Successivamente il giudice di Agrigento aveva annullato le espulsioni dei profughi sudanesi già trattenuti a Lampedusa, sulla base del fatto notorio che gli stessi profughi provenivano da un paese come il Sudan nel quale è in corso una guerra civile e non potevano dunque essere espulsi né rimpatriati coattivamente, in base a quanto sancito dall’art. 19 del vigente testo unico sull’immigrazione. Lo stesso provvedimento del magistrato- che annullava le espulsioni -confermava peraltro implicitamente la circostanza che gli stessi non avevano potuto usufruire di un interprete né presentare una tempestiva domanda di asilo. Dalla data del provvedimento di espulsione si desume anche il notevole scarto temporale( dieci giorni) tra l’ingresso, l’arresto dei profughi a Lampedusa e l’emissione dei provvedimenti di espulsione e di trattenimento da parte delle competenti autorità di Agrigento. Per legge ( e secondo la Costituzione) entro 96 ore dall’arresto il magistrato deve convalidare il provvedimento della polizia limitativo della libertà personale, dovendosi in caso contrario procedere all’immediata liberazione della persona trattenuta.
Tutti i profughi , oltre a restare diversi giorni senza uno straccio di
provvedimento che potessero almeno impugnare,e senza interprete, erano stati
marchiati segnando un numero sul polso con un pennarello, a Lampedusa e poi dopo
l’arrivo ad Agrigento. Ma questo, per chi applica le nostre leggi
sull’immigrazione, forse non ha neppure importanza, come testimonia la
risposta infastidita che è stata fornita quando le associazioni hanno
lamentato questo tipo di trattamento. Tutti i profughi sudanesi, alcuni dopo
altri giorni trascorsi nel centro di Agrigento, erano stati rimessi in
libertà, espulsi con l’intimazione a lasciare comunque il nostro
territorio nazionale entro quindici giorni . Molti di questi sudanesi, che nel
frattempo hanno potuto presentare finalmente richiesta di asilo,e sono ancora
ospitati nel centro di accoglienza
Santa Chiara di Palermo, altri presso la Missione Speranza e
Carità di Biagio Conte, sempre a Palermo, in attesa che la commissione
centrale decida sulla loro istanza. Non potranno più presentare domanda
di asilo, invece, i sudanesi superstiti della strage del sette marzo,
perché ad Agrigento, dopo la visita del Ministro Scajola, al momento di
ricevere la promessa di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, sembra
che abbiano dovuto firmare una dichiarazione espressa di rinuncia alla
richiesta d asilo.
Tutti sono adesso sospettati di reticenza sull’esatto percorso
seguito nel loro viaggio verso l’Italia, e prima di potere presentare la richiesta di asilo sono
stati sentiti per cercare di scoprire la organizzazione che li ha fatti
arrivare nel nostro paese.
In questo modo si dimentica che l’ingresso clandestino rimane
l’unica via di fuga consentita ai profughi da una legislazione che
antepone il contrasto all’immigrazione clandestina al rispetto dei
diritti fondamentali dei migranti. E che non si riesce neppure a scoprire i
trafficanti perché gli organi di governo continuano a mantenere normali
rapporti diplomatici con quei paesi che speculano sul traffico di clandestini,
per ragioni economiche, come la Tunisia, in vista di più lucrosi accordi
di riammissione, o per ragioni politiche, come la Turchia, magari per negoziare
il loro ingresso nell’unione europea.
Adesso tutto l’impegno di contrasto sull’immigrazione
clandestina si scarica su disperati, reduci da viaggi nei quali hanno visto
morire e gettare a mare i loro compagni, chiamati a testimoniare prima ancora
di avere certezze sul loro status e sul loro futuro.
Questi disperati vengono rinchiusi come tutti gli altri
“clandestini” nei centri di permanenza temporanea di Lampedusa e di
Agrigento.
Pensavamo che a Lampedusa vi fosse solo un centro di primo soccorso ed
assistenza, previsto dall’attuale regolamento di attuazione del T.U.
sull’immigrazione (art.23),per “il tempo strettamente necessario
per l’avvio” degli stessi stranieri nei centri siciliani di
permanenza temporanea, come quello di San Benedetto ad Agrigento.
Avevamo quindi denunciato le condizioni igieniche e la eccessiva durata
del trattenimento prima del trasferimento ad Agrigento, dati che ci risultavano
direttamente dalla vicenda dei profughi sudanesi, dando comunque per scontato,
oltre alla particolare destinazione della struttura a finalità di
soccorso e prima accoglienza, che la particolare distanza di Lampedusa dalla
Sicilia comportasse comunque alcuni giorni di ritardo nella emanazione dei
provvedimenti amministrativi ( espulsione, respingimento e trattenimento)
diretti ai cd. “clandestini”.
