Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 201 del 9/10/2002
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Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 3197)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sinisi. Ne ha facoltà.

GIANNICOLA SINISI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, le politiche dell'immigrazione, e fra queste possono certamente ricomprendersi la decisione di procedere ad una regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari, sono da annoverarsi, secondo il nostro ordinamento, tra le materie afferenti ai principi di politica economica e sociale. Come tali, esse riguardano esclusivamente la potestà dello Stato nel disciplinarle.
Signor Presidente, non vorrei indugiare oltre nel dire che le procedure che si sono seguite, puntualmente illustrate dal collega Boato, in qualche misura non rendono giustizia di quella che dovrebbe essere l'attenzione di un paese che è inserito nel contesto europeo, che è gettato come un'ancora nel cuore del Mediterraneo e che ha responsabilità enormi, nei confronti di tutta la comunità internazionale, relativamente alle scelte che assume in questa materia. Credo che le procedure che si sono seguite - lo ribadisco - non rendano giustizia della rilevanza della questione e della portata non solo pratica, ma anche politica di queste decisioni.
Fare come si è fatto ovvero procedere in questo modo piuttosto inconsulto, senza un momento di riflessione, senza uno spazio di ragionamento vero, senza la possibilità di approfondire le questioni che, invece, incideranno profondamente nei rapporti politici fra noi, con la nostra comunità e con la comunità internazionale, credo sia stato un peccato di superficialità che ci accingiamo a pagare tutti insieme.
Per affrontare ora la questione politica, vorrei semplicemente ricordare che la scelta che era stata fatta, ossia quella di procedere ad una regolarizzazione parziale per alcune categorie nell'ambito delle modifiche alla legge Turco-Napolitano, era già stata da noi denunciata come una scelta del tutto priva di fondamento: non aveva fondamento nelle ragioni dell'economia del paese né in quelle della sicurezza. Purtuttavia, questa maggioranza ha preferito procedere in quella direzione e assumersi la responsabilità di fare una scelta monca e sbagliata, salvo quanti nella stessa maggioranza - mi riferisco segnatamente ad una componente della maggioranza, l'UDC - hanno rilevato, non soltanto per questioni morali ed etiche, ma anche per questioni che riguardano lo sviluppo del nostro paese, che la scelta che era stata fatta era assolutamente insufficiente e inadeguata. Oggi, con un decreto-legge si cerca di coprire quella lacuna, estendendo la regolarizzazione a tutti i lavoratori extracomunitari presenti nel nostro paese, a prescindere dalla qualità e dalla tipologia del rapporto di lavoro che li riguarda.
Signor Presidente, non è vana polemica politica se ricordo che nel 1998, quando noi varammo una legge fondamentale in questa materia, la legge Turco-Napolitano,


