Opera Nomadi
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COMUNICATO STAMPA
Ancora una morte in una comunità rom, ancora una morte violenta
frutto del disagio, dell’incuria, del destino… o forse frutto
dell’indifferenza e della intolleranza?!
Dopo Fabio, morto a Via di Salone per un colpo accidentale partito dall’arma di un carabiniere
ancora un Halilovic
Chiara Halilovic, piccola romnì ci ha lasciato, le sue sorelline
Jessica e Vesna sono state ustionate su tutto il corpo dalle fiamme che hanno
divorato la loro povera Baracca.
E gli Halilovic, lo sottolineiamo, sono in Italia dalla fine degli
anni ‘60
La morte di Chiara è avvenuta nel territorio del V Municipio, che
a Roma, ha senz’altro il merito di aver avviato una reale politica di
accoglienza e di avviamento al lavoro del popolo Rom autorizzando la mostra
mercato dell’artigianato, bigiotterie e cose usate di Via di Casal Tidei,
dove tutte le domeniche espongono insieme Rom e altri cittadini di varie etnie
tra cui anche italiani.
Ma forse il V Municipio è stato lasciato solo in questa opera
dagli altri municipi dove, magari per inconfessabili bassi interessi di bottega
non ci si vuole veramente prendere la responsabilità di una seria
politica di avviamento al lavoro né quella di predisporre micro
aree dove poter finalmente – nella prospettiva oramai improrogabile
di una seria politica di avviamento verso le civili abitazioni –
accogliere piccoli insediamenti forniti dei servizi necessari?
Forse anche le istituzioni centrali del Comune di Roma pensano che
questo status quo sia immodificabile?
Perché intanto non si acquisiscono gratuitamente i Prefabbricati
in dotazione alla Protezione Civile che per essere utilizzati necessitano solo
di una revisione?
Forse oramai si è solo in attesa dell’approvazione del
nuovo disegno di legge sull’immigrazione che risolverebbe il problema dell’accoglienza dei Rom nello stesso modo con cui sono state
concepite quelle “pulizie etniche” già conosciute dai Rom
nell’ex Jugoslavia?
Noi non vogliamo e non possiamo
credere a tanto.
Sicuramente tanto i municipi che le
amministrazioni centrali locali non potranno da soli risolvere problemi annosi.
Sicuramente però il
risanamento di queste situazioni non può passare attraverso espulsioni
di massa o una politica meramente attendista.
Alcuni organi di stampa hanno voluto ricordare le
tante tragedie di decine di bambine e bambini rom morti nei cosiddetti campi
nomadi.
Noi vogliamo ricordare qui una morte recente,
avvenuta prima del Natale, quella di Joseph Crescenzi Rovera Piccolo Sinto anche lui morto a causa
dell’incendio della sua abitazione e ribadire quello che dicemmo
all’epoca:
“Joseph è solo
l’ultima vittima sacrificale causata dalle condizioni disumane in cui il
popolo dei Rom, Sinti e Camminanti è relegato a vivere nei cosiddetti campi
nomadi.
Luoghi sprovvisti di
dignità e di un minimo di sicurezza in cui, molto spesso, sono approdati
per sfuggire alle pulizie etniche nei nuovi Stati Nazionali Puri dell’est europeo da
cui sono fuggiti in massa negli ultimi 10 anni.
In questi campi (a parte qualche villaggio attrezzato che a paragone
degli altri sembra quasi un’isola felice!), bambine e bambini rischiano
quotidianamente la vita per il freddo, gli incendi, le malattie e soprattutto
rischiano il loro futuro sempre più incerto e buio.
I cosiddetti campi nomadi nati come risposta ad un’emergenza
sono purtroppo diventati un’escrescenza stabile di questa opulenta
società.
Un luogo dove emarginazione,
devianza, rischio della propria vita e un futuro senza speranza sono
all’ordine del giorno.