Quanto apprendiamo adesso dalla”smentita” della Questura di
Agrigento ci induce a chiederci se nel centro di permanenza temporanea di
Lampedusa, ammesso che sia un centro di permanenza temporanea come gli altri
quattordici attualmente operanti in Italia, siano garantiti i diritti di accesso
alla difesa e di informazione sui propri diritti ( ivi compreso il diritto di
asilo), nonché il diritto di visita, anche da parte di associazioni che
assistono i richiedenti asilo, la libertà di comunicazione telefonica
con l’esterno e la possibilità di avere un interprete, come
previsto dalle direttive ministeriali che dettano i criteri di organizzazione
dei centri di permanenza temporanea e come consentito in tutti gli altri centri
di permanenza siciliani da noi visitati.
Ma forse il centro di detenzione di Lampedusa è un centro veramente speciale. O il nuovo
decreto governativo che impone lo stato di emergenza per contrastare
l’invasione dei clandestini ha permesso di rimettere tutto a posto? Con i
tempi che corrono è tutto possibile.
Se quello di Lampedusa è un centro di permanenza temporanea come
tutti gli altri, dovremmo pensare che un magistrato possa convalidare il
trattenimento entro le 96 ore dall’arrivo dei profughi dentro la
struttura, e che siano garantiti interpreti e diritti di difesa, ma questo non
ci risulta. Attendiamo notizie e chiarimenti sul punto. La limitazione della
libertà personale è una questione molto delicata, anche quando
riguarda immigrati privi di permesso di soggiorno, giunti clandestinamente ( se
gli è andata bene) sulle nostre coste; a maggior ragione quando questi
stessi “clandestini” sono sottoposti a delicate indagini di polizia
per appurare da dove vengono e chi li ha trafficati.
Vorremmo sapere allora, se quello di Lampedusa è un vero e
proprio centro di permanenza temporanea, quando è stato decretato dal
Ministero degli interni, e quali sono le associazioni che oltre alla Croce
Rossa vi hanno accesso, e ancora quali convenzioni siano state stipulate per la
sua gestione. Se le persone che vi vengono “trattenute” sono
ascoltate alla presenza di avvocati e con l’assistenza di interpreti
ufficiali. In molte occasioni gli operatori umanitari, e persino gli avvocati,
sono stati messi nella impossibilità di agire all'interno dei centri di permanenza temporanea italiani,
veri e propri centri di detenzione che fanno rimpiangere persino le carceri.
Certo, Lampedusa è lontana, ma la nuova legge Bossi Fini è ormai
prossima all’approvazione e comporterà il raddoppio del periodo di
internamento ( fino a sessanta giorni) e la possibilità di rinchiudere
nei CPT anche i richiedenti asilo, proprio come i sudanesi superstiti della
tragedia di Lampedusa.
Per questo è importante verificare le condizioni strutturali e di
legalità dei centri di permanenza temporanea, a maggior ragione se si
trovano in una isola sperduta più vicina all’Africa che alla
Sicilia. Chiediamo all’ACNUR ed alle associazioni che assistono i
richiedenti asilo di visitare la struttura di Lampedusa per verificare le
condizioni di trattenimento di quanti vi sono internati.
Persino la sentenza della Corte Costituzionale n. 105 dello scorso anno
che ha respinto la eccezione di incostituzionalità della normativa sui
centri di permanenza temporanea, ha riconosciuto che la legittimità
delle relative norme si fonda sul rispetto della riserva di giurisdizione ( la
concreta possibilità che il magistrato verifichi nei termini di legge la
legittimità dei provvedimenti di espulsione e di trattenimento). Sulla
base di quella decisione, sono decine e decine i casi di annullamento di
espulsioni illegittime e di mancata convalida dei trattenimenti.
Anche i magistrati di Agrigento hanno annullato numerose espulsioni o
non hanno convalidato i provvedimenti di trattenimento, per vizi procedurali o
per ragioni di merito, come in tutte le altre città italiane.
E’ questa la ragione vera per la quale si vuole sottrarre alla
magistratura qualsiasi possibilità di controllo sui provvedimenti che
limitano la libertà personale degli immigrati irregolari o clandestini.
In questo modo si strappano gli
articoli 3, 10, 13 e 24 della
Costituzione.
Si mettono in discussione principi fondamentali dello stato di diritto.
Noi siamo contro i CPT e da anni ne chiediamo la chiusura, trattandosi
già adesso di strutture che violano la riserva di legge e di
giurisdizione in ordine alle limitazioni della libertà degli stranieri(
regolari e non ) previste dalla nostra Costituzione.
Fino a quando resteranno aperti, nella prospettiva ventilata dal governo
di un loro aumento e di una maggiore durata della detenzione, chiediamo ancora
una volta chiarezza nella gestione dei centri di permanenza temporanea,
sicurezza e rispetto delle minime norme igieniche per quanto concerne le
strutture, umanità e legalità nel trattamento imposto a persone
che hanno la sola colpa di fuggire da situazioni di guerra, di malattia, di
bisogno, che impediscono loro, nei paesi in cui sono nati, non solo il soddisfacimento delle minime esigenze
vitali, ma qualsiasi speranza di
futuro.
Palermo 29 marzo 2002
ASGI Sicilia
Fulvio
Vassallo Paleologo