Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 138 del 6/5/2002
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Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51, concernente disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all'immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera (2608) (ore 17,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51, concernente disposizioni urgenti


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recanti misure di contrasto all'immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2608)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Informo che il presidente del gruppo parlamentare dei Democratici di sinistra-l'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Ha facoltà di parlare la relatrice, onorevole Bertolini.

ISABELLA BERTOLINI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, il provvedimento in esame recante misure di contrasto all'immigrazione clandestina e garanzie per i soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera introduce modifiche alla disciplina dettata dagli articoli 12 e 13 del testo unico in materia di immigrazione, la cosiddetta legge Turco-Napolitano, relativamente al trattamento dei mezzi di trasporto utilizzati dai trafficanti che operano nel settore dell'immigrazione clandestina, nonché in tema di convalida dei provvedimenti di accompagnamento alla frontiera adottati nei confronti degli immigrati clandestini.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO MUSSI (ore 18,00)

ISABELLA BERTOLINI, Relatore. Come è illustrato nella relazione governativa, le modifiche alla disciplina concernente i mezzi di trasporto sequestrati nel corso delle operazioni di polizia finalizzate alla prevenzione e repressione del traffico illegale di immigrati, apportate dall'articolo 1, si rendono necessarie davanti al continuo flusso sul territorio nazionale di immigrati clandestini che giungono in Italia dopo aver sostenuto viaggi in condizioni estremamente precarie sul piano della sicurezza e dell'igiene che, presumibilmente, sarà destinato a subire un incremento in concomitanza della prossima stagione estiva.
Tali modifiche, oltre ad offrire un segnale di dissuasione al fenomeno del traffico di immigrati clandestini, rispondono all'esigenza di eliminare le considerevoli spese connesse alla custodia dei natanti, spesso privi dei requisiti di attitudine alla navigazione.
A tal fine, l'articolo 1, sostituisce con quattro nuovi commi, il comma 8-bis dell'articolo 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e in particolare si prevede, con riguardo ai mezzi sequestrati, che, nell'ipotesi in cui nessuno presenti istanza di affidamento, siano distrutti secondo quanto previsto dall'articolo 301-bis, comma 3, del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, che recita che, anche nel caso in cui non vi sia alcuna istanza di affidamento in custodia giudiziaria ai sensi del comma 1, i beni sequestrati siano ceduti ai fini della loro rottamazione, termine che verrà modificato da questo decreto-legge, mediante distruzione sulla base di apposite convenzioni.
Attraverso l'introduzione dei nuovi commi 8-ter e 8-quater si prevede che la distruzione dei suddetti mezzi possa essere direttamente disposta dal Presidente del Consiglio dei ministri o da autorità da lui delegata, richiedendosi comunque il nulla osta dell'autorità giudiziaria e l'indicazione, nello stesso provvedimento, delle modalità di esecuzione della distruzione. Si prevede inoltre la distruzione di tutti i mezzi confiscati e non assegnati ad organismi pubblici.
Nel corso dell'esame in sede referente, è stata accolta la condizione espressa nel parere adottato dal Comitato per la legislazione attraverso l'inserimento, nel nuovo comma 8-quinquies dell'articolo 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione, ovvero


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della legge Turco-Napolitano, di un'ulteriore disposizione con la quale si prevede, ai fini della determinazione dell'eventuale indennità da corrispondere all'avente diritto in caso di sequestro dei mezzi per i quali si sia proceduto alla distruzione, l'applicazione del comma 5 dell'articolo 301-bis del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale.
Il secondo profilo di intervento nel presente disegno di legge è teso, così come illustrato nella relazione governativa, ad assecondare l'orientamento già manifestato dalla Corte costituzionale nella sentenza del 22 marzo 2001, n. 105, nella quale la Corte ha affermato che l'accompagnamento alla frontiera inerisce alla materia regolata dall'articolo 13 della Costituzione, in quanto presenta quel carattere di immediata coercizione che qualifica, per costante giurisprudenza costituzionale, le restrizioni della libertà personale.
Con l'articolo 2 del provvedimento in esame si procede pertanto alla modifica dell'articolo 13 della legge Turco-Napolitano, attraverso la previsione della convalida da parte dell'autorità giudiziaria dei provvedimenti di accompagnamento alla frontiera adottati nei confronti degli immigrati clandestini.
Attraverso l'approvazione di un emendamento, nel corso dell'esame in sede referente, si è modificato il testo iniziale, prevedendo che il provvedimento di convalida sia adottato dal tribunale in composizione monocratica territorialmente competente, anziché, come era previsto, dall'ufficio del procuratore della Repubblica. La modifica apportata all'articolo 13 del testo unico prevede così che nei casi previsti ai commi 4 e 5 dell'articolo 13 - ossia in caso di esecuzione dell'espulsione tramite accompagnamento alla frontiera - il questore, che è l'autorità competente ad eseguire l'espulsione, comunichi al tribunale in composizione monocratica territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera, che è comunque immediatamente esecutivo. Alla comunicazione si deve provvedere immediatamente e comunque al massimo entro 48 ore dall'adozione del provvedimento stesso; entro le successive 48 ore il tribunale in composizione monocratica, previa verifica della sussistenza dei requisiti, convalida o meno il provvedimento. Considerate l'importanza e l'urgenza delle questioni affrontate dal disegno di legge di conversione, se ne raccomanda una sollecita approvazione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento. Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Bellillo che era iscritta a parlare: si intende vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Zanettin. Ne ha facoltà.

PIERANTONIO ZANETTIN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, il decreto-legge oggi all'esame di questo ramo del Parlamento si è reso necessario a seguito di una pronuncia della Corte costituzionale, la n. 105 del 10 aprile 2001. Vale la pena di ricordare che con tale decisione la suprema Corte ha stabilito che il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea e l'accompagnamento alla frontiera - istituti entrambi previsti dal testo unico sull'immigrazione - sono misure incidenti sulla libertà personale e che, come tali, non possono essere adottate al di fuori delle garanzie previste dall'articolo 13 della Costituzione.
La Consulta, pur avendo individuato le due ipotesi e avendole ricondotte all'ambito delle misure restrittive della libertà personale, ha affrontato soltanto la tematica concernente il trattenimento presso il centro di raccolta temporanea e il successivo accompagnamento coattivo alla frontiera e ha ritenuto che, in questo caso, le garanzie richieste dall'articolo 13 della Costituzione siano rappresentate dalla