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e affrontammo la questione di accompagnare quella legge con una scelta di regolarizzazione, quella scelta venne denunciata come una sanatoria. Quella regolarizzazione, signor Presidente, onorevoli colleghi, lo voglio ricordare a tutti, venne fatta sulla base di tre criteri fondamentali. Il primo criterio era la data certa, il 27 marzo 1998. La data certa, signor Presidente, in queste politiche non è ininfluente: ogni sanatoria, ogni regolarizzazione produce a livello internazionale un richiamo spaventoso. Io ricordo che due anni fa, per il solo fatto che in un articolo di giornale venne scritto che nel nostro paese mancavano 200 mila lavoratori dipendenti e che per questo avremmo dovuto richiedere dall'estero 200 mila lavoratori, si formarono delle code davanti alla nostra ambasciata a Teheran di persone che intendevano approfittare di quell'occasione! E quando noi pubblicammo quella regolarizzazione con data certa, dovemmo fare uno sforzo supplementare di polizia ai nostri confini - e segnatamente ai confini interessati dal trattato di Schengen, con la Francia - perché stavano entrando nel nostro paese a frotte tutti i cosiddetti sans papiers, che non avendo avuto nessuna possibilità di regolarizzazione in Francia, chiedevano di poterla avere da noi.
Non soltanto avete ottenuto l'effetto negativo del richiamo, ma avete concepito un'ipotesi assurda di un doppio richiamo: uno per coloro che volevano regolarizzarsi come collaboratori domestici e badanti ed un secondo, generalizzato, per tutti i lavoratori extracomunitari. Non voglio introdurre un argomento truce, ma non so quante morti, quanti viaggi della disperazione e della speranza sono nati per questo sistema confuso e per l'ambizione di poter ottenere una regolarizzazione che, in molti casi, non si consegue.
Mi chiedo se questo sia un atteggiamento responsabile, se sia giusto e soprattutto se non sia doveroso un esercizio di memoria rispetto all'esperienza che abbiamo vissuto, un'esperienza recente del 1998. Non vi chiedo di compiere una scelta di centrosinistra, ma semplicemente di fare esperienza dell'azione di Governo per la quale, senza soluzione di continuità, siete oggi chiamati ad avere responsabilità nei confronti del paese. Queste sono cose che voi avete denunciato quando noi le abbiamo compiute ed oggi, non soltanto rendete la pariglia compiendo le stesse scelte, ma addirittura le complicate, le peggiorate, le rendete ancora più confuse ed incerte. Credo che queste responsabilità, al di là degli intenti di ciascuno di noi - alcuni, più o meno, motivati da ragioni lodevoli - debbano essere evocate nella loro imparzialità ed obiettività.
Voglio ricordare che le altre due questioni per le quali facemmo la regolarizzazione riguardavano la disponibilità di una casa e di un lavoro - lo ripeto: di una casa ed un lavoro -, non solo non è presente alcun elemento di novità nell'ambito di questa scelta che è stata fatta, ma certamente, non vi è alcuna garanzia aggiuntiva rispetto a quella che fu una regolarizzazione riguardante 250 mila cittadini extracomunitari che trovò il sostegno di una decisione favorevole per quasi l'80, 90 per cento di loro.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, il rappresentante del Governo si è allontanato, ma debbo evocare, a questo punto, una questione di sicurezza, a prescindere.

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. A prescindere.

GIANNICOLA SINISI. Sì, a prescindere, come diceva Totò, ma in questo caso non c'è nulla da ridere perché la regolarizzazione è certamente funzionale anche alle ragioni della sicurezza. Conoscere che si trova sul territorio dello Stato, sapere che è stato identificato con certezza, sapere dove è la sua casa e dove lavora, è certamente un rafforzamento delle misure di sicurezza presenti nel nostro paese perché ciò sottrae quella acqua di coltura della clandestinità dentro la quale il disagio sociale può provocare scelte anche di tipo criminale. Quest'acqua di coltura che si vuole drenare con una scelta di questa natura, se condizionata da elementi troppo rigorosi, così come si è formulato, produce,


