Le ragioni del NO al DDL nazional-padano di riforma delle leggi sull’immigrazione

 

 

 

“…Perché tutto il male che capita….la

     causa è la forte ignoranza che abbiamo.”

 

                                                                                   (Beppe Fenoglio: “Un giorno di fuoco”)

                                                                                  

Introduzione

 

E’ difficile conservare pacatezza ed equanimità di giudizio di fronte alla martellante campagna leghista anti-immigrati, culminata nella pubblica manifestazione organizzata a Milano il 9 dicembre 2001 per sostenere il DDL di riforma delle leggi sull’immigrazione, il cosiddetto “decreto Bossi-Fini”, attualmente in esame alla Commissione Affari Costituzionali del Senato (Atto Senato 795).

 

Gli slogan gridati in piazza e riportati sui manifesti (“La nostra civiltà è padana e cristiana: no alla svendita della nostra terra!”, “No a immigrati, clandestini e terroristi!” e altre idiozie del genere) non sono che l’espressione piazzaiola e brutale della non troppo latente xenofobìa di alcuni partiti della maggioranza, che si traduce nell’incapacità della maggioranza di governo ad affrontare con serietà i complessi problemi che pone la gestione dei crescenti flussi migratori.

 

Una gestione che dovrebbe porsi l’obiettivo di essere al tempo stesso rispettosa dei diritti umani, efficace nel perseguire l’illegalità (mirando a sradicare le organizzazioni criminali italiane e straniere che operano nel “business” del traffico clandestino di carne umana e nelle altre attività illecite a questo collegate, più che a colpire i reati spiccioli commessi da singoli immigrati, clandestini o “regolari” che siano), ma soprattutto intelligente nel progettare un’integrazione piena dei migranti nel tessuto economico e sociale del Paese.

 

E’ più difficile infatti costruire una società multietnica che fondi la propria sicurezza sul pluralismo tollerante delle diverse culture e su regole democratiche da far rispettare sia agli immigrati che agli autòctoni, di quanto non sia – come fa sistematicamente la Lega Nord - cavalcare la tigre della xenofobìa, tra sparate demagogiche e gretti particolarismi da Strapaese, speculando bassamente sul desiderio (certamente giustificato) di sicurezza dei cittadini per fomentare tensioni e “guerre tra poveri”.

 

E’ quanto già avviene nelle grandi periferie urbane degradate, dove il sottoproletariato residente tende a percepire nella figura dell’immigrato un potenziale nemico, non solo in quanto diverso per razza e cultura ma anche in quanto “concorrente” per un posto di lavoro seppur precario o per l’improbabile assegnazione di un alloggio in una casa popolare.

 

Convinti come siamo che il razzismo nasca dall’ignoranza, ci ostiniamo a ritenere che anche i parlamentari estensori della bozza del DDL “Bossi-Fini” e gli elettori che si sentono da essi rappresentati possano giovarsi di un’ analisi meno superficiale e mistificante del fenomeno dell’immigrazione, che li aiuti magari a riflettere sulla pericolosità di certi atteggiamenti e dei provvedimenti legislativi che ne conseguono e ad evitare, possibilmente, ulteriori figuracce in Europa, dove le politiche per l’immigrazione costituiscono un argomento di dibattito di grande rilievo e le soluzioni xenòfobe alla Haider non sembrano godere di molta popolarità.

 

Ciò premesso, va detto per completezza che la responsabilità di un’indecenza sul piano morale e giuridico come la bozza del DDL “Bossi-Fini” non è solo della Lega Nord, ma anche di Alleanza Nazionale, in cui da sempre prevale la vocazione alla “tolleranza zero” nei confronti degli stranieri immigrati, eredità forse di un passato oggi non più ritenuto “politically correct”, ma ancora ben vivo tra numerosi militanti, siano essi nostalgici devoti del “santo manganello” o giovani neo-crociati che si ergono a difesa della civiltà cristiano-occidentale dai nuovi barbari.

 

Un avallo all’orientamento restrittivo e discriminatorio nei confronti degli immigrati che predomina nel testo del DDL “Bossi-Fini” è stato dato – seppur con qualche “distinguo” e, ci auguriamo, almeno con qualche rimorso di coscienza – anche da CCD e CDU, partiti che si richiamano ai valori cristiani e che non sembra, almeno in questo caso, abbiano scelto di stare evangelicamente dalla parte degli ultimi.