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prevista convalida del giudice, la quale avrebbe per oggetto non solo la permanenza presso il centro, ma anche il successivo accompagnamento coattivo.
Invece, la Corte non si è occupata del problema concernente l'accompagnamento alla frontiera, perché giudicato non rilevante in ordine alla decisione dei giudizi in corso. Era tuttavia evidente, proprio sulla base delle premesse poste dalla sentenza, l'illegittimità costituzionale della disciplina dell'accompagnamento alla frontiera, per il quale il testo unico non prevedeva alcuna forma di tutela giurisdizionale, trattandosi di un'ipotesi di privazione della libertà individuale. È stata proprio questa la fattispecie oggetto dell'intervento governativo con l'introduzione della convalida del provvedimento da parte del procuratore della Repubblica, nel testo originario del decreto-legge, e del tribunale in composizione monocratica, nel testo base oggi in discussione, a seguito di un emendamento votato in Commissione di merito.
La previsione di garanzie nei confronti di misure incidenti sulla libertà personale non può ovviamente che essere valutata positivamente. Chi parla appartiene alla schiera dei garantisti sempre e comunque. Se affermiamo di essere liberali - e molti in questo Parlamento, in diverse e alterne occasioni, dichiarano, anche da parti avverse, di esserlo - dobbiamo evidentemente plaudere ad iniziative legislative che riconoscano anche ai soggetti deboli della società - e tali indubitabilmente sono gli immigrati di origine extracomunitaria - gli stessi istituti di civiltà giuridica, vanto e patrimonio della nostra cultura nazionale.
Nel caso in esame, il Parlamento va dunque a sanare una lacuna dell'ordinamento giuridico ed a riconoscere maggiori diritti di tutela ai destinatari di provvedimenti restrittivi della libertà personale e questo è sicuramente positivo.
Sarebbe, tuttavia, in futuro, auspicabile che provvedimenti di contenuto similare fossero frutto di una profonda ed attenta sensibilità parlamentare, e non la conseguenza di ammonimenti o richiami della suprema Corte. Ma il decreto-legge all'esame non si occupa soltanto di giurisdizionalizzare il procedimento relativo all'accompagnamento alla frontiera. Esso disciplina anche il sequestro dei mezzi di trasporto utilizzati per l'immigrazione clandestina.
Viene ora previsto - ricorrendo alle nuove disposizioni del testo unico in materia doganale - che qualora non siano state presentate istanze di affidamento dei mezzi, si proceda alla loro distruzione. Va ricordato, a tale proposito, che tali mezzi non possono essere alienati, al fine di evitare che possano essere nuovamente utilizzati per attività criminose.
La ratio della modifica normativa proposta dal Governo va rinvenuta nell'esigenza di evitare che la funzionalità dei porti o dei depositi ove sono collocati le imbarcazioni e gli automezzi sequestrati, venga paralizzata dal gran numero di natanti e automezzi, di cui nessuno si cura più e dalla sorte incerta, ma che, in passato, nessuno poteva eliminare. Si tratta di un'esigenza di natura pratica che mi pare possa essere tranquillamente condivisa.
Su temi come questo - la cui valenza politica è pressoché nulla - sarebbe forse auspicabile che entrambi gli schieramenti potessero responsabilmente trovare un'intesa. Farebbe bene a tutti, in particolare, al paese. In tal senso, questa maggioranza è pronta a fare la sua parte, recependo, se plausibili, anche le proposte dell'opposizione.
Sul tema dell'immigrazione, peraltro, si deve aprire un confronto in Parlamento e nel paese in modo pragmatico e non ideologico. Il tema dell'immigrazione - e con esso quello dell'ordine pubblico - costituisce, in questo momento, forse l'argomento di maggiore impatto sull'opinione pubblica e, nel contempo, lacera profondamente i tessuti sociali e politici dei paesi occidentali. L'angoscia e l'insicurezza, determinate dalla diffusa percezione di una crescente pressione demografica, dalla congestione multietnica, dalla microcriminalità - gestita, in larga misura, da immigrati clandestini -, stanno generando fenomeni preoccupanti ed addirittura, in


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taluni casi, la disintegrazione dei rapporti politici tradizionali nei paesi occidentali. Non possiamo dimenticare la lezione delle recenti elezioni presidenziali francesi che hanno visto, al primo turno, un indubbio successo di Le Pen e del suo Front National. Per fortuna, tale fenomeno è stato arginato nella giornata di ieri, in sede di ballottaggio, ma alcuni indizi preoccupanti sono emersi anche in occasione delle elezioni amministrative in Gran Bretagna che hanno visto, per la prima volta, alcuni seggi municipali assegnati ad una formazione di estrema destra.
Il successo di queste formazioni estremiste proviene proprio da quelle fasce sociali più deboli che si sono sentite tradite da partiti di sinistra che tradizionalmente le proteggevano e che ora non lo fanno più. La politica fallimentare dei Governi europei di centrosinistra - autentica lobby pro immigrazione - ha portato a queste conclusioni. Non possiamo nascondere che il fenomeno, in assenza di una politica seria sull'immigrazione, fino ad oggi mancata, rischia di esplodere anche in Italia. Se rivolgiamo domande per i sondaggi d'opinione ai nostri connazionali sul tema dell'immigrazione, i risultati sono spesso ambivalenti. Quando le domande sono generiche, le risposte sono, in genere, rassicuranti e confermano scontate parole d'ordine: gli immigrati sono necessari perché fanno i lavori che i nostri giovani rifiutano; è giusto e necessario accoglierli ed integrarli. Vi è una condanna assoluta e sdegnata del razzismo e della xenofobia. Ma se i quesiti posti sono più specifici, cogliamo nei nostri concittadini ansia, allarmismo ed insoddisfazione per l'incapacità della classe politica di porre rimedio ad un disordine dilagante e di tutelare la sicurezza sociale. Sono proprio i più deboli coloro che ci chiedono aiuto; è questa la responsabilità a cui siamo chiamati.
Il Governo - il Presidente Berlusconi - peraltro non intende sottrarsi agli impegni presi con i propri elettori. Infatti, a breve, saremo chiamati a discutere il disegno di legge, già approvato dal Senato, che modifica la normativa attualmente vigente in materia di immigrazione ed asilo. Sarà in quella sede che andremo ad approfondire i vari dettagli del provvedimento e replicheremo ancora, nel merito, alle demagogiche critiche che provengono dalla sinistra e da un certo mondo cattolico. Vogliamo dire, in ogni caso, già oggi, che non accetteremo le critiche ideologiche di una sinistra che si trincera dietro un buonismo di maniera, si entusiasma per il melting pot e per il multiculturalismo, ma nasconde anche al suo elettorato il fallimento della sua politica sull'immigrazione.
Gli obiettivi che la Turco-Napolitano si poneva sono falliti in modo inequivocabile: mancata la politica delle quote; fallimentare la repressione dello sfruttamento criminale dei clandestini; del tutto inefficace il controllo sulla clandestinità. È su questi punti che opereremo una riforma organica, capace di dare finalmente ordine al fenomeno dell'immigrazione, basata su alcuni principi basilari, a nostro giudizio, irrinunciabili.
In primo luogo, la legislazione deve favorire l'immigrato che viene in Italia per fuggire dalla povertà nel paese di origine e con l'intenzione di lavorare onestamente. A questi deve essere garantita l'integrazione sociale, che va favorita. A tal fine, il visto ed il permesso di soggiorno vanno rilasciati soltanto a fronte della documentata disponibilità di adeguate fonti di sostentamento.
In secondo luogo, vanno eliminati quegli istituti che, fino ad oggi, hanno consentito l'aggiramento della normativa sulle quote e va adottata una linea di assoluta severità di repressione nei confronti dell'immigrato che commette reati e del cittadino italiano che favorisce o sfrutta l'immigrazione clandestina (peraltro, su questo punto, ho notato un interessante intervento di Francesco Rutelli, il quale condivide la scelta di una linea dura nei confronti dei crimini commessi anche dagli immigrati; peccato che il centrosinistra non abbia fatto proprio tale metodo negli anni del suo Governo!). Inoltre, occorre flessibilità. È del tutto ovvio che la richiesta di lavoro del nord-est, area di provenienza


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di chi vi parla, presenta caratteristiche molto diverse da quelle del meridione d'Italia.
Un ulteriore elemento è costituito dalla consapevolezza che la disponibilità ad integrarsi, piaccia o non piaccia, non è la stessa per tutti gli immigrati, ma è una variabile dipendente dal paese e dalla cultura di provenienza.
Ci attende, di fronte al paese, un confronto politico e parlamentare al quale non intendiamo sottrarci. Siamo convinti che, di fronte al fenomeno dell'immigrazione, per certi versi epocale, questo Governo e questa maggioranza dimostreranno di saper operare bene, di avere la capacità di adottare misure legislative e amministrative che sapranno interpretare i bisogni del nostro paese e, nel contempo, saranno in grado di evitare che si sviluppino, in modo incontrollato, sentimenti di razzismo e xenofobia che sono estranei al nostro tessuto culturale. La ringrazio, signor Presidente.