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invece, per effetto paradossale, una nuova criminalità, vale a dire quella dei falsi, delle estorsioni, dei ricatti; si tratta di una nuova criminalità con la quale i nostri uffici giudiziari, le nostre forze di polizia, saranno chiamati a fare i conti.
Anche questa, onorevoli colleghi, è storia già vissuta. Sono fenomeni già accaduti e che oggi voglio rappresentarvi in questa sede per ricordarli affinché un domani - in virtù dell'esercizio di responsabilità dell'opposizione nel denunciare questi fatti e nel far sapere che accadranno a causa di scelte irragionevoli, poco meditate e soprattutto nella totale assenza di un confronto politico serio - non potranno che essere addebitati esclusivamente alla maggioranza che ha compiuto tali scelte.
Mi avvio rapidamente verso la conclusione dell'intervento, signor Presidente, ricordando che le questioni legate all'esperienza non possono non collegarsi a questioni di merito che qui, ancora una volta, non sono affrontate. Affidare la regolarizzazione esclusivamente alla scelta dei datori di lavoro è uno sbaglio! Il datore di lavoro di per sé non è esclusivo titolare della responsabilità di un rapporto contrattuale che prevede per effetto di ciò la responsabilità di due persone. Qualche giorno fa un cittadino extracomunitario si è lanciato da un balcone perché il suo datore di lavoro si è rifiutato - lo ripeto: si è rifiutato - di presentare la domanda di regolarizzazione, riconoscendo un rapporto di lavoro esistente. È uno sbaglio - lo ribadisco - è uno sbaglio!
Ai fini dell'emersione, il lavoratore ha e deve avere gli stessi diritti del datore di lavoro! La vostra scelta nasconde di certo una cultura ed una mentalità che distinguono tra soggetti deboli e forti all'interno di una società. La mia cultura, signor Presidente, onorevoli colleghi, non è questa: per me, le persone vanno tutelate nella loro dignità e nei loro diritti in quanto tali, a prescindere - anche in questo caso non uso tale espressione per far sorridere - dal ruolo che esse hanno, dalla cittadinanza, dal colore della pelle o da qualsiasi altra caratteristica che li possa contraddistinguere. Fare la scelta di affidare al solo datore di lavoro la possibilità di effettuare la regolarizzazione produrrà il risultato concreto che molte migliaia di persone, pur avendone diritto, non potranno essere regolarizzate e saranno soggette a ricatto: verranno spinte nelle mani di una criminalità che non esiterà a fornire loro quei falsi documenti e quelle false assunzioni di cui oggi sicuramente non abbiamo bisogno.
Ma c'è anche un altro risvolto di questa cultura che vogliamo denunciare (e quando uso la parola denunciare lo faccio per essere il più possibile inequivoco). Non è data la possibilità di revoca del provvedimento di espulsione nei confronti di coloro che risultino denunciati per uno dei reati indicati negli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale. I reati di cui si discute sono certamente gravi, ma la denuncia potrebbe anche essere calunniosa!
Allora, considerato che ci accingiamo ad esaminare, domani, un provvedimento che, da una parte piuttosto maliziosa di quest'Assemblea, viene ammantato di un'aura di garantismo, vi chiedo di essere garantisti non soltanto il giovedì, ma anche il mercoledì, cioè oggi. Vi chiedo, in altre parole, se sia normale che una persona, per il solo fatto di aver ricevuto una denuncia da chicchessia, per tale semplice motivo, possa essere espulsa dal nostro paese e non possa nemmeno ottenere la revoca del provvedimento di espulsione; non vi chiedo che debba essere intervenuta una sentenza di condanna, ma vi chiedo se la possibilità di revocare il provvedimento di espulsione non debba essere valutata da un giudice previa delibazione della fondatezza della denuncia. Vi assumete una responsabilità grave per questo errore!
Una terza questione di merito riguarda i rifugiati. Ho preso atto, stamani, della disponibilità del Governo ad assumere un impegno per poter richiedere un documento sostitutivo del passaporto o di altro documento dello Stato di origine. Coloro che chiedono asilo nel nostro paese solitamente non hanno tale documento o perché gliel'hanno tolto o perché l'hanno distrutto per evitare le persecuzioni che


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avrebbero patito nel paese dal quale provengono. L'impegno del Governo ci tranquillizza, ma avremmo preferito una modifica alla normativa.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi non poniamo pregiudiziali: semplicemente non ci piace la cultura che ispira queste modifiche alla legislazione in materia di immigrazione; non ci piacciono le scelte che mettono le persone su piani diversi secondo un rango, una classe, un ceto, una razza o una cittadinanza. La nostra cultura è quella del rispetto delle persone, della loro dignità e dei loro diritti. Questo decreto-legge, ancora una volta, tradisce questa impostazione e concepisce il cittadino extracomunitario come destinatario di provvedimenti, come una sorta di oggetto del provvedimento e non come persona, come soggetto del procedimento.
Questa cultura non ci appartiene: la rifiutiamo e chiediamo che intervengano modifiche che ripristinino un equilibrio ed una cultura del rispetto delle persone. Il senso della Costituzione imporrebbe di produrre una disciplina che, in buona sostanza, ricostruisca quell'umanesimo di cui il nostro paese è andato fiero per molti secoli (tranne qualche parentesi buia).
Allora, chiedo che queste modifiche vengano raccolte e chiedo che queste nostre proposte vengano valutate con attenzione. Noi ci impegniamo a non avere alcuna pregiudizialità, ma certamente, se il provvedimento rimarrà impostato così com'è, con al suo interno una così potente volontà discriminatoria, così com'è stato elaborato dal Senato in sede di conversione, il nostro atteggiamento non potrà che essere contrario. Ma c'è ancora una fase di discussione e di merito alla quale noi non intendiamo rinunciare; abbiamo fiducia, ancorché una fiducia mal riposta, alla luce di quella che è stata l'esperienza della legge di modifica precedente. Ci affidiamo dunque a questo dibattito parlamentare affinché quei principi, che il nostro paese ha difeso in questi ultimi secoli, possano ritrovare adeguata collocazione all'interno di questa disciplina. Grazie signor Presidente, grazie onorevoli colleghi.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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