Qui a Roma sei bambini sono morti in
un anno alla Muratella; altri sei bambini
Rom morirono al Casilino 700 prima
della sua chiusura e assistiamo impotenti ad uno stillicidio continuo di morti
quotidiane.
Dopo la morte a Bologna di Amanda e
Alex, i due bambini Rom che tanta commozione suscitarono in tutto il paese,
abbiamo continuato a contare, in tutta Italia, le morti per fuoco dei figli dei
ghetti. Negli ultimi anni ammontano a più di quaranta i bambini morti per
la precarietà dell'habitat.
Joseph era un bambino italiano ed è morto come tanti
altri bambini Rom e Sinti dell’est europeo.
A parte alcuni gruppi ancora seminomadi (che sono oramai una minoranza nel nostro paese) nel Centro-Sud la grande maggioranza dei Rom italiani vive in casa ed ha abbandonato il seminomadismo per via della scomparsa dall’economia italiana dell’allevamento dei cavalli e dell’artigianato dei metalli, che per 600 anni avevano costituito la sopravvivenza materiale e la conseguente cultura di vita.
Nel Centro-Nord migliaia di <Sinti
ex-Giostrai>
vivono ammassati in enormi campi di roulotte, mentre essi desiderano vivere in
piccoli gruppi familiari; i Comuni non permettono loro di autocostruire questi
piccoli Villaggi, che garantirebbero invece un buon livello di vita
comunitaria.
Grave è ancora invece la
sorte dei Rom originari della Romania e della Jugoslavia, i quali a migliaia sono
fuggiti dai <Campi> per affittare vecchie case ma ancora troppi vivono in
queste strutture con servizi promiscui.
L'esigenza di avere servizi privati
per ogni nucleo familiare e' molto sentita, infatti l'uso di strutture in
comune causa problemi derivanti sia da un senso del pudore tradizionalmente
radicato, sia da un senso della cura e dell'igiene che sicuramente non si ha
verso servizi che non sono di proprietà o di uso esclusivo.
Alcuni Comuni hanno assegnato
<Case popolari> a qualche famiglia di Rom Jugoslavi, ma si tratta ancora
di casi isolati.
Molto più numerosi i Comuni
che hanno adottato la linea dei <Villaggi di prefabbricati> che almeno
hanno eliminato la promiscuità, ma i Rom dei Balcani vogliono casa
perché abituati da 50 anni nei loro Paesi a vivere in appartamenti del
governo o in piccole abitazioni autocostruite.
Una casa dignitosa, come quelle di
recente date dal Comune ai Rom baraccati di Cosenza, è questa
l’unica speranza affinché i tanti Joseph, Amanda, Alex, Manuela,
Salem, Silvana, Enrico… non siano morti invano.”
Noi non vogliamo credere che come i tanti Joseph,
Amanda, Alex, Manuela, Salem, Silvana, Enrico, Ferit, Alan, Fabio, Rambo,
Seniur, Gelib, Jasmina… anche Chiara sia morta invano. Per questo
continuiamo a chiedere a gran voce una seria politica di avviamento al lavoro
per i capifamiglia rom ed il numero controllato delle presenze senza
espulsioni di massa
Vorremmo che tutti, ma soprattutto le istituzioni riflettessero a lungo su quanto detto da Sonia, una piccola romnì di 10 anni che vive nella comunità cosiddetta della Martora sotto il Ponte dove viveva anche Chiara, ad un giornalista: “Vivere qui al campo è terribile. Lo sapete che i bambini vengono morsi dai topi? … Noi siamo quattro fratelli e ogni giorno mia madre ha solo due bidoni di acqua per tutta la famiglia. Io vado a scuola, faccio la IV e potrei lavarmi nei bagni dell’Istituto. Ma mi vergogno, non voglio che mi vedano i miei compagni… Ma perché non ci danno una casa vera? Io sono nata a Roma, mio padre ci abita da quando aveva due anni, quanto dovremo aspettare ancora?”
Quanto dovremo aspettare ancora?
Roma, 9 marzo 2002