzione: con la nuova normativa l'immigrato, se dovesse perdere il lavoro, non avrebbe più titolo per restare in Italia, in quanto correrebbe il rischio, non trovando occupazione, di diventare un clandestino. Questo, senza ombra di dubbio, crea ostacoli alla vera integrazione. È palese il punto debole dell'intero impianto normativo: in un mondo del lavoro dove si chiede sempre più flessibilità, a pagarne le conseguenze negative sarebbero queste persone che, senza alcuna rete di protezione sociale, sarebbero costrette ad essere rimpatriate. Ma, una volta iscritto ad una lista di mobilità, al soggetto immigrato con contratto di soggiorno cosa accade? Può mettersi alla ricerca di una nuova occupazione oppure si vedrà riaccompagnato alla frontiera? Sono problemi che vanno definiti immediatamente, garantendo certezze giuridiche e normative, altrimenti il rischio è quello di aggravare soltanto il lavoro della giustizia.
Mi auguro che quanto emergerà in questa discussione sulle linee generali possa costituire stimolo per una riflessione maggiormente approfondita, per cambiare insieme, nell'ambito di un sereno ma fermo confronto dialettico in Parlamento, un disegno di legge che, purtroppo, temo serva soltanto per la campagna elettorale e non per affrontare i problemi veri che il tema dell'immigrazione pone sul tavolo non solo del nostro paese, ma di tutti i paesi ricchi del mondo occidentale e dell'Europa (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).


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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Luciano Dussin. Ne ha facoltà.

LUCIANO DUSSIN. Signor Presidente, le difese della sinistra che si sentono in questi giorni, relativamente alla legge Turco-Napolitano, hanno dell'incredibile. È incredibile come si possa non capire che i cittadini vogliono, pretendono una nuova legge che sia più rispettosa dei diritti e, soprattutto, dei doveri che gli extracomunitari devono assumere una volta entrati nel nostro paese. Il parere dei deputati del gruppo della Lega nord Padania sul disegno di legge in esame è senz'altro favorevole; da tempo si aspettava un'iniziativa legislativa di questo tipo.
Deve essere segnalato che al Senato il centrosinistra ha presentato oltre mille emendamenti, gli stessi che ha presentato in Commissione e che ripresenterà nei prossimi giorni anche in aula. Si tratta chiaramente di emendamenti che tentano di frenare quello che, invece, la maggioranza della Casa delle libertà insiste nel proporre, forte dell'approvazione da parte dei cittadini dei contenuti del suo programma elettorale che, guarda caso, prevedeva proprio una legge come questa. Questi emendamenti sembrano un tentativo di prolungare l'agonia della vecchia legge Turco-Napolitano.
Inoltre, come rappresentante della Lega nord Padania, vorrei ricordare che non molto tempo fa avevamo raccolto la bellezza di oltre settecentomila firme autenticate per tentare di abrogare con un referendum la vecchia legge sull'immigrazione (sappiamo quale fu l'interpretazione della Corte costituzionale e come tutto il lavoro venne vanificato). Ma ora siamo qua, pronti a cogliere finalmente questa nuova opportunità.
Segnaliamo alcuni punti di rilievo, condivisibili, che rappresentano il cardine di questo provvedimento: la cooperazione contrattata con i paesi d'origine dell'immigrato; il contratto di lavoro per ottenere il permesso di soggiorno; l'eliminazione della figura dello sponsor, che ha provocato tanti danni. A tale proposito, vorrei ricordare il seguente episodio: molti mesi fa, nella mia regione - il Veneto - è stata sgominata definitivamente un'associazione mafiosa (si trattava di mafia nigeriana), il cui capo - tale Mballa Aime -, forte di immense risorse, finanziava (faceva, quindi, da sponsor), i corsi professionali per far entrare nel nostro paese coloro che successivamente avrebbero fatto parte del gruppo che lo stesso controllava. Il gruppo raccoglieva 600 delinquenti che ogni mattina timbravano il cartellino e anziché andare a lavorare in fabbrica, andavano a prostituirsi, a spacciare droga fuori delle scuole, a rubare di notte nelle case, e via dicendo. La figura dello sponsor finalmente sparisce.
Gli imprenditori dovranno, inoltre, garantire il lavoro, trovare un alloggio (pagato dal dipendente extracomunitario) e garantire il biglietto di ritorno, conclusosi il periodo lavorativo. Questo per evitare che in determinate aree - è sotto gli occhi di tutti - vi siano ancora persone che, di notte, dormono in macchina. Non può ricadere sugli amministrativi locali, sui sindaci, la responsabilità di garantire un alloggio. A nostro avviso, ciò va a premiare gli immigrati che scelgono di giungere nel nostro paese, forti della convinzione di intraprendere un'attività, al fine di risparmiare per tornare a casa o per garantire un tenore di vita dignitoso a chi resta nel paese d'origine.
In questi giorni, si sente parlare molto dell'obbligo - con riferimento al permesso di soggiorno o eventualmente alla richiesta di rinnovo dell'ingresso - dei rilievi fotodattiloscopici. Ciò ci sembra normalissimo. È giusto, infatti, sapere con chi si ha a che fare. Non posso accettare che, nel nostro paese, vi siano persone che entrano clandestinamente e che si rifiutano di fornire le proprie generalità. Si potrebbe benissimo trattare di un ergastolano, fuggito da chissà quale paese, magari dopo aver commesso i crimini più orrendi. Vi è il diritto di sapere con chi si ha a che fare. Anche questa norma andrà, prima di tutto, a beneficio degli immigrati che entrano regolarmente. Loro, infatti, non hanno nulla da temere; saranno eventualmente gli altri


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a temere tale controllo. Ognuno ovviamente può pensarla come vuole, ma sotto quest'aspetto siamo tranquilli.
Un altro punto importante riguarda maggiori controlli alle frontiere, sia terrestri sia marittime. Vorrei ricordare un dato pubblicato su tutti i giornali poco tempo fa: in Friuli-Venezia Giulia, i reati attribuiti agli extracomunitari, nel 1999, sono cresciuti del 76 per cento, rispetto al 1998, perché le frontiere non erano controllate. Nel Veneto sono aumentati del 30 per cento, in Lombardia del 20 per cento. Vi era la volontà politica di non controllare quelle frontiere. Infatti, è stato fatto un controllo - anche i telegiornali hanno riportato la notizia - ed è stata scoperta una decina di punti frontalieri di secondo ordine dove, dalle 20 di sera alle 8 del mattino, non si eseguiva alcun controllo (si alzava la sbarra e si entrava). Sotto quest'aspetto, era giusto cominciare a controllare maggiormente questo fenomeno.
Inoltre, occorreva dare più tempo all'autorità per l'individuazione delle generalità dei soggetti che negano la loro collaborazione. Il motivo è il medesimo al quale ho già fatto riferimento prima: in un paese civile, è doveroso sapere con chi si ha a che fare. Si passa dai 20 giorni più 10 ai 60 giorni complessivi nel testo approvato dal Senato, ma so che la maggioranza, che la Casa delle libertà presenterà in aula emendamenti tendenti ad aumentare questo margine temporale per dare la possibilità alle singole autorità di pubblica sicurezza di svolgere i controlli necessari, prima al riconoscimento e, poi, se del caso, alle espulsioni. Queste ultime, come si sa, saranno eseguite con accompagnamento alla frontiera e non verranno più semplicemente intimate (è inutile ricordare quale efficacia abbia avuto l'intimazione di cui alla legge Martelli).
Uno dei punti più gratificanti ma, stranamente, poco pubblicizzati, del disegno di legge al nostro esame è costituito dal notevole aumento delle pene da infliggere ai trafficanti di esseri umani, le quali variano da un minimo di cinque ad un massimo di quindici anni di reclusione. Sebbene ciò comporti la certezza della galera, pochi ne parlano; si tratta, però, di una norma fondamentale che, messa a disposizione dell'autorità giudiziaria, garantirà, in assoluto, l'applicabilità di pene severissime a chi si macchierà di uno dei crimini peggiori che si possano immaginare: la figura di colui che riduce in schiavitù, ripropostaci negli ultimi anni, non apparteneva alla nostra cultura; eppure, grazie alla legge Turco-Napolitano, abbiamo assistito allo sviluppo anche di questa nuova «professione»!
Alcune disposizioni chiariscono la normativa in materia di ricongiungimenti familiari, ammessi relativamente a figli minori di genitori che non hanno altri figli nel paese di origine o di provenienza e, soprattutto, vengono finalmente esclusi i ricongiungimenti familiari con parenti fino al terzo grado. Si trattava di una previsione assolutamente vergognosa: le questure e le prefetture, che avevano concretamente a che fare con l'applicazione della legge, non riuscivano a capire come si potesse prevedere una ricongiunzione dei parenti fino al terzo grado con riferimento a paesi che nemmeno sapevano cosa fosse un ufficio anagrafico. In realtà, la norma precedente apriva la possibilità di fare entrare di tutto e di peggio nel nostro paese! Purtroppo, si trattava di un fenomeno degenerativo causato non da errore o da buona fede, ma riconducibile a precise responsabilità politiche: si voleva aprire la frontiera senza alcun controllo! Allora, questa è un'altra disposizione fondamentale sulla quale si basa l'impianto di questo disegno di legge.
Un altro aspetto importante del provvedimento, che interesserà soprattutto i nostri sindaci, è relativo all'accesso all'abitazione. L'articolo 24, modificando l'articolo 40 del decreto legislativo n. 286 del 1998, stabilisce che gli stranieri titolari di carta di soggiorno e quelli regolarmente soggiornanti in possesso di permesso almeno biennale con un regolare lavoro hanno diritto di accedere agli alloggi di edilizia residenziale pubblica nel limite del 5 per cento. Finora, invece, succedeva quello che è successo nel mio comune: nelle graduatorie per l'assegnazione di


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case popolari, su 142 ammessi, i primi 40 erano esclusivamente immigrati (perché avevano chi 9, chi 10, chi 12 figli ovvero una, due, tre mogli, e così via). Ciò impediva ai sindaci, di fatto, di accogliere le proposte dei vari IACP per edificare nuove abitazioni (tanto, si sapeva già a chi sarebbero state assegnate); conseguentemente, il malumore dei cittadini si riversava sui sindaci, sebbene la colpa non fosse di costoro, ma di una legge che non stava assolutamente in piedi.
Ancora vi è il discorso della normativa inerente all'asilo politico. Anche in questo caso si fa chiarezza. L'istituto dell'asilo politico nasce per venire incontro ad esigenze soggettive, non per risolvere problemi tecnici. Non sì può garantire asilo politico ad una popolazione di sette milioni di abitanti perché vengono meno i diritti fondamentali di libertà e i diritti sociali in quel paese; si possono però aiutare a casa loro, magari con un aiuto più vasto dell'intera Unione europea, degli organismi preposti. Sicuramente, l'asilo politico non deve essere inteso, come invece si cercava di fare, come strumento per far fronte ad alcune necessità. Per quanto riguarda inoltre la regolarizzazione delle colf e delle badanti, si è trovato un equilibrio, secondo noi giusto, che dà risposte concrete a questo problema.
Perché cambiare questa legge? Lo dico sempre. Ricordo soprattutto due elementi; ce ne sarebbero degli altri, ma due in particolar modo. Perché noi leghiamo il visto al contratto di lavoro? Perché attualmente di extracomunitari regolari in questo paese ne abbiamo un milione e 300 mila, grosso modo, a fronte di soli 300 mila versamenti contributivi annui; quindi, qualcosa non quadra, è sfuggito al controllo, probabilmente anche in maniera voluta. Di fronte a questi numeri era evidente la necessità di cambiare qualcosa. Inoltre, in Italia, attualmente, abbiamo la bellezza di 230 mila immigrati iscritti nelle liste di collocamento e anche in questo caso vorremmo capire e chiarire una volta per tutte con gli imprenditori che richiedono manodopera e con chi ha concesso quei visti. Bisogna mettere un freno anche a queste cose che sono assurde perché non hanno una base reale. Nella nostra provincia, pochi giorni fa, hanno contattato 700 immigrati iscritti alle liste di collocamento per chiedere loro se accettassero dei lavori; su 700 hanno risposto in 42, e solo tre o quattro hanno accettato di lavorare. Gli altri erano irreperibili e non si sapeva dove fossero. In un paese civile queste cose non possono accadere.
La necessità di un intervento legislativo emerge anche dai dati che sono forniti dalle prefetture: su dieci reati commessi sei sono da imputare ad extracomunitari. Anche questo dimostra il fallimento della Turco-Napolitano, anche se l'ex ministro Napolitano sta diramando agenzie ANSA a trecentosessanta gradi dicendo che quello che proponiamo noi è una buffonata. La buffonata mi sembra che l'abbia fatta lui, visti i dati che sto ricordando. E dei sei reati su dieci commessi da extracomunitari, l'80 per cento sono da imputare a clandestini; si tratta di dati che emergono da tutte le prefetture delle maggiori città italiane. Quindi, già solo questo giustifica un intervento tempestivo.
Non aggiungerei nient'altro, perché, come abbiamo avuto modo di ricordare anche nella passata legislatura, quello di cambiare la legge Turco-Napolitano era un impegno quasi più morale che politico, perché le richieste che arrivavano dai cittadini erano chiare; esse sono state tradotte in un programma, distribuito a tutte le famiglie italiane, nel quale c'era l'impegno della Casa delle libertà ad introdurre un sistema più moderno, sempre rispettosissimo dei diritti fondamentali dell'essere umano, ma caratterizzato dalla necessità impellente di tornare a parlare non solo di diritti, ma anche e soprattutto di doveri, come dicevo prima.
Il disegno di legge al nostro esame, che entro certi limiti potrebbe anche essere migliorabile, rappresenta tuttavia un primo fondamentale passo per poter tornare a dire che questo è un paese civile che rispetta i propri cittadini, le loro esigenze, che accoglie chi arriva dall'estero ma soltanto con intenti sani, legati al lavoro, alla formazione professionale ed


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anche per motivi di ricongiungimento familiare e di studio, mentre tutto il resto della zavorra giunta in questi ultimi anni deve rimanersene a casa propria.
È stato un impegno chiaro e ferreo al quale noi, nonostante le migliaia di emendamenti che intendono prolungare l'agonia di questa legge, terremo fede. Il seguito dell'esame del disegno di legge è previsto per la settimana in corso e sarà approvato definitivamente in poche settimane, probabilmente in giugno.
Il lavoro svolto è senz'altro ottimo e chi ci accusa di razzismo o cose simili deve mettersi una mano sulla coscienza e verificare quali siano stati i danni causati dalle sue scelte e quali i danni che deriverebbero dall'approvazione degli emendamenti presentati; ciò significherebbe perseverare nell'errore politico di una malagestione di un fenomeno grave come quello dell'immigrazione clandestina incontrollata.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nigra. Ne ha facoltà.