 

Dopo aver dato a Cesare quel che è di Cesare, nei paragrafi che seguono si esamineranno le linee-guida del DDL “Bossi-Fini”, senza pretese di completezza e privilegiando alle disquisizioni di ordine tecnico-giuridico in senso stretto gli aspetti etici, le implicazioni economiche e le prevedibili ricadute sociali del testo del provvedimento che – se integralmente accolto nella formulazione originaria – rischia di azzerare quasi completamente le più rilevanti innovazioni introdotte dalla L. 40/98 (Legge “Turco-Napolitano”) e dal T.U. 276/98 che costituisce il corpus normativo attualmente in vigore sui diritti/doveri degli immigrati.

 

In particolare:

-       Nel paragrafo 1 si elencano i punti-chiave del DDL

-       Nel paragrafo 2 si approfondiscono gli aspetti legati alla regolarizzazione (sanatoria, con specifico riferimento anche alla regolarizzazione dei rapporti di lavoro di collaborazione domestica in essere ) e al reato di immigrazione clandestina

-       Nel paragrafo 3 si commenta brevemente il nuovo strumento del “contratto di soggiorno” che verrebbe introdotto per regolamentare la concessione dei visti d’ingresso e dei permessi per motivi di lavoro

-       Nelle Conclusioni si motivano le ragioni che dovrebbero indurre i partiti della Sinistra e dell’Ulivo ad opporsi con durezza al DDL “Bossi-Fini”, sia in sede di Commissione e di dibattito parlamentare, sia con una forte mobilitazione per il riconoscimento dei diritti dei migranti che coinvolga il movimento sindacale, le componenti democratiche della società civile e le organizzazioni laiche e confessionali da sempre impegnate sul fronte dell’immigrazione

-       A supporto delle conclusioni, e per favorire una più ponderata riflessione sul tema, si presenta infine una serie di Tabelle Statistiche – tanto eloquenti da non richiedere alcun commento – che illustrano alcuni aspetti dell’immigrazione in Italia, con particolare riferimento al rilevante contributo degli immigrati all’economia italiana, alla sostanziale infondatezza dell’equazione “immigrato = criminale” agitata come uno spauracchio dalla Lega e da A.N., al non trascurabile, vergognoso fenomeno delle crescenti aggressioni e delle prevaricazioni xenòfobe perpetrate ai danni degli immigrati nel nostro Paese.

 

-       I punti-chiave del DDL “Bossi-Fini

 

-       Nessuna sanatoria per gli extra-comunitari entrati clandestinamente in Italia; espulsione con accompagnamento alle frontiere per i clandestini fermati una prima volta in Italia senza necessità di una preventiva pronuncia della magistratura; in caso di rientro illegale dopo la prima espulsione, arresto in flagranza, processo per direttissima e pene detentive da 6 mesi fino ad un massimo di 1 anno (commutabili in espulsione a discrezione del giudice) o fino a 4 anni per immigrati clandestini indiziati/imputati di reato.

 

-       Visto di ingresso e permesso di soggiorno in Italia subordinati all’effettivo svolgimento di un’attività lavorativa, anche a tempo determinato (“Contratto di soggiorno”) e soggetti a decadenza all’atto dell’interruzione/termine del rapporto di lavoro che li ha originati; abolizione dell’istituto dello “Sponsor” di cui all’art. 23 del T.U. 276/98 e obbligo del datore di lavoro di assicurare l’alloggio per il lavoratore extra-comunitario ingaggiato con “contratto di soggiorno”; corsìa privilegiata, nelle assunzioni, per i lavoratori extra-comunitari che hanno origini italiane.

 

-       Restrizioni in materia di ricongiungimenti familiari: mentre la L. 40/98 consentiva i ricongiungimenti familiari entro il 4° grado di parentela, il DDL ammette solo i ricongiungimenti con il coniuge, con i figli minori e con i soli genitori di figli unici.

 

Questo è solo un florilegio delle disposizioni contenute nell’originaria formulazione del testo del DDL, da cui traspare con ogni evidenza l’intento di annullare le più importanti norme della Legge “Turco-Napolitano” e del T.U. 276/98 vòlte a favorire un’integrazione sostenibile degli immigrati extra-comunitari nella società italiana.

