Il Tribunale di Trento, sezione I civile,

 

riunito in camera di consiglio nelle persone dei magistrati:

dott. Patrizia COLLINO                                                       presidente

dott. Anna MANTO VANI                                                 giudice

dott. Michele BENINI                                                          giudice relatore

 

nel procedimento sub n. 959/2002 C.C. promosso da E. srl ( avv. Roberto Bertuol)

contro N.e S. ( avv. Agostino Catalano) letti gli atti , a scioglimento della riserva presa all'udienza del 19 settembre 2002, osserva:

E. srl ripropone avanti a questo Collegio tutte le eccezioni che erano state disattese dal Tribunale monocratico; ne formula anche una "ex novo" nei confronti dell'ordinanza dd. 4.7.2002, che sarebbe incorsa nel vizio di ultrapetizione ex art. 112 c.p.c.

Alcune di queste eccezioni saranno trattate subito qui di seguito, delle altre ne è opportuna la trattazione unitamente al merito.

In primo luogo, ad avviso della società reclamante il ricorso sarebbe nullo per omessa indicazione della residenza e del domicilio; sostiene che l'elezione del domicilio contenuta nel mandato "ad litem" avrebbe finalità processuali diverse; censura le considerazioni addotte dal Tribunale in primo grado, laddove ha sostenuto che al rito ex art. 44 del D.Leg.vo n. 286/1998 non sarebbero applicabili le norme sul contenzioso civile e che il ricorrente non dovrebbe provare qual è il suo domicilio.

L'art. 44 comma 2 dcl D.Leg.vo n. 286/1998 stabilisce che "la domanda si propone con ricorso depositato, anche personalmente dalla parte, nella cancelleria del pretore del luogo di domicilio dell'istante".

In quanto la domanda deve rivestire la forma del ricorso, trova applicazione l'art. 125 c.p.c. che, nell'indicare quale è il contenuto di questo tipo di atto, non contempla la necessità di indicare anche la residenza o il domicilio. Ne è riprova il fatto che dichiarazione di residenza o elezione di domicilio nel comune dove ha sede il giudice adito è invece richiesta espressamente, in aggiunta ai requisiti indicati dall'art. 125 c.p.c., a differenza della norma qui in esame, dall'art. 638 primo comma c.p.c in tema di ricorso per il rilascio di decreto ingiuntivo in quei casi in cui è ammessa la costituzione di persona.

Che la mancata indicazione del domicilio dell'istante non possa dare luogo a nullità del ricorso è desumibile inoltre dal fatto che, in relazione ai requisiti richiesti per l'atto di citazione (requisiti tra i quali, ai sensi dell'art. 163 comma 3 n. 2 c.p.c., è espressamente prevista la necessità di indicare la residenza dell'attore e la residenza o il domicilio del convenuto), la mancata indicazione della residenza dell'attore o del convenuto non è fatta rientrare dalla Cassazione (Cass. lì .4.1978 n. 1688) tra le cause di nullità della citazione, quando siffatta omissione non abbia determinato incertezza assoluta in ordine all'identificazione della parte suddetta, così da non potersi stabilire quale sia il soggetto che agisce o che viene convenuto nel giudizio.

Non è inutile aggiungere che, sia pur "aliunde", vi è in atti la prova documentale, desumibile dalla carta di soggiorno, del fatto che N. abita in ------- di --------- (nè vi è indizio alcuno che la sua residenza non coincida con il domicilio).

In secondo luogo E. srl ha eccepito la genericità, indeterminatezza ed incertezza del "petitum" avversario, che riporterebbe pari pari la dizione delI'art. 44 comma 1 del D.Leg.vo n. 286/1998.

Tale eccezione può essere trattata unitamente all'altra, pure sollevata dalla reclamante, per cui nell'ordinanza impugnata sarebbe ravvisabile un vizio di ultrapetizione, dato che il Tribunale monocratico avrebbe adottato un generico provvedimento con valenza "erga omnes", senza che vi sia corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

 

Anche questa eccezione non può essere condivisa.