PRESIDENTE. È iscritto parlare l'onorevole Sinisi. Ne ha facoltà.

GIANNICOLA SINISI. Signor Presidente, dopo averlo già fatto in Commissione, intervengo per svolgere anche in Assemblea, in maniera aperta, non ideologica ed assolutamente pragmatica e coerente con il lavoro svolto nei passati cinque anni, alcune considerazioni sulla lettera della legge, sui suoi obiettivi e sui modi attraverso i quali questi possono essere realizzati, al fine di contestare tutte le accuse di equivocità che ancora oggi, in qualche misura, vengono mosse al centrosinistra e, in particolare, al gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo.
Non sussiste e non può sussistere equivoco alcuno sull'azione che abbiamo svolto e sulla nostra volontà di colmare una grave lacuna che il paese presentava: abbiamo sempre voluto dare all'Italia norme, strumenti, organizzazioni e relazioni internazionali necessari per governare il fenomeno dei flussi migratori!
Un'altra accusa, che periodicamente (ancora oggi, un po' tardivamente) ci viene mossa, anche alla luce degli avvenimenti sotto gli occhi di tutti, è quella di fallimento. Ma io penso che il fallimento stia nel non avere assicurato continuità all'azione politico amministrativa da noi sviluppata negli ultimi cinque anni: è questo, infatti, il risultato di questo primo anno di Governo del centrodestra.
Noi non abbiamo alcuna indulgenza - né l'avremo e nemmeno ci siamo ispirati ad essa in passato - non soltanto nei confronti di coloro che vengono nel nostro paese per commettere crimini, ma anche di coloro che intendono trasferire quote di violenza dai paesi di provenienza. Ci rendiamo perfettamente conto del disagio che queste immissioni di violenza, anche culturale, provocano nelle nostre comunità. Ci rendiamo perfettamente conto che, quando alla nostra si aggiunge la criminalità d'importazione, il limite di saturazione dei nostri cittadini, il limite di saturazione di un paese civile, viene facilmente raggiunto. Perciò, ribadisco che, sul versante della lotta alla criminalità, sia essa straniera o italiana, e su quello del contrasto ad ogni forma di violenza (dalla maleducazione alla criminalità organizzata), è possibile ricercare un'intesa - sulla base non di concessioni della maggioranza, ma di proposte che noi siamo in grado di formulare - perché non ci troverete mai pregiudizialmente ostili.
Ci troverete assolutamente ostili rispetto al retrogusto culturale di alcuni provvedimenti che, invece di contrastare ogni forma di criminalità, mirano a contrastare i rapporti, che devono sussistere in un paese civile tollerante, tra cittadini e stranieri; ci troverete pregiudizialmente ostili nei confronti di ogni provvedimento che voglia solo discriminare i soggetti sulla base della loro nazionalità e non sulla base della qualità del contributo che essi possono dare al nostro paese. In definitiva, ci troverete ostili anche alla concezione dell'immigrato come risorsa, perché siamo convinti che l'immigrato sia una persona e come tale vogliamo che venga trattato, perché vogliamo che come persone vengano trattati innanzitutto gli italiani.


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E se vogliamo aprire un dibattito su quelli che sono stati i risultati del Governo nei cinque anni passati, sono disposto a confrontarmi sui numeri e sui risultati in qualsiasi sede. Vale la pena in questo caso - posto che il collega Zanettin ne ha fatto un riferimento esplicito - parlare della gestione delle quote. Allora, vi posso dire che per la gestione delle quote i dati sono quelli della documentazione della programmazione triennale che sono dati ufficiali pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale. Nonostante la legge sia entrata in vigore alla fine del marzo del 1998, alla fine del 1999 avevamo trovato quasi perfettamente la quadratura dei rapporti tra autorizzazione al lavoro, visti di ingresso e permessi di soggiorno, perché la sfasatura derivava solo dai diversi termini entro i quali ciascuno di questi atti amministrativi veniva a svolgersi nel tempo. I dati sono lì, non li riporto perché non credo sia utile riportare i dati della Gazzetta Ufficiale, ma sono lì; vale invece la pena ricordare che già quest'anno, su iniziativa del ministro del welfare, del quale possiamo anche riconoscere la simpatia ma non certamente l'abilità nella gestione dei flussi migratori, si sono succeduti due provvedimenti che hanno portato i lavoratori stagionali prima a 33 mila unità poi a 53 mila, al di fuori di qualsiasi quadro programmatorio, rispondendo semplicemente a regole provvisorie di mercato, in assenza di qualsiasi programmazione.
Mi voglio inoltre spendere per parlare, con qualche riferimento che può essere utile, degli elementi in base ai quali noi invece abbiamo proceduto alla programmazione, attraverso la rilevazione del fabbisogno (tramite le direzioni regionali del lavoro), attraverso i dati regionali degli enti territoriali, attraverso un'analisi dei dati forniti dal CNEL, dalle parti sociali, dalle organizzazioni del privato sociale, del volontariato. Si va dalla richiesta di lavoratori stranieri da fornire all'impresa agli studi sulle job vacancies, dalla richiesta di lavoratori nell'alta tecnologia, forniti dal Ministero dell'industria, dall'Assinform, alle rilevazioni del fabbisogno degli operatori sanitari fatte dal Ministero della sanità, alla domanda dei servizi alla persona del lavoro domestico, fatta anche attraverso gli enti informali, all'eccesso di domanda delle imprese rispetto alle quote dell'ultimo decreto flussi e quindi alla velocità di esaurimento delle quote previste dagli stessi decreti. Dico ciò soltanto per rilevare quanti sono stati gli elementi tenuti in considerazione per definire positivamente le quote e vi risparmio quanti sono gli studi e gli elementi che abbiamo analizzato per individuare i fattori decrementali, per arrivare a dire che comunque bisognava soddisfare parzialmente la domanda al fine di non inquinare i rapporti di lavoro interni al nostro mercato del lavoro, i rapporti nord-sud, le aspettative dei lavoratori stranieri già in Italia, e così via dicendo, compresi gli effetti della regolarizzazione.
Sono orgoglioso di questo lavoro e credo che sia stato un lavoro importante del quale il nostro paese ha potuto menar vanto in Europa, in quell'Europa che non solo non è una lobby dell'immigrazione, ma è una comunità responsabile che ha voluto svolgere politiche di alto profilo, pur dovendo scontare il prezzo di situazioni assai diversificate da paese a paese, dalle chiusure della Germania e dell'Inghilterra, che erano però nascoste, con una larghissima disponibilità all'asilo, alle chiusure della Francia, con una larghissima disponibilità al riconoscimento della cittadinanza, e così via.
Dico ciò soltanto per onore di verità, oltre che per dire che su questo provvedimento - signor Presidente, rappresentante del Governo e onorevoli colleghi - non c'era, non c'è e non ci sarà nessuna pregiudiziale opposizione.
Difatti, sulla questione dei sequestri dei mezzi utilizzati in occasione dei traffici di esseri umani, ci siamo battuti non solo nel nostro paese, ma anche all'estero, affinché queste misure venissero adottate; esse sono state adottate ed infatti state lavorando proprio su provvedimenti da noi individuati, ivi compresa l'esigenza di non consentire la restituzione dei beni sequestrati, proprio per evitare il pericolo (che è stato legittimamente ravvisato) di un