 

Le “riforme” prospettate dal DDL non si limitano però soltanto ad un colpo di spugna su una normativa che ha innovato l’approccio ai temi caldi dell’immigrazione ma più parti è ritenuta ancora inadeguata, ma tendono ad introdurre un regime vessatorio e discriminatorio nei confronti dei migranti, che di fatto nega loro diritti fondamentali quali la facoltà di regolarizzare in via amministrativa eventuali pregresse violazioni alla normativa sull’ingresso e sulla permanenza in Italia, l’applicazione del principio delle pari opportunità rispetto ai cittadini italiani nell’accesso al mercato del lavoro e ai relativi meccanismi di tutela dei lavoratori, la libertà di ricostituire in Italia un nucleo familiare allargato – di fondamentale importanza nelle culture dei Paesi di provenienza della maggior parte dei migranti - pur avendone la possibilità.

 

2)        La questione della sanatoria e il reato di clandestinità

 

L’ultima sanatoria approvata in Italia risale al 1998 (L. 40/98, che ha reso operativa una proposta di sanatoria del 1996); in precedenza erano state approvate quella del 1987 (la prima in assoluto) e quella del 1990 (cosiddetta “Legge Martelli”)

 

A partire dalla data di operatività della sanatoria “Turco-Napolitano” fino agli inizi del 2001, in base ai dati forniti dal Servizio Stranieri del Ministero dell’Interno la situazione era la seguente:

 

Istanze di regolarizzazione agli inizi del 2001

 

                                                                                   Numero                      % sul totale

Istanze presentate                                         250.996                              100,0%

di cui:

Accolte                                                         214.421                                85,4%

Sospese                                                            2.209                                   0,9%

In accertamento                                              34.336                                13,7%

 

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Fonte: Caritas – Dossier Statistico Immigrazione 2001 – Elaborazione su dati Ministero dell’Interno-Servizio Stranieri

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In poco più di 2 anni, dunque, grazie al provvedimento di sanatoria, sono emersi dal limbo della clandestinità oltre 250.000 migranti, di cui più dell’85,4% ha superato l’attento vaglio, da parte delle Autorità competenti , della sussistenza dei requisiti per vivere stabilmente in Italia; solo meno dell’1% delle domande di sanatoria presentate ricade invece tra le “sospese” che – visto il tempo trascorso – possono secondo la Caritas considerarsi alla stregua di “respinte”.

 

Lassismo, eccesso di “buonismo” del Servizio Stranieri del Ministero dell’Interno preposto alle regolarizzazioni? Sembra lecito dubitarne, mentre è più realistico ritenere che gli immigrati richiedenti nella stragrande maggioranza fossero pienamente legittimati a vedere regolarizzata la loro posizione, magari dopo anni di permanenza nel nostro Paese e dopo essersi faticosamente inseriti in una realtà difficile, resa ancor più penosa dall’impossibilità di “redimersi” da quel peccato originale di immigrazione clandestina che tanto attizza le voglie repressive della Lega e di A.N.

 

Lascia perplessi invece quel 13,7% di istanze “in accertamento”, che sottendono che quasi 1/6 delle domande di sanatoria non ha avuto risposta dopo oltre 2 anni dalla presentazione: significa che più di 34.000 persone attendono ancora di sapere se la loro richiesta – presentata a termini di legge – è stata accolta o respinta.

 

 

Inefficienza della burocrazia? Sarebbe grave, ma potrebbe avere conseguenze addirittura paradossali se – nella denegata ipotesi che il DDL “Bossi-Fini” diventasse nel frattempo legge della Repubblica Italiana – ai 34.000 postulanti venisse negato anche il diritto di sperare in una, pur tardiva, sanatoria, in quanto all’entrata in vigore della nuova legge essi risulterebbero a tutti gli effetti ancora “irregolari” e “clandestini” e pertanto passibili di espulsione entro 48 ore dalla constatazione del “reato” anche senza intervento della magistratura, pur giacendo la loro istanza di regolarizzazione nei tortuosi meandri del Ministero dell’Interno.

 

Anche se, auspicabilmente, questo paradosso non si concretizzerà non potendo un’eventuale riforma delle leggi sull’immigrazione secondo le disposizioni restrittive contenute nella bozza del DDL avere efficacia retroattiva nei confronti di chi ha già fatto domanda di sanatoria in tempo utile ed in base alla normativa vigente, il principio che potremmo chiamare “sanatoria zero” che costituisce un punto irrinunciabile per la Lega Nord è comunque vergognoso, tanto sotto il profilo etico quanto sotto quello giuridico.

