Al segretario
generale della CGIL Guglielmo Epifani
p.c.: a tutti/e
gli/le iscritti/e della CGIL, ai lavoratori e alle lavoratrici in Italia
Caro Guglielmo
Epifani,
le scriviamo
perché sono trascorse poche settimane dalla sua nomina a segretario
generale del più importante sindacato italiano e vogliamo farle un
sincero augurio di buon lavoro: che possa contribuire nel modo migliore
possibile alla difesa e al miglioramento delle condizioni di vita di tutti i
lavoratori e di tutte le lavoratrici (è anche un augurio che facciamo a
noi stessi).
Le scriviamo,
inoltre, perché tra pochi giorni si svolgerà lo sciopero generale
indetto dalla sua organizzazione. Vogliamo fare sapere a lei e a tutti/e che
noi ci saremo e faremo del nostro meglio affinché sia un grande sciopero
generale.
Noi siamo lavoratori
e lavoratrici provenienti da diversi continenti del mondo. Siamo immigrati e
immigrate. Alcuni di noi sono iscritti alla CGIL, altri sono affiliati ad altri
sindacati, altri ancora non sono iscritti a nessun sindacato ma sono impegnati
nelle comunità, nelle associazioni, nel movimento antirazzista e
degli/delle immigrati/e.
Per questo vogliamo
sottoporle alcune riflessioni, che consideriamo importanti per qualsiasi
organizzazione sociale di questo paese e, a maggior ragione, per il più
numeroso sindacato italiano, in cui sono riposte le speranze di tante persone
che vivono del proprio lavoro.
Con la “legge
Bossi-Fini” – come è capitato con altre iniziative del
governo Berlusconi – la realtà delle cose si svela in modo
brutale, addirittura crudele. Nonostante tutte le ipocrisie, è evidente
che una piccola ma potente parte della società italiana – gonfia
di privilegi e ricchezze – considera gli immigrati solo come braccia da
lavoro, da utilizzare per produrre beni e servizi, e poi da gettare; ci
considera solo come “risorsa produttiva”, come fossimo una materia
prima inerte, senza umanità, quindi senza diritti e senza
dignità. La nuova normativa, peggiorando nettamente la legge precedente –
già fortemente criticabile per la sua parte repressiva e assolutamente
inaccettabile per l’introduzione della detenzione di cittadini senza
permesso di soggiorno nei “Centri di Permanenza Temporanea”
–, ci sbatte in faccia questa triste realtà. La legge Bossi-Fini
è razzista e disumana, e introduce elementi di segregazionismo e di
semi-schiavitù.
Eppure, nel corso di
quest’anno, la CGIL – come pure la CISL e la UIL – non ha
fatto quello che avrebbe potuto e dovuto: per mesi si è attesa una
iniziativa forte dei sindacati maggiori contro la legge Bossi-Fini che si stava
preparando. Ma non è mai arrivata. La grande manifestazione del 19
gennaio 2002 ha visto la partecipazione di tanti attivisti sindacali sensibili
e antirazzisti, ma non è stata preparata dai maggiori sindacati:
l’hanno costruita le comunità straniere, i forum sociali, le
associazioni antirazziste.
Solo in alcune
realtà locali – come a Vicenza – i sindacati hanno assunto
l’iniziativa, indicendo lo sciopero generale territoriale contro la
Bossi-Fini. Nella maggior parte delle situazioni, anche dove sono presenti
delegati e sindacalisti immigrati, questi incontrano permanenti resistenze
all’assunzione delle rivendicazioni del mondo dell’immigrazione
come aspetti prioritari dell’iniziativa sindacale.
Ecco, su questo, le
chiediamo – e chiediamo a tutti i sindacati – di cambiare: la
difesa dei diritti e delle condizioni di vita dei lavoratori e delle lavoratici
immigrati/e non deve essere considerata come la difesa di una categoria
speciale di cittadini, a parte, di serie B, di cui si ha timore di parlare
perché sono così forti i pregiudizi e le idee false diffuse da
anni di propaganda - da parte della stragrande maggioranza delle forze
politiche e dei mass media di diverso orientamento – sulla cosiddetta (e
inesistente) “invasione” degli immigrati, sul
“problema” immigrazione, sul “pericolo” degli
stranieri. No: semplicemente, noi cittadini e lavoratori immigrati siamo la
parte più sfruttata, più in pericolo, meno garantita, meno pagata
della popolazione che vive e lavora in Italia. Su di noi vengono sperimentate
forme di sfruttamento che i padroni volentieri estenderebbero a tutti i
lavoratori, anche autoctoni. Chiediamo a tutti i sindacati, a cominciare dalla
CGIL: siate sindacati di TUTTI/E, senza distinzioni di colore, di provenienza,
di lingua, ma riconoscendo chi è più svantaggiato, chi vive
peggio, chi ha più difficoltà.
In questo senso,
vogliamo dar voce anche a coloro che sono costretti a vivere e a lavorare in
Italia senza tutti i documenti in regola e a cui è stata affibbiata (in
questo caso, proprio da tutti, purtroppo) l’odiosa definizione di
“clandestini”, un’altro vocabolo del nuovo razzismo che va ad
aggiungersi all’escludente termine di “extracomunitario”.