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reimpiego degli stessi mezzi in un'attività criminale. La norma, pertanto, è stata introdotta - ed anche ben volentieri - proprio con l'obiettivo di sottrarre non soltanto risorse, ma anche mezzi alle attività criminali.
Ci siamo anche battuti, all'epoca, con un paese difficile come l'Albania, affinché anche loro adottassero un provvedimento di carattere generale e astratto, che consentisse il sequestro preventivo dei mezzi impiegati per il traffico illecito (i famigerati gommoni), quando ancora si trovavano sulla terraferma; un provvedimento che proprio i funzionari di polizia, che avevamo inviato in Albania, hanno potuto suggerire a quel Governo, che ovviamente ha accettato nella libertà di determinazione delle proprie politiche, certamente favorito dalla collaborazione che eravamo riusciti a raggiungere.
Ho detto ciò, proprio per fornire un ulteriore elemento giustificativo al fatto che non c'è, non ci può essere e non ci sarà alcuna pregiudizialità nei confronti di ogni iniziativa rivolta a combattere con fermezza ogni forma di criminalità utilizzata al fine di portare nel nostro paese non solo quote aggiuntive di clandestini, bensì anche volta ad arricchire le organizzazioni criminali, che possono utilizzare quei profitti anche in altri settori.
Tuttavia, permettetemi di dire che i due articoli, che compongono il provvedimento di cui ci stiamo occupando, hanno ambizioni assai modeste. Mi sembra infatti in questo momento un eccesso di zelo - anche da parte di noi parlamentari - affidare a questo decreto-legge la lotta all'immigrazione clandestina o alla grande criminalità organizzata, che svolge il traffico di clandestini.
In realtà il primo articolo vuole colmare una lacuna - ammesso che vi sia -, che si coglierebbe nelle more della definitività del provvedimento di confisca e comunque già, allo stato attuale, la normativa vigente non consente l'alienazione di quei beni ma la loro distruzione, ma che nel frattempo ingombrano i nostri porti e i nostri depositi. Questa è, pertanto, la finalità dell'articolo 1. La soluzione che viene suggerita è, come ho avuto modo di dire anche in Commissione, una soluzione sbagliata per due motivi: in primo luogo, si cancella dal nostro ordinamento giuridico la possibilità di alienazione di beni diversi dai mezzi di trasporto e poiché non solo è verosimile ma è stato già accertato che in molte occasioni il prezzo del trasporto viene conferito non in denaro (per il quale vi è un regime a parte), bensì attraverso gioielli, preziosi di famiglia, piccoli oggetti e monili di pregio, anche di questi beni si prevede la distruzione o il conferimento alle forze di polizia, posto che il regime viene cancellato; pertanto, nell'assenza di quel comma 8-ter (se ricordo bene) che ne risulta così - un po' superficialmente - abrogato, questo regime non vi sarà più per i beni diversi dai mezzi di trasporto.
Ci troviamo, quindi, in una situazione assai paradossale, per la quale certamente non vale la pena evocare la disciplina della gestione dei beni confiscati, perché quella riguarda la gestione provvisoria e definitiva di quei beni. Ma il regime che si individua in via generale è quello della distruzione ovvero dell'affidamento alle forze di polizia.
Tanto basterebbe a rivelare la necessità di percorrere una strada differente, salvaguardando la possibilità di alienazione dei beni diversi dai mezzi di trasporto. Tra l'altro, con i proventi derivanti dall'alienazione di tali beni si finanzia un fondo finalizzato al contrasto della criminalità organizzata che gestisce il traffico di esseri umani; quindi, eliminando tale possibilità di alienazione, si sottrarrebbero anche risorse a questo specifico fondo previsto dal medesimo articolo.
Inoltre, ritengo sbagliata anche la scelta amministrativa, ovverosia l'affidamento al Presidente del Consiglio dei ministri della potestà di disporre la distruzione di questi beni, financo fissandone le modalità. Già immaginare che un'autorità politica di Governo possa compiere atti amministrativi di tale natura credo rappresenti una misura assai singolare, ma mi domando, di fronte ad un peschereccio, cosa questa potrà fare: delegherà il fabbro ferraio di


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Lampedusa? Esistono certo alcune autorità amministrative che sono delegate a svolgere funzioni di questa natura, ma solo quando si tratta di applicare sanzioni amministrative, e non certo quando si tratta di procedere alla distruzione di beni sequestrati nell'ambito di un procedimento penale. Il problema si sarebbe potuto risolvere dettando una norma che imponesse all'autorità giudiziaria di provvedere immediatamente alla distruzione dei mezzi di trasporto non affidati e richiamando la disciplina in materia di contrabbando in caso di assoluzione del soggetto indagato (con la possibilità, quindi, di riconoscere a colui che venisse poi assolto nel procedimento penale un'indennità).
Anche il secondo articolo riguarda una misura assai modesta. La Corte costituzionale, se non vado errato con la sentenza n. 105 del 2001, si è pronunciata sulla questione della legittimità dei cosiddetti accompagnamenti coattivi. In un obiter dictum ha suggerito al Parlamento, al legislatore, di dare una copertura giurisdizionale e costituzionale più ampia a questi provvedimenti. La questione ci era già nota, perché i primi ricorsi vennero sollevati oltre un anno e mezzo fa, in particolare dall'autorità giudiziaria di Milano. Come noto, però, la Corte costituzionale ha rigettato quei provvedimenti, e quindi il quadro costituzionale è risultato invariato. In regime di prudenza la Corte ha quindi suggerito al presente Governo una misura di garanzia rafforzata, quella cioè di dare una copertura giurisdizionale ai provvedimenti di accompagnamento coattivo. Avevamo letto anche noi la dottrina esistente a proposito di tali misure. Tra l'altro, giusto per simpatia, ricordo che uno dei commentatori è stato - sul commentario Scialoja Branca - il Presidente Amato, che si è espresso proprio a favore di una copertura giurisdizionale e costituzionale di tali provvedimenti. Io ne ero il consulente e ritenevo diversamente. Ad ogni buon conto, aperta e chiusa questa parentesi di colore dottrinale, debbo dire che la soluzione che è stata adottata originariamente, ma anche quella che è stata adottata successivamente in Commissione, non persuadono. Noi, come è stato anche evocato questa mattina in un'intervista al presidente della Margherita Francesco Rutelli, abbiamo detto che vogliamo che le espulsioni siano immediate ed infatti abbiamo lavorato in questa direzione introducendo, per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico, l'espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera. Credo che ricorderemo tutti come prima della legge Turco-Napolitano tale misura fosse inesistente, se non per ragioni di sicurezza dello Stato, ed essa sia stata introdotta proprio perché ci rendevamo conto che non si poteva affidare alla mera volontarietà dell'espulso l'abbandono del territorio nazionale. Debbo però dire che prevedere in via generale una convalida di tali provvedimenti da parte, inizialmente in modo del tutto irrituale, del procuratore della Repubblica, che non ha competenze di alcun genere in materia di libertà personale, ed oggi da parte del giudice del tribunale in composizione monocratica, su richiesta del questore, sembra rappresentare anch'essa un'anomalia del sistema che non serve né a lavarsi la coscienza né a mettere in ordine le carte.
Infatti, per quanto riguarda l'adozione dei provvedimenti di accompagnamento coattivo, o ricorriamo al semplice meccanismo dell'autorizzazione del giudice, in un quadro costituzionale coerente con le disposizioni del codice di procedura penale o, altrimenti, dobbiamo immaginare o pretendere che, se si tratta (così come si ritiene) di un provvedimento afferente alla libertà personale dei cittadini, la richiesta non possa essere avanzata dall'autorità di pubblica sicurezza, ma debba essere avanzata dal procuratore della Repubblica.
Come vedete, queste mie osservazioni vogliono semplicemente salvaguardare il quadro normativo e dare coerenza alle misure che stiamo per adottare, per evitare che il nostro paese si privi di strumenti indispensabili nella lotta alla criminalità organizzata che svolge traffici di esseri umani e per far sì che il quadro delle garanzie costituzionali sia coerente (ci accontenteremmo anche di un quadro minore rispetto a quello che avete proposto,