ALBERTO NIGRA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge al nostro esame, recante modifiche alla normativa in materia di immigrazione e asilo, si prefigge lo scopo di correggere, in numerosi aspetti, il testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di immigrazione, la cosiddetta legge Turco-Napolitano. Esso, verosimilmente, risponde, però, solo parzialmente e, a nostro giudizio, in modo inefficace, alla necessità di correggere la normativa vigente laddove, a seguito di verifiche effettuate in sede di applicazione, siano emerse esigenze di interventi diretti verso questo obiettivo.
Cambiare e correggere in meglio può essere utile tanto più dopo un periodo di applicazione, ma non è ciò che fate voi e cercherò di dimostrarlo. Occorre invece dire che il testo del presente disegno di legge risponde molto di più ad esigenze di carattere politico dell'attuale maggioranza: tradurre, ancora una volta - non è la prima né l'unica -, il programma elettorale della Casa delle libertà in un testo normativo manifesto. Il risultato, come avrò modo di dimostrare con il presente intervento e come dimostrerà la discussione che svolgeremo a partire da questa settimana sull'articolato, è che la cosiddetta legge Bossi-Fini peggiora notevolmente i meccanismi esistenti; complica burocraticamente la possibilità delle imprese di avvalersi di manodopera straniera; vessa l'immigrato irregolare; incentiva - non è l'obiettivo, ma ciò che si raggiunge, paradossalmente, è questo - l'immigrazione irregolare; riduce fortemente le possibilità di integrazione che sono condizione essenziale per favorire la tranquilla e pacifica convivenza tra cittadini italiani e cittadini extracomunitari.
La normativa vigente, infatti, si basa, di fatto, su uno scambio - mi permetto di chiamarlo così - chiaro ed esplicito, nonché equilibrato; il nostro paese ha bisogno di immigrazione e quindi la normativa vigente ne facilita, in una logica di programmazione, l'afflusso e di esso si avvale nel rispetto delle norme, ma, al tempo stesso, il nostro paese respinge l'accesso clandestino all'interno dei nostri confini e quindi combatte tale fenomeno con ogni mezzo lecito e proporzionato attivando per questa finalità anche una seria azione di espulsione a partire ovviamente da chi si sia dimostrato più pericoloso per la convivenza civile e meno incline al rispetto della legalità. Ebbene tutto ciò viene meno.
Le norme del disegno di legge in discussione sono notevolmente sbilanciate: proclamano di voler combattere la clandestinità ma di fatto considerano lo straniero soprattutto come un soggetto potenzialmente pericoloso per l'ordine pubblico (in modo generalizzato) ed in tal modo finiscono pertanto con il relegare nella precarietà anche l'immigrato regolare, mancando di ogni senso di umanità.
Alcune norme perseguono il legittimo obbiettivo del controllo dello Stato e della repressione dell'immigrazione clandestina: ciò però viene fatto con modalità che incidono fortemente sui diritti fondamentali della persona. Altre norme compromettono,


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invece, una saggia e serena politica dei flussi legata alle esigenze del mercato del lavoro, nonché colpiscono negativamente i bisogni quantitativi e qualitativi delle imprese e precarizzano la condizione degli stranieri già regolarmente soggiornanti in Italia.
La restrizione dell'immigrazione regolare è attuata in forme e modi che appaiono controproducenti, fuori da una logica europea e insensibili alle pressioni migratorie legate a fenomeni politico-sociali spesso in atto in prossimità delle nostre stesse frontiere. La filosofia di fondo, anzi in alcuni passaggi del testo verrebbe da dire la fobia, è quella che lo straniero invada il nostro paese e che quindi vada respinto nei limiti del possibile (ed anche oltre). Non si tiene conto che altri fattori incidono oggettivamente sul fenomeno e lo favoriscono: il calo demografico, l'invecchiamento della popolazione, le modifiche nei costumi sociali e la scarsa propensione degli italiani a svolgere una certa tipologia di lavori, anche in conseguenza di una crescita del livello culturale e di istruzione della popolazione.
Una buona legge sull'immigrazione, quindi, non deve favorire l'immigrazione in genere, bensì l'immigrazione regolare, e questa che discutiamo, pertanto, non è una buona legge: essa alimenta illusioni, crea aspettative, rende crescente un'aspettativa tra la popolazione, cioè quella che l'immigrazione clandestina ed il lavoro nero possono in tal modo essere efficacemente combattuti; nel fare questo essa si alimenta, però, un crescente senso di insicurezza collettiva.
Va segnalato inoltre che molte norme del disegno di legge sono sostanzialmente superflue, altre appaiono di dubbia legittimità costituzionale, come avremo modo di dire durante la discussione, ed altre ancora sono contraddittorie o controproducenti rispetto agli obiettivi che si prefiggono. Alcuni esempi possono giovare a rendere più chiaro questo pesante giudizio negativo: l'esecuzione immediata del provvedimento di espulsione, ad esempio, declamato ai quattro venti, avviene, secondo la previsione delle norme, senza il rispetto della riserva di giurisdizione previsto dall'articolo 13 della Costituzione, eppure esistono soluzioni che, nel rispetto della legalità, potrebbero raggiungere lo stesso risultato (le abbiamo inserite in molti emendamenti presentati).
Come già accennato, inoltre, si accentua la precarietà dello straniero regolarmente soggiornante: si mina la stabilità del suo soggiorno e si riducono le misure di integrazione sociale. Laddove si introduce il contratto di soggiorno, invece del permesso di soggiorno, si compie un'operazione che rischia di essere di puro marketing politico ma scarsamente efficace e di dubbia legittimità costituzionale. Inoltre, si producono così aumenti del costo del lavoro, specialmente laddove si scarica sul datore di lavoro il costo delle spese di rimpatrio del lavoro extracomunitario di cui egli si è avvalso. Si restringe moltissimo la possibilità di effettuare ricongiungimenti familiari, rendendoli lunghi e complicati. Se ciò si collega allo stato di maggiore precarietà lavorativa, di cui si è appena detto, si può dedurre che di fatto essi quantitativamente saranno molto ridotti.
Si è certi che la presenza delle famiglie di appartenenza dello straniero sia un male da evitare e non, invece, un fatto da favorire? Non dimostrano tutte le ricerche sull'immigrazione, effettuate non solo nel nostro paese ma in paesi ad alto tasso di immigrazione, che la presenza della famiglia è uno dei più efficaci deterrenti alla devianza sociale ed è uno dei fattori che più favoriscono l'integrazione sociale e culturale?
Inoltre, si riducono, si complicano e si peggiorano molto le possibilità di ingresso regolare in Italia. Si tende, infatti, a ritornare di fatto ad un sistema basato sulla preventiva chiamata nominativa del datore di lavoro, ignorando volutamente il presupposto di un efficiente e moderno mercato del lavoro: spesso è essenziale un incontro in loco della domanda e dell'offerta di lavoro e spesso, inoltre, la domanda di lavoro deve necessariamente tener conto di aspetti non solo quantitativi


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e professionali, ma anche delle caratteristiche personali del soggetto individuato per un certo tipo di lavoro.
Così, mentre in questi anni il mercato del lavoro è stato via via liberato da meccanismi che limitavano la possibilità di scelta del lavoratore, nel caso dell'extracomunitario, secondo il pensiero della Casa delle libertà (in questo caso verrebbe da dire sedicente), il datore di lavoro dovrà assumere sempre colui che gli viene offerto. Se gli verrà offerto un lavoratore, data la ristrettezza numerica che si vuole imprimere alla quota annuale dei flussi, egli dovrà essere assunto, a costi maggiori e con un aggravio di pratiche burocratiche per il datore di lavoro.
Dicevate di voler dare più libertà, ma in realtà con questa normativa create solo più lacci e lacciuoli per i datori di lavoro (gli imprenditori) e per i lavoratori regolari extracomunitari.
È evidente, poi, che, siccome siete per il federalismo, anzi per la devolution, in tutta la vicenda dei flussi, di fatto il ruolo degli enti locali e, in primis, delle regioni è completamente annullato, liquidato e cancellato.
Dove, però, si registra il massimo scarto tra una concezione democratica dell'applicazione dei diritti democratici e civili e quella che potremmo definire (permettetemelo) una paranoia sullo straniero è in materia di diritto d'asilo. Nel marzo 2001 la Camera aveva approvato un ampio e completo disegno di legge; inoltre, vi sono, tra le direttive dell'Unione europea, testi che attendono di essere recepiti dal nostro paese. Bastava ripartire da lì e completare l'iter di approvazione, tenendolo separato da questa normativa. Invece, anche qui - guarda caso - si introduce l'innovazione per cui, all'eventuale respingimento della richiesta di asilo, segue un provvedimento amministrativo di espulsione (è un'ossessione!), senza possibilità di presentare ricorsi con effetti sospensivi.
Tuttavia, il conseguimento degli scopi espressamente indicati nel programma di Governo richiederebbe ancora di essere approfondito. Ad esempio, si sopprime l'istituto dello sponsor o, meglio, del vigente istituto della prestazione di garanzia per l'inserimento nel mercato del lavoro previsto all'articolo 23 del testo unico. In cambio dello sponsor si introduce un generico titolo di prelazione per i nuovi ingressi per lavoro subordinato o autonomo. Va detto, tra l'altro, che questa norma è generica e rinvia ad un futuro finanziariamente migliore che, però, ad oggi non appare essere tale.
Lo sponsor garantisce, secondo la normativa vigente, l'ingresso in modo regolare dello straniero e copre e garantisce qualunque costo nella fase iniziale di inserimento (vitto, alloggio e sostentamento). In verità, lo sponsor garantisce un reale incontro tra domanda e offerta, basandolo - come ho già detto - sull'aspetto quantitativo, su quello qualitativo-professionale e su quello qualitativo-personale. Non si capisce, altrimenti, perché, secondo voi della maggioranza e secondo il buonsenso, un imprenditore possa scegliere chi deve lavorare per lui, ma - come ho detto - non nel caso in cui assuma un lavoratore extracomunitario.
In questo caso prevale una dose non inaspettata di dirigismo che favorisce l'immigrazione clandestina. Se questo strumento, come da voi previsto, verrà cancellato, si dimostrerà di aver fatto un errore che avremmo potuto tutti insieme evitare riformando questo strumento, così come anche alcuni emendamenti presentati da parlamentari della maggioranza suggeriscono di fare.
Il conseguimento degli scopi espressamente indicati nel programma di Governo richiede, quindi, prima ancora che provvedimenti legislativi, mutamenti nell'azione diplomatica e nell'attuazione delle norme vigenti. Infatti, non occorrono necessariamente nuove leggi per rafforzare gli organici di polizia, per aumentare il numero dei centri di permanenza temporanea e per negoziare nuovi accordi bilaterali con altri paesi basati sullo scambio di cui ho detto. L'aumento dei flussi di immigrazione a fronte di una fattiva collaborazione nel favorire le attività di controllo tra lo Stato italiano e questi paesi sarebbe una buona soluzione. Infatti, ha


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già dato buoni frutti e ha consentito di porre sotto controllo un fenomeno che, quando la legge Turco-Napolitano venne approvata, sembrava di difficile risoluzione.
La sensazione che si ha, quindi, approfondendo i contenuti del disegno di legge è che si voglia modificare la legge non tanto per cambiare realmente la politica in materia, ma semplicemente per poter dire e far pensare che le cose cambieranno. Cosa si può dire, altrimenti, di un provvedimento che, se approvato ed applicato, renderà più difficile accedere regolarmente in Italia, sfavorirà le persone oneste che vengono per lavorare e che sono indispensabili per il mercato del lavoro e non inciderà seriamente sul problema della clandestinità? Tale provvedimento vesserà gli imprenditori che intendono avvalersi del personale straniero come se far crescere l'economia nazionale avvalendosi di manodopera straniera non fosse qualcosa da premiare, invece che da punire.
Una riflessione particolare merita, inoltre, il tanto faticoso provvedimento di emersione contenuto nel vostro testo, la cosiddetta sanatoria, inserito nella normativa durante l'esame al Senato. Sappiamo bene, per averlo discusso nei giorni scorsi, come questo Governo abbia riscontrato difficoltà enormi per ottenere qualche significativo risultato nel far emergere i lavoratori italiani che lavorano in nero pur avendo garantito condizioni irripetibili ai datori di lavoro che se ne sono avvalsi. In questo caso abbiamo, invece, una situazione opposta: una forte domanda delle associazioni imprenditoriali su pressione dei propri aderenti ad ottenere un provvedimento di emersione e regolarizzazione delle migliaia di lavoratori extracomunitari che lavorano ad oggi nelle aziende in nero e che non possono essere regolarizzati essendo in Italia nella condizione di irregolarità. Ebbene, a tutto questo voi rispondete «no». Laddove non emergono i lavoratori in nero, registrate il fallimento della vostra politica e, laddove la possibilità vi sarebbe, rifiutate tale possibilità.
Dopo molte discussioni, pressioni e litigi, diventati anche di dominio pubblico, nella maggioranza è stato partorito questo provvedimento di sanatoria che, però, pur interessando un gran numero di persone, è limitato temporalmente (prevede l'emersione per coloro che sono stati assunti nei tre mesi precedenti il 1o gennaio 2002) e limitato nelle mansioni (si riferisce solo a badanti, colf e coloro che assicurano sostegno familiare). Inoltre, è di impedimento al miglioramento della condizione dell'emerso che per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno rilasciato con questa procedura, di fatto, dovrà rimanere alle dipendenze del datore di lavoro presso il quale emerge, anche se nel frattempo saranno per lui sopraggiunte altre e migliori opportunità.
L'aspetto più macroscopico di tutta la vicenda è che nulla potranno fare datori di lavoro e lavoratori extracomunitari in nero che operano in altri settori lavorativi: per entrambi sono, secondo una logica coerenza del vostro testo, previste conseguenze negative anche sul piano penale.
Pertanto, una buona legge sull'immigrazione è, quindi, davvero efficace solo se riesce a regolare in modo lungimirante tale fenomeno, se tiene conto delle condizioni oggettive che reca ogni movimento migratorio e non se cerca solo di rassicurare il senso di insicurezza dei cittadini senza effetti reali: in tal caso, infatti, essa si rivelerebbe del tutto illusoria o controproducente. Si illude l'opinione pubblica che, per cambiare le politiche pubbliche, sia sufficiente elaborare un disegno di legge, farlo approvare dal Parlamento, senza interrogarsi seriamente su cosa sia effettivamente necessario.
In questo caso, magari sarebbe più utile una seria azione politica, amministrativa e diplomatica - così come avevano fatto i Governi dell'Ulivo - per dare una migliore attuazione alle norme vigenti prima di cambiarle. Il rischio è, quindi, che, ancora una volta, il Governo proponga al Parlamento italiano leggi che violano norme costituzionali, internazionali e comunitarie, norme non applicabili per insufficienza di dotazioni finanziarie - anche