 

Di fatto, con tale principio, si sancisce che un immigrato - che magari da tempo vive e lavora in Italia ma il cui ingresso è avvenuto illegalmente (come frequentemente accade, sotto la spinta della miseria e della necessità) oppure è entrato in Italia con un regolare visto d’ingresso che contemplava però un permesso di soggiorno di breve durata (ad esempio, per turismo o per affari) ed è nel frattempo scaduto – deve restare “clandestino” a vita.

 

Ciò perché l’immigrazione clandestina è un reato che la bozza del DDL “Bossi-Fini” non ritiene sanabile in via amministrativa, ma solo perseguibile in prima istanza con provvedimenti di polizia (espulsione e accompagnamento alla frontiera senza sentenza di un giudice) e, in caso di recidiva e in flagranza, con il carcere.

 

Si badi bene che queste misure così pesantemente coercitive della libertà personale si riferiscono a molti immigrati che vediamo ogni giorno nelle strade delle nostre città mentre cercano di campare la vita vendendo accendini o giornali, lavando vetri o “disturbando” i passanti del centro con una richiesta di poche lire di elemosina.

Ad immigrati che lavorano “in nero” in agricoltura, sgobbando per poche lire come stagionali alla raccolta dei pomodori nel Casertano o delle olive in Puglia, sorvegliati da “caporali” e in condizioni non molto dissimili da quelle dei loro antenati schiavi nei campi di cotone della Virginia della metà dell’’800.

Ad immigrati che lavorano pagati a settimana, come sguatteri nei retrobottega di bar e ristoranti o come giornalieri (magari senza le tutele prescritte in tema di antinfortunistica) nell’edilizia e in tutti gli altri mestieri troppo sporchi, pericolosi e malpagati che nessun italiano ormai accetterebbe.

 

La “sanatoria zero” impone a queste persone un marchio di illegalità irredimibile, consegnandoli definitivamente al ricatto dello sfruttamento in quanto privi di diritti, anzi, perseguibili penalmente in quanto “irregolari”: o, peggio, li mantiene o li ricaccia nell’illegalità, in mano ai trafficanti di uomini che li hanno introdotti in Italia, alle organizzazioni criminali nostrane che gestiscono in proprio o co-gestiscono con le nascenti mafie etniche (balcaniche, turche, nigeriane, cinesi) la tratta dei nuovi schiavi destinati ai mercati del contrabbando, del piccolo spaccio di stupefacenti, della prostituzione.

 

Se la Lega Nord e AN proclamano che il DDL “Bossi-Fini” intende arginare l’illegalità e la microcriminalità legata all’immigrazione clandestina facendo leva sul giustificato bisogno di maggiore sicurezza dei cittadini, non è certo negando la sanatoria agli immigrati irregolari che si può realisticamente raggiungere questo risultato: in genere gli stranieri che gestiscono “all’ingrosso” attività illegali tra l’estero e l’Italia, lucrando ampi profitti con il traffico e lo sfruttamento degli immigrati, dispongono di passaporti, visti di ingresso e permessi di soggiorno assolutamente ineccepibili e non hanno alcuna necessità di regolarizzare la loro posizione!

 

Un ultimo aspetto della bozza del DDL sul quale sono emersi forti contrasti all’interno della maggioranza di governo (con Lega Nord irremovibile sulla negativa, AN più possibilista e CCD e CDU a favore) è la cosiddetta “sanatoria delle colf”, cioè se consentire una deroga al principio della “sanatoria zero” agli immigrati extra-comunitari “irregolari” che lavorano in Italia come collaboratori domestici e/o nel settore dell’assistenza domiciliare ad anziani o handicappati.

 

Gli esponenti di CCD e CDU – ma non mancano posizioni analoghe, seppure espresse “a titolo personale”, di alcuni esponenti di AN, come le recenti dichiarazioni del capogruppo in seno alla Commissione Affari Costituzionali, Sen. Valditara) – hanno presentato numerosi emendamenti al testo originario del DDL che sottolineano la necessità di regolarizzare almeno quei collaboratori/collaboratrici domestici che lavorano presso famiglie disagiate per la presenza di malati, anziani o disabili: una goccia nel mare, che nasce più dal riconoscimento del ruolo ormai insostituibile assunto dagli immigrati nei rapporti di collaborazione domestica e assistenza a domicilio che da un’effettivo senso di equità e solidarietà nei confronti degli immigrati.