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purché sia coerente). Crediamo che il sistema non possa sopportare improvvisazioni e riteniamo che, se le proposte formulate alla fine dovessero subire, a loro volta, secondo la legge del contrappasso, un blocco a seguito di un vaglio di costituzionalità, ci troveremmo dinanzi ad una situazione assai grave per nostro paese.
Sarebbe altrettanto grave che quelle misure, regolarmente adottate, dovessero portare poi ad una paralisi degli uffici giudiziari e dovessero ostacolare l'azione delle autorità di pubblica sicurezza, che si troverebbero a gestire fascicoli di una natura non precisata e che, in caso di mancata convalida del provvedimento, si troverebbero esposte a sanzioni disciplinari, se non addirittura a procedimenti di natura penale.
Vorrei che nel nostro paese le forze dell'ordine potessero operare serenamente, in un quadro di certezze e non in un quadro di scorciatoie e di ambiguità. Un provvedimento immediatamente esecutivo prima della convalida rappresenta una scorciatoia e corrisponde ad una ambiguità in merito all'individuazione del soggetto titolare di quella misura. È una scorciatoia perché, se si pretende che vi sia una copertura giurisdizionale di rango costituzionale, non si può conferire tale potere a prescindere dal provvedimento dell'autorità giudiziaria.
Viceversa, se si ritiene che questo provvedimento sia indispensabile, non se ne può affidare la responsabilità alle sole forze dell'ordine, che si troverebbero gravemente esposte dinanzi ad una valutazione successiva dell'autorità giudiziaria, la quale, certamente, non delibererebbe sulla base di un mero dispetto, ma secondo i principi di legittimità, in base alla valutazione generale del suo essere autorità autonoma e indipendente e, quindi, a prescindere dalle conseguenze del proprio atto.
Questa paralisi che si potrebbe generare produrrebbe un effetto assai deteriore proprio sull'azione di contrasto alla criminalità organizzata che si occupa di questi traffici. Questa seconda misura arrecherebbe un grave danno, anche rispetto alla possibilità di far operare efficacemente le nostre forze dell'ordine.
Per questo motivo in Commissione abbiamo avanzato alcuni suggerimenti e in questa sede abbiamo proposto alcuni emendamenti. Non soltanto auspichiamo che questi emendamenti vengano valutati ed accolti, ma ci auguriamo di non sentire dire mai più che siamo su fronti diversi, in base al diverso atteggiamento tenuto nei confronti dell'immigrazione.
Per quanto riguarda la lotta contro la criminalità, siamo sullo stesso versante e, anzi, con un pizzico di orgoglio posso dire che il nostro paese ha fatto molti passi in avanti. Non è una grande operazione denunciare che negli anni passati su questo versante vi è stato un fallimento del nostro paese; ciò fa parte di quel masochismo un po' italiano, che è servito a metterci tante volte in ridicolo innanzi alle autorità degli altri paesi.
Credo che, sul versante della lotta alla criminalità ed alla clandestinità, abbiamo fatto molti passi in avanti e vogliamo farne ancora altri. Tuttavia, non vogliamo e non possiamo accettare scorciatoie rispetto al nostro sistema costituzionale.
Crediamo che la libertà e la democrazia nel nostro paese si affermino attraverso le regole, non attraverso le improvvisazioni. Lo crediamo perché queste garanzie serviranno non soltanto a rendere il nostro paese migliore, ma a fare in modo che in futuro anche i nostri figli siano liberi ed orgogliosi di stare in un paese nel quale non si è mai svolta alcuna improvvisazione rispetto alle garanzie. Qui misureremo il nostro essere garantisti sul serio, qui misureremo i nostri veri intendimenti.
Mi auguro non di essere ascoltato, perché questo sarebbe davvero poca cosa, ma che il dialogo su questi temi sia sincero e serva ad aprire un capitolo nuovo sulle questioni delle politiche immigratorie nel nostro paese. In questo senso cercheremo di dare il nostro contributo con la serenità, con la completezza dei nostri argomenti e con la disponibilità a ragionare, ma anche a denunciare quelle tante occasioni in cui si è fatta una propaganda


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che non ha fatto bene né all'Italia, né agli italiani (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leoni. Ne ha facoltà.

CARLO LEONI. Signor Presidente, pensavo di suggerire un lieve cambiamento nella struttura dell'aula: aggiungere sotto l'orologio, dove sono indicati il giorno ed il mese, anche l'anno. Altrimenti alcuni, come il collega Zanettin, possono confondersi e pensare che siamo al 6 maggio 2001, cioè a cinque giorni dal voto, non solo in piena campagna elettorale, ma nel rush finale, cioè nel momento in cui si spendono gli argomenti propagandistici più spinti: la sinistra europea come una grande lobby pro immigrazione; il fallimento della legge Turco-Napolitano.
Collega Zanettin, siamo nel 2002. Voi governate da circa un anno e lei, nel suo intervento, non ha potuto citare neanche un atto assunto dal Governo che lei sostiene di contrasto alla clandestinità o di intervento concreto sul tema dell'immigrazione per il semplice fatto che non ne avete compiuti. Avete evitato di emettere l'annuale decreto sulla programmazione dei flussi; nessun nuovo centro di assistenza temporanea è stato costruito; di accordi bilaterali con i paesi da cui provengono gli immigrati ve ne sono, mi pare, soltanto due in più.
Ci vorrebbe - se ne parla troppo poco - un'azione di contrasto vigorosa nei confronti di chi organizza questi traffici. Come tutti sappiamo, non si tratta di gruppi di disperati, ma di organizzazioni straniere di tipo mafioso che organizzano iniziative di questo tipo per portare i clandestini in Italia in combutta con le mafie locali, quelle con cui, secondo il vostro ministro Lunardi, dovremmo abituarci a convivere.
Se vogliamo una lotta efficace contro la criminalità questa va fatta a tutto tondo. Il vostro disegno di legge - ne parleremo domani in Commissione esaminando gli emendamenti e la settimana prossima in aula - tra i tanti torti ne ha uno fondamentale: rende la vita più difficile non ai clandestini, ma a coloro che si vogliono regolarizzare ed a coloro che già sono regolarizzati. Contrabbandare questa vostra iniziativa come la grande azione di contrasto alla clandestinità è sbagliato e falso.
Suggerirei anche un po' di prudenza. La collega relatrice ha rinnovato un concetto, presente appunto nella relazione, secondo il quale questo decreto-legge si renderebbe necessario dinanzi al continuo afflusso sul territorio nazionale di immigrati clandestini che sarà destinato a subire un incremento in concomitanza con la stagione estiva. Anche per il vostro bene suggerirei un po' di prudenza: affidare a questo decreto-legge il potere di bloccare i nuovi flussi clandestini che vi saranno la prossima estate, come si prevede nella relazione, può essere un boomerang perché voi stessi sapete che le cose non stanno così.
Ma, parlando di oggi, sul tema dell'immigrazione il Governo e la maggioranza non stanno dando un bello spettacolo. Su diversi giornali sabato scorso veniva riportata la notizia del Blitz tentato dal ministro Bossi nella seduta del Consiglio dei ministri del giorno prima, dove il leader della Lega cercava di far approvare dal Governo l'ennesimo emendamento peggiorativo del già pessimo disegno di legge sull'immigrazione. Secondo quell'emendamento, tutti i medici dovevano essere obbligati a controllare i documenti degli stranieri extracomunitari che si rivolgevano loro per esigenze di cure e denunciare gli irregolari.
Sono evidenti la barbarie giuridica e il disprezzo per i diritti della persona che stanno dietro un'idea così illiberale, quale quella del medico trasformato in poliziotto (le associazioni dei medici hanno reagito con durezza e pubblicamente al tentativo di Bossi), dello straniero che non è più un essere umano titolare dei diritti fondamentali della persona e viene, anzi, sempre più spinto in quella condizione di marginalità che non solo è in sé degradante, ma costituisce il vero problema da