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questa sta diventando una costante - e sul piano amministrativo né tantomeno dotate del personale necessario. Si tratta di norme inefficaci a regolare, in questo caso, il fenomeno immigratorio ma, invece, tutte tese a rassicurare gli elettori timorosi, anche giustamente, per la propria sicurezza e a rafforzare la credibilità politica di chi le propone, il quale potrà così essere individuato - ma per un periodo di tempo che, vi diciamo sin da subito, sarà breve - come il difensore dell'ordine pubblico e dell'interesse nazionale.
Infatti, poi, si troverà di fronte al fallimento della politica proposta in questa sede e gli effetti, come ho detto, saranno effimeri e controproducenti perché tanto più un fenomeno immigratorio non viene affrontato nelle cause che lo originano, tanto più si trasforma, di fatto, in un fenomeno meno regolare e controllato e ciò finisce con l'aumentare la sensazione di insicurezza collettiva, trascinando così la legislazione verso eccessi nei quali si rischiano di raggiungere punte inaudite.
Le norme limitative della libertà individuale degli stranieri rischiano, in tal caso, di abbondare e ad esse si accompagna il limite della ineffettività. Per concludere, di immigrazione - lo vogliamo ripetere - ne abbiamo bisogno e lo dicono le imprese, il mondo agricolo del nostro paese e le famiglie. È giusto e corretto, anche nell'interesse dell'immigrato oltre che del cittadino italiano, regolare il flusso in entrata per favorire l'accesso regolare al nostro paese, così come aveva fatto la normativa vigente; è giusto e corretto applicare con rigore la legislazione per contrastare l'immigrazione clandestina, che determina e provoca danni anche agli altri immigrati; è sensato, come già per l'attuale normativa, ricorrere, per essere più efficaci, all'uso di tutti gli strumenti legali, compresi - lo dice già l'attuale normativa - i rilievi fotodattiloscopici. Tuttavia, è insensato legiferare a partire da un pregiudizio o, peggio ancora, da un dato culturale che rischia di essere xenofobo e razzista perché, in tal caso, si va contro lo straniero e non contro colui che si vuole perseguire, cioè l'immigrato clandestino, e il rischio è quello di peggiorare l'esistente.
Quindi, la vera obiezione che sollevate è che la legge in vigore è del centrosinistra e va cambiata, sbandierate ricette miracolistiche e associate a queste una forte dose di allarmismo. Sul tema delle impronte citerò l'onorevole Giorgio Napolitano che, proprio in un'intervista rilasciata oggi, dice giustamente che ogni misura di polizia deve essere motivata e non avere un carattere discriminatorio. Ad esempio, se siamo di fronte ad una persona priva di un valido documento di identità, è giusto prelevarle le impronte digitali, dato che è necessario accertarne l'identità se essa si trova nel nostro paese, tanto più irregolarmente.
Tuttavia, lo spirito della legge Turco-Napolitano - è stato già detto - stabilisce il principio delle porte aperte ma non spalancate all'emigrazione e del contrasto efficace all'immigrazione clandestina. Si potrebbe dire: «tout se tient»; se il primo presupposto viene meno, aumenta il secondo e voi questo errore - perché credo che lo sia - lo state facendo.
A nostro giudizio il disegno di legge in discussione, se non sarà migliorato nel corso dell'esame alla Camera, rischia proprio di dimostrare ciò che esso rappresenta, vale a dire un accanimento verso lo straniero extracomunitario, contro chi se ne avvale per fini produttivi necessari alla ricchezza nazionale, contro chi pensa che la giustizia redistributiva debba anche tener conto delle condizioni dello sviluppo mondiale e di un'equa compensazione tra chi al mondo sviluppato ha fornito forza lavoro, intelligenza e mano d'opera - come noi italiani - e chi, oggi, è chiamato a fare la sua parte con senso di responsabilità (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di Sinistra-l'Ulivo e Misto-Socialisti democratici italiani).

PRESIDENTE. Sospendo brevemente la seduta, che riprenderà alle 18,25.

La seduta, sospesa alle 18,10, è ripresa alle 18,25.


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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Alia. Ne ha facoltà.

GIAMPIERO D'ALIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, l'esigenza di modificare la disciplina in materia di immigrazione e di asilo non è certamente un capriccio di questa maggioranza; essa muove dalla constatazione di fatto che la lotta all'immigrazione clandestina non risulta essere così incisiva ed adeguata rispetto alle accresciute dimensioni di un fenomeno epocale, che richiede misure più efficaci per contrastare le degenerazioni del fenomeno stesso, degenerazioni che hanno causato seri problemi di sicurezza, di ordine pubblico e, soprattutto, di integrazione sociale.
Siamo tutti consapevoli che la nostra non può che essere una società aperta, che deve fare i conti con i difficili problemi connessi all'integrazione di altre culture; proprio perché vi è questa esigenza, l'ordinamento deve definire regole certe in grado di organizzare la civile convivenza e garantire la certezza dei rapporti economici e sociali tra soggetti appartenenti a culture diverse. È altresì chiaro che il fenomeno dell'immigrazione deve essere affrontato in chiave europea e non soltanto su scala nazionale; tuttavia, tale considerazione non può costituire un alibi per eludere i problemi che l'immigrazione clandestina ha causato nel nostro paese. E ciò è ancor più vero ove si consideri che altri paesi della Comunità europea hanno definito o vogliono definire nuove normative nazionali che rendano più efficace il contrasto all'immigrazione clandestina.
L'inadeguatezza degli strumenti interni di contrasto è stata sottolineata nel corso delle audizioni svolte sul tema dalla I Commissione con tutte le autorità titolari di competenze in materia: lo scenario emerso non è tra i più confortanti. Tutto ciò dovrebbe farci riflettere sull'inopportunità di condurre il nostro dibattito su posizioni ideologiche o, comunque, preconcette tra chi ritiene che la maggiore severità dello Stato nei confronti degli ingressi non autorizzati e l'introduzione di regole più certe nella definizione di quelli autorizzati sia ascrivibile alla categoria dell'intolleranza e chi, viceversa, ritiene che il mantenimento dell'attuale legislazione sia ascrivibile alla categoria del lassismo.
A nostro avviso è più utile guardare al governo degli aspetti concreti del fenomeno, fuori da ogni esercizio retorico in ordine all'integrità nazionale, da un lato, e alla multietnicità, dall'altro. Chi non si rassegna al fatto che nell'era della globalizzazione il fenomeno dell'immigrazione è ormai fisiologico ed al fatto che lo stesso, se governato con efficacia e determinazione, può essere trasformato in una risorsa per le comunità nazionali, è fuori dalla storia; la superiore considerazione non può, però, farci indulgere alla rassegnazione ed alla tolleranza di fronte alle evidenti degenerazioni del fenomeno dell'immigrazione, che hanno ingenerato nei cittadini italiani ed europei la fondata preoccupazione di non essere più sicuri, con ciò alimentando la cultura dell'intolleranza. Questa cultura si sconfigge soltanto con un sistema di regole certe ed efficaci che esprimano la grande attenzione dello Stato nei confronti dei problemi legati alla convivenza tra culture diverse; a ciò si aggiunga che l'esigenza di una normativa più efficace emerge anche dalla necessità di eliminare la convinzione, ormai diffusa tra chi opera illecitamente nel mercato dell'immigrazione clandestina, che sono più appetibili quei paesi nei quali l'ordinamento non interviene con la dovuta severità.
In questo scenario l'Italia, anche per la sua collocazione geografica, mostra purtroppo buone opportunità a chi ha organizzato vere e proprie imprese al servizio del mercato della clandestinità. Questo scenario non può essere nascosto e da questo bisogna partire per affrontare senza ideologismi il problema della regolazione dei flussi e del contrasto all'immigrazione clandestina; in caso contrario, il rischio è la deriva «lepenista», la diffusione della xenofobia e dell'intolleranza razziale nel nostro paese.


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Vi sono molti aspetti positivi in questo disegno di legge, altri che meritano un approfondimento e altri ancora che ci lasciano perplessi. È certamente positiva l'estensione di alcune agevolazioni fiscali previste per le ONLUS alle iniziative umanitarie, religiose e laiche, nei paesi non appartenenti all'OCSE; è certamente positiva l'incentivazione degli accordi di cooperazione e di aiuto, funzionali al miglioramento della cooperazione giudiziaria e penitenziaria per il contrasto all'immigrazione clandestina, allo sfruttamento della prostituzione e al traffico di stupefacenti e di armi. Gli accordi bilaterali sono, infatti, il punto strategico dell'azione di prevenzione e di repressione dell'immigrazione clandestina, sicché è corretta la priorità accordata all'azione di Governo, tesa a rendere più concrete queste forme di cooperazione internazionale.
Riteniamo, inoltre, importante l'introduzione di una nuova disciplina per il rilascio del permesso di soggiorno agli extracomunitari per motivi di lavoro. L'avere condizionato il rilascio di tale permesso alla stipula del contratto di soggiorno è, a nostro avviso, funzionale alla certezza che l'ingresso avvenga realmente per gli scopi cui è finalizzato, ma soprattutto amplia le garanzie per il lavoratore extracomunitario, responsabilizzando il datore di lavoro. Pertanto, il contratto di soggiorno può costituire un valido strumento di lotta allo sfruttamento della manodopera extracomunitaria a basso costo. Tuttavia, desta qualche perplessità l'istituzione dello sportello unico per l'immigrazione, non tanto per la sua previsione, quanto per il suo funzionamento. Infatti, se non vengono realmente garantite condizioni di operatività e di efficienza per questo sportello, si rischia di inceppare l'ingranaggio centrale dell'intero provvedimento. A ciò va aggiunto che la eccessiva rigidità dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro extracomunitario può determinare fenomeni elusivi, soprattutto con riguardo alla richiesta di prestazioni che comportano un rapporto ad alto contenuto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.
Inoltre, sono positive le disposizioni che rafforzano il coordinamento dei controlli di frontiera e del contrasto in mare, quelle che inaspriscono le sanzioni penali e quelle che chiariscono ed ampliano l'ambito soggettivo ed oggettivo delle fattispecie di reato funzionali o connesse all'immigrazione clandestina. Infatti, si tratta di strumenti di contrasto più efficaci, che peraltro hanno registrato il consenso di tutte le autorità competenti in materia. D'altro canto, è positiva la modifica del regime di espulsione in via amministrativa che rende effettivo il rispetto della normativa, anche se vi è la necessità di aumentare i contingenti delle forze dell'ordine funzionali a tale scopo, i centri di accoglienza e le risorse finanziarie necessarie.
Tuttavia, il quadro normativo di maggiore effettività dei mezzi di prevenzione, repressione e contrasto all'immigrazione irregolare deve essere coniugato con la esigenza di non generalizzare le posizioni dei lavoratori extracomunitari presenti nel nostro territorio. A tale riguardo, noi abbiamo apprezzato l'iniziativa della collega relatrice sull'introduzione dei rilevi fotodattiloscopici per gli extracomunitari. Riteniamo che questa sia una misura opportuna e che sia opportuno estenderla, ancorché già presente nell'ordinamento, anche ai cittadini italiani, atteso che si tratta non di misure di schedatura, ma di misure che sono funzionali a rendere più certa l'identità dei cittadini, italiani ed extracomunitari. Infatti, la nuova legge non può essere solo uno strumento repressivo, che accomuna in un unico giudizio negativo chi si trova costretto ad emigrare per ragioni di sopravvivenza e chi intende perseguire facili scorciatoie per commettere illeciti nel nostro territorio. A tale riguardo, riteniamo indispensabile l'articolo 29 che consente la regolarizzazione di colf e badanti, posto che si tratta di persone che rendono un grande servizio alle famiglie italiane, soprattutto a quelle che hanno in casa persone anziane e non autosufficienti. Questa è una battaglia vinta che va a merito del nostro gruppo parlamentare e che conferma un


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principio per noi inderogabile, per cui vi sono diverse categorie di immigrati irregolari che devono essere diversamente apprezzate sotto il profilo della regolarizzazione, posto che non è possibile far pagare alle famiglie italiane il costo di una legislazione permissiva che non ha prodotto i risultati sperati.
Certamente, molto ancora si può fare, ad esempio, con riguardo ai lavoratori extracomunitari irregolari che prestano la loro opera con professionalità al servizio dei centri sanitari convenzionati o anche al servizio di piccole e medie imprese, come molto ancora si può fare con riguardo alla disciplina dei ricongiungimenti familiari, trovando un migliore equilibrio tra l'esigenza condivisa di evitare che tramite i ricongiungimenti si eluda la normativa sui flussi e sugli ingressi irregolari e quella di garantire il diritto all'integrazione familiare dell'extracomunitario regolare.
Un'altra questione sulla quale sarebbe opportuna un'ulteriore riflessione riguarda il ruolo delle regioni nella determinazione dei flussi. Se infatti è condivisibile l'opinione di chi ritiene che la determinazione del monitoraggio dei flussi non possa che essere centralizzata dallo Stato, è anche apprezzabile la tesi di chi ritiene necessario un maggiore coinvolgimento delle regioni nella esatta individuazione dei flussi, con particolare riguardo all'offerta di lavoro, posto che la manodopera extracomunitaria assume in alcuni settori dell'economia del nostro paese un'importanza strategica.
Un maggiore approfondimento meritano infine due questioni. La prima è quella relativa alla tutela dei minori. Vi è infatti la necessità di definire un sistema di regole che consenta, intanto, a tutti i minori presenti nel nostro territorio che sono avviati a strutture educative o assistenziali di poter proseguire il percorso di integrazione all'interno del paese, avendo anche la possibilità di accedere ad un lavoro. Infatti, il minore extracomunitario non accompagnato ha bisogno di un supplemento di attenzione da parte del nostro ordinamento.
Riteniamo pertanto che questa parte della disciplina debba essere migliorata per evitare, anche qui, di equiparare posizioni sostanziali diverse.
L'altra questione, che assume particolare rilievo, è quella relativa alla disciplina del diritto d'asilo. Anche in questo caso riteniamo indispensabile un miglioramento del testo che consenta di garantire effettivi mezzi di tutela a chi ha diritto a vedere riconosciuto il proprio status di rifugiato e ciò anche rafforzando i poteri di intervento e di controllo dell'Alto commissariato dell'ONU per i rifugiati. Riteniamo pertanto che il dibattito in aula, seppure con i limiti derivanti dall'impossibilità di esaurire integralmente in Commissione l'esame del provvedimento, possa trovare le soluzioni adeguate a rendere migliore il testo del disegno di legge, certamente rispondendo alla domanda di maggiore sicurezza che proviene dai cittadini; domanda che potrà trovare risposte solo se coniugata con criteri di effettiva integrazione economica e sociale.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.

GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, penso vada sottolineata la fretta con cui questo provvedimento è stato sottoposto all'esame dell'Assemblea; nonostante l'assiduo lavoro della Commissione, non abbiamo esaurito e non siamo neanche arrivati all'esame della metà degli emendamenti previsti. Si tratta di emendamenti - come i colleghi sanno - privi di un carattere ostruzionistico, ma tutti tesi a cercare di migliorare una legge che noi consideriamo sbagliata.
Abbiamo cercato di leggere il motivo di questa urgenza nella richiesta fatta dal gruppo della Lega e nelle ragioni elettorali che possono aver determinato questa scelta. Noi pensiamo che questo sia un errore perché dalla prossima settimana, con la chiusura della vicenda elettorale amministrativa, rimarrà comunque una legge che questo Governo, questa maggioranza dovranno gestire. La demagogia che ha sovrainteso a questa legge non aiuterà


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nessuno, neanche coloro che stanno al Governo e che possono avere un impianto teorico e culturale diverso dal nostro.
Noi abbiamo sostenuto che in questo provvedimento è contenuto un messaggio elettorale che va al di là del merito. Le ragioni di questa affermazione le abbiamo trovate nell'impianto complessivo della legge ed anche nelle tante dichiarazioni, compresa quella del ministro Bossi laddove sollecitava i medici - per fortuna il Governo stesso gli ha negato questa opportunità - a denunciare gli stranieri non regolarmente soggiornanti nel nostro paese. Inoltre, vi è un emendamento - che immagino verrà presentato in aula, perché in Commissione non abbiamo avuto il tempo di votarlo - il quale afferma che gli stranieri richiedenti il permesso di soggiorno debbono rilasciare le impronte digitali. Penso che in questo caso passi un pericoloso messaggio: sostanzialmente si afferma che gli stranieri sono tutti potenzialmente criminali o, comunque, soggetti da tenere sotto controllo. Prima ancora del merito, che naturalmente ha una sua importanza, è questo il messaggio che ci preoccupa; ci pare infatti che ciò corrisponda sostanzialmente all'impianto di tutta la legge. Nonostante le parole che ho sentito pronunciare anche oggi in quest'aula e le dichiarazioni di alcuni - colleghe e colleghi - che parlano di accoglienza, di regolarizzazione del lavoro, sono convinta che i risultati potrebbero essere esattamente contrari a queste dichiarazioni, anzi mi pare che l'insieme del provvedimento tenda ad affermare il rifiuto per gli stranieri poiché sono coloro che rendono più difficile la vita dei nostri quartieri. Questo bisogno di sicurezza, che giustamente è richiesto dalle cittadine e dai cittadini, viene accolto attraverso l'utilizzo di una logica repressiva. Penso invece che le paure, i fantasmi della vita, della società del 2000 e le diverse preoccupazioni e precarietà alimentino un bisogno di sicurezza che, a volte, va al di là della nostra concreta vita quotidiana. Le istituzioni, le forze politiche e soprattutto coloro che governano debbono riuscire a rispondere con la serenità e la pragmaticità necessarie, sapendo distinguere quelli che sono i problemi veri da quelli che, invece, rischiano di diventare un senso comune o, addirittura, un allarme non giustificato.
Per fare ciò, ritengo si debba approvare una legge buona che produca risultati ed è su tale aspetto che si impernia la nostra critica di fondo! È stato detto che le impronte digitali non costituiranno una schedatura di massa, ma, in realtà, si rischia che ciò accada; se ciò accadrà, come risulterebbe allo stato attuale dal testo proposto, credo che si lanci un messaggio razzista ed intollerante che alimenterà gli egoismi della nostra cosiddetta società civile od occidentale.
Il messaggio del respingimento degli stranieri tout court, che si riscontra in modo prevalente nel testo, deriva da una serie di aspetti e ne colgo alcuni in particolare: mi riferisco a quello che ha a che fare con la regolamentazione dei permessi di soggiorno, ai contratti di lavoro, ai ricongiungimenti familiari, ai minori e via seguitando. Tali elementi modificano sostanzialmente l'attuale legge, in misura tale da rendere praticamente invivibile e difficile burocraticamente, persino ingestibile, la legislazione che ci apprestiamo a discutere e ad approvare in quest'aula, anche in contraddizione con le direttive europee già emesse e che noi, anche in tempi relativamente brevi, dovremo attuare.
Si muove in questa direzione, per esempio, la logica del contratto di lavoro che sottende un certo messaggio culturale; è come se si dicesse che interessano solo le braccia degli immigrati, non il diritto di cittadinanza di queste persone che giungono nel nostro paese per ragioni strutturali che hanno a che fare non solo con il fatto che il mondo è diventato piccolo (ad ognuno di noi potrebbe piacere di attraversare il globo) ma anche con la guerra, la fame nel mondo e la povertà.
Pertanto, a coloro che giungono sulle nostre coste, spinti da esigenze di vita quotidiana, diciamo: ci interessi semplicemente perché vi sono le nostre fabbrichette o le nostre famiglie che hanno


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bisogno di te ed, anche in tale caso, facciamo di tutto per renderti la vita difficile!
Non saprei spiegarmi diversamente! Le pratiche burocratiche renderanno difficile anche la vita delle questure e quella di tutti i nostri uffici pubblici. Anche con riferimento alla logica dei ricongiungimenti familiari (se ne ampliano le restrizioni), a quella che ha a che fare con i minori, ai permessi universitari, sostanzialmente si impedirà agli stranieri che giungeranno nel nostro paese di costruirsi progetti di vita, sia che intendano rimanere nel nostro paese per lungo tempo, sia che intendano tornare nel loro. Si impedisce loro la possibilità di una programmazione e si rende la loro vita, nel nostro paese, assolutamente sempre precaria.
La precarietà non aiuta la legalità, anzi, di fatto, essa si tradurrà in una vita difficile per gli stranieri, aumentando anche gli spazi di illegalità nel corso della permanenza di questi stranieri nel nostro paese; l'illegalità e la clandestinità sono, infatti, il frutto della debolezza, della subalternità e dei ricatti (anche quelli più incredibili) cui questi soggetti sono costretti a soggiacere per arrivare in Italia. Noi discutiamo della tratta degli schiavi e delle schiave, della tratta degli umani, approviamo leggi rigorose, prevedendo pene, ma le cause di fondo di tali fenomeni si riscontrano nella condizione di subalternità.
Ritengo che una buona legge dovrebbe tentare di rendere queste persone soggetti forti, in grado di far valere i propri diritti e di difendersi dai suddetti ricatti.
Per tale motivo, si avverte la necessità di approvare norme accessibili e di rendere la legislazione controllabile, poiché è nella precarietà della condizione in cui ricacceremo questi cittadini che rinverremo le cause di un aumento del lavoro nero e di situazioni di clandestinità; sono certa che attraverso l'articolato del provvedimento in esame che tratteremo nel corso della discussione si produrrà tutto ciò.
La seconda questione che pongo (si tratta di una questione di principio) ha a che fare con la condizione di un doppio binario relativamente all'aspetto dei diritti fondamentali (ritengo che dietro a questa maggioranza vi sia una parte che dovrebbe essere molto sensibile a ciò).
Uno di questi aspetti è rappresentato da quello dei diritti legati al lavoro. Sul tema abbiamo presentato una eccezione di costituzionalità perché, anche in questo caso, le norme internazionali, oltre che quelle del nostro paese, prevedono che ogni lavoratore debba, a parità di condizioni, avere gli stessi diritti. Qui invece si introducono elementi di disparità. In particolare, ciò che mi preoccupa è rappresentato da quelle disparità che impediranno loro di far valere i propri diritti, anche quelli già previsti. Anche per quanto riguarda il diritto di difesa - vi è fra l'altro un aumento delle pene e delle fattispecie di reato -, persino nell'ambito di queste situazioni, vi è la difficoltà, ed a volte l'impossibilità, di far valere i propri diritti di difesa.
Penso pertanto che questi aspetti siano degni realmente di grande attenzione. Quando ascolto alcuni colleghi, come oggi, richiedere che la permanenza nei centri di permanenza temporanea possa diventare di 60 giorni più 60 giorni, penso che questi colleghi non abbiano mai visto quelli che noi chiamiamo centri di detenzione. Non a caso li chiamiamo così, perché sono realmente tali! Le persone che sono in quei centri non si trovano a volte nemmeno nelle condizioni previste nelle galere del nostro paese. Dico questo perché frequento questi posti abbastanza regolarmente e penso che soltanto chi non ha mai visto una situazione di questo tipo possa pensare di tenere questi cittadini fermi, anche per mesi, in attesa di una definizione della loro condizione. Chiederei allora realmente ai colleghi e alle colleghe della maggioranza di esaminare tutti questi aspetti: si tratta di questioni importanti che investono i temi del lavoro, i ricongiungimenti familiari, perfino la famiglia; questa maggioranza che ama tanto la famiglia e la difesa di essa.
Io sono tra coloro che non amano tanto gli articoli della Costituzione dal 29 al 31,


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eppure ho presentato un'eccezione di costituzionalità perché, in ogni caso, quando vi è un diritto, questo vale per tutti, italiani e stranieri. Non si può pretendere che la polizia vada a mettere il naso nella camera da letto degli stranieri per vedere se quel matrimonio è stato effettivamente consumato, ovvero se corrisponda ad un tentativo di abuso oppure se è un matrimonio a tutti gli effetti, non solo volto ad ottenere la cittadinanza. Ci sono aspetti di principio ai quali non bisognerebbe mai rinunciare, né quando si è al Governo, né quando si è all'opposizione.
Pertanto, in materia di espulsione amministrativa, di accompagnamento coatto alla frontiera, penso che tutti tali aspetti vadano riesaminati al fine di garantire sempre almeno il diritto alla legittima difesa. Infine, vi è un aspetto - uno di quelli su cui tornerà il collega Russo Spena nel corso del suo intervento - che è quello riguardante il diritto d'asilo. Molti colleghi hanno ricordato - si sono tenute diverse audizioni in sede di Commissione, non solo alla Camera ma anche al Senato - le associazioni che da sempre si occupano di questa materia. Tutti ci hanno sollecitato a rivedere queste norme, al punto da fare un elenco di diverse cose che andrebbero riviste insieme ai ricongiungimenti familiari, alla questione degli sponsor. Quest'aspetto riguardante il diritto d'asilo viene affrontato attraverso una scorciatoia: anziché predisporre una legge organica, come sarebbe da tempo necessario nel nostro paese, esauriamo in due articoli una materia invece così complessa.
Come invece ha avuto modo di affermare il sottosegretario, per una parte anche soltanto relativa all'aspetto dell'immigrazione, penso che vi sia molto da rivedere. Nei fatti si renderà impraticabile il diritto d'asilo, ovvero il trattamento di colei o di colui che chiede rifugio in Italia per ragioni umanitarie sarà assolutamente fuori dalla logica che dovrebbe sovrintendere a tali condizioni. Essi vengono tenuti nei centri, si rende loro la vita difficile, anche per quanto riguarda la possibilità di dimostrare questa loro condizione, oltre che non garantire - questo dovrebbe essere un punto improrogabile - loro un ricorso al giudice in caso di diniego. Discutiamo allora su quali siano le modalità di composizione e di costituzione delle commissioni territoriali, discutiamo del ruolo della composizione della commissione nazionale, ma, all'interno di tutte queste maglie, che per molti aspetti sono ancora da definirsi meglio, ritengo che l'aspetto della possibilità del ricorso al giudice dovrebbe essere assolutamente previsto.
Non si può dire a cittadini che fuggono per ragione di gravi discriminazioni, rischiando addirittura la vita: torna a casa tua e da lì, se vuoi, fai ricorso con la carta da bollo.
Dunque, al di là delle soluzioni - su cui naturalmente si può discutere - penso che sostanzialmente andrebbe modificato l'impianto di questo provvedimento. Deve venir meno l'idea di dire agli stranieri: statevene a casa vostra, perché, se venite qua, sappiate che avrete un sacco di guai e troverete un sacco di ostacoli invalicabili. Questo è ciò che io leggo dietro a questo provvedimento.
Molti colleghi in quest'aula hanno sottolineato come il fenomeno dell'immigrazione sia ormai internazionale e strutturale e che esso non si può rimuovere semplicemente attraverso una legge repressiva, autoritaria, una legge di respingimento. Ormai non passa settimana in cui, nei nostri mari, non arrivi un peschereccio: sono molti i morti che giacciono nel mar Mediterraneo e questo fatto, da solo, dovrebbe farci capire che, per le condizioni da cui fuggono queste donne e questi uomini, non c'è nulla che li possa fermare, perché non hanno nulla da perdere. Ora, sta a noi decidere se la parola «accoglienza», che tutti avete usato, ha davvero un senso o se in fondo facciamo chiacchiere, facciamo un po' di demagogia, ma lasciamo che le sofferenze di questi signori continuino ad essere e addirittura, se possibile, le incrementiamo.
Alle cittadine e ai cittadini italiani bisogna dire la verità: questo provvedimento non risolverà alcuno dei problemi,