 

Il prospetto che segue mostra infatti che, se già nel 1995 quasi 1 lavoratore domestico su 3 (esattamente il 30,7% del totale lavoratori domestici iscritti all’INPS) era un immigrato extra-comunitario, nel 1999 tale  rapporto era prossimo a 1 su 2 (45,6%) e certamente nell’ultimo biennio è ulteriormente salito (questo, anche tenendo conto del fatto che le cifre dei collaboratori domestici extra-comunitari iscritti all’INPS probabilmente sottostimano l’effettiva numerosità di immigrati extra-comunitari, per la riluttanza di alcuni datori di lavoro a regolarizzare la posizione contributiva e/o per la propensione (o, spesso, per la necessità”) degli immigrati accettare salari “in nero”.


Italia – Lavoratori domestici extra-comunitari 1995 -1999

            Anni                Lavoratori. domestici             Lavoratori domestici             Incidenza

   extra-comunitari               (italiani + extra-comun.)         % (A)/(B)

                                     (A)                                           (B)                                 

1995                          59.006                                    192.212                            30,7%

1996                        109.795                                    237.593                            46,2%

1997                        114.176                                    241.407                            47,2%

1998                          95.184                                    208.407                            45,6%

1999                        114.182                                        n.d.                                 n.d.

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Fonte: Elaborazioni Caritas – Dossier Statistico Immigrazione 2001 su dati INPS

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Che il numero dei lavoratori domestici immigrati iscritti all’INPS nel 1999 con versamenti contributivi per almeno una settimana sia alquanto sottostimato sembra confermato poi dalla sua sostanziale invarianza rispetto a quello del 1997.

 

Le spiegazioni possibili sono diverse: si può ritenere che negli ultimi due anni sia aumentato il numero dei collaboratori domestici immigrati che ha optato non per una collaborazione domestica “fissa”, ma per servizi retribuiti a ore presso più famiglie (il che non richiede neppure il versamento dei contributi minimi previdenziali all’INPS), oppure che sia invece cresciuta l’area del lavoro “sommerso” (non necessariamente per l’aumento degli irregolari, ma anche – ad esempio – perché il rapporto di collaborazione domestica o di assistenza domiciliare, tipicamente nei giorni festivi e nelle ore notturne, viene a connotarsi come prestazione occasionale, ad integrazione di un salario generato da un regolare rapporto di lavoro dipendente.

 

Stime sufficientemente realistiche (Caritas) fanno ascendere il numero degli extra-comunitari che svolgono attività di collaboratori domestici ad almeno 130.000 a fine 2000 di cui quasi 2/3 donne, ma non è da escludere che anche questo dato non tenga conto di altre tipologie di rapporti di lavoro (in particolare l’assistenza a domicilio – non a carattere infermieristico o specialistico – ad anziani, malati, handicappati da parte dei cosiddetti “badanti”).

 

La proposta di deroga – ripetiamo, del tutto parziale e inadeguata - al principio “sanatoria zero” del DDL da parte di CCD e di CDU non nasce quindi da un’apertura solidaristica agli immigrati, ma da uno stato di fatto, che implicitamente riconosce come indispensabile il ruolo degli immigrati come risorsa produttiva in un settore (collaborazione domestica e assistenza domiciliare) caratterizzato da una strutturale carenza di manodopera italiana.

 

Ma anche in altri, ben più importanti settori dell’economia, come vedremo, gli immigrati costituiscono già ora e ancor più potrebbero costituire in futuro una risorsa rilevante, che la bozza del DDL “Bossi-Fini” tende invece a ignorare e a discriminare, con assurdi e illiberali strumenti come il “contratto di soggiorno”.

 

3)        Il “Contratto di soggiorno” e i diritti negati

 

Il principio “sanatoria zero” (fatte salve, eventualmente, le deroghe obtorto collo di cui sopra a favore di quella che nell’’800 l’illuminata borghesia coloniale vittoriana amava chiamare, con paterna condiscendenza, “la servitù indigena”) è dunque scandaloso sotto il profilo etico prima che giuridico.