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rimuovere, la zona buia da illuminare, se si vuole davvero superare la clandestinità.
È chiaro che sulla pelle degli stranieri e sulle paure degli italiani Bossi - non solo lui, per la verità - cerca di prendere qualche voto per le ormai prossime elezioni amministrative ma tutta la legge Bossi-Fini, di cui in quest'aula discuteremo la settimana prossima, è mossa da un intento di pura propaganda. Dalla ricostruzione dei giornali sembra che il tentativo del ministro Bossi sia stato stoppato ma, se ciò che i giornali hanno riferito è vero, mi permetto di dire - con argomenti quasi altrettanto poco nobili perché anch'essi mossi da preoccupazioni elettorali - che il ministro Buttiglione pare abbia ricordato quanto sia stato e sia importante per la Casa delle libertà il voto del mondo cattolico, quel mondo cattolico del volontariato che, secondo le parole riferite del ministro Bossi, «su questa storia degli immigrati sta facendo un business colossale».
Questa è un'altra pagina davvero poco edificante dello scarso senso dello Stato e anche della responsabilità generale con la quale il Governo Berlusconi discute ed agisce soprattutto - ma, per la verità, non solo - in tema di immigrazione: confusione, dissensi poi faticosamente ricomposti, velleità propagandistiche. Quindi, ci si muove con affanno, con la fretta, dedicando pochissimo tempo alla riflessione e lo dimostrano anche la genesi, il contenuto e l'iter di questo ancorché sintetico decreto-legge al nostro esame. La prima domanda che sorge è la seguente: perché varare e, poi, convertire in legge un decreto-legge sull'immigrazione proprio contestualmente all'approvazione di un disegno di legge su questo stesso tema? Lo stesso disegno di legge non poteva contenere quelle norme sulla distruzione dei beni sequestrati e di convalida dell'autorità giudiziaria sui provvedimenti di accompagnamento alla frontiera che sono contenuti nel decreto-legge in esame? Questa domanda non ha avuto sin qui risposta.
Certo che poteva ma, anche in questo caso, ha evidentemente prevalso un intento di cattiva propaganda oppure la preoccupazione che la decisione di estendere a dismisura lo strumento di accompagnamento alla frontiera prevista nel disegno di legge potesse essere colpita dalla Corte costituzionale, la quale ha inteso già richiamare il legislatore al rispetto dell'articolo 13 della Costituzione, che vieta qualsiasi restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall'autorità giudiziaria. Quindi, si cerca di recuperare una gaffe istituzionale ma lo si fa con tale affanno che, prima dell'esame in Commissione, nel testo del decreto-legge veniva indicata nel procuratore della Repubblica la figura dell'autorità giudiziaria chiamata a decidere sul provvedimento di convalida.
Scherzando, mi verrebbe da chiedere per quale motivo si conferisce tutto questo potere proprio alle procure da parte di una maggioranza che vede nelle stesse e nei procuratori italiani e stranieri la causa dei mali del mondo. Tuttavia, dopo le osservazioni dell'opposizione, il Governo ha apportato delle correzioni ed ora sussiste una più adeguata formulazione che indica il tribunale in composizione monocratica come l'autorità che decide sulla convalida.
Ma c'è un'altra contraddizione clamorosa tra le parole e i fatti posta in essere da questa maggioranza nel provvedimento in esame. Il Governo e la maggioranza, in Commissione, hanno respinto alcuni nostri emendamenti - che ripresentiamo per l'esame in aula - secondo i quali l'autorità giudiziaria deve decidere sulla convalida dopo avere sentito l'interessato, assistito dal suo difensore. E stiamo parlando di un provvedimento restrittivo della libertà personale coperto, come tutti riconosciamo, dall'articolo 13 della Costituzione.
Quindi - e pongo un'altra domanda - dov'è finito il vostro tanto conclamato quanto, in realtà, unilaterale garantismo? Il fatto che si tratti di uno straniero rende, a vostro avviso, il destinatario del provvedimento non più una persona titolare del diritto di difesa e di contraddittorio. Collega Zanettin, non è vero che siete garantisti sempre e comunque! Ciò è dimostrato dal fatto che avete respinto questo emendamento;


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dunque, si tratta di un garantismo a senso unico. Tra colletti bianchi, pelle nera o pelle gialla vi è differenza e se ciò discrimina non è garantismo.
Infine, sempre su questo punto, nel testo oggi al nostro esame, rispetto a quello pervenuto in Commissione, vi è un'altra correzione voluta dal Governo, questa volta negativa. Al capoverso 5-bis, del comma 1, dell'articolo 2, le parole: «Il provvedimento è immediatamente esecutivo.» - ne ha parlato poco fa il collega Sinisi - non figurano più alla fine del testo, vale a dire dopo la decisione dell'autorità giudiziaria, ma al termine del primo comma, cioè subito dopo la comunicazione del questore e prima che il giudice si pronunci. Perché questo cambiamento? Si ritiene, forse, che si possa eseguire l'atto restrittivo della libertà prima, vale a dire senza la decisione del giudice, che si pronuncerebbe quindi ad espulsione avvenuta? Per favore, siate chiari; stiamo parlando di diritti di esseri umani e l'articolo 13 della Costituzione, anche in questo caso, ce lo ricorda.
Un'ultima osservazione è riferita al capoverso 8-ter, del comma 1, dell'articolo 1, in ordine al quale è già intervenuto il collega Sinisi. Giacché per la distruzione dei mezzi confiscati si prevede, ovviamente, il nulla osta, cioè una decisione dell'autorità giudiziaria, a che serve prevedere che la distruzione stessa può essere disposta dal Presidente del Consiglio? Forse a comunicare, un giorno, la notizia che Berlusconi ordina la distruzione di un gommone o a mostrare i muscoli del Cavaliere? Non ci siamo proprio!
Il Sole 24 Ore del 1o maggio pubblicava i risultati di uno studio, svolto dall'Università di Padova per conto di un'industria, sul lavoro degli extracomunitari, che registra una crescita dei lavoratori extracomunitari del 18 per cento annuo, segnalando che 4 aziende su 10 dispongono di personale immigrato. Si tratta - commentava il vicepresidente dell'associazione Unindustria - di un fatto ormai strutturale e non di un fenomeno passeggero. Il 54,2 per cento delle imprese - secondo questa ricerca - per favorire l'integrazione ha attivato azioni ad hoc, che vanno dai corsi di formazione all'organizzazione della mensa e dalla revisione dei turni alla programmazione delle ferie. Il 12 per cento di queste aziende ha creato la figura del tutor, il più delle volte un extracomunitario con maggiore anzianità professionale.
Questa è l'Italia moderna, il famoso nord-est, che si sforza di promuovere, di integrare, di qualificare. Invece, la cultura di questo Governo è troppo arretrata, timorosa, conservatrice, come è dimostrato dal pressappochismo e dalle gaffe con cui si è pensato, scritto e riscritto - sebbene consti di soli due articoli - questo decreto-legge rispetto al quale, per i punti di merito che abbiamo sollevato, rimaniamo fermamente contrari.
Ci sembra un tentativo - che ricorda coloro che vogliono svuotare l'oceano con un bicchiere - di coprire l'inattività del Governo lunga un anno intero, promettendo che, grazie a questo decreto, nella prossima estate ci saranno meno sbarchi. E se, poi, così non sarà? Si rilancia, si ritorna all'antica proposta dell'oggi moderato e allora acceso esponente dell'opposizione, Giovanardi, che un giorno disse di sparare sugli scafisti? Di questo passo dove arriviamo?
Serve serietà, senso di responsabilità e determinazione nel pensare che si tratta di un fenomeno indubbiamente complesso che va governato con saggezza e non con gli strumenti di una propaganda, peraltro, postdatata.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, anche considerata la grande quantità di provvedimenti che sono all'esame dell'Assemblea in sede di discussione sulle linee generali nella seduta odierna, vorrei evitare di anticipare, in questo mio breve intervento, temi di carattere generale che riguardano la questione dell'immigrazione: come i colleghi hanno già ricordato, il testo proveniente dal Senato è attualmente all'esame della Commissione affari costituzionali