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dei disagi, delle contraddizioni che molti di noi riscontrano anche nei quartieri, soprattutto in quelli periferici, delle nostre città. Credo che, da parte nostra, dobbiamo assumerci la responsabilità di dire quali sono le soluzioni concrete, quali possono essere le soluzioni, anche quelle minime. Avete abolito, ad esempio, la possibilità per gli enti locali di individuare, nelle maglie delle loro spese, una piccola percentuale per offrire case agli stranieri a prezzi inferiori: anziché dentro le case dormiranno nelle automobili (altrimenti dovrebbero aspettare che il datore di lavoro trovi loro la casa). Vorrei ricordare le condizioni dei nostri emigranti in Germania, ad esempio, dove dormivano anche nelle baracche fuori dalle fabbriche. Credo questa non sia una condizione che un paese civile possa riservare ad altri cittadini che giungono nel nostro paese.
Se vogliamo anche avere l'onestà intellettuale di effettuare una verifica sull'esperienza fin qui fatta dobbiamo rilevare che, in primo luogo, non c'è alcuna rigidità che possa impedire un fenomeno di questo tipo: non ci sono logiche repressive e autoritarie che possano respingere i cittadini stranieri che per ragioni di fame e di sofferenza arrivano nel nostro paese; in secondo luogo, penso - come anche la discussione in Commissione ha dimostrato - che, se abbiamo bisogno di criteri rigorosi nella gestione di questo fenomeno, questi criteri non sono le quote rigide, che possono fermare la persona in più che arriva nel nostro paese, per poi dover fare le sanatorie tre giorni dopo. Penso che la previsione dei flussi sia necessaria e che vada costruita insieme alle regioni e agli enti locali, che sono coloro che, da una parte, possono verificare effettivamente le possibilità concrete di ospitalità ed organizzare l'accoglienza, e dall'altra, possono verificare dal punto di vista del mercato le aspettative e le domande degli stessi imprenditori. Ma fatto questo, seppure all'interno di criteri rigorosi per l'accoglienza, penso che le quote debbano essere abolite, se vogliamo davvero governare il fenomeno. Altrimenti, diremo che lo vogliamo reprimere o respingere, per poi verificare, nel concreto, che non avremo garantito nessuna sicurezza in più, neanche ai cittadini italiani e alle cittadine italiane. La precarietà, a mio avviso, produce illegalità e clandestinità. Penso sia necessario ripristinare alcuni diritti fondamentali di carattere costituzionale e mettere a posto una serie di cose, innanzitutto dal punto di vista dei principi, attraverso il confronto (so che ci sono sensibilità diverse all'interno della maggioranza). Mi auguro naturalmente che il dibattito in aula possa utilizzare i contributi che verranno, da ognuno di noi, in modo sincero.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Buemi. Ne ha facoltà.

ENRICO BUEMI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'argomento di cui stiamo discutendo - quello dell'immigrazione in generale e della clandestinità in particolare - rappresenta uno dei problemi più difficili da affrontare per la quantità dei soggetti coinvolti e dei territori interessati, un problema con il quale i paesi più sviluppati economicamente, come il nostro, e vicini alle aree di grande povertà dovranno rassegnarsi a fare i conti per un lungo periodo in futuro. Tanto vale, quindi, cercare di affrontarlo senza demagogia o posizioni propagandistiche, sapendo che è indispensabile far convivere, nelle scelte che devono essere fatte, il rigore nei confronti di chi non assume atteggiamenti di rispetto delle nostre leggi e la massima apertura verso coloro che vogliono lavorare onestamente nel nostro paese e del cui lavoro abbiamo bisogno.
Si tratta, quindi, di creare condizioni di separazione, sin dall'inizio del percorso e del rapporto, fra chi è onesto e vuole lavorare onestamente e chi, invece, vede nel nostro paese condizioni favorevoli per sviluppare la propria attività criminale. Questa separazione si ottiene rendendo agevole l'ingresso a quanti vogliono venire nel nostro paese per lavorare onestamente - ma dobbiamo essere certi dei loro dati anagrafici, della loro identità, della loro provenienza e del luogo in cui vogliono


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andare a risiedere -, sanzionando, invece, severamente chi non collabora in maniera appropriata con la pubblica amministrazione preposta a questo settore, minaccia la nostra sicurezza o infrange le nostre leggi.
A questo proposito, poiché ci troviamo di fronte a problematiche di lungo periodo, è indispensabile creare strutture permanenti con compiti specifici. Mi riferisco alla creazione di un eventuale servizio per l'immigrazione e ad altre strutture utili al governo dello sviluppo del fenomeno.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento al nostro esame non affronta in maniera adeguata ciò che, seppur sinteticamente, ho cercato di delineare.
Il sistema degli accessi legali - uno dei punti cardine per un rapporto positivo con quanti vogliono onestamente venire a lavorare in Italia -, invece di facilitare il rapporto tra immigrato e mondo del lavoro e delle imprese, viene ulteriormente appesantito da prassi burocratiche inutili e ripetitive, sfasate rispetto alle esigenze della nostra economia. Ma chi non è ipocrita, sa bene che, più è complicato l'accesso legale al nostro paese, più alto è il ricorso all'accesso illegale, anche da parte di immigrati onesti, mentre è evidente che gli strumenti previsti dalla proposta Bossi-Fini sono inefficaci dal punto di vista dei grandi numeri, perché mancano risorse e strutture per contrastare il fenomeno efficacemente. Manca un'adeguata normativa nei confronti di chi, ponendosi subito in una posizione di sostanziale illegalità, dichiara generalità false e non collabora con gli organismi dello Stato.
La normativa non prevede, inoltre, cosa succede realisticamente se, dopo la scadenza dei termini di trattenimento nei centri di permanenza temporanea, non è individuato il paese di provenienza. Non credo che il provvedimento d'espulsione, senza accompagnamento alla frontiera di un paese disposto all'accoglienza, sia di maggiore efficacia rispetto alla situazione attuale, che ritengo debole. Siamo, invece, convinti che l'effettività dell'espulsione sia uno degli elementi cardine dell'azione di contrasto contro gli illegali, accanto all'accoglienza facilitata per coloro che vogliono accedere legalmente e rimanere nella legalità nel nostro paese.
L'accesso legale dovrebbe essere concesso anche per la ricerca di lavoro, seppure a termine - sei mesi, ad esempio - unendolo ad un'identificazione certa, sottoponendo all'obbligatorio rilievo fotodattiloscopico gli interessati. Il normale ricongiungimento familiare, una semplificazione delle procedure per il lavoro stagionale, accanto ad una progressiva inclusione della clandestinità attuale, con meccanismi di emersione facilitata per quanti già lavorano stabilmente, seppure in nero, con un'applicazione contemporanea del rilievo fotodattiloscopico, favorirebbero una riduzione della pressione di ingresso clandestino.
A questo proposito, avere dato l'illusione che l'azione di contrasto possa essere affidata alla Marina militare e alle forze di polizia è un'operazione di pura propaganda: ben sappiamo che norme internazionali regolamentano i comportamenti in acque internazionali e ne fissano i limiti operativi.
È altresì velleitario pensare che tutti i clandestini presenti in Italia possano essere espulsi perché non si vuole affrontare realisticamente il problema di un'ulteriore sanatoria, che non può essere limitata alle sole collaborazioni familiari: la nostra economia ha bisogno subito di forza lavoro regolarizzata e depurata da ricatti e incertezze (sia da parte dei datori di lavoro sia da parte degli immigrati impegnati).
In conclusione, signor Presidente, onorevoli colleghi, vi chiedo come sia possibile, da un lato, accettare logiche di esclusione generalizzata, di fatto, di esseri umani che rischiano la vita, gli affetti e quelle poche risorse economiche che possiedono per venire a guadagnarsi un onesto avvenire migliore nel nostro paese, come hanno fatto i nostri genitori e nonni, in anni ormai lontani, e, dall'altro, ipotizzare reparti delle Forze armate (cui affidare la difesa dei nostri interessi strategici,


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magari con il rischio della vita) costituiti proprio da coloro che, però, non vogliamo far venire a vivere in Italia ed ai quali non vogliamo dare la dignità di un lavoro onesto e la serenità di un futuro più certo e, soprattutto, meno buio.
Una risposta onesta a questo interrogativo potrà orientarci verso decisioni giuste (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.

GIOVANNI RUSSO SPENA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, vorrei sottolineare, anzitutto, un dato non meramente umanitario, ma squisitamente politico: io desidero che il Parlamento, come ricordava poco fa la collega Mascia, non dimentichi - nemmeno per un attimo -, mentre legifera su una materia così complessa e delicata, che non stiamo discutendo su un tema che attiene all'ordine pubblico, ai poteri militari o a quelli di polizia, ma su una materia che attiene anche a scelte strategiche, di sviluppo ed alla qualità stessa dello Stato di diritto.
Su questo piano, non reggono demagogie, politicismi, elettoralismi, né ossessioni sicuritarie. Qui si parla di noi, di come immaginiamo la nostra società ed il nostro Stato di diritto: se, cioè, di fronte alle insopprimibili ed ineludibili grandi migrazioni dei prossimi decenni, esso sarà fondato sulle interrelazioni culturali e sul meticciato oppure se sarà fondato su di una mediocre identità nazionalistica e sull'esclusione delle piccole patrie.
Dietro il migrante c'è sempre - non dimentichiamolo - una vita, un vissuto, anzi, un'antropologia della diseguaglianza: un mondo ingiusto. Questo non va mai dimenticato. Bauman definisce gli emigranti vagabondi alla deriva, i mutanti della rivoluzione postmoderna, gli scarti mostruosi della globalizzazione liberista. La verità, signori del Governo, è che volevate braccia, ma sono arrivate persone! Da qui nasce la vostra ossessione sicuritaria, a causa della quale, come ha ricordato la collega Mascia in precedenza, state organizzando una sorta di nuovo mercato degli schiavi. La pressione per abbattere le ultime barriere al libero movimento del denaro e delle merci va, paradossalmente, di pari passo con la spinta a scavare nuovi fossati e ad erigere nuovi muri, spesso denominati leggi sull'immigrazione o, in altri paesi, leggi sulla nazionalità.
È per questo che, quando parliamo di emigranti, parliamo anche di noi, di come ci proiettiamo nel futuro, di come immaginiamo la nostra società ed il nostro Stato di diritto rispetto a norme (quelle, appunto, dello Stato di diritto) nate, peraltro, da una rivoluzione borghese e da rivoluzioni nazionali importanti e rispettabili, i cui fondamenti e paradigmi, anche normativi, tuttavia, vengono messi duramente in tensione dalle migrazioni stesse.
E quindi già qui dovremmo produrre una grande opera giuridica di neocostituzionalismo democratico di avanzamento. Noi riteniamo, cioè, che la nuova coscienza democratica internazionale non possa che essere, anche sul piano giuridico, transnazionale ed interculturale. Questo mi porta al tema specifico rilevantissimo dell'asilo.
Sono cinquant'anni - lo sappiamo - che aspettiamo una buona legge sull'asilo politico; siamo gli ultimi in Europa, nonostante le convenzioni internazionali e lo stesso articolo 10 - come poi dirò - della nostra Costituzione prevedano il diritto all'asilo e un diritto d'asilo molto penetrante, inteso come un cardine fondamentale, non a caso previsto nella prima parte della Costituzione. Ci troviamo oggi, quindi, con l'articolato di questo provvedimento che ci arriva dal Senato e dalla Commissione affari costituzionali della Camera, di fronte ad una occasione perduta, anzi, di più, di fronte ad un danno grave perché l'asilo viene - lo dico in termini secchi - ancora una volta confuso con l'immigrazione clandestina. È forte quindi l'urgenza di una buona legge, è forte, infatti, l'urgenza di una tutela adeguata dei richiedenti l'asilo, consentendo loro l'ingresso, la presentazione delle istanze, garantendo un'attenta valutazione di ogni singola domanda. Perché? Perché purtroppo