Tutti voi, se ci pensate bene, sapete benissimo che la clandestinità non
è una scelta ma una costrizione, e potete immaginare che i primi a
volersi liberare da questa marchiatura sono i nostri amici, fratelli, compagni
stigmatizzati come clandestini.
Proprio in queste
settimane, alla tragedia – rappresentata drammaticamente dai continui
naufragi, con numerosissime vittime tra coloro che tentano di raggiungere
un’Italia che consapevolmente ha ridotto pressoché a zero le
possibilità di varcare i suoi confini legalmente – si aggiunge l’immancabile
beffa (terribile quasi quanto la tragedia): a chi già vive e lavora qui
è nella maggioranza dei casi preclusa la possibilità di
regolarizzarsi con la cosiddetta “sanatoria”, perché i
padroni di lavoro preferiscono sfruttare “in nero” e, molto speso,
piuttosto che fare un contratto hanno “licenziato” chi lavorava per
loro.
Se i sindacati non
vogliono rendersi complici – magari involontari – di queste offese
alla dignità umana devono assumere più attivamente la difesa dei
diritti e delle aspirazioni di tutti i lavoratori e lavoratrici, a prescindere
dal tipo di documento che hanno la fortuna di trovarsi in tasca. Non è
un’impresa impossibile: pensate a cosa fecero i vostri nonni che nei
primi decenni del secolo scorso diedero un impulso eccezionale alla nascita dei
sindacati nei paesi di emigrazione delle Americhe. La traccia di quella storia
si trova ancora nella denominazione che quelle organizzazioni hanno conservato,
che il più delle volte contiene la parola “internazionale”.
Evidentemente non si
tratta solo di un problema di piattaforme rivendicative e di programmi.
C’è qualcosa di più, qualcosa di più impegnativo e
più importante riguardo a cui vogliamo richiamare la sua attenzione e
quella di tutte le persone che vogliono guardare al futuro di questo paese
– e della gente che si è trovata, e si troverà, a viverci
– con speranza. Si tratta di intraprendere una sfida culturale, un
cambiamento di pensiero e di comportamenti, che è diventato sempre
più urgente. La società e il mondo del lavoro stanno cambiando:
si moltiplicano i colori, le provenienze, le lingue, le fedi. Una miriade di
esperienze associative, sociali, culturali e solidaristiche stanno
concretamente assumendo questa trasformazione come una potenzialità
positiva. È una sfida impegnativa, alla quale non ci sembra contribuisca
positivamente uno slogan come quello riportato nel depliant della campagna
“Tu togli, io firmo” realizzato dalla CGIL Lombardia:
“Decidono i lavoratori e i pensionati ITALIANI”. Pensiamo che i
lavoratori non vadano distiniti per la loro nazionalità. Ciò che
auspichiamo è un cambiamento profondo, radicale, difficile: la
trasformazione in senso “internazionale”dei sindacati di questo
paese.
Qualcuno potrebbe
pensare che quelli che abbiamo sottolineato sono problemi secondari, con tutti
i guai che ci sono in Italia. Qualcuno potrebbe aggiungere che gli immigrati
sono solo una piccola minoranza nella società italiana. A noi,
però, viene in mente un racconto del Burkina Faso – che parla
delle terribili conseguenze provocate da una banale lotta tra lucertole in un
villaggio africano – e si conclude ricordando che “Quando
c’è un problema in una comunità, tutta la comunità
deve riunirsi per cercare di risolverlo. Anche se è solo un problema tra
lucertole... Perché i problemi della minoranza sono i problemi della
maggioranza”. E chi racconta questa storia aggiunge quello che commentava
un capo spirituale amerindio, confrontando la sua società a quella
occidentale: “Nella società dei bianchi, quando nasce un bambino
si aggiunge un quadratino, nella nostra società quando nasce un
bambino... allarghiamo il cerchio”.
In Italia, non
è arrivato il momento di allargare il cerchio?
Ci piacerebbe che lei
si adoperasse per la realizzazione di incontri a livello locale e regionale tra
le nostre associazioni e le strutture territoriali della CGIL.
Cordiali saluti
Comitato provvisorio
degli immigrati in Italia :
Immigrati di Caserta; Coordinamento antirazzista Cesar K (Verona); Gruppo migranti del movimento di lotta per la casa (Firenze); Assoc. Interculturale Todo Cambia (Milano); Associazione Multietnica 2001; Forum Sociale di Correggio; Immigrati in movimento (Napoli) ; Comunità Burkina Faso ARBI (Napoli); JVP (Roma) Associazione Latinoamericana El Condor (Roma) ; Comunità indiana; Dhuumcat (Roma); Associazione senegalese (Roma); UAWA (Roma); Comunità Moldava (Roma); SUTKA (Roma); Illiria (Roma); Associazione Filippini (Roma); Forum Associazioni immigrati (Brescia); Coordinamento immigrati CGIL (Brescia); Associazione Latinoamericana di Cremona.