Opera Nomadi

 

Ente Morale (D. P. R. 26/03/70 n. 347)

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COMUNICATO STAMPA

 

In ricordo di Chiara

 

Ancora una morte in una comunità rom, ancora una morte violenta frutto del disagio, dell’incuria, del destino… o forse frutto dell’indifferenza e della intolleranza?!

Dopo Fabio, morto a Via di Salone per un colpo accidentale partito dall’arma di un carabiniere ancora un Halilovic

Chiara Halilovic, piccola romnì ci ha lasciato, le sue sorelline Jessica e Vesna sono state ustionate su tutto il corpo dalle fiamme che hanno divorato la loro povera Baracca.

E gli Halilovic, lo sottolineiamo, sono in Italia dalla fine degli anni ‘60

La morte di Chiara è avvenuta nel territorio del V Municipio, che a Roma, ha senz’altro il merito di aver avviato una reale politica di accoglienza e di avviamento al lavoro del popolo Rom autorizzando la mostra mercato dell’artigianato, bigiotterie e cose usate di Via di Casal Tidei, dove tutte le domeniche espongono insieme Rom e altri cittadini di varie etnie tra cui anche italiani.

Ma forse il V Municipio è stato lasciato solo in questa opera dagli altri municipi dove, magari per inconfessabili bassi interessi di bottega non ci si vuole veramente prendere la responsabilità di una seria politica di avviamento al lavoro né quella di predisporre micro aree dove poter finalmente – nella prospettiva oramai improrogabile di una seria politica di avviamento verso le civili abitazioni – accogliere piccoli insediamenti forniti dei servizi necessari?

Forse anche le istituzioni centrali del Comune di Roma pensano che questo status quo sia immodificabile?

Perché intanto non si acquisiscono gratuitamente i Prefabbricati in dotazione alla Protezione Civile che per essere utilizzati necessitano solo di una revisione?

Forse oramai si è solo in attesa dell’approvazione del nuovo disegno di legge sull’immigrazione che risolverebbe il problema dell’accoglienza dei Rom nello stesso modo con cui sono state concepite quelle “pulizie etniche” già conosciute dai Rom nell’ex Jugoslavia?

Noi non vogliamo e non possiamo credere a tanto.

Sicuramente tanto i municipi che le amministrazioni centrali locali non potranno da soli risolvere problemi annosi.

Sicuramente però il risanamento di queste situazioni non può passare attraverso espulsioni di massa o una politica meramente attendista.

Alcuni organi di stampa hanno voluto ricordare le tante tragedie di decine di bambine e bambini rom morti nei cosiddetti campi nomadi.

Noi vogliamo ricordare qui una morte recente, avvenuta prima del Natale, quella di  Joseph Crescenzi Rovera Piccolo Sinto anche lui morto a causa dell’incendio della sua abitazione e ribadire quello che dicemmo all’epoca:

“Joseph è solo l’ultima vittima sacrificale causata dalle condizioni disumane in cui il popolo dei Rom, Sinti e Camminanti è relegato a vivere nei cosiddetti campi nomadi. Luoghi  sprovvisti di dignità e di un minimo di sicurezza in cui, molto spesso, sono approdati per sfuggire alle pulizie etniche nei nuovi Stati Nazionali Puri dell’est europeo da cui sono fuggiti in massa negli ultimi 10 anni.

In questi campi (a parte qualche villaggio attrezzato che a paragone degli altri sembra quasi un’isola felice!), bambine e bambini rischiano quotidianamente la vita per il freddo, gli incendi, le malattie e soprattutto rischiano il loro futuro sempre più incerto e buio.

I cosiddetti campi nomadi nati come risposta ad un’emergenza sono purtroppo diventati un’escrescenza stabile di questa opulenta società.

Un luogo dove emarginazione, devianza, rischio della propria vita e un futuro senza speranza sono all’ordine del giorno.