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è raddoppiato - sono dati ufficiali - negli ultimi 15 anni il numero delle persone che tentano di abbandonare il proprio paese per sfuggire alla persecuzione, alla tortura, alla condanna a morte, all'imprigionamento ingiusto, alle guerre. Tutto questo non c'entra nulla - come è stato detto - con le parole per esempio pronunciate dal collega Dussin qualche ora fa su coloro che mascherano un'emigrazione di tipo socioeconomico con la richiesta d'asilo.
Noi stiamo peraltro purtroppo constatando, con preoccupazione, che, anche in questa discussione, partendo da paradigmi ed assunti sbagliati, il Parlamento sta seriamente correndo il rischio di schiacciare il diritto all'asilo politico, che è sacro in uno Stato di diritto e nel diritto internazionale, con la volontà di controllare in maniera restrittiva i flussi migratori. È ingiusto e sbagliato. Nessuno dei nostri emendamenti, volti alla valorizzazione della possibilità di esercitare sul serio il diritto d'asilo, è stato accolto in Commissione o ha avuto il parere favorevole del Governo. Pensiamo che sia fortemente limitativo del diritto d'asilo prevedere che la domanda di asilo possa essere presentata solo ai posti di frontiera o alla questura del luogo di dimora; per un soggetto che richiede l'asilo può essere difficile arrivare al confine del nostro paese proprio a causa della normativa sull'immigrazione. Il provvedimento tende ad assegnare una grande responsabilità ai funzionari dei posti di frontiera, ma questo presuppone un loro adeguato addestramento e una formazione che non è considerata a sufficienza. Come giustamente rileva Amnesty International in una sua ultima nota, i nostri confini possono essere inaccessibili anche per i richiedenti asilo a causa dei pattugliamenti marini e dei controlli alla frontiera, che molto spesso sono compiuti con l'intento di rimpatriare chi chiede di entrare in Italia, senza un'attenta analisi dei singoli casi. Vorrei ricordare - non per sfregio, ma è giusto che ne discutiamo anche in questo Parlamento (penso alla mala Pasqua e anche ai casi ultimi) - che, a volte, le persone che sfuggivano alla persecuzione e che potevano anche essere presuntivamente richiedenti asilo, sono state respinte in modo violento (con salme finite nel canale d'Otranto e negli altri mari che bagnano il nostro paese). È un fatto anche di buon senso. Quante persone che vengono respinte anche in questi giorni non sono semplicemente dei clandestini; una categoria peraltro immonda, divenuta prioritaria in questo dibattito. Chi è clandestino? Parliamo comunque di una persona che ha un vissuto, una vita, una sua storia, una famiglia. Parliamo di una persona. Cos'è questa categoria immonda di clandestini?
Come facciamo noi legislatori a sapere se vi sono persone richiedenti asilo fra quelli che chiamate clandestini? Questa confusione è anche confusione temporale, cronologica, fattuale. Se le navi respingono gli immigrati, di fatto, vuol dire che questa legge, ancora una volta, non riconosce il diritto d'asilo anche perché non dà l'opportunità di presentare, realmente, una domanda di asilo e non dà nemmeno la possibilità di valutare la domanda d'asilo attentamente, sia sul piano giurisdizionale sia su quello amministrativo, con i successivi ricorsi. A questo proposito ha ragione, ancora una volta, la collega Mascia quando dice che siamo nettamente contrari ad ogni forma di doppio binario di giurisdizione essendo cittadini e cittadine italiani e migranti, per noi, esattamente uguali di fronte alla giustizia.
La verità, colleghi e colleghe è che la storia dell'asilo, anche nell'Italia repubblicana, è sempre stata caratterizzata da un profondo divario fra le enunciazioni di principio, spesso magniloquenti, che inquadrano l'asilo come un diritto soggettivo fondamentale, quale esso è e si configura nel diritto internazionale, e la concreta condizione dei rifugiati in Italia. Eppure, l'asilo, lo ricordavo prima, fu posto dai nostri costituenti come uno dei princìpi fondamentali della Repubblica. L'asilo infatti, con l'articolo 10 della Costituzione, è collocato tra quei princìpi che costituiscono l'identità profonda del nostro paese. Parliamo di un diritto di asilo particolarmente


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forte se è vero che l'articolo 10 stabilisce che il diritto d'asilo deve essere concesso a qualunque persona non possa godere di quei diritti civili, religiosi, sociali e politici che la nostra Costituzione - non il suo paese ma la nostra Costituzione - garantisce; è dunque un diritto d'asilo che i nostri padri costituenti hanno voluto particolarmente incisivo.
Concludo senza alcuna enfasi ricordando le parole pronunciate qualche giorno fa, in conferenza stampa, dal delegato in Italia dell'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (non da qualche parlamentare comunista o da qualche bolscevico): riteniamo - egli ha detto - che il testo attualmente all'esame della Camera necessiti di alcune modifiche indispensabili affinché la legislazione possa essere in linea con gli standard minimi internazionali.
Per queste modifiche di civiltà e buonsenso noi ci batteremo a fondo, nei prossimi giorni, anche in quest'aula.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Battaglia. Ne ha facoltà.

AUGUSTO BATTAGLIA. Signor Presidente, colleghi deputati, non voglio assolutamente mettere in dubbio la volontà della maggioranza e del Governo di migliorare la legge n. 286 del 1998. Tutte le leggi sono perfettibili e dunque anche la Turco-Napolitano può essere migliorata in alcune sue parti; intendo soltanto valutare le preoccupazioni che, del resto, sono preoccupazioni di noi tutti e non soltanto della destra, relativamente alla sicurezza dei cittadini, alla serenità della vita delle nostre comunità spesso messa a repentaglio da piccoli o grandi episodi di criminalità e di illegalità diffusa. Queste sono preoccupazioni anche nostre. Quello che metto in dubbio è l'efficacia delle proposte che voi avanzate e ritengo che qualche dubbio sull'efficacia delle norme che oggi discutiamo cominci a tormentare anche voi e che non possiate continuare ad ignorare le preoccupazioni di tanta parte della società italiana, non solo a sinistra. Penso alle preoccupazioni espresse dal mondo del volontariato, dalla Caritas italiana, dalla Conferenza episcopale, ma anche alle preoccupazioni che si muovono al vostro interno. Non sfugge a nessuno che, su questi temi, c'è una divisione anche all'interno della maggioranza. Ho come l'impressione, però, che ormai siate un po' come vittime delle vostre stesse azioni, delle scelte fatte nei mesi e negli anni scorsi quando avete predicato e diffuso allarmismo, in molti casi ingiustificato; quando avete dipinto un'Italia come invasa, dalla mattina alla sera, da orde di barbari, da persone che venivano, senza arte né parte, ad invadere il nostro paese dal mare, attraverso i confini alpini e da ogni parte e da ogni paese intorno a noi; quando avete predicato e criticato un aumento incontenibile di criminalità che non c'era; quando avete criticato la legge Turco-Napolitano giudicandola una legge permissiva, a maglie larghe, che consente a tutti di venire in Italia, che permette a tutti di fare qualunque cosa.
I dati dicono che non è questa la realtà del nostro paese, anzi dicono esattamente il contrario; ad esempio, i reati in Italia, dal 1990 al 2000, sono diminuiti: erano due milioni e mezzo l'anno e sono diventati due milioni e duecentomila. Anzi, i dati dicono che se si è avuto un incremento nel numero degli sbarchi clandestini, questo, in maniera sensibile, si è registrato proprio negli ultimi sei mesi, con voi al Governo. Tra l'altro, tale aumento della clandestinità e degli sbarchi forse non è neanche molto indipendente da alcune scelte che state compiendo: mi riferisco, ad esempio, a quella di rinviare il provvedimento sulle quote, oppure alla volontà di effettuare una sorta di stretta di polizia, limitando le possibilità di accesso nel nostro paese ed inducendo così migliaia di persone a non rivolgersi alle ambasciate, ai consolati, agli uffici periferici italiani, bensì ai trafficanti di uomini.
In questi anni avete voluto creare allarme, alimentare le preoccupazioni della gente per poi prospettare ricette miracolistiche. Chi non ricorda quando avete detto che sarebbero intervenute le navi da guerra della marina, le motovedette, per


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fermare gli ingressi clandestini? Quale effetto hanno prodotto tali misure? Ebbene, negli ultimi mesi gli sbarchi clandestini nel nostro paese sono aumentati. Oggi passate dalle navi da guerra alle impronte digitali: altra proposta ad effetto! Impronte digitali per tutti! Leggo nell'emendamento presentato dalla relatrice che queste sono previste per chiunque chieda il permesso di soggiorno, per chiunque ne chieda il rinnovo. Tutto viene fatto alla ricerca del colpo teatrale, per ottenere il consenso della gente, per dire che se prima c'era il disastro, ora, con voi al Governo, con le navi da guerra e le impronte digitali, si risolverà finalmente il problema dell'immigrazione. Poco conta la realtà quotidiana, poco contano il diritto, la Costituzione e l'Europa; poco contano le persone, cioè quegli uomini e quelle donne che, come tanti nostri nonni, hanno intrapreso il cammino della speranza e cercano di costruirsi nel nostro paese, non soltanto nel nostro paese, un futuro migliore, contribuendo allo sviluppo proprio, alle prospettive delle proprie famiglie, ed anche allo sviluppo dell'Italia (come gli italiani hanno contribuito allo sviluppo della Germania, del Belgio, della Svizzera, degli Stati Uniti e di tanti altri paesi nel mondo).
La vostra è una strada pericolosa e, soprattutto, destinata al fallimento. L'Italia non è un paese allo sbando, in balia degli immigrati che delinquono e tolgono il lavoro ai nostri figli. L'Italia è un paese civile e moderno che, grazie alla legge Turco-Napolitano, è riuscito, pur con tanti limiti e difficoltà, ad affrontare e governare un fenomeno complesso come quello dell'immigrazione; grazie a tale legge, infatti, si sono regolati i flussi e sono entrate regolarmente nel nostro paese persone utili all'Italia, utili alle nostre imprese e alle nostre famiglie: 63 mila nel 2000, 83 mila nel 2001. Ci sono un milione e trecentomila persone entrate regolarmente in Italia che oggi vivono nel nostro paese, in alcuni casi con le proprie famiglie. Certo, non dobbiamo ignorare che ci sono anche gli irregolari, ma la parte consistente di immigrati presente in Italia è formata da queste persone, da questi lavoratori. La legge Turco-Napolitano è riuscita a promuovere una graduale integrazione degli immigrati nelle nostre comunità, riconoscendo loro i diritti all'assistenza sanitaria, al lavoro, al ricongiungimento familiare (perché se la famiglia è un valore - lo ripetete in ogni occasione - lo è per tutti, non soltanto per noi, bensì anche per quei lavoratori che vengono nel nostro paese), al proprio credo religioso, alla scuola.
È una grande esperienza quella che stanno facendo i nostri figli che, nelle loro classi, hanno la possibilità di vivere un'esperienza di educazione comunitaria insieme a bambini che vengono da altri paesi, da altre realtà culturali e religiose. Certamente, nella realtà vi sono anche conflitti, presenti, soprattutto, in alcuni quartieri e nelle zone periferiche della città. Allora, affrontiamo questi conflitti e diamo ai comuni e agli enti locali gli strumenti per attivare politiche positive e lungimiranti, che consentano di affrontare meglio queste situazioni con l'intervento sociale, affinché si possa favorire l'integrazione, facilitando la comunicazione tra queste ultime e le comunità residenti.
Inoltre, la legge è riuscita a contenere e contrastare gli ingressi clandestini, anche attraverso le espulsioni. Ne sono state effettuate 112 mila nel 1999, 130 mila nel 2000 e 133 mila nel 2001. Non è vero, quindi, che si tratta di una legge permissiva e debole, che consente a tutti di venire in Italia. Al contrario, è una legge moderna, rigorosa ma anche solidale e non poteva essere diversamente, perché il nostro paese ha bisogno di immigrazione per motivi demografici.
Siamo un paese con un tasso di natalità pari a zero e, se volessimo mantenere, da qui al 2050, l'attuale livello della popolazione italiana (circa 58 milioni di abitanti), dovremmo avere un saldo positivo annuale di 235 mila immigrati stranieri. Tale numero sarebbe addirittura molto superiore, se volessimo mantenere l'attuale livello di lavoratori attivi e l'attuale rapporto tra forza lavoro e pensionati. Sappiamo


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quanto ciò sia importante per il nostro sistema di welfare, per le nostre pensioni e per quelle dei nostri figli. L'immigrazione ci è utile per ragioni economiche, perché ne hanno bisogno le nostre imprese.
Oggi, l'8,6 per cento dei nuovi assunti sono lavoratori immigrati regolari. Tuttavia, dobbiamo fare ancora di più, perché i 110 mila posti in più del 2001 sono insufficienti e non per rispondere alla domanda degli immigrati, ma per rispondere alla domanda delle nostre imprese. Senza i lavoratori immigrati l'agricoltura e le stalle del nord e della Padania non potrebbero andare avanti un giorno di più e non sarebbe possibile raccogliere i pomodori né in Campania né nel ragusano. Senza i lavoratori immigrati chiuderebbero le nostre fonderie e, soprattutto, andrebbero in crisi le nostre famiglie. Vi è, infatti, un milione e mezzo di famiglie italiane che si misura con il problema della non autosufficienza. All'interno di un milione di famiglie italiane vi è un anziano non autosufficiente, il quale ha bisogno di sostegno, di aiuto e di assistenza che non siamo in grado di garantire. Senza le migliaia e migliaia di lavoratori immigrati stranieri, spesso irregolari, le nostre nonne, le nostre madri, i nostri parenti non autosufficienti non avrebbero alcuna possibilità di condurre una vita dignitosa. Questa è la situazione e da ciò dobbiamo partire.
Certo, abbiamo bisogno di immigrazione regolare e non di quella irregolare; abbiamo bisogno di gente che venga in Italia per lavorare regolarmente, attraverso canali trasparenti e regolari, che possa avere una casa e godere di diritti. Questo è l'obiettivo di tutti e non disconosciamo tale esigenza; anzi, la riteniamo importante.
Tuttavia, come è raggiungibile questo obiettivo? È forse raggiungibile con le restrizioni, rimandando a casa la gente? È forse raggiungibile ponendo ostacoli burocratici di ogni tipo al datore di lavoro che deve assumere il lavoratore immigrato o alla famiglia che deve trovare la persona che badi all'anziano non autosufficiente? È possibile ottenere questo risultato con una risposta autoritaria?
Il datore di lavoro, se non trova un lavoratore regolare e ha bisogno del lavoratore, lo va a trovare, in barba al provvedimento, tra i lavoratori clandestini, tra quelli che sono entrati irregolarmente. Una famiglia, se ha il nonno a casa da assistere e nessuno può farlo, non trovando la colf o la badante regolarmente, la trova nel mercato irregolare, altrimenti quella persona rimane senza assistenza.
Dunque, avere un'immigrazione regolare dipende soprattutto da quanto siamo capaci di rendere conveniente la regolarità. Se riusciamo a far questo ne trae vantaggio non soltanto l'immigrato che entra regolarmente senza essere sottoposto al mercato ed alle speculazioni dei trafficanti di uomini (che vanno contrastate e combattute in tutti i modi), ma ne trae vantaggio anche la comunità. Perché la scelta dell'immigrazione regolare sia vantaggiosa, deve essere resa più agevole per non costringere la gente a cercare i canali clandestini. Non bisogna prospettare precarietà, ma stabilità a livello lavorativo ed anche a livello sociale, individuale e familiare. Voi volete immigrati «usa e getta»: quando non mi servi più, ti butto via e ti rimando al tuo paese. Con le vostre proposte usa e getta, con tutti i limiti che ponete, con la precarietà, determinate insicurezza. L'insicurezza dell'immigrato diventa insicurezza per tutti noi, per le nostre comunità, per le nostre famiglie.
Nel quadro di norme che oggi ci proponete mettete in difficoltà la possibilità di fare un contratto di lavoro. Dite che il permesso si dà con il contratto, avete individuato questa nuova figura giuridica: tuttavia, se devo scegliere una persona che assista un mio congiunto non autosufficiente, posso prendere la persona che mi manda l'ambasciata o non so chi? Forse, la vorrò conoscere, la vorrò scegliere. Allora, perché avete eliminato lo sponsor che costituiva lo strumento più adeguato? Non è vero che non ha dato risultati: ha consentito l'ingresso di migliaia di lavoratori immigrati regolari che venivano conosciuti


