LA SOLITA TRAGICA FARSA SULL’IMMIGRAZIONE

Si ripete ancora una volta lo scenario che ha portato alla crisi del centrosinistra ed alla ingovernabilità di molte importanti questioni sociali, come l’immigrazione e l’asilo.

Da una parte, la maggioranza di governo continua a spacciare menzogne intollerabili come quella che in Italia “ vi sarebbero porte aperte per chi vuole venire a lavorare onestamente”, utilizzando diversivi ad evidenti fini elettorali, come la proposta di rilevare le impronte digitali a tutti gli immigrati, che nasconde in realtà tanti altri aspetti del DDL Bossi- Fini che degradano i migranti alla condizione di merce e sanciscono la deriva razzista e discriminatoria della nostra società.

Dall’altra parte, i leader del centro sinistra non dimostrano di avere appreso la lezione elettorale e continuano a seguire una politica subalterna a quella della destra, dimostrandosi subito disponibili a condividere le politiche della “sicurezza” e della “tolleranza zero”; in piena continuità – si deve riconoscere – con i loro comportamenti di qualche anno fa, quando hanno anticipato la prassi della detenzione amministrativa sottratta al controllo dei giudici, e si sono macchiati di scelte disumane, come lo sgombero dei Rom dai campi di Roma in occasione del Giubileo ( vicenda sulla quale si era impegnato Rutelli in prima persona, e che oggi è alla base delle accuse rivolte all’Italia dalla relazione della Commissione Europea contro il razzismo e la discriminazione - ECRI).

Nel frattempo la prassi amministrativa, anche oltre i larghissimi spazi di discrezionalità consentiti dalla legge Turco – Napoletano, ha già in parte anticipato la nuova normativa, soprattutto per quanto riguarda la esecuzione immediata delle espulsioni e l’allontanamento forzato di richiedenti asilo, e questo è avvenuto nell’ambito degli ampi poteri discrezionali già consentiti dalla legislazione vigente. Prassi amministrative al limite della legge comunque, tanto che, per evitare che i magistrati potessero sanzionarle, il governo è stato costretto ad emanare il Decreto legge 51 del 4 aprile scorso, che regola la espulsione con accompagnamento immediato in frontiera, senza riconoscere alcun effetto sospensivo al ricorso giurisdizionale. La proclamazione dello “Stato di emergenza” in materia di immigrazione consente di assegnare ai Prefetti ampi poteri nel predisporre nuove strutture detentive camuffate da centri di prima accoglienza (CPA), come quello di Lampedusa, magari in tende da campo, per i “clandestini” appena sbarcati.

Appare concreto il rischio dunque, soprattutto in questi casi, che la esecuzione immediata delle espulsioni, vera novità della nuova legge, finisca per violare, oltre che l’art. 13 della nostra Costituzione ( che impone il controllo del magistrato sui provvedimenti limitativi della libertà personale), quel principio di non refoulement ( non respingimento) verso paesi dove l’espulso può subire trattamenti contrari alla dignità umana, o rischiare la vita o la libertà.

Si prefigura così la possibilità di una normativa in aperta violazione dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra, dell’art. 10 della nostra Costituzione, e persino dell’art. 19 del vigente Testo Unico 286 del 1998; che pure riafferma la incondizionata valenza, all’interno del nostro ordinamento, dei divieti di allontanamento forzato in frontiera stabiliti quando una persona rischia di subire per effetto del rimpatrio una grave menomazione dei propri diritti fondamentali.

 

Con le modifiche proposte dalla legge Bossi-Fini alla disciplina dei rapporti di lavoro, soprattutto per lo stretto legame tra il contratto ed il permesso di soggiorno, si introduce un principio di netta differenziazione tra i lavoratori immigrati ed i lavoratori italiani, in contrasto non solo con la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione ( n. 9047 dell’ 11 luglio 2001), che riafferma la parità di trattamento in caso di licenziamento, ma con l’art. 1 della convenzione dell’OIL n. 143/75, già recepito dalla legge 943/86 e dall’art. 2 del T.U. 286/98 che vietano la discriminazione dei lavoratori stranieri. Ai sensi di tale convenzione, la perdita del posto di lavoro non può comportare la conseguente scadenza del permesso ( definito dal DDL 795 come contratto) di soggiorno, ma questo è proprio quello che avviene con la nuova legge. 