Ma il DDL “Bossi-Fini” dà veramente il peggio di sé introducendo il “Contratto di soggiorno” e gli altri corollari restrittivi in tema di rapporti di lavoro elencati al Paragrafo 1) che precede (abolizione dello “Sponsor”, impegno del datore di lavoro di garantire l’alloggio al lavoratore extra-comunitario alle sue dipendenze, preferenza nelle assunzioni agli immigrati con origini italiane e via discriminando).

 

Il “Contratto di soggiorno” subordina infatti il rilascio del visto di ingresso e del permesso di soggiorno per motivi di lavoro non solo alle norme amministrative che regolano l’ingresso degli stranieri extra-comunitari in Italia ed al rispetto dei flussi migratori programmati ai sensi del T.U. 276/98 e dei relativi decreti attuativi, ma all’effettiva sussistenza di un contratto di lavoro (anche temporaneo o stagionale) in Italia dell’extra-comunitario richiedente, da comprovare mentre il migrante si trova ancora nel Paese di origine.

 

Il visto di ingresso ed il permesso di soggiorno, in altri termini, verrebbero inscindibilmente legati all’esistenza e alla durata del “Contratto di soggiorno” e decadrebbero contestualmente all’interruzione del rapporto di lavoro che lo ha originato; tutto ciò, si deve ritenere, indipendentemente dalla causa dell’interruzione del rapporto di lavoro e senza alcuna possibilità per il lavoratore immigrato di restare in Italia alla ricerca di un nuovo posto di lavoro.

 

Le minuziose distinzioni tra rapporti di lavoro autonomo, di lavoro dipendente, a tempo determinato o indeterminato o stagionale contenute nel testo del DDL (arrt. 3, 4, 6, 15, 17 a seconda delle fattispecie prese in considerazione) non possono mascherare l’odioso e vessatorio trattamento riservato ai migranti, ai quali si riserva, e a stento, solo il diritto di lavorare in Italia.

 

Un diritto “zoppo” dall’origine, in quanto i migranti risultano tra l’altro penalizzati nella ricerca del lavoro dall’abolizione dello “Sponsor”, dall’istituzione di una netta disparità di trattamento rispetto ai lavoratori italiani che si traduce di fatto in un doppio livello di contrattazione con il datore di lavoro (a carico del quale va l’onere di ricercare l’alloggio per il dipendente immigrato) e infine con la creazione di un’ulteriore discriminazione fra gli immigrati stessi, in base alle origini italiane o meno che danno titolo (o no) ad una corsìa preferenziale per l’accesso al lavoro.

 

Insieme a tutto questo si vorrebbe negare inoltre ai lavoratori immigrati extra-comunitari – in caso di licenziamento o comunque di perdita del posto di lavoro così faticosamente conquistato in base al famigerato Contratto di soggiorno - il diritto a restare per più di 48 ore nel nostro civilissimo Paese che - come recita la Costituzione in un articolo fortunatamente non ancora soggetto a proposte di modifica - è fondato proprio sul lavoro.

 

Per essere del tutto chiari – e a costo di ripeterci – sottolineiamo che l’immigrato il cui “Contratto di soggiorno” decadesse per qualsiasi motivo (inclusa la scadenza del termine per un contratto di lavoro a tempo determinato, ma anche per ristrutturazione/chiusura/cessione dell’azienda, licenziamento o altro) perderebbe “automaticamente” il diritto a soggiornare in Italia e verrebbe riconsegnato altrettanto “automaticamente” alla miseria, alla guerra e alla fame che aveva lasciato nel Paese d’origine.

 

Per coloro che decidessero, per necessità o ostinazione, di tentare di restare in Italia scatterebbero le misure di polizia o le pene detentive previste per gli “irregolari” i “clandestini” di cui si è già ampiamente fatto cenno.

 

Conclusioni: le ragioni del NO al DDL “Bossi - Fini”

 

Contro queste e altre disposizioni xenòfobe – ad esempio in tema di restrizioni ai ricongiungimenti familiari – si sono levate prontamente voci di protesta e sono stati presentati fiumi di emendamenti alla bozza del DDL (oltre a quelli proposti in Commissione da CCD e CDU in tema di “sanatoria delle colf”, tutti i partiti dell’Ulivo hanno preannunciato una serrata battaglia parlamentare e i Verdi, da soli, hanno presentato finora circa 500 emendamenti).