La dottrina nega infatti che ai procedimenti in camera di consiglio sia applicabile il divieto di ultrapetizione. Soddisfatta la necessità della domanda (in quei casi naturalmente in cui non sia prevista un'iniziativa d'ufficio), il giudice ha un potere di decisione il cui ambito è fissato dalla legge ed è quindi del tutto indipendente dal contenuto della domanda. Tale indipendenza dal contenuto della domanda si manifesta appunto nel fatto che il giudice può adottare il provvedimento che ritiene più opportuno a venire incontro alla situazione che gli è stata rappresentata, indipendentemente dal provvedimento che il ricorrente abbia chiesto e indipendentemente anche dal fatto che, come nel caso di specie, nel ricorso ci si sia limitati a riprodurre la formulazione letterale della legge.

Nel merito l'ordinanza del Tribunale dd. 4.7.2002 deve essere revocata.

In primo grado il Tribunale ha ritenuto possibile imporre all'E. srl di eliminare che nel sistema di pagamento "Carta Aura Trony Gold" ai cittadini extracomunitari siano richiesti documenti diversi da quelli richiesti ai cittadini italiani, europei ed extraeuropei.

All'E. srl è tuttavia richiesto in questo modo un comportamento che non è esigibile. E. srl si limita infatti a raccogliere le richieste di finanziamento. E' F. spa che stabilisce i requisiti soggettivi ed

oggettivi per poter accedere alle varie forme di finanziamento. Dette circostanze sono state confermate attendibilmente dall'impiegata Navarini:

"Faccio presente che la "Carta Aura" viene rilasciata non da E. ma da F. la quale determina anche la somma da dare in finanziamento al cliente. Compito della E. era quindi di raccogliere la documentazione e mandarla alla F.".

Ad E. srl  non può essere chiesta l'eliminazione di clausole contrattuali; il Tribunale che ha così ordinato è inevitabilmente andato ad incidere sulla libertà di un soggetto (appunto F. spa) di fissare le condizioni delle varie forme di finanziamento, soggetto rimasto estraneo al presente giudizio in quanto non è stato chiamato a prendervi parte.

Sotto questo aspetto appare pertanto fondata l'eccezione di difetto di legittimazione passiva, dato che legittimato passivamente non era E. srl, bensì F. spa.

Ad escludere che nella fase della trattativa di vendita, l'unica che rientrava nella sua esclusiva disponibilità, E. srl abbia posto in essere una condotta discriminatoria si pone la circostanza, pacifica in causa, che la bolletta di ordinazione era già stata compilata (bolletta che alla fine N. strappò prima di allontanarsi infuriato dal negozio).

La vicenda deve essere tuttavia esaminata sotto un diverso profilo.

Dalla  testimonianza dell'impiegata  N., sentita   dal Tribunale monocratico, emerge una condotta dell'E. srl , posta in essere per il tramite di una sua dipendente, di natura discriminatoria, sanzionabile quindi ex art. 44 del D.Leg.vo n. 286/1998.

Ricorda la teste: "Quando si è trattato di pagare, lo straniero ha chiesto di farlo in maniera rateale in quanto c'era una promozione. Io ho chiesto al cliente i documenti. Poiché mi sono resa conto che era un cittadino straniero, gli ho fatto presente che in questo caso non si poteva ricorrere al pagamento rateale "Carta Aura Trony Gold Visa", ma solamente ad un pagamento rateale non in promozione (...) Ho indicato al cliente la possibilità del secondo tipo di finanziamento solamente perché ero a conoscenza, per la mia esperienza lavorativa, che la Findomestic, che è la società che rilascia la "Carta Aura", non consente questa formula di finanziamento ai cittadini stranieri".

In realtà non è vero che Findomestic spa non rilascia sempre e comunque la "Carta Aura" ai cittadini stranieri, anche se è pur vero che ne condiziona il rilascio all'esibizione da parte del richiedente di una serie di documenti. Per prendere in esame una richiesta di finanziamento, agli extracomunitari sono richiesti in particolare i seguenti documenti (doc. 3 fascicolo E.):

documento di identità italiano, ultima busta paga dalla quale risulti che il richiedente lavora presso lo stesso datore di lavoro da almeno un anno; permesso di soggiorno la cui scadenza sia posteriore all'ultima rata della richiesta di finanziamento; una bolletta qualsiasi (Enel, Gas, Telecom) intestata al cliente. Non vi è prova che, anche una volta che siano state soddisfatte queste richieste documentali, F. spa neghi il rilascio della carta di credito agli extracomunitari.