Questo significa predisporre uno strumento di legge che farà dilagare la clandestinità.

 

A fronte di una disciplina delle espulsioni che rende immediatamente espellibili, praticamente senza un effettivo controllo giurisdizionale, oltre 200.000 immigrati irregolari già presenti nel nostro paese, si prevede la costruzione di soli due nuovi centri di permanenza (CTP) all’anno, ed un incremento delle espulsioni quantificato in 10.000 unità nel primo anno ed in 36.000 unità nei due anni successivi. Cifre queste che confermano come in realtà il DDL non possa contrastare affatto il fenomeno della clandestinità, concorrendo anzi ad incrementarlo per la chiusura di quasi tutte le possibilità di ingresso legale, e per la difficoltà di mantenere o rinnovare il permesso in caso di perdita del posto di lavoro. In questo quadro cresce a dismisura la sfera della discrezionalità delle forze di polizia nell’adozione dei provvedimenti di accompagnamento forzato.

Si introduce il reato di permanenza irregolare nel territorio dello stato, si raddoppia il termine di non rientro dopo il rimpatrio coatto, fino a dieci anni, senza distinguere tra i diversi casi di espulsione, e si inasprisce la sanzione penale per casi di un ulteriore rientro clandestino.

In ogni caso, come si evince dalla relazione tecnica, il costo complessivo della nuova disciplina sarà altissimo, anche in considerazione della grande quantità di agenti di polizia necessari per gli accompagnamenti forzati in frontiera ( con viaggio di andata e ritorno !). Gli oneri aggiuntivi per la attuazione della nuova normativa, previsti per tre anni, supereranno certamente i 56 miliardi di lire (28,95 milioni di euro) indicati dalla “relazione tecnica”.

 

La nuova disciplina priva gli immigrati di quei diritti di difesa e di ricorso che secondo l'art. 24 della Costituzione vanno riconosciuti a tutti, cittadini e stranieri. Secondo quanto previsto dal DDL attualmente all’esame della Camera, l'espulsione o il respingimento possono essere immediatamente eseguiti anche in presenza di un ricorso al giudice. I termini di ricorso rimangono brevissimi e, malgrado la possibilità del tutto teorica di presentare ricorsi dall’estero, dopo la esecuzione delle espulsioni, si viola la riserva di giurisdizione riconosciuta anche dalla sentenza della Corte Costituzionale n.105 del 2001, secondo la quale la misura di accompagnamento forzato in frontiera, traducendosi in una misura limitativa della libertà personale, deve essere sempre disposta o convalidata dall’autorità giudiziaria con provvedimento motivato .

La previsione risulta in parte anticipata dal decreto legge approvato il 28 marzo e pubblicato l’8 aprile di quest’anno, con il quale si prevede la possibilità di accompagnamento forzato in frontiera entro le 96 ore dall’arresto dello straniero irregolare, con il mero controllo di legittimità del pubblico ministero ( ma in sede di conversione il testo del decreto è stato già emendato, e la competenza è stata rassegnata al giudice civile). Rimane comunque incerto il regime dei ricorsi, la concreta possibilità di difesa e le modalità di comunicazione dei provvedimenti intimati all’immigrato da espellere.

Viene dunque meno definitivamente ( già adesso è fortemente limitato)  il controllo sostanziale del magistrato sui provvedimenti di polizia limitativi della libertà personale degli irregolari, quando si tratti di eseguire un accompagnamento forzato in frontiera.

Il "clandestino" può essere direttamente respinto senza indugi, anche in assenza di un provvedimento impugnabile che abbia un qualche effetto sospensivo, e quindi ritrovarsi lontano migliaia di chilometri quando il giudice decide poi sulla infondatezza della misura di allontanamento ( come si è già verificato in qualche caso anche alla luce della normativa vigente). Sempre che a seguito di riconoscimento da parte di una autorità consolare o diplomatica, sia stato possibile accertarne identità e nazionalità. Diventa cruciale a questo punto il sistema degli accordi di riammissione in quanto solo a seguito della stipula di questi accordi si può contare su un effettiva collaborazione delle autorità consolare dei paesi di provenienza, nella delicata fase di riconoscimento del clandestino, che prima di essere accompagnato in frontiera dovrebbe essere dotato di un vero e proprio documento di identità ( definito come documento “di viaggio”).