 

In Commissione Senato CGIL-CISL-UIL hanno mosso inoltre pesanti eccezioni di illegittimità costituzionale di alcuni articoli (in particolare quelli riguardanti l’espulsione coatta senza preventivo provvedimento della magistratura), sottolineando altresì che la decadenza del permesso di soggiorno correlata alla perdita del posto di lavoro contrasta apertamente con la Convenzione internazionale ratificata anche dall’Italia con l’Organizzazione Intenazionale del Lavoro. Sempre le organizzazioni sindacali, con il sostegno dei partiti della Sinistra, hanno inoltre richiesto il mantenimento della figura dello “Sponsor”, la sanatoria e lo svincolo dal decreto sui flussi d’ingresso per i lavoratori domestici e gli incaricati di assistenza domiciliare ad anziani ed invalidi.

 

E’ però opinione di chi scrive che l’impegno della Sinistra, del sindacato e di tutte le organizzazioni del mondo laico e cattolico (Caritas in prima fila) da sempre schierate a sostegno dei diritti dei migranti non debba limitarsi ad un pur durissimo contrasto sulla bozza del DDL “Bossi-Fini”.

 

E’ necessario che il dibattito sul tema dell’immigrazione venga rilanciato con forza e portato al di fuori dell’aula parlamentare fino a coinvolgere l’intera società civile.

 

Lottare per i diritti degli immigrati (diritto di voto compreso) significa ribaltare la cultura dell’intolleranza e del razzismo che è pericolosa per l’intera società italiana; promuovere una presa di coscienza di questi problemi nel mondo del lavoro, dell’informazione, tra i giovani significa difendere un progetto di società futura che non potrà non essere multietnica, ma il cui grado di vivibilità e di democrazia dipenderà dalla capacità di elaborare nella teoria e nella pratica quotidiana pochi, semplici e addirittura poco originali concetti:

 

A) I MIGRANTI SONO UNA RISORSA, NON UNA PASSIVITA’, PER L’ECONOMIA E PER LA SOCIETA’ ITALIANA: CONSENTIAMO LORO DI ESSERLO FAVORENDONE L’INTEGRAZIONE E DIFENDENDONE I DIRITTI

 

B) I MIGRANTI NON COSTITUISCONO UNA SERIA MINACCIA ALLA SICUREZZA DEI CITTADINI E TANTO MENO LA COSTITUIRANNO QUANTO PIU’ SE NE AGEVOLERA’ IL PERCORSO DI REGOLARIZZAZIONE E INSERIMENTO SOCIALE

 

C) lA VERA MINACCIA ALLA SICUREZZA E’ L’ESPLODERE DI TENSIONI RAZZIALI, FOMENTATE DA UNA DEMAGOGIA IRRESPONSABILE: CRIMINALITA’ E’ ANCHE IL RAZZISMO, LO SFRUTTAMENTO, L’AGGRESSIONE VERBALE O FISICA CONTRO I MIGRANTI.

 

Senza commenti proponiamo alla riflessione di tutti – e ci piacerebbe che più degli altri meditassero i proponenti del DDL “Bossi-Fini” e i demagoghi da comizio – le Tabelle che seguono, tratte prevalentemente dal Dossier Immigrazione 2001 della Caritas, che documentano i tre concetti di cui sopra e potrebbe forse ricondurre a più ragionevoli propositi i fautori della “sanatoria zero” e della “tolleranza zero” nei confronti degli immigrati.

 

                                                                                              (Piergiovanni Sempio)

Milano, 4 gennaio 2002


 

TABELLE STATISTICHE

 

A) I MIGRANTI SONO UNA RISORSA PER L’ECONOMIA ITALIANA

 

A.1 – RIPARTIZIONE PER SETTORE DEI LAVORATORI IMMIGRATI NEL 2000 (STIMA)

 

SETTORI                  % ADDETTI               SPECIFICAZIONI                       N° ADDETTI

                                                                                                                                   (totale)

Agricoltura                        12,9%                 dirigenti                    639

                                                                      dipendenti           61.280

                                                                      autonomi               2.000                       63.919

 

Industria                             27,9%                 dirig./dip.          140.509

                                                                       autonomi              2.000                     142.509

 

Servizi                                59,2%                 dipendenti           84.742

                                                                       lav.domestici    130.000

                                                                       autonomi             82.929

                                                                       parasubordinati   30.000                    372.671

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TOTALI                            100,0%                 tutti i comparti                                  537.099

+ maggiorazione del 20% circa per supplire a carenze di rilevazioni                     112.901

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STIMA TOTALE (*)                                                                                               650.000

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(*) al netto di ca. 200.000 immigrati iscritti nelle liste di collocamento (di cui 80.000 da oltre

     12 mesi.