Dalla sua stessa deposizione emerge che l'impiegata dell'E. N. non ha indicato a N. quali erano i documenti che avrebbero consentito a quest'ultimo di accedere al finanziamento tramite il rilascio della "Carta Aura", limitandosi la prima a riferire al secondo che F. spa a gli stranieri la carta di credito in questione non la rilascia: circostanza, questa, come si è visto, non vera sempre ed in ogni caso.

L'art. 43 comma 1 nel definire in generale in che cosa consista un comportamento discriminatorio, stabilisce che "... costituisce discriminazione ogni comportamento ... che abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali ..

L'uso da parte del legislatore della congiunzione disgiuntiva "o" evidenzia che costituisce condotta discriminatoria anche quella che, pur senza essere animata  da  uno "scopo"  di discriminazione, produca,  peraltro, oggettivamente, un "effetto" di ingiustificata pretermissione per motivi razziali, etnici ecc.

Non rileva pertanto che, nel trattare con N. l'impiegata di E. srl non abbia avuto, come pare assai probabile, una specifica intenzione discriminatoria, dato che l'effetto è stato comunque quello di impedire a N. di accedere al finanziamento F..

Ciò basta per ritenere integrata una di quelle condotte di discriminazione, elencate nell'art. 43 comma 2 lett. b) del D.Leg.vo n. 286/1998 e consistenti nel fatto di "chiunque ... si rifiuti di fornire ... servizi offerti al pubblico ad uno straniero soltanto a causa della sua condizione di straniero ..."

Deve   essere pertanto ordinato ad E. srl  di dare adeguata informazione ai cittadini extracomunitari in ordine alle modalità ed ai documenti richiesti per accedere ai finanziamenti della F. spa tramite rilascio della "Carta Aura Trony Gold Visa".

Nell'ordine così come formulato non può ravvisarsi un difetto di attualità (E. srl  eccepisce a tale riguardo che vi sarebbe carenza di interesse ad agire).

L'art. 44 comma 1 del D.Leg.vo n. 286/1998 prevede che il giudice può ordinare "la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione".

La dizione usata dal legislatore ricalca ad un di presso quella riportata nell'art. 28 della legge n 300/1970 (Statuto dei lavoratori) in forza del quale è pure consentito  al  giudice, una volta che abbia ravvisato   una condotta antisindacale,  di ordinare al datore di lavoro "la     cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti".

La giurisprudenza di merito ha più volte negato che l'attualità del comportamento    denunciato come antisindacale sia una condizione di ammissibilità del procedimento ex art. 28 St. Lav. in materia di repressione della condotta antisindacale. Si è sostenuto infatti che il solo presupposto richiesto sarebbe quello del "fumus boni iuris", mentre, non essendo richiesta l'irreparabilità del pregiudizio, ossia il "periculum in mora", il procedimento sarebbe esperibile anche in assenza dell'attualità del comportamento denunciato e dei suoi effetti (in tal senso ad es. Pret. Milano 3.8.1981, in Lav.'80, 1981, 654; Pret. Pavia 27.11.1982, in Lav. '80, 1983, 323; Pret. Roma 26.4.1983, in F.I. 1983, I, 2401). Ci si è richiamati a tale proposito anche all 'obbiettivo perseguito dal legislatore, che, nell'introdurre questo sistema, ha inteso perseguire e reprimere tutte quelle condotte impeditive o limitative che, con il fine di ledere i beni tutelati della libertà e dell'attività sindacale, vengono poste in essere, tante volte in modo insidioso, dal datore di lavoro.

Non ignora questo Collegio l'orientamento, fatto proprio in alcune pronunce dalla Cassazione, secondo il quale costituisce presupposto necessario per l'esercizio dell'azione di repressione della condotta antisindacale l'attualità di tale condotta, o quantomeno, il perdurare degli effetti di questa (in tal senso Cass. 9.2.1991 n. 1364 e Cass. 5.4.1991 n. 3568). Tale orientamento si fonda, come è noto, principalmente sul tenore delle espressioni usate dal legislatore con riguardo al provvedimento che può essere emesso dal giudice, che deve consistere nell'ordine di cessazione del comportamento illegittimo e nella rimozione degli effetti di questo.

