Resoconto delle visite al Cpt Regina Pacis
Sabato 16 novembre ’02 due delegazioni
formate da compagni e compagne di Rifondazione Comunista della federazione di
Lecce e del Lecce Social Forum, insieme al deputato Niki Vendola e al
giornalista Stefano Menchiarini hanno visitato due centri di
“accoglienza” in provincia di Lecce.
Il primo è stato il Regina Pacis, diretto da Don Cesare Lodeserto, che
non si è fatto trovare e ha affidato la delegazioni “nelle
mani” del vidirettore e di un nugolo di poliziotti della Digos e di un
nutrito gruppo di carabinieri della legione di Bari.
Il tentativo che i dirigenti del centro hanno fatto di far vedere solo la parte
“lucida” della struttura è stato messo in crisi dalla
volontà della delegazione di non accontentarsi di ciò che erano
pronti a mostrare. Di per sé, in ogni caso, anche solo restando al
recinto esterno è spaventosa la sensazione di essere in un carcere a
cielo aperto. I locali interni che avevamo la libertà di vedere erano
tutti tirati a lucido, ma molto poco accoglienti. Nessuna traccia di una
biblioteca o altra struttura in cui i reclusi del Regina Pacis, possano
trascorrere le ore del giorno senza guardare il mare che dista poche decine di
metri, attraverso una rete metallica alta oltre tre metri e sormontata da filo
spinato. Inoltre una camionetta è posta a serrare l’ingresso
principale, ossia quella da dove si accolgono gli ospiti graditi e ufficiali.
Non noi evidentemente che siamo stati fatti entrare da una porta laterale che
immette direttamente in un corridoio in cui affaccia l’ufficio del
direttore (e dove i reclusi hanno diritto di andare solo “in caso di
necessità e accompagnati dagli operatori”) dove Niki Vendola
è stato fatto accomodare dal vicedirettore, che ha descritto una
situazione idilliaca, di un centro in cui ci sono pool di medici e avvocati che
“curano” quelli che loro per quietare la loro coscienza chiamano
ospiti ma che in realtà non sono che reclusi. Alle domande
“tecniche” il dirigente ha risposto volentieri. Nel centro Regina
Pacis la “retta” per recluso è di 90.000 vecchie lire
giornaliere. Il vitto non è precotto. I cuochi sono italiani, che
cucinano piatti evidentemente italiani, con l’eccezione di un aiuto cuoco
marocchino, abbiamo avuto l’impressione, messo in “divisa”
poco prima che noi entrassimo e soprattutto piazzato in un punto in cui tutti i
membri della delegazione ci parlassero. Egli giunto dal Marocco due mesi fa per
motivi “economici” ci ha raccontato di essere in “attesa di
permesso” (cosa di per sé strana visto che dal Cpt si esce solo
per essere espulsi) e che tra una settimana avrebbe avuto il permessso di
uscire per andare a San Foca (cosa vada a fare in un posto semideserto
d’inverno non si capisce). Dalle cucine siamo stati introdotti nel
laborotorio medico, anche qui tutto lindo e pulito, con annesso laborotorio
odontoiatrico. Qui alle domande un po’ più scomode è
iniziata la reticenza. Non si capisce in quanti casi le malattie conclamate e
quali malattie e a che grado abbiano fermato l’iter
dell’espulsione. Inoltre ad una domanda precisa sull’espulsione di
oltre cento tamil, avvenuta nell’aprile scorso, di cui molti ammalati
varicella e a cui fu negato il diritto di consultare gli avvocati da loro
nominati; la reticenza è divenuta menzogna. Agli iniziali “non ricordo”
è subentrato lo scarica barile con la questura, con imbarazzo generale.
Il risultato è che di quell’episodio indecente (anche
perché all’epoca la Bossi-Fini fu applicata prima della sua
approvazione parlamentare, cosa fatta rilevare al dirigente pallido e ormai
sudato) è stato archiviato e comunque è assolutamente ripetibile.
Mentre ci avviavamo all’uscita dal laboratorio medico nel cortile abbiamo
chiesto di parlare con i reclusi. Subito, come era ovvio, siamo stati assediati
da storie terribili. Un palestinese che dopo aver scontato una pena nel carcere
di San Nicola, è stato trasferito nel Cpt e non sa perché, visto
che era munito di regolare permesso di soggiorno avuto in Francia, ed ora ha la
prospettiva di essere, tra pochi giorni, rimpatriato a Rafah nella striscia di
Gaza. Mentre ha una figlia in Italia con una donna di Parma (“non e
sposato!” si affretta chiarire un operatore italiano del centro, come se
la cosa cambiasse il dato di fondo) ed è epilettico ed è entrato
in Italia da Marsiglia per vedere la figlia. Se potesse tornare in Francia la
sua situazione giuridica gli eviterebbe il rimpatrio. Un gruppo di ragazzi
marocchini ci dicono che nelle camerate al piano di sopra c’è un
uomo malato gravemente di cancro. Un componente della delegazione tenta di
salire. E’ medico, lo vuol vedere. Viene fermato da un carabiniere sulle
scale. Sembra si debba rinunciare…Ma perché non ci fanno salire?