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-Fonte: Stima Caritas su fonti varie (da Dossier Statistico Immigrazione 2001)

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A.2 – MANODOPERA E IMPRENDITORIA STRANIERA IN ITALIA

                                                                                         1992                            1999

a) Incidenza % delle unità lavoro (ULA)

    straniere sul totale ULA in Italia                                    2,5%                           4,0%

 

b) Rapporto % tra n.° imprese con titolare nato all’estero e n°. di imprese censite in Italia (7/2000)

                        Nord Ovest……………………………….2,9%

                        Nord-Est………………………………….2,7%

                        Centro…………………………………….3,2%

                        Sud………………………………………..1,6%

                        Isole……………………………………….1,7%

-----------------------------------------------------------------------------                                                                          TOTALE…………………………………..2,5%

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Fonti: Baldassarini (Studi Emigrazione 141/2001); elaborazioni Caritas su dati Infocamere (da Dossier Statistico Immigrazione 2001)

 


A.3 – CAPACITA’ DI RISPARMIO DEGLI IMMIGRATI IN ITALIA – RIMESSE VERSO I PAESI DI PROVENIENZA 1991 –2000

 

                        ANNI                         IMPORTI (lit./mld.)              Var. %

 

                        1991                                          110                           +80,9%

                        ……                                       …….                           ……..

                        ……                                       …….                           ……..

                        1995                                          403                           +20,0%

                        ……                                       …….                           ……..

                        ……                                       …….                           ……..

                        1999                                          988                           +30,0%

                        2000                                       1.139                           +15,3%

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                        Totale 1991/2000                   5.222                           =  =  =

                        ------------------------------------------------------------------------

                        Fonte: elaborazioni Caritas su dati U.I.C.

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B) I MIGRANTI NON SONO UNA MINACCIA ALLA SICUREZZA

 

B.1 – STATISTICHE GIUDIZIARIE - STRANIERI = CRIMINALI?

 

                                                                                                                                   Inc. %

                                                                          stranieri                     totale            sul totale

 

a) N.° reati ascritti a detenuti al 31.12.2000                    30.146                     166.068          18,15%

 

b) N.°detenuti al 31.05.2000                                           16.330                        55.383          29,5%

 

c) Popolazione in Italia                                              1.686.606                 57.844.017             3,9%

 

d) Incidenza % detenuti su tot. popolazione (*)             0,97%                       0,10%               = = =

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(*) la più alta incidenza (quasi 1 su 100) di detenuti stranieri sul totale della popolazione di soli stranieri rispetto all’incidenza (1 su 1000) dei detenuti (italiani e stranieri) sconta – per quanto ovvio – le particolari caratteristiche della popolazione degli immigrati sotto il profilo demografico (in maggioranza giovani, di sesso maschile tra i 18 e i 45 anni), economico (al di sotto della soglia di povertà o al minimo livello di sussistenza) e socio-culturale (bassa scolarizzazione, difficoltà linguistiche, assenza o carenza di retroterra familiare in Italia);  un’analisi su un campione di detenuti italiani con analoghe caratteristiche condurrebbe verosimilmente ad un’incidenza % di detenuti molto simile.

 

B. 2 – STATISTICHE GIUDIZIARIE – PIU’IMMIGRATI “REGOLARI”, MENO CRIMINI

 

Incidenza % sul totale dei reati commessi da stranieri con o senza regolare permesso di soggiorno

 

- con permesso di soggiorno…………………………….21,7%

- senza permesso di soggiorno…………………………..78,3%

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Totale                                                                               100,0%

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Fonti: Elaborazioni Caritas (Dossier Statistico Immigrazione 2001)su dati del Ministero dell’Interno


 

C – ITALIANI BRAVA GENTE? LA VIOLENZA CONTRO GLI IMMIGRATI

 

Tipo di violenza                                          Valori in %

 

Aggressioni fisiche…………………………..58,3%

Aggressioni verbali/discriminazioni…………25,0%

Sfruttamento sul lavoro/mobbing……………  8,4%

Rapine/scippi………………………………..   8,3%

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-        Fonte: Manconi – Sorice: “Uno al giorno. Gli atti di violenza contro gli stranieri in Italia.