Nella giurisprudenza della Suprema Corte si è tuttavia fatto strada un principio difforme. Cass. 3.7.1984 n. 3894 ha infatti affermato che certe azioni antisindacali, anche se isolatamente considerate si esauriscono ciascuna istantaneamente senza che ne residuino effetti immediati da rimuovere, non di meno, per le circostanze in cui vengono poste in essere, rivelano, alla stregua di una loro valutazione complessiva,  una specifica condotta del datore di lavoro non meramente episodica, ma destinata oggettivamente a persistere nel tempo, con ripercussioni negative altrettanto durevoli per le anzidette libertà, sia per l'effetto intimidatorio che ne deriva, idoneo a limitare o impedire il loro normale esercizio, sia per la situazione di incertezza che ne consegue e che può risolversi in una restrizione o in un ostacolo al libero svolgimento dell'attività sindacale; sicché, ai fini dell'effettività della tutela apportata dall'art. 28, l'esaurirsi della singola azione antisindacale del datore di lavoro non vale ad impedire la pronuncia dell'ordine giudiziale di cessazione del comportamento illegittimo o ve questo, al la s tregua di una valutazione globale non circoscritta ai singoli episodi, risulti tuttora persistente e idonea a produrre  effetti durevoli nel tempo. L'attualità     della condotta antisindacale, che costituisce presupposto necessario per l'esperibilità dell'azione ex art. 28 della legge 20 maggio 1970 n. 300, in altre parole, in quanto diretta ad una pronunzia costitutiva e non di mero accertamento, non è  esclusa dall'esaurirsi della singola azione sindacale del datore di  lavoro, ove il comportamento illegittimo di questi risulti, alla stregua di una valutazione globale non limitata ai singoli episodi, tuttora persistente ed idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, tale da determinare una restrizione o un ostacolo al libero svolgimento dell'attività sindacale (in questo senso si sono pronunciate Cass. 2.6.1998 n. 5422 e Cass. 2.9.1996 n. 8032). A detto principio si sono conformate alcune pronunce dei giudici di merito (tra le altre vedasi Pret. Teramo 2.1.1990, in R.F.l. 1991, voce Sindacato n. 101 e Pret. Bologna 5.5.1992, in F.l. 1992,1, 2553).

Ritiene questo Collegio che l'or ora ricordato principio di diritto contemperi equamente dizione letterale e "ratio" anche dell'art. 44 comma 1 del D.Leg.vo n. 286/1998 e sia pertanto pienamente applicabile anche nella presente fattispecie. Infatti in tal modo non è precluso al giudice di ordinare la rimozione di un comportamento discriminatorio ove questo, alla stregua di una valutazione globale delle circostanze di fatto,  sia concretamente suscettibile di ripetizione in futuro, quindi non ancora esaurito dovendo ritenersi pur sempre attuale.

Anche in altre occasioni E. srl  darà corso ad offerte promozionali del medesimo genere. In difetto di statuizione sull'obbligo di fornire adeguata informazione, è verosimile che pure in tali occasioni E. srl reitererebbe il suo contegno di aprioristico diniego nei confronti degli extracomunitari che richiedessero il rilascio della "Carta Aura". Deve ritenersi consentito quindi a questo Tribunale di impartire ad E. srl  un ordine così come congegnato in dispositivo (allo stesso modo in cui non può negarsi l'interesse di Namane di sottoporre a censura la condotta tenuta da E.srl, dovendo pertanto disattendersi l'eccezione di carenza di interesse).

Tenuto conto della soccombenza reciproca delle parti e delle ragioni della decisione, in particolare laddove si è ravvisata la sanzionabilità ex art. 44 del D.Leg.vo n. 286/1998 indipendentemente da una specifica intenzionalità discriminatoria, si ravvisano giustificati motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi del presente procedimento:

P.Q.M.

revoca l'ordinanza dd. 4.7.2002;

ordina ad  E. srl  di dare adeguata informazione ai cittadini extracomunitari in ordine alle modalità ed ai documenti richiesti per accedere ai finanziamenti concessi da F. spa tramite il rilascio della "Carta Aura Trony Gold Visa";

dichiara interamente compensate tra le parti le spese sia del primo che del presente grado di giudizio.

Si comunichi alle parti a cura della cancelleria.

 

Trento, 23 settembre 2002

Il presidente, Patrizia Collino

Il Cancelliere B3, Consuelo Forti