Rom città chiusa

incendio al campo di via dei gordiani a Roma

 

Siamo a Roma nel campo di via dei Gordiani scrivevamo un paio d’anni fa, quando spinti da utopico senso di giustizia documentavamo la sua vicenda. Ora non possiamo scriverlo più, al limite potremmo dire in quello che resta.

14 marzo, 6 e mezza del pomeriggio, una baracca in fondo al campo prende fuoco; rapido epilogo, rapido come solo le fiamme in una baraccopoli possono, e in poco tempo altro legno si infiamma, le bombole di gas scoppiano e il vento fa il suo; non ci sono morti ne feriti ma “solo” più di 200 persone senza tetto e i ricordi e gli averi di una vita bruciati,  per non parlare dei documenti.

I pompieri arrivano quando ormai tutto è completamente distrutto, fiamme altissime si scorgono da altri quartieri, nei dintorni ora ci si accorge che lì c’era un campo Rom. Rom, Zingari, Rudari, serbi d'origine rumena, ma non nomadi. Sì, perché in questo campo di nomade ci sono state solo le istituzioni che non si sono prese carico di difendere i diritti di una minoranza, e la vita di queste persone. Ma la minoranza in questione è quella Zingara, e il diritto specifico quello ad un' abitazione decente, due cose che in Italia sembrano veramente inconciliabili.

9 settembre 1997, un protocollo d’intesa viene sottoscritto tra Regione Lazio, Comune di Roma e I.A.C.P. (Istituto Autonomo Case Popolari), e qui comincia l’illusione di una diversa possibilità per le  politiche abitative nei confronti del popolo Rom; via dei Gordiani doveva esserne l’esempio concreto, e forse è proprio per la sua valenza di possibile precedente che gli impegni presi non sono stati rispettati. Su questo campo era stato avviato un progetto pilota, d' avanguardia a livello europeo, che prevedeva la costruzione di case popolari per i Rom; la realizzazione del villaggio, da assegnare ai Rudari da 15 anni già residenti in via dei Gordiani, nasceva nell’ambito degli interventi di Edilizia Residenziale Pubblica (E.R.P.) sovvenzionata, destinata a “particolari categorie sociali”.

Si trattava di case popolari, solo con una diversa modalità di progettazione che prevedeva interventi di bio-edilizia, atti a mantenere i costi di gestione, ed una particolare attenzione alle esigenze spaziali di una diversa cultura, quella Rom, strutturata socialmente sulla famiglia estesa. Questo villaggio non sarebbe stato un pietistico regalo, come più volte è stato dichiarato dalla destra in campagna elettorale, ma una lecita assegnazione di alloggi popolari. Case quindi, non roulotte ne containers; nessuna concessione assistenziale ma il riconoscimento di un diritto, dove il passaggio alla residenza è un segno di civiltà nel quale integrazione e assimilazione non vengono confuse.

Più volte i lavori sono cominciati ed interrotti aggravando le condizioni già critiche del campo, nel frattempo le elezioni regionali mettevano un freno all’entusiasmo: il centro sinistra non ha voluto rischiare su una questione troppo delicata per l’intolleranza dell’opinione pubblica, la destra si è giocata la carta della menzogna con migliaia di manifesti che dichiaravano il regalo di villette a schiera agli Zingari da parte del Comune di Roma, che con la giunta guidata da Francesco Rutelli ha preferito rimandare a data da destinarsi il problema; l’indignazione popolare è cresciuta e insieme con questa l’indifferenza e il silenzio delle amministrazioni locali.

La vicenda continua, i Rom insieme ad un eterogeneo coordinamento di cittadini scendono più volte in piazza per denunciare la pericolosa situazione di degrado in cui la gente del campo continua a vivere, ma la situazione resta bloccata. Francesco Storace, finalmente presidente della regione, boccia definitivamente il progetto destinando i fondi ad altro utilizzo; come fosse una beffa la giustificazione è la decorrenza dei termini di avvio dei lavori. Il centro sinistra tira un sospiro di sollievo, ufficialmente non ha dovuto prendere decisioni, ne esce quasi illeso: come se il silenzio-assenso ed i ripetuti ritardi e negligenze non fossero una colpa.

Più volte è stato denunciato il pericolo di incendi, nei campi è una reale possibilità quotidiana troppo spesso distrattamente segnalata dai giornali; i lavori sono continuati per creare un campo provvisorio, nel senso italiano del termine, di containers, ma questa soluzione continua a presupporre un pericoloso livello di marginalità che potrebbe mettere in discussione la presenza stessa della comunità in quel luogo.

Il tempo passa, dei moduli prefabbricati neanche l’ombra, i lavori continuamente rimandati e posticipati per assurde procedure burocratiche e lentezze amministrative, le aspettative disattese; dopo anni di lotte e speranze il rogo è l’epilogo della vicenda. Si parla di disgrazia: prevista, annunciata, da noi già vista e da molti di loro già vissuta. Il campo era bruciato per metà la prima volta nel 1992; niente di nuovo, succede spesso, e sempre ci sono delle responsabilità: in questo caso più grandi del solito, perché la costruzione di questo villaggio poteva essere la dimostrazione della volontà di cercare una diversa soluzione alla “questione Rom”,  perché la situazione dei campi in un paese come l’Italia in questa epoca è veramente qualcosa di anacronistico, o almeno dovrebbe esserlo.

Il sindaco Valter Veltroni per l’ennesima volta si è esposto, stavolta davanti alle telecamere: entro due mesi il campo sarà fatto; noi sorridiamo, amaramente, perché anche questo lo abbiamo già sentito, mentre la comunità di Rom Rudari di via dei Gordiani ora fatica a sorridere, troppo impegnata a cercare tra la cenere i pochi oggetti risparmiati dal fuoco. Rimangono gli sguardi, i volti; quelli loro sono increduli e delusi, più che arrabbiati, per qualcosa che ora è irreparabile; i nostri sempre più incazzati e dolorosi. Insieme a questi un dato di fatto: Roma poteva farsi avanguardia politica e culturale in Italia nell’affrontare la stanzialità di alcune comunità Rom, e questo è il risultato.

 

Marco Pasquini – coordinamento per il campo di via dei Gordiani

 

Su questa vicenda è stato realizzato un documentario, frutto di un anno di lavoro. Questo video di 53 minuti è a disposizione per proiezioni pubbliche e le cassette sono in vendita a 10 euro a copia (più spese postali se fuori Roma); Il lavoro, realizzato con standard professionali, è stato completamente auto-prodotto e viene auto-distribuito; il ricavato della vendita delle videocassette verrà utilizzato per farne una copia sottotitolata da distribuire ad organismi internazionali per la difesa dei diritti umani.

 

Marco Pasquini – 3384922548

marco@izona.it