Rimane infatti insormontabile, a tale riguardo, il divieto di espulsioni collettive affermato dai protocolli allegati alla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo.

 

Rimane ancora in contrasto con la Carta costituzionale, e con la logica- oltre che con il principio della effettività della pena-  la previsione di una espulsione a titolo di sanzione sostitutiva della detenzione. La funzione rieducativi della pena rimane scritta nella Costituzione, ma non vale per gli stranieri, che alla fine della carcerazione ( salvo pochissime eccezioni) non hanno altra alternativa dell’espulsione, anche se in precedenza erano titolari di un regolare permesso di soggiorno-

 

L’unico canale reale di ingresso dei richiedenti asilo e protezione umanitaria rimane ancora quello clandestino. Questo vale anche per i richiedenti asilo e protezione umanitaria.

La proposta contenuta nel DDL 795 , che introduce la detenzione amministrativa dei richiedenti asilo, e istituisce procedure semplificate e commissioni decentrate ( anche queste già introdotte di fatto nella prassi dalle autorità amministrative soprattutto a seguito di sbarchi di profughi in Puglia ed in Calabria, con risultanti sconfortanti). La nuova disciplina semplificata e decentrata aggraverà la situazione perchè limita fortemente il diritto di difesa anche per i profughi; e soprattutto perché non garantisce un giudizio imparziale, per la composizione della commissione di cui faranno parte in prevalenza funzionari di polizia o comunque rappresentanti del Ministero degli interni. La decisione di rigetto di ricorso e la successiva espulsione saranno immediatamente esecutive, con grave rischio che venga violato il principio di non refoulement previsto dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra.

La presenza dell’ACNUR all’interno di queste commissioni, ma solo con un voto di carattere consultivo, non ha garantito sinora né maggiore trasparenza né una qualche speditezza delle decisioni, che spesso vengono assunte senza che gli avvocati dei richiedenti asilo possano rappresentare alla Commissioni le ragioni della istanza dei loro assistiti.

E pensare che nella passata legislatura una articolata disciplina del diritto di asilo era stata quasi approvata dal Parlamento, che dopo due anni di lavori si sciolse proprio alla vigilia del voto finale che avrebbe consentito l’adozione di una disciplina organica del diritto di asilo. In ogni caso, entro il 31 dicembre 2002, l’Italia sarà chiamata a dare attuazione ad una nuova disciplina comunitaria in materia, con la conseguenza che la legge che sarà approvata tra breve, andrà immediatamente rivisitata alla stregua della disciplina comunitaria.

Dal DDL 795 andrebbe dunque stralciata l’intera materia del diritto di asilo, con la soppressione degli artt. 24 e 25 che introducono procedure sommarie che non rispettano gli artt. 10 e 24 della Costituzione, più volte affermati dalla Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale anche a favore degli immigrati irregolari che chiedono asilo o protezione umanitaria.

La maggioranza argomenta strumentalmente che l’opposizione non sarebbe capace di fare proposte alternative, ma sono centinaia gli emendamenti respinti senza una vera discussione, e l’aula parlamentare vota sempre più spesso con “tastieristi” indaffarati a sostituire gli onorevoli assenti, piuttosto che esaminare i provvedimenti nel merito. Persino le Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato sono state private dei loro poteri d’esame, riportando il DDL Bossi Fini in aula senza il parere finale prescritto dalla legge.

La materia dell’asilo e dei regimi di protezione complementare va affrontata organicamente, senza scorciatoie, ripartendo dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione che, dalla fondamentale pronuncia n. 4674 del 1997, riconosce la immediata precettività dell’art. 10.3 della nostra Carta costituzionale, e tenendo conto dei contenuti del DDL sull’asilo, giunto nella passata legislatura quasi all’approvazione definitiva, dopo un dibattito che – a differenza di quanto sta avvenendo adesso - aveva coinvolto tutte le associazioni .