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e poi coinvolti ed assunti nelle famiglie e nelle imprese. Ciò avveniva attraverso canali naturali, spesso canali parentali, che andavano a consolidare il nucleo dell'immigrato completando il suo quadro familiare, rafforzando quella comunità inserita nel territorio, dunque dandogli più sicurezza e stabilità. L'eliminazione dello sponsor è un grave errore: non ve lo diciamo solo noi, ma ve lo dicono quanti si sono occupati di immigrazione nel corso di questi anni e che conoscono questo fenomeno nella realtà e nella sua concretezza. Eliminando lo sponsor eliminate lo strumento cardine per rafforzare i flussi regolari e, quindi, contrapporsi ai flussi irregolari.
Vi sono, poi, ostacoli su ostacoli per gli imprenditori, per le famiglie, per i ricongiungimenti familiari, come se il ricongiungimento familiare non fosse utile a noi, alle nostre comunità. Infatti, è molto più stabile, sicura e serena la presenza di un lavoratore che qui abbia una moglie (o di una lavoratrice che abbia un marito), dei figli, parenti, genitori. Voi state lavorando per la precarizzazione. Lo fate con il permesso annuale, quando l'Europa ci dice che deve essere triennale, ed elevando il termine per il soggiorno pluriennale da cinque a sei anni. Abbiamo già 500 mila lavoratori che stanno in Italia da più di cinque anni: siamo, finora, riusciti a dare solo 16 mila permessi di soggiorno. Dovremmo fare di più, invece voi volete fare di meno limitando i ricongiungimenti familiari. Abbiamo 700 mila lavoratori immigrati sposati: solo un quarto ha i figli con sé. Manca qualsiasi impegno su una politica di inserimento e mancano interventi per i minori che arrivano non accompagnati: vi sono vuoti normativi.
Che succede, per esempio, a quei minori stranieri nati in Italia che diventano maggiorenni e che, per una serie di ragioni, non riescono a dimostrare la loro residenza? Li facciamo diventare precari nonostante stiano nel nostro paese da una vita e li spediamo dove non c'è più nessuno che li accolga?
Credo che l'insieme di queste condizioni aumenterà la precarietà, nonostante la sanatoria per le colf e le badanti che è positiva anche se limitata: in questo caso, si è registrata una sconfitta chiara di Bossi e della Lega che abbiamo voluto noi e le associazioni di volontariato che ve lo hanno imposto. Tuttavia, sappiamo anche quanto sia limitata perché riguarda soltanto una parte di quel mondo di lavoratori presente nel nostro paese e, forse, circoscriverla a collaboratrici familiari e a badanti, con tutti i limiti e i vincoli che ponete, rende il provvedimento molto limitato: si potrebbe sicuramente fare di più e crediamo lo si possa fare.
Aumenterà, quindi, la precarietà e l'illegalità e tutto ciò è conseguenza non solo della legge al nostro esame ma anche delle vostre scelte di quest'anno: avete emanato i decreti sulle quote con il contagocce, gli accordi bilaterali sono fermi, mentre bisogna lavorare in quella direzione e, invece di migliorare, di progredire e di risolvere i problemi, proponete un provvedimento ad effetto mediatico.
Guardiamo alla gravità delle norme sull'asilo: quando l'ONU ci richiama ad una normativa più organica, proponete norme molto spicciative per affrontare tali gravi problemi. Per finire, poi, all'ultima trovata delle impronte digitali per tutti, perché una cosa è prevedere di prendere le impronte digitali di quelli di cui non conosciamo l'identità, di chi ha commesso dei reati e di chi è entrato irregolarmente, ma se un lavoratore provvisto di carta di identità entra regolarmente in Italia attraverso la nostra ambasciata, perché dobbiamo prendergli le impronte digitali, perché non lo rispettiamo come persona, come facciamo con i cittadini italiani?
Comunque la si ponga, credo sia una misura molto negativa, mentre la normativa attualmente in vigore nel nostro paese consentiva di affrontare tale problema limitatamente a quelle situazioni in cui può essere utile, importante e prudente prendere anche le impronte digitali: così come la proponete, si tratta di una misura che sa di razzismo e di xenofobia.
Il nostro paese non ha bisogno di propaganda né di una legge elettoralistica


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ma di misure moderne, efficaci e umane, che sappiano essere aperte all'immigrazione nel quadro di regole chiare e di reciproche responsabilità perché l'immigrato può essere ed è una risorsa per il nostro paese. Si tratta di una persona che viene nel nostro paese per costruire un futuro migliore per sé e per la propria famiglia ma, se sappiamo lavorare bene e non con le norme che ci proponete, può essere anche una risorsa e dare un futuro migliore anche a tutti noi, alle nostre famiglie e al nostro paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sinisi. Ne ha facoltà.

GIANNICOLA SINISI. Signor Presidente, colgo l'occasione anche per ringraziarla di aver consentito la mia presenza ai lavori del gruppo della Margherita e, quindi, di aver posticipato il mio intervento.
In questa occasione cercherò di avere un approccio pragmatico, non ideologico, ad una materia della quale mi sono occupato per cinque anni a partire dal 1996, quando il nostro paese era stato escluso dagli accordi di Schengen e svolgere un'azione assai difficile di contrasto dell'immigrazione clandestina in un quadro internazionale assai burrascoso (voglio ricordare le vicende dell'Albania ma non solo), senza avere, quindi, strumenti legislativi né organizzativi adeguati per fronteggiare tale fenomeno.
Ci demmo allora la priorità di fornire al nostro paese un meccanismo di governo di questi fenomeni, norme che ci consentissero, attraverso il nostro impegno nel realizzare le strutture, di avere una visione, allo stesso tempo, internazionale e di difesa dei valori locali, senza indulgere ad un ideologismo a senso unico, favorevole a tutto ciò che non è italiano, ma, al tempo stesso, senza accettare nessuna forma di discriminazione tra coloro che sono italiani e coloro che non lo sono.
Credo che questo approccio sia stato largamente ripagato dai risultati che abbiamo conseguito tanto nell'Unione europea - con il nostro ingresso nel sistema di Schengen, avvenuto tra l'aprile e il novembre del 1998, proprio mentre veniva approvata la legge n. 40 che oggi si vuole modificare - quanto sul piano internazionale, con la grande approvazione che abbiamo ricevuto per gli strumenti che siamo riusciti a mettere in campo, coniugando sicurezza e solidarietà anche nel caso di crisi internazionali assai preoccupanti. E ne voglio ricordare due, che certamente non sfuggono alla memoria di ciascuno di noi, vale a dire la crisi in Albania del 1997 e la guerra del Kosovo del 1999. Il nostro paese si distinse nel campo internazionale perché seppe adottare una politica assai lungimirante.
Alcune delle misure di cui oggi discuteremo, se dovessero entrare in vigore così come prefigurate, non ci avrebbero consentito di fronteggiare questi fenomeni - né poco né affatto - e, probabilmente, avrebbero esposto il nostro paese ad una crisi nelle relazioni politiche e istituzionali mentre, certamente, non avremmo ricevuto l'apprezzamento di nessuno.
Ritengo, invece, di poter affermare con orgoglio che le leggi che abbiamo approvato, le misure che abbiamo adottato, gli strumenti che abbiamo introdotto e le relazioni internazionali che abbiamo sviluppato, a cominciare proprio dalle direttrici dei grandi flussi di immigrazione verso il nostro paese, insieme ad un grande lavoro a livello culturale che abbiamo svolto in Italia - che era un paese solo di emigrazione - ci hanno consentito di aiutare i nostri cittadini a distinguere chi bussava alla nostra porta per avere un lavoro da chi lo faceva per delinquere, da chi invece scappava da persecuzioni razziali e politiche o da guerre, sapendo di dover offrire a questi ultimi un'accoglienza senza alcun tipo di riserva e facendo anche la scelta di non confondere l'istituto dell'asilo con le disposizioni sull'immigrazione, una confusione culturale e legislativa che, ahimé, si introduce con questo provvedimento.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, voglio soltanto sottolineare che anche approcci adottati in altri paesi europei, in altri tempi della nostra storia, sono rimasti


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nella memoria attraverso espressioni emblematiche. Un'espressione tedesca, «Festung Europa», non portò bene a chi pensò di fare dell'Europa una fortezza. Infatti, l'Europa non può essere una fortezza, non può semplicemente erigere dei muri, ma deve avere l'orgoglio della propria democrazia, dei propri standard di qualità nella vita sociale e di relazione, nel rispetto della dignità umana, per la quale deve essere capace non solo di menar vanto, ma anche di creare nuovi proseliti in tutto il mondo, senza introdurre nessuna forma di deroga all'interno del nostro sistema e del nostro ordinamento. Purtroppo, attraverso queste norme, ciò avviene, con una gravissima ricaduta non soltanto in termini culturali, ma anche istituzionali e - temo - anche in termini di mancato rispetto delle nostre disposizioni costituzionali, delle quali - purtroppo o per fortuna - ci dobbiamo occupare.
Il mio è un approccio assolutamente pragmatico e non ideologico nei confronti di questo fenomeno, se è vero come è vero che alcune misure, sulle quali si fonda ancora oggi l'azione di contrasto all'immigrazione clandestina, sono state volute con fermezza proprio da noi.
Le espulsioni immediate con accompagnamento alla frontiera sono state una novità introdotta dalla legge Turco-Napolitano e hanno ottenuto risultati importanti in termini di azione di contrasto insieme all'ampliamento delle misure dei respingimenti e alla previsione di quella forma di restrizione della libertà personale che va sotto il nome di «centri di permanenza temporanea» di cui soltanto 10 sono ancora oggi in funzione. Si tratta di una misura assai importante per garantire effettività a quei controlli sulla presenza illegale nel nostro paese dei quali oggi ci stiamo occupando con eccessiva enfasi, mentre abbiamo a disposizione strumenti, che noi abbiamo inventato - e qualcuno mena vanto dei risultati ottenuti con quegli strumenti -, che sono innovatori - non difformemente da quanto avveniva in altri paesi europei - certamente nel nostro paese, prevedendo una misura meramente amministrativa.
Su questo la Corte costituzionale ci ha dato ragione. Alcune questioni, che sono state valutate a mio avviso troppo frettolosamente, hanno portato, anche in questo caso, a rendere assai meno agevole l'operatività della misura, sebbene con un provvedimento separato. Credo che ciò rappresenterà una battuta d'arresto nel contrasto all'immigrazione clandestina e ai fenomeni di presenza illegale nel nostro paese.
Noi abbiamo pensato che la lotta all'immigrazione clandestina non si potesse fare soltanto con la repressione, ma che ci fossero alcune misure assai più importanti o, almeno, altrettanto importanti con le quali bisognava fare i conti. La prima era la collaborazione internazionale, per impedire che partissero dai loro porti, per non consentire che avviassero i loro progetti di speranza attraverso le organizzazioni criminali. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non soltanto non c'è traccia di ciò, ma posso dire con certezza che vi è stata una grande battuta d'arresto. Non soltanto non sono stati sottoscritti accordi di riammissione ma, oltretutto, se alcune delle misure introdotte fossero state applicate, come sono previste nel provvedimento, all'Albania del 1997, si sarebbero ottenuti risultati disastrosi. Nel 1999 gli sbarchi illegali provenienti dall'Albania furono 45 mila, nel 2000 soltanto 16 mila: una riduzione di due terzi, grazie ad una politica internazionale che voleva favorire la ricostruzione delle strutture di quel paese, fornendo la collaborazione della nostra polizia, mettendo a disposizione, oltre alla conoscenza necessaria, anche gli strumenti idonei per l'azione di contrasto, suggerendo nuove leggi. Ma di questa politica faceva parte anche la previsione di un canale di ingresso legale in Italia.
Quanto agli strumenti delle quote privilegiate, apro una parentesi: il Governo non ha ancora emanato i decreti flussi per il 2002 e, tanto meno, i decreti flussi per le quote privilegiate che sono al servizio di convenzioni e di accordi da noi siglati con