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- tutti i colleghi intervenuti sono membri della prima Commissione della Camera - e, fra non molto, verrà esaminato anche dall'Assemblea.
Debbo dire che, pur non condividendo nel merito tutto ciò che ha detto la relatrice, la collega Bertolini - e mi esprimerò su alcuni punti -, ho apprezzato il fatto che si sia limitata, nella sua relazione, al merito specifico di questo provvedimento, sia per quanto riguarda il testo originariamente adottato dal Governo sia per quanto riguarda le parziali modifiche che sono state introdotte in sede referente in Commissione. Non ho apprezzato, invece - e lo dico con molta franchezza -, l'intervento del collega Zanettin, il quale ha fatto esattamente l'opposto: mi ha stupito e mi è anche un po' dispiaciuto per i rapporti che, pur nel dissenso politico, sono comunque rapporti di stima e - si potrebbe persino dire - di amicizia, anche se non ci conosciamo moltissimo.
Il collega Zanettin ha colto l'occasione di questo dibattito su un decreto-legge che affronta due punti specifici, e soltanto questi: le due questioni specifiche, tra l'altro, motivano anche la sussistenza dei requisiti straordinari di necessità e di urgenza, su cui il collega Leoni, poco fa, ha espresso qualche perplessità ma che in questo momento do per accettati. Il collega Zanettin è andato ben al di là di tutto questo, per fare un comizio, non so se postelettorale o preelettorale: quando il collega Leoni invita a guardare alla data, forse dimentica che ci sono anche le elezioni amministrative del 26 maggio. Io credo che il collega Zanettin non faccia onore all'appello al confronto parlamentare sereno, costruttivo, aperto e dialogico al quale - come i colleghi sanno - io, e non soltanto io, sono sempre stato aperto e attento: ho ascoltato anche quello e lo rilevo, benché in contraddizione con ciò che ho sentito dire poco dopo l'invito al dialogo sereno, non ideologico, non pregiudiziale. Si è trattato di una condanna con processo sommario di tutta l'attività compiuta negli ultimi anni, dopo l'entrata in vigore della legge Turco-Napolitano, dai governi di centrosinistra: a questo riguardo, senza alcuna apologia, ma con la consapevolezza dei problemi che ci sono stati e che ci sono tuttora, mi richiamo alla ricostruzione fedele che ne ha fatto poco fa il collega Sinisi.
Collega Zanettin, ho ascoltato anche un giudizio indecente espresso all'ingrosso, con il beneficio d'inventario, nei confronti dei Governi europei di centrosinistra che hanno agito - se non ho ascoltato male - come lobby pro immigrazione. Io credo che lei debba vergognarsi di aver pronunciato simili parole, in quest'aula. Onorevole Zanettin, lei ha rivolto un appello a non assumere posizioni ideologiche e a non trasformare in oggetto strumentale di battaglia politica temi che sono di grandissima rilevanza non soltanto in Italia, ma in tutt'Europa. E non soltanto in Europa. Dunque, dopo aver fatto un appello al dialogo parlamentare, appello che io condivido e che non intendo cancellare, lei ha espresso un giudizio indecente di questo tipo, demagogico, strumentale, pre o postelettorale - non mi interessa - che non è degno del modo in cui tutti noi stiamo affrontando l'esame del decreto-legge in quest'aula: ho già citato la relatrice, ma vorrei fare riferimento anche agli interventi dei colleghi Sinisi e Leoni.
Mi dispiace aver ascoltato queste parole e credo che non sarebbe stato giusto fingere di non averle sentite, anche perché si sentono anche fuori di quest'aula, e forse solo per questo sono state dette, non certo per il dibattito generale fra i pochi presenti in questa discussione di oggi, lunedì 6 maggio, come sempre avviene nelle discussioni generali.
Sul resto, dirò pochissime parole per quanto riguarda la prima questione affrontata dal decreto-legge. Credo che qui non ci sia nessun discorso politico e ideologico generale da fare, ma soltanto da vagliare criticamente la congruità tecnico-giuridica della misura introdotta (anche con le correzioni apportate in Commissione) rispetto alle finalità dichiarate. Su questo punto mi è parso semplicemente un rigoroso discorso tecnico-giuridico quello che poco fa ha fatto il collega Sinisi. Mi associo alle sue osservazioni e, se questo


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dialogo parlamentare sotto questo profilo può avere un senso, credo che potremmo - in sede di Comitato dei nove e poi di analisi in aula del merito e degli emendamenti - eventualmente vedere se e quali correzioni possono essere apportate. Tuttavia, dal punto di vista puramente e semplicemente della congruità tecnico-giuridica e dell'efficacia potrei forse aggiungere anche un problema di eventuale copertura finanziaria di quella norma e anche un problema di modalità di esecuzione di quanto in essa previsto. Riguardo alle finalità che quella norma si vuole prefiggere non ho obiezioni di carattere generale, né mi pare che il collega Sinisi, che più di altri si è addentrato nel merito, ne abbia espresse. Egli ha espresso delle critiche sul modo in cui è stata formulata, sulle contraddizioni che può contenere e anche sulle difficoltà che può determinare nella fase esecutiva.
Signor Presidente, vorrei dire qualche parola in più, ma non molte, sull'altra parte di questo decreto-legge relativa all'articolo 2. A questo riguardo mi rivolgo, oltre che al presidente della Commissione, alla relatrice e agli altri colleghi, al rappresentante del Governo: in questo momento ce ne sono due al banco del Governo, ma suppongo che questo provvedimento sia seguito in modo prioritario dal sottosegretario Mantovano. Ho già detto in Commissione che si possono avere idee politiche molto diverse ma nessuno potrebbe accusare il collega Mantovano di non avere competenza tecnico-giuridica, di non aver fatto più volte tesoro della sua esperienza precedente di magistrato, di non conoscere i principi costituzionali e così via. Se questa norma introdotta con decreto-legge ha una qualche esigenza di straordinarietà e di urgenza in riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 105 del 22 marzo 2001, credo che il Governo, nel momento in cui l'ha presentato al Parlamento, avrebbe dovuto leggere quella sentenza, sia nella fase di stesura di quell'articolo, sia successivamente anche nella fase di riformulazione e di parziale correzione di quello stesso articolo, che in parte l'ha migliorato - e ne ho dato atto alla relatrice che ha presentato l'emendamento, anche sotto la spinta del parere della Commissione giustizia della Camera - ma che in altra parte, invece, a mio parere, ha prodotto un peggioramento.
Sottosegretario Mantovano, se ha letto la sentenza della Corte costituzionale - come credo lei abbia fatto -, avrà visto che in tutta la sentenza (presidente Ruperto, come sappiamo; relatore e redattore il giudice costituzionale Carlo Mezzanotte) per indicare l'autorità giudiziaria, quando non la si cita genericamente come autorità giudiziaria (espressione contenuta anche nella nostra Carta costituzionale), si fa riferimento e sempre ed esclusivamente al giudice. Mi chiedo perché il Governo abbia adottato un decreto-legge, motivato dalla necessità di adempiere in qualche modo al contenuto di quella importante sentenza della Corte costituzionale, in cui ha fatto riferimento all'ufficio del procuratore della Repubblica. Eppure, lo ripeto, noi critichiamo sempre - noi garantisti, collega Zanettin - quelli che incautamente definirono un tempo - che so io - Di Pietro un giudice, quando era un pubblico ministero, e che confondono sistematicamente il ruolo del giudice e la sua terzietà rispetto al ruolo del pubblico ministero che è parte nel processo e che rappresenta la pubblica accusa.
Io sono rimasto sconcertato - come ho detto anche in Commissione, e non con toni accusatori e stentorei - ed ho espresso perplessità su quale sia il livello degli uffici che preparano questi provvedimenti e, comunque, anche dei ministri - non dei sottosegretari - che li firmano, perché questo è un provvedimento firmato, oltre che da Berlusconi e da Fini, anche da Scajola, ministro dell'interno, da Castelli, ministro della giustizia, ed anche dal ministro Frattini, per citare persone che l'abc del diritto lo conosco.
In Commissione affari costituzionali, anche sotto la spinta del parere della Commissione giustizia - sia pure riformulato in modo molto cauto, molto problematico ed esclusivamente come osservazione, mentre avrebbe dovuto essere una condizione -, tale aspetto è stato comunque