 

Alcune proposte, infine, per dimostrare la possibilità di una diversa politica dell’immigrazione.

Il vero contrasto al traffico di clandestini ed alla tratta, che il DDL 795 afferma solennemente di volere contrastare, consiste, oltre che nel favorire la legalizzazione degli ingressi e la regolarizzazione permanente degli immigrati già presenti nel nostro paese e costretti alla clandestinità, nell'aiuto allo sviluppo e nel ristabilimento delle minime condizioni di legalità e democrazia nei paesi di provenienza e di transito. Nell’immediato occorre ripristinare al più presto i flussi di ingresso annuale, per un numero consistente di immigrati che verrebbero così sottratti al ricatto degli scafisti. Va mantenuta la previsione dello sponsor, unica possibilità di ingresso legale per ricerca di lavoro.

L’espulsione dei cd.”clandestini”, ma spesso anche dei semplici irregolari non può costituire l’unica forma di governo dei flussi migratori, risultando utile solo se adeguato a principi di legalità, di adeguatezza e proporzionalità, di equità. Gli accordi bilaterali stipulati con paesi, come l’Albania e forse tra breve anche la Turchia, che non aderiscono a tutti i protocolli aggiuntivi alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, esasperano la condizione già disperata di molti migranti e possono costituire una situazione ancora più favorevole per le tante mafie internazionali, che incassano più volte ingenti profitti sulla movimentazione delle stesse persone che vengono riaccompagnate in frontiera, ma che poi comunque tentano di entrare un'altra volta nel nostro paese. L’Unione Europea deve garantire accordi di riammissione multilaterali che rispettino i diritti fondamentali della persona umana.

 

Dall’entrata in vigore della nuova disciplina assisteremo molto probabilmente all’adozione di provvedimenti di dubbia legittimità costituzionale ed anche internazionale ( come le misure di blocco navale in acque internazionali), comprese le misure regolamentari e le circolari che, come in passato, daranno poi la misura concreta dell’effettiva volontà delle istituzioni preposte di applicare la legge. Sono già pronte, da parte delle principali organizzazioni umanitarie che operano nel settore, precise richieste di referendum abrogativo di norme che oltre a contrastare con i principi fondamentali del diritto internazionale e della nostra Costituzione, rischiano di compromettere le prospettive di convivenza civile e di tolleranza tra italiani ed immigrati. 

Soprattutto la parzialità ed il ritardo della regolarizzazione prevista all’interno del provvedimento, o la mancata adozione di strumenti di recupero della condizione di legalità appaiono come ostacoli non sormontabili rispetto al fine di un effettivo governo della presenza degli immigrati nel nostro paese.

In tutti i paesi del mondo nei quali si è modificato in modo tanto consistente il diritto dell’immigrazione e dell’asilo, sono state adottati a cicli ripetuti ( mediamente ogni sei anni) oppure in modo permanente percorsi di sanatoria o di regolarizzazione che hanno consentito la progressiva emersione dalla clandestinità di tutti quegli immigrati che avevano acquisito successivamente al loro ingresso i requisiti richiesti per il rilascio di un valido titolo di soggiorno.

La sanatoria che si propone con il nuovo provvedimento, limitata alle collaboratrici domestiche( o domestici), ed agli assistenti degli anziani, già presenti in Italia alla fine del 31 dicembre scorso, permetterà una emersione minima dei lavoratori immigrati impegnati in lavori “al nero”, e sarà foriera di ogni tipo di abusi e di mercato, a partire dalla falsificazione della complessa documentazione richiesta per la sanatoria ( i cui costi comunque ricadranno solo sugli immigrati).

La prospettiva di legalità è il più forte deterrente contro il fenomeno della devianza sociale che viene invece alimentata da normative e pratiche amministrative di stampo puramente repressivo.

La privazione dei diritti fondamentali dei migranti apre la strada alla restrizione dei diritti di libertà di tutti i cittadini, come dimostrano le tragiche giornate di Napoli e di Genova, e come -da ultimo - sembra sancito persino da una parte della magistratura giudicante.

 

Fulvio Vassallo Paleologo

ASGI ( Associazione studi giuridici sull’immigrazione)

 

* Situazione al 12 maggio 2002