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l'Albania e con la Tunisia. Ciò farà in modo che gli immigrati, invece di rivolgersi al nostro consolato, andranno presso i botteghini delle organizzazioni criminali per poter arrivare in Italia. Penso sia un elemento di riflessione essenziale per quanti, in Commissione, si sono vantati dell'idea - a mio avviso un po' bizzarra - che il nostro paese possa prevedere quote di ingresso zero. L'immigrazione zero non è zero soltanto per le nostre strutture di lavoro e per le nostre imprese, è zero anche rispetto alla scelta che gli stranieri possono fare di entrare legalmente nel nostro paese: nell'anno in cui venisse adottata questa sciagurata opzione, si presenterebbe l'unica scelta di prendere un gommone, un peschereccio o una nave carretta per venire in Italia, posto che la spinta migratoria è tale che, certamente, non basterà l'adozione di un decreto «zero» per impedire che questo progetto di speranza per sé e per i propri figli venga abbandonato.
Vorrei riferire soltanto pochi dati per illustrare la materia di cui stiamo trattando e che, a mio avviso, è affrontata in maniera assai superficiale, un po' frettolosa e troppo elettorale. Sono 150 milioni i cosiddetti displaced people che si muovono dai luoghi di origine per cercare una destinazione migliore; i paesi ricchi verso i quali si dirigono sono passati, negli ultimi vent'anni, da 39 a 67, mentre i paesi di origine di questi flussi sono passati, sempre negli ultimi vent'anni, da 29 a 55: c'è un mondo in movimento con il quale dobbiamo fare i conti. E dobbiamo fare i conti anche con gli effetti di una diseconomia, di un'ingiustizia economica mondiale che ha fatto sì che, negli ultimi quarant'anni, il reddito pro capite nei paesi più ricchi del mondo sia diventato 37 volte maggiore di quello dei 20 paesi più poveri e che il differenziale sia raddoppiato.
Ma noi pensiamo veramente che, dinanzi a fenomeni di questa portata, in cui si mette in gioco la propria vita, quella delle proprie famiglie, quella dei propri figli, si possano utilizzare le forze di polizia e la marina militare per costruire un argine? Pensiamo che sia un argomento significativo far passare da 30 a 60 giorni il termine di trattenimento nei centri di permanenza temporanea? Non ci scandalizza ma non ci sembra neanche una misura importante.
Io credo sia un approccio propagandistico e velleitario, che non tiene conto neanche dei risultati raggiunti e per cui l'unico obiettivo che si vuole raggiungere è quello di cambiare una legge del centrosinistra. In questo stile e in questa scelta c'è faziosità e c'è ideologismo, quell'ideologismo che noi - posso dirlo con orgoglio - non abbiamo avuto, quella faziosità che nel fare le politiche che hanno riguardato la vita economica e sociale del nostro paese non ci hanno mai neanche sfiorato, guardando, di ciò eravamo interessati, soltanto alla possibilità che l'Italia entrasse nell'Europea di Schengen e che il nostro paese potesse dotarsi di misure effettive di controllo e di regolare governo dei processi immigratori. Signor Presidente, onorevoli colleghi, i risultati si sono visti in un lasso di tempo talmente breve che oggi credo possano davvero provocare le reazioni di qualcuno. Se posso citare, giusto senza andare troppo per il sottile, un po' dozzinalmente, alcuni dati, tra il 1998 e il 1999 - i primi due anni di applicazione della legge, quando ancora non vi era il regolamento e quando ancora alcuni istituti non erano applicati - noi avevamo già raggiunto un quasi perfetto equilibrio tra autorizzazioni al lavoro, visti di ingresso e permessi di soggiorno. I dati non sono quelli che sto citando adesso, ma sono contenuti nel documento programmatico pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale che io invito a leggere e ad approfondire. Infatti, dallo stesso si potranno ricavare dati assai interessanti sul nostro mercato del lavoro e dati assai più interessanti sull'istituto dello sponsor rispetto a quelli che sono stati evocati (un tanto al chilo) sia in Commissione che probabilmente anche in quest'aula, ed inoltre dati assai più interessanti sui ricongiungimenti familiari di quelli che sono stati evocati in molte sedi ed anche sulla stampa.


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Sul mercato del lavoro, voglio dire semplicemente che, per il cosiddetto decreto-flussi del 2000, al 19 febbraio 2001 il saldo era zero, nel senso che tutti i canali che erano stati previsti, sia quelli dei flussi privilegiati, sia quelli delle singole categorie di lavoratori, stagionali, autonomi o subordinati a tempo indeterminato, erano stati correttamente e pienamente utilizzati attraverso non solo un lavoro sapiente delle direzioni regionali e provinciali del lavoro, ma anche attraverso soluzioni innovative che qui sono state del tutto dimenticate. Per esempio, il rapporto con l'Albania, l'utilizzazione dei progetti sperimentali dell'OIM che hanno consentito di creare meccanismi di trasparenza lì, in Albania, dove non c'erano gli uffici provinciali del lavoro e dove c'era certamente un livello di corruzione e di nepotismo assai pericoloso: si tratta di progetti che hanno consentito di far venire a lavorare in Italia cittadini albanesi sapendo esattamente il loro livello di professionalità e la destinazione che dovevano raggiungere. I programmi di informatizzazione, non solo sono stati realizzati, ma hanno avuto lì, nel cosiddetto «tavolo Puglia», il primo importante banco di prova. L'anagrafe informatizzata dei lavoratori extracomunitari non è una invenzione della legge Bossi-Fini, ma un'invenzione della legge Turco-Napolitano, e i governi di centrosinistra hanno avuto anche la sapienza e la pazienza di fare progetti sperimentali per applicarla correttamente.
Che dire dell'istituto dello sponsor? Sono state dette tante cose, ma voglio qui solo rilevare una contraddizione assoluta. Da una parte si avanza l'idea che il nostro paese abbia un disperato bisogno - ed è così - di assistenza agli anziani, ai disabili, in generale alla persona e alle famiglie attraverso il lavoro domestico; dall'altra parte si abolisce l'istituto dello sponsor sulla base di una posizione assolutamente preconcetta, non verificata, assolutamente ideologica e racchiusa nella frase detta in Commissione da un funzionario per cui il 60 per cento dei garanti era straniero. Ebbene, quel 60 per cento dei garanti, in ordine al quale non voglio assolutamente trascurare l'ipotesi che vi siano state delle degenerazioni, era in larghissima parte composto da colf e badanti, che stavano chiamando, perché avessero un rapporto diretto e di conoscenza con le famiglie, i propri familiari (sorelle, parenti) al fine di presentarli ai loro aspiranti datori di lavoro.
Infatti, riguardo al mercato del lavoro informale - quello delle piccole e piccolissime aziende e delle famiglie che hanno bisogno di mettersi in casa una persona conosciuta - è assolutamente risibile immaginare che il contatto possa avvenire attraverso le liste consolari; aggiungo che prevedere una sanatoria significa prendere atto dell'esigenza di regolarizzazione di queste posizioni, ma al tempo stesso escludere il principale canale di ingresso nel nostro paese di queste persone, in chiave di presenza legittima e regolare, significa dare un'ulteriore spinta alla clandestinità e alla irregolarità e candidarsi tra un anno o due a fare un altra sanatoria.
Ovviamente noi ci auguriamo che vi sia un ripensamento su tutti questi istituti e che vi sia un ragionamento, auspicabilmente più pacato e più sereno, su alcune di queste vicende che hanno colpito l'opinione pubblica. Un esempio per tutti è rappresentato dalla questione delle impronte digitali; abbiamo introdotto il sistema che prevede il prelievo delle impronte digitali per coloro che non sono identificabili, abbiamo presentato un emendamento affinché tale sistema possa diventare obbligatorio per chi non è identificabile, perché per noi la distinzione è e rimane una distinzione tra coloro che sono identificabili e coloro che non sono identificabili, non tra italiani e stranieri, tra cittadini di etnia indoeuropea o cittadini di etnia caucasica o di altre etnie: non può essere questa una ragionevole base di distinzione. Certamente non può essere il discrimine l'accesso nel nostro paese, per il quale noi dobbiamo fare i conti anche con misure di carattere europeo. Voglio ricordare che abbiamo proposto noi l'adesione dell'Italia al sistema Eurodac, così come abbiamo proposto noi l'estensione


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del sistema Eurodac agli immigrati clandestini, oltre che agli «asilanti», ma il presupposto era sempre l'applicazione della Convenzione di Dublino o la possibilità di identificazione certa degli stranieri che soggiornano in Italia e in Europa.
La base di distinzione la possiamo verificare o anche andare oltre il fatto che queste persone non abbiano un documento e, certamente, ci si può riferire - già sulla base della legge vigente - a coloro che hanno un documento falso, non autentico o, comunque, di incerta validità. Possiamo immaginare di estendere il sistema anche a coloro i cui documenti non sono facilmente leggibili. Gli inglesi nel 1700 introdussero una sistema di traslitterazione dei caratteri cinesi perché, assumendo la responsabilità di governare Hong Kong, vi era una difficoltà a capire i nomi e i cognomi dei cinesi. Ci possiamo anche spingere sulla base di un ragionamento verso nuove frontiere che sono quelle della identificazione materiale, ma la distinzione non potrà e non può essere, sulla base dei nostri principi ai quali non intendiamo rinunciare, sul fatto che si tratti di cittadini italiani o di altra nazionalità, di un colore della pelle o di un altro, di un'etnia piuttosto che di un'altra. La distinzione può essere fondata semplicemente su oggettive e sostanziali misure che concernono differenze altrettanto oggettive e sostanziali e che devono riguardare fatti di pubblica sicurezza inoppugnabili, non presunti ideologismi di bandiera.
Su questo noi siamo disposti ad un approfondimento; così sulla questione delle famiglie - perché anch'essa ha occupato la nostra attenzione oltre una certa misura al di fuori delle aule parlamentari - prevedere che i ricongiungimenti possano essere soltanto per un figlio significa incidere inesorabilmente sull'integrazione sociale di queste famiglie, significa provocare delle condizioni di separazione, di disagio all'interno di queste famiglie, significa aprire una voragine rispetto alla loro presenza precaria nel nostro paese, piuttosto che rispetto alla loro presenza stabile e assolutamente coerente con il nostro sistema sociale. Noi vogliamo che le famiglie siano tutelate nella loro interezza, non abbiamo nessun dubbio che alcuni elementi di ordine pubblico debbano essere valutati come imprescindibili e non stiamo parlando neanche per un momento di far accedere harem di varia o indigesta natura per la nostra cultura, il nostro modo di pensare o semplicemente per le regole del nostro codice penale.
Non riusciamo ad immaginare che si vada ad agire all'interno della famiglia, anche per il nostro modo di concepirla, prevedendo una separazione nei rapporti familiari; si tratta di una concezione inaccettabile della medesima, di una concezione inaccettabile del rapporto con gli stranieri, nonché di una misura assai negativa e dannosa, anche per le politiche di sicurezza nel nostro paese.
Signor Presidente, trovo, inoltre, davvero stravagante la proposta relativa all'asilo; se la ragione si rinviene nell'abuso di tale diritto, posso affermare che operano a fianco a noi l'ACNUR e le associazioni di volontariato che sono impegnate in questo settore perché l'abuso di tale diritto nega il diritto stesso. Sotto questo aspetto non vi può essere alcun tipo di accettazione di un utilizzo strumentale di un diritto universalmente riconosciuto. Prevedere anche in questo caso un meccanismo così superficiale ed approssimativo, che si pone al di fuori di un quadro normativo europeo, a prescindere dalle bozze di direttive su cui il nostro paese di recente ha posto una riserva, significa far fare all'Italia grandi passi indietro.
Non stiamo parlando di grandi numeri, ma di 3 mila persone, un'inezia! Stiamo svendendo i nostri diritti universali, la nostra civiltà per 3 mila «asilanti», vale a dire 3 mila persone che fuggono da guerre, persecuzioni razziali e politiche, perché non si riesce ad organizzare un sistema efficace e, soprattutto, perché si ritiene che si possa derogare, anche se in maniera procedurale, alle discipline delle convenzioni che abbiamo sottoscritto da molti


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anni (mi riferisco non solo alla Convenzione di Ginevra, ma anche al patto di New York).
Credo che questi passi indietro, che il nostro paese sta compiendo sul versante dei diritti umanitari, neghino la stessa radice storica, le stesse tradizioni e la stessa cultura del nostro paese; in merito a ciò, lanciamo ancora una volta un appello affinché il diritto di asilo venga trattato in una sede separata, poiché è un fattore di inquinamento legislativo e culturale prevederlo in questo provvedimento; costituisce, inoltre, uno sbaglio grossolano prevederlo in due articoli.
Le misure che avevamo previsto e che avevamo largamente condiviso prevedevano alcune procedure che consentivano di inibire domande manifestamente infondate, attraverso le procedure di pre-esame. In tale caso, invece, si salta ogni tipo di ragionamento e si chiudono le frontiere anche sulla base di un ragionamento assai pressappochista.
Su tale aspetto, signor Presidente, onorevoli colleghi, invoco la sensibilità di quanti in quest'aula, a cominciare dalla relatrice, ritengono che su questa causa - è una giusta causa - vi sia spazio, anzi ci debba essere spazio per un ragionamento diverso e migliore.
Dobbiamo ragionare sugli indirizzi europei e non dobbiamo consentire né l'abuso del diritto né lo shopping dell'asilo in Europa, perché tra i vari paesi vi sono trattamenti diversi. Dobbiamo impegnarci a rispettare le convenzioni che abbiamo sottoscritto, ma, soprattutto, quei diritti universali della persona umana dai quali, non solo non possiamo, ma credo che nessuno di noi voglia prescindere. Sul tale aspetto, pertanto, auspico un supplemento d'approfondimento.
Concludo, signor Presidente, affermando che il gruppo della Margherita non ha alcuna esitazione a dire che, se si vuole combattere contro l'illegalità, se si vuole fronteggiare ancora più efficacemente l'immigrazione clandestina, se si vuole combattere, senza quartiere e senza distinzioni, ogni forma di criminalità, il gruppo della Margherita stesso sarà presente in quest'aula per offrire un contributo, non credo determinante, ma sicuramente positivo.
Se si vogliono regolare meglio i flussi di ingresso nel nostro paese, anche in chiave di prevenzione, per dare risorse alle nostre aziende, perché vi possa essere un progetto di sviluppo (soprattutto dove vi è carenza di manodopera), saremo pronti ad accogliere le istanze che miglioreranno il sistema, rendendolo più semplice, efficace e, soprattutto, rendendo questa manodopera immediatamente disponibile.
Se si vuole realizzare un progetto di migliore integrazione sociale degli stranieri nel nostro paese, a servizio dei nostri principi, ma a presidio della sicurezza anche degli italiani, il gruppo della Margherita sarà, anche in tale caso, pronto ed aperto ad ogni tipo di ragionamento.
In ordine ai diritti umanitari, mi auguro che vi sia un ripensamento, perché cominciare ad introdurre deroghe e riserve sui principi umanitari, significa, per chi ha fede, rinunciare ai principi ispiratori della propria fede, ma per chi attua semplicemente una politica etica, ciò significa far sprofondare il nostro paese in un passato assai lontano, nel quale queste discussioni trovavano ingresso, dal momento che vi era una democrazia assai più debole di quella che oggi è invece qui presente, attraverso un popolo italiano assai più consapevole.
Mi auguro che questi ripensamenti ci siano e che l'esame degli emendamenti, in sede di Comitato dei nove, possa trovare ragionevole accoglimento, laddove questi principi vengono osservati. In caso contrario, dovremmo ricorrere al rischio di immaginare che, dopo una legge di centrosinistra, ve ne sarà una del centrodestra, e successivamente una del centrosinistra.
Credo tuttavia che non si tratti di un bel modo, né tanto meno di un modo saggio, di affrontare le questioni che non riguardano né la destra né la sinistra, ma la dignitosa vita delle nostre istituzioni e della rappresentanza del nostro paese nel


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mondo. (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Non vi sono altri scritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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