Il vicedirettore invoca la privacy degli ospiti, cosa un po’ ridicola, in
un posto controllato da decine di uomini in divisa e dove le impronte digitali,
“come da norma”, le prende la criminalpol. Un lavoratore indiano,
del Punjab, mostra le buste paga che ha dal 1994. L’ultima risale al
luglio 2002. Ci chiede “perché sono qui?”. Chiediamo se
hanno visto un avvocato: un coro di no. Il vicedirettore scuote la testa e
ripete che gli avvocati del Cir (comitato italiano rifugiati) vengono due volte
a settimana. E allora perché quel lavoratore è lì? Vendola
prende le buste paga, le guardiamo tutti e restiamo gelati. Con quale criterio
vengono rinchiuse le persone nei Cpt? Ormai ci sfugge. Ci martellano con il
fatto che non hanno visto mai un avvocato (che interesse avrebbero a mentire?
Sanno bene che noi non possiamo farli uscire. Ma sanno che noi usciremo da lì
e possiamo parlare all’esterno. Questa è l’unica spiegazione
possibile della loro insistenza). Intanto un gruppo di ragazzi maghrebini
sbarcati in ottanta a Lampedusa e arrivati al Regina Pacis in quarantasette ci
racconta una cosa strana. Ci chiedono: perché trenta di loro sono stati
liberati? Chiediamo: ma sono stati espulsi? Ci rispondono: no! Sono ancora in
nord Italia e da lì telefonano e mandano pacchi…Ci chiedono:
perché diciassette di loro non possono uscire? Perché il direttore
ripete loro “Domani, forse dopodomani…”. Sulla base di quale
criterio? Sulla base di quale autorità? Intanto fra quattro giorni
scadono i 60 giorni e loro saranno espulsi ancora una volta nel silenzio? Il
direttore non c’è e il vicedirettore “non sa”…!
Mentre ci avviamo all’uscita un ragazzo algerino scende correndo dal
piano superiore prende sottobraccio Vendola e tutti al primo piano. Alcuni
operatori minacciano apertamente il ragazzo.
Il primo piano è l’inferno: materassi di gomma spugna smozzicati e
luridi, latrine indecenti, finestre rotte (“per le loro risse” dice
un operatore o per tentativi di ribellione a quelle condizioni pensiamo tutti?)
. E finalmente vediamo il malato. Soprattutto lo vede il medico che è
con noi. Basta un’occhiata. Non si regge in piedi, consunto dalla debolezza
per camminare deve essere sostenuto da entrambi i lati. Può essere una
malattia della pelle come dice il vicedirettore? Può un uomo in quelle
condizioni aver firmato le dimissioni volontarie dall’ospedale Vito Fazzi
di Lecce? Non sembra possibile, verosimile. Da quando non vede un medico? Da
settimane. Aspettano che muoia, un altro modo di espellerlo.
Con questo stratagemma, che speriamo che il ragazzo algerino non paghi troppo
caro, siamo riusciti a vedere anche la parte del Regina Pacis non tirata a
lucido per l’occasione. Mentre usciamo, ormai siamo dentro da oltre due
ore, arriva in gran fretta Cesare Lodeserto, il direttore. Non risponde al
buongiorno e si chiude con Vendola nel suo studio per un colloquio privato che
dura oltre mezz’ora. Chi avrà confessato cosa a chi? Riteniamo che
il ruolo di confessore questa volta sia toccato a Vendola e non a Don Cesare,
nonostante l’abito che indossa…
All’uscita dal “colloquio privato” ci introduce personalmente
nel settore dove alcuni miniappartamenti prefabbricati ospitano le donne
“salvate” dalla strada e che oggi sono nel progetto di recupero.
Ancora una “zona lucida”. Ma non serve a cancellare la domanda di
fondo: che succede veramente nel Regina Pacis? Quali abissi di non-diritto
vivono coloro che vi finiscono?
Le nostre menti, di tutti, sono sconvolte dagli sguardi dei reclusi, senza
reato, che ci inseguono fino all’uscita dall’inferno.
Le proposte che ci vengono in mente sono:
- introdurre
una sorta di “difensore civico” nei Cpt,
- le visite
con deputati disponibili devono essere regolari almeno mensili o al peggio
trimestrali.
Quelle persone rinchiuse nel Regina Pacis devono essere protette. E’ un
luogo violento, nel senso profondo della parola.
Deve essere imposto ai Cpt un giorno di apertura settimanale, in cui su
prenotazione, anche le persone singole possano entrare a visitare i reclusi.
E’ necessario e possibile.
Cinzia Nachira responsabile provinciale immigrazione Prc Lecce
Lecce, 17/11/02