Qui a Roma sei bambini sono morti in un anno alla Muratella; altri sei bambini Rom morirono al Casilino 700 prima della sua chiusura e assistiamo impotenti ad uno stillicidio continuo di morti quotidiane.

Dopo la morte a Bologna di Amanda e Alex, i due bambini Rom che tanta commozione suscitarono in tutto il paese, abbiamo continuato a contare, in tutta Italia, le morti per fuoco dei figli dei ghetti. Negli ultimi anni ammontano a più di quaranta i bambini morti per la precarietà dell'habitat.

Joseph era un bambino italiano ed è morto come tanti altri bambini Rom e Sinti dell’est europeo.

A parte alcuni gruppi ancora seminomadi (che sono oramai una minoranza nel nostro paese) nel Centro-Sud la grande maggioranza dei Rom italiani vive in casa ed ha abbandonato il seminomadismo per via della scomparsa dall’economia italiana dell’allevamento dei cavalli e dell’artigianato dei metalli, che per 600 anni avevano costituito la sopravvivenza materiale e la conseguente cultura di vita.

Nel Centro-Nord migliaia di <Sinti ex-Giostrai> vivono ammassati in enormi campi di roulotte, mentre essi desiderano vivere in piccoli gruppi familiari; i Comuni non permettono loro di autocostruire questi piccoli Villaggi, che garantirebbero invece un buon livello di vita comunitaria.

Grave è ancora invece la sorte dei Rom originari della Romania e della Jugoslavia, i quali a migliaia sono fuggiti dai <Campi> per affittare vecchie case ma ancora troppi vivono in queste strutture con servizi promiscui.

L'esigenza di avere servizi privati per ogni nucleo familiare e' molto sentita, infatti l'uso di strutture in comune causa problemi derivanti sia da un senso del pudore tradizionalmente radicato, sia da un senso della cura e dell'igiene che sicuramente non si ha verso servizi che non sono di proprietà o di uso esclusivo.

Alcuni Comuni hanno assegnato <Case popolari> a qualche famiglia di Rom Jugoslavi, ma si tratta ancora di casi isolati.

 

Molto più numerosi i Comuni che hanno adottato la linea dei <Villaggi di prefabbricati> che almeno hanno eliminato la promiscuità, ma i Rom dei Balcani vogliono casa perché abituati da 50 anni nei loro Paesi a vivere in appartamenti del governo o in piccole abitazioni autocostruite.

 

Una casa dignitosa, come quelle di recente date dal Comune ai Rom baraccati di Cosenza, è questa l’unica speranza affinché i tanti Joseph, Amanda, Alex, Manuela, Salem, Silvana, Enrico… non siano morti invano.”

Noi non vogliamo credere che come i tanti Joseph, Amanda, Alex, Manuela, Salem, Silvana, Enrico, Ferit, Alan, Fabio, Rambo, Seniur, Gelib, Jasmina… anche Chiara sia morta invano. Per questo continuiamo a chiedere a gran voce una seria politica di avviamento al lavoro per i capifamiglia rom ed il numero controllato delle presenze senza espulsioni di massa

Vorremmo che tutti, ma soprattutto le istituzioni riflettessero a lungo su quanto detto da Sonia, una piccola romnì di 10 anni che vive nella comunità cosiddetta della Martora sotto il Ponte dove viveva anche Chiara, ad un giornalista: “Vivere qui al campo è terribile. Lo sapete che i bambini vengono morsi dai topi? … Noi siamo quattro fratelli e ogni giorno mia madre ha solo due bidoni di acqua per tutta la famiglia. Io vado a scuola, faccio la IV e potrei lavarmi nei bagni dell’Istituto. Ma mi vergogno, non voglio che mi vedano i miei compagni… Ma perché non ci danno una casa vera? Io sono nata a Roma, mio padre ci abita da quando aveva due anni, quanto dovremo aspettare ancora?”

Quanto dovremo aspettare ancora?

 

 

 

 

 

 

Roma, 9 marzo 2002

Opera Nomadi Sezione Lazio