GRUPPO DI RIFLESSIONE

di  organismi ed associazioni di ispirazione religiosa attivi nel campo delle migrazioni

 

ACLI

ACSE

ADRA

AGESCI

Caritas Italiana

Comunità di S. Egidio

CSER

Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia

Fondazione Migrantes della CEI

Gruppo Martin Buber - Ebrei per la pace

Jesuit Refugee Service

UCSEI

 

 

 

CONSIDERAZIONI SULL’ACCESSO DEL TITOLARE DI PERMESSO DI SOGGIORNO DI BREVE DURATA AL PERMESSO DI SOGGIORNO PER LAVORO

 

 

Necessita’ di un incontro diretto tra domanda e offerta di lavoro: l’esperienza italiana

 

Il lavoratore straniero a bassa qualificazione non ha alcuna possibilita’ di essere chiamato nominativamente da un datore di lavoro in Italia se e’ costretto ad attendere tale chiamata nel proprio paese, dal momento che nessun datore di lavoro sarebbe disposto ad assumerlo “al buio”. Per tale motivo, anche in assenza di disposizioni che consentano un apposito soggiorno per la ricerca di lavoro sul posto (quale quello oggi previsto nell’ambito della cosiddetta sponsorizzazione), il lavoratore cerchera’ comunque di fare ingresso in Italia allo scopo di incontrare direttamente il potenziale datore di lavoro e stabilire con questi il rapporto di fiducia necessario per la stipula di un contratto di lavoro. Questo potra’ avvenire secondo due diverse modalita’: l’ingresso clandestino o l’ingresso per soggiorno di breve durata (turismo, visita a familiari, etc.).

 

Una situazione di questo tipo e’ stata vissuta, in Italia, per tutto il periodo che va dall’approvazione della legge 943 del 1986 all’approvazione della legge 40 del 1998. Le chiamate nominative hanno riguardato nei fatti solo persone che erano comunque entrate in Italia per cercare lavoro. Trovatolo, nei casi in cui il datore di lavoro fosse sufficientemente scrupoloso da voler dare legalita’ al rapporto di lavoro, i lavoratori tornavano temporaneamente in patria, rientrando poi in Italia una volta ottenuto il visto di ingresso per lavoro. Questo meccanismo ha presentato pero’ una serie di difetti:

 

a)          ha dato luogo ad uno spreco di risorse e di tempo (associato al temporaneo rimpatrio del lavoratore);

 

b)          ha condizionato l’accesso ad un soggiorno legale stabile in Italia all’attraversamento di una fase comunque illegale;

 

c)          ha lasciato in condizione illegale tutti quei lavoratori il cui datore di lavoro non fosse animato da un sufficiente desiderio di legalita’.

 

Quest’ultimo punto, in particolare, ha fatto si’ che anche sul piano dell’efficacia il meccanismo si rivelasse largamente insufficiente. A dispetto, infatti, dell’assenza di tetti numerici sulle chiamate nominative nel decennio 1986-1996 (che ne avrebbe consentito un uso generalizzato), una larghissima porzione di coloro che, nei fatti, avevano trovato lavoro in Italia non ha avuto modo di avvalersene e ha dovuto invece affidarsi ai vari provvedimenti di sanatoria per approdare alla condizione di soggiorno legale (oltre 600.000 in quel decennio, a fronte di cira 200.000 chiamate nominative).

 

 

L’effetto dell’abolizione della sponsorizzazione: necessita’ di misure complementari

 

Con l’abolizione della sponsorizzazione si ritornerebbe ora in pieno a quel regime (che e’ stato solo debolmente corretto – sia chiaro – dall’applicazione della legge 40, dato il numero bassissimo di sponsorizzazioni autorizzate da quando quella legge e’ in vigore).

 

Se si vuol contrastare l’immigrazione clandestina e, contemporaneamente, rinunciare allo strumento della sponsorizzazione, e’ assolutamente necessario che agli occhi del migrante, dei due canali di accesso di fatto al mercato del lavoro – ingresso clandestino e ingresso per soggiorno di breve durata -, appaia preferibile il secondo. Con una battuta: se lo Stato vuole veramente combattere gli scafisti deve presentare al migrante un’offerta concorrenziale. La cosa e’ possibile se si introduce la possibilita’ di stabilizzazione del soggiorno di breve durata in presenza di una opportunita’ di inserimento lavorativo. Tale possibilita’ e’ esplicitamente prevista dalla proposta della Commissione europea per una direttiva su ingresso e soggiorno per lavoro.

 

 

I vantaggi

 

I vantaggi di una norma che consenta il rilascio di un permesso di soggiorno per lavoro al titolare di un permesso di breve durata sono rappresentati, per il lavoratore, dalla possibilita’ di mantenere tutto il suo percorso migratorio nella legalita’, senza rischiare di incorrere nelle sanzioni contro l’immigrazione illegale; dalla possibilita’ di evitare il ricorso ai servizi costosissimi e rischiosi dei trafficanti; dalla possibilita’ di incontrare direttamente il datore di lavoro e di dar vita a un rapporto di lavoro tra parti pienamente consapevoli; dal mancato spreco di risorse e di tempo associato al temporaneo rimpatrio. Questi ultimi due elementi costituiscono, evidentemente, un vantaggio condiviso con il datore di lavoro.