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corretto; ne ho dato atto in Commissione - ho votato addirittura l'emendamento proposto dalla relatrice - e ne do atto anche in quest'aula, perché non mi piacciono le polemiche, appunto, puramente pregiudiziali: è stato compiuto un grave errore ed è stato parzialmente corretto. Perché dico «parzialmente corretto»?
Lo hanno già ricordato i due colleghi che mi hanno preceduto: perché nell'effettuare la correzione con cui si sostituisce la figura del procuratore della Repubblica o dell'ufficio del procuratore della Repubblica con il tribunale in composizione monocratica, ovviamente territorialmente competente, in riferimento all'autorità di polizia che ha emanato il provvedimento, si e voluto anticipare - e non si tratta di un'anticipazione letteraria - l'espressione «...il provvedimento è immediatamente esecutivo...», che si trovava alla fine del capoverso 5-bis del comma 1 dell'articolo 2 del testo originario del decreto-legge. Questa immediata esecutività si è voluto anticiparla prima del riferimento all'attività del tribunale in composizione monocratica che deve verificare la sussistenza dei requisiti. Si afferma, infatti, che il provvedimento con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera «...è immediatamente esecutivo. Il tribunale in composizione monocratica, verificata la sussistenza dei requisiti, convalida il provvedimento (...)». Ovviamente, lo convalida o non lo convalida.
Allora, dov'è il garantismo, Zanettin? Perché io credo che lei, almeno a me, lo possa riconoscere un garantismo senza discriminanti e senza alternanza tra maggioranza e opposizione o tra imputati eccellenti o imputati stranieri e sconosciuti, con tutto ciò che sta in mezzo a queste due categorie. Ora, la sentenza n. 105 del 22 marzo 2001 della Corte costituzionale dispone al numero 4, ad esempio (cito solo alcune frasi rapidamente): «...né potrebbe dirsi che le garanzie dell'articolo 13 della Costituzione subiscano attenuazioni rispetto agli stranieri in vista della tutela di altri beni costituzionalmente rilevanti...». Ancora:«...da ciò è possibile desumere che il controllo del giudice investe non solo il trattenimento, ma anche l'espulsione amministrativa nella sua specifica modalità di esecuzione, consistente nell'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, regolata dall'articolo 13...» - siamo al numero 5 della sentenza della Corte costituzionale. Ed ancora, sempre al numero 5 «(...) il decreto di espulsione con accompagnamento, che, giova ribadire, ai sensi dell'articolo 13, comma 3, deve essere motivato, rappresenta quindi il presupposto indefettibile della misura restrittiva, e in quanto tale non può restare estraneo al controllo dell'autorità giudiziaria; per eliminare ogni eventuale residuo dubbio, basta considerare che l'accompagnamento inerisce alla materia regolata dall'articolo 13 della costituzione, in quanto presenta quel carattere di immediata coercizione che qualifica, per costante giurisprudenza costituzionale, le restrizioni della libertà personale e che vale a differenziarle dalle misure incidenti solo sulla libertà di circolazione».
Ed ancora, sempre al numero 5: «(...) è comunque la forza del precetto costituzionale dell'articolo 13 ad imporre un'accezione piena del controllo che spetta al giudice della convalida...» - giudice, sottosegretario Mantovano, sempre giudice - «...un controllo che non può fermarsi ai margini dei procedimenti di espulsione, ma deve investire i motivi che hanno indotto l'amministrazione procedente a disporre quella peculiare modalità esecutiva dell'espulsione» - cioè l'accompagnamento alla frontiera - «che è causa immediata della limitazione della libertà personale dello straniero e insieme fondamento della successiva misura del trattenimento».
Da ultimo, vorrei citare il numero 6, l'ultimo numero prima della decisione della Corte costituzionale. Si badi bene, si tratta di una decisione con cui la Corte costituzionale rigetta le questioni di costituzionalità sollevate dall'autorità giudiziaria milanese e da altre, ma le rigetta in quanto ritiene che sia pacifico che vi sia,


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ovviamente, l'applicabilità del terzo comma dell'articolo 13 della Costituzione.
Si afferma e leggo, a proposito, un'ultima citazione - collega Bertolini, suggerisco anche a lei una riflessione al riguardo proprio per la questione dell'immediata esecutività, precedente al provvedimento di convalida del giudice - un pò più lungo delle altre: «Anche in assenza di un'espressa previsione in tal senso, non può dubitarsi che, nell'ipotesi in cui il giudice ritenga insussistenti o non congruamente motivate le ragioni per le quali l'autorità di polizia non si sia limitata ad adottare un provvedimento di espulsione con intimazione, ma abbia disposto l'esecuzione dell'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera, il diniego di convalida travolgerebbe, insieme al trattenimento, anche la misura dell'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica»; ricordo che il redattore è sempre Carlo Mezzanotte. Inoltre leggo: «Se, infatti, presidio della libertà personale nel sistema delineato dall'articolo 13 della Costituzione è l'atto motivato dell'autorità giudiziaria, non vi è alcuna possibilità di sostenere che un atto coercitivo come l'accompagnamento, che direttamente incide sulla libertà della persona e che è allegato come presupposto nella misura del trattenimento, possa essere assunto dall'autorità di polizia come pienamente legittimo e ancora eseguibile quando il giudice ne abbia accertato l'illegittimità, ponendo proprio tale accertamento a fondamento del diniego di convalida».
Mi fermo qui! Non ho fatto commenti, ma ho letto i presupposti che il Governo ha posto e che non ho nemmeno messo in discussione (qualcuno lo ha fatto prima di me); li ho dati per accettati! Mi riferisco ai requisiti di straordinaria necessità ed urgenza ed al richiamo, da parte del Governo, della sentenza della Corte costituzionale che rigetta le questioni di costituzionalità con determinate motivazioni.
Ho riscontrato positivamente la modifica operata in Commissione circa il passaggio dalla figura del procuratore della Repubblica a quella del tribunale ovvero del giudice in composizione monocratica, ma è stata gravissima la decisione di anticipare l'immediata esecutività del provvedimento prima della pronuncia di convalida o meno da parte del giudice che, sostanzialmente, vanifica questo tanto proclamato garantismo che il collega Zanettin ha voluto evocare.
Credo che se vogliamo essere coerenti con la sentenza della Corte costituzionale, che voi stessi ed anch'io, giustamente, abbiamo richiamato come fondamentale punto di riferimento di questo specifico aspetto, dobbiamo recepirla nella sua integralità.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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