 

Allo Stato, oltre che dall’abbattimento del traffico di immigrazione clandestina (altrimenti difficilissimo da contrastare), deriva un grande beneficio dal ruolo svolto dal mercato stesso nel determinare – senza che occorrano irrealizzabili censimenti - l’effettiva richiesta di manodopera straniera. In queste condizioni, la determinazione di tetti numerici potrebbe – in accordo con le indicazioni della proposta di direttiva su ingresso e soggiorno per lavoro – essere ricondotta al suo ruolo piu’ corretto: quello di eventuale limitazione degli effetti collaterali indesiderati dell’immigrazione (ove ve ne siano). In altri termini, la fissazione di un tetto numerico potrebbe (e dovrebbe) rispondere al solo obiettivo di evitare eccessive tensioni sociali, non essendo invece affatto opportuna un’interposizione dello Stato nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

 

 

I possibili svantaggi: obiezioni e rimedi

 

A una scelta di questo genere possono essere mosse diverse obiezioni:

 

a)          il rischio di danneggiare, con un eccesso di offerta straniera, la manodopera italiana (o comunque gia’ residente) disoccupata;

 

b)          il rischio di ammissione indiscriminata di persone incapaci di provvedere al proprio sostentamento;

 

c)          il rischio, in mancanza della realizzazione, in tempo utile, di un adeguato inserimento lavorativo, di un prolungamento irregolare del soggiorno, con conseguente aggravio dei costi e delle difficolta’ associati all’espulsione degli stranieri in posizione illegale.

 

A tali obiezioni si puo’ dare risposta facendo riferimento ad altre norme in vigore o contenute nella citata proposta di direttiva. In particolare, il rischio di danneggiamento della manodopera nazionale o comunitaria disoccupata puo’ essere fortemente ridimensionato con l’applicazione dell’accertamento di indisponibilita’ di lavoratori gia’ presenti sul territorio nazionale (inclusi gli stranieri gia’ titolari di permessi di soggiorno di lunga durata). E’ da osservare, comunque, che dovrebbe prevalere in ogni caso la considerazione del rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore, essendo quindi da evitare l’imposizione di un carattere eccessivamente vincolante alla condizione di indisponibilita’ di manodopera residente.

 

Il rischio di ammissione di persone incapaci di provvedere al proprio sostentamento sarebbe automaticamente rimosso dall’accertamento delle risorse necessarie al mantenimento per tutto il periodo di (breve) soggiorno autorizzato – condizione, questa, gia’ prevista per la concessione di un visto di ingresso per soggiorni di breve durata.

 

Il rischio di una transizione alla condizione di soggiorno illegale dello straniero ammesso per soggiorno di breve durata e’ gia’ largamente presente: nel 1999, ad esempio, sono entrati legalmente in Italia per soggiorni di questo genere oltre 600.000 stranieri extracomunitari. La possibilita’ di accesso al permesso per lavoro non accrescerebbe di per se’ questo rischio. Lo ridurrebbe, anzi, privando quanti trovino un effettivo inserimento lavorativo di qualunque motivo per scivolare nella condizione di illegalita’.

 

 

Una modifica piu’ radicale

 

Una accentuazione dei vantaggi fin qui prospettati potrebbe essere ottenuta prevedendo anche la possibilita’ di proroghe del soggiorno di breve durata, finalizzate ad una piu’ efficace ricerca di inserimento lavorativo stabile e condizionate ancora alla dimostrazione della capacita’ di autosostentamento - senza, quindi, rischio di aggravio della spesa sociale. Questa possibilita’ costituirebbe per lo straniero un ulteriore incentivo a mantenere la propria permanenza in condizione di piena legalita’.

 

Il pericolo di una accentuazione delle difficolta’ e dei costi associati alla repressione delle eventuali violazioni della normativa potrebbe poi essere del tutto eliminato, in un’ottica di riforma piu’ radicale della normativa, prevedendo che lo straniero che voglia fruire della prorogabilita’ dei permessi di soggiorno di breve durata e della possibilita’ di accesso a un permesso di soggiorno per lavoro depositi, in ingresso

 

a)          copia del passaporto e impronte digitali: la loro associazione permetterebbe l’immediata identificazione dello straniero e l’eseguibilita’ di un eventuale provvedimento di espulsione a suo carico (non piu’ intralciabile dall’occultamento o dalla distruzione dei documenti di viaggio);

 

b)          un biglietto “aperto” per l’eventuale rimpatrio (o garanzia equivalente, sotto forma di fideiussione bancaria o altro).

 

Il deposito delle impronte digitali, effettuato su base volontaria dallo straniero, allo scopo di accedere a un vantaggio supplementare non automaticamente esteso a tutti i titolari di un permesso di soggiorno di breve durata, non potrebbe configurarsi come discriminatorio, cosi’ come non risulta discriminatorio il rilevamento delle impronte del richiedente asilo, previsto dalla normativa europea.