(Sergio Briguglio 21/10/2002)

 

ACCESSO AL PERMESSO PER LAVORO

 

La situazione attuale

 

Dal 1986 a oggi, le norme a regime sull’immigrazione hanno limitato, con poche eccezioni, l’accesso al permesso di soggiorno per lavoro degli stranieri ai casi in cui fosse possibile dimostrare l’esistenza preventiva di un contratto di lavoro (chiamata nominativa, oggi contratto di soggiorno per lavoro). Un dispositivo di questo genere tiene in scarsa considerazione la necessita’ di incontro diretto tra datore di lavoro e lavoratore ai fini della nascita del rapporto di lavoro – necessita’ particolarmente avvertita per la grande maggioranza dei settori in cui trovano inserimento gli immigrati.

 

Negli anni dal 1986 al 2000, essendo inutile aspettare in patria una chiamata nominativa, e non essendovi canali di ingresso legale espressamente finalizzati a una efficace ricerca di lavoro sul posto, i lavoratori stranieri che aspiravano a un inserimento lavorativo in Italia si son visti costretti a fare comunque ingresso in Italia, con visti di breve durata (per turismo, visita, etc.) o clandestinamente. Una volta instaurato (senza eccessiva difficolta’, ma in condizioni illegali) un rapporto di lavoro, la legalizzazione della posizione degli immigrati e’ stata spesso affidata a un uso improprio della procedura di chiamata nominativa, a valle di un temporaneo rimpatrio del lavoratore. Questo meccanismo, tuttavia,

 

Quest’ultimo punto, in particolare, ha fatto si’ che anche sul piano dell’efficacia il meccanismo si rivelasse largamente insufficiente. Nonostante, infatti, nel decennio 1986-1996 non fossero stati posti limiti numerici sulle chiamate nominative (cosa che avrebbe consentito un uso generalizzato del meccanismo descritto), una larghissima porzione di coloro che, di fatto, avevano trovato lavoro in Italia non ha avuto modo di avvalersene e ha dovuto invece affidarsi ai vari provvedimenti di sanatoria per approdare a una condizione di soggiorno legale (oltre 600.000 posizioni sanate in quel decennio, a fronte di circa 200.000 chiamate nominative).

 

Due importanti, ma limitatissime, eccezioni si sono avute, nel 2000 e nel 2001. La prima e’ rappresentata dall’ammissione di 15.000 lavoratori per anno per inserimento nel mercato del lavoro – un anno di ricerca di lavoro legale sul posto protetta da un garante (sponsor) disposto a farsi carico del sostentamento dello straniero fino a inserimento avvenuto e delle spese di rimpatrio in caso di insuccesso. La seconda – strettamente legata alla prima – e’ consistita nell’applicazione “sperimentale” delle disposizioni su quello che potrebbe essere definito ingresso per auto-sponsorizzazione: lavoratori albanesi, marocchini e tunisini iscritti in apposite liste di prenotazione e capaci di dimostrare la propria autosufficienza in relazione a sostentamento ed eventuali spese di rimpatrio hanno fatto ingresso in Italia, in cerca di lavoro, a completamento di quote parzialmente inutilizzate. Queste modalita’ di ingresso, tuttavia, sono state abolite con l’entrata in vigore della Legge 189/2002.

 

La riforma dell’accesso al lavoro

 

Per uscire dai limiti di un quadro normativo che non puo’ che riprodurre i guasti registrati dal 1986 a oggi, soprattutto in relazione all’alto tasso di illegalita’ (forzata) del flusso migratorio in Italia, e’ necessario ripristinare disposizioni efficaci nel consentire l’incontro diretto tra datore di lavoro e lavoratore o introdurne di nuove.

 

Il modo piu’ naturale per riformare in questa direzione la normativa e’ quello di reintrodurre la possibilita’ di ingresso per inserimento nel mercato del lavoro per coloro che dispongano di mezzi adeguati per il sostentamento e l’eventuale rimpatrio, grazie alla presenza di un garante o sulla base di risorse proprie.

 

Rispetto a quanto gia’ sperimentato negli anni scorsi, tuttavia, sarebbe opportuno che gli enti locali e le Regioni esercitassero un ruolo piu’ attivo, proponendosi come garanti per l’ingresso di quote di lavoratori da inserire nelle attivita’ lavorative del territorio, ogni qual volta la domanda di lavoro non trovi adeguata risposta nell’offerta dei lavoratori residenti. L’ingresso di lavoratori con sponsor pubblico affiancherebbe cosi’ quello di lavoratori provvisti di sponsor privato o autosufficienti.

 

Nei casi in cui si rischi di superare i limiti nelle capacita’ della societa’ di accogliere flussi migratori (da un punto di vista logistico, culturale, economico, etc.) il Governo centrale potrebbe imporre tetti annuali sul numero complessivo di ingressi per ricerca di lavoro. Qualora pero’ l’imposizione di tetti numerici sia motivata da un’esigenza di protezione del lavoratore nazionale (o, comunque, gia’ residente) rispetto alla concorrenza dei lavoratori provenienti dall’estero, c’e’ il rischio – e l’esperienza italiana nel biennio 2000-2001 lo conferma – che il timore di adottare decisioni impopolari induca il Governo a fissare limiti troppo bassi. Un sistema di protezione del disoccupato residente efficace potrebbe essere ottenuto, senza limitare il numero di ingressi, condizionando l’assunzione di un lavoratore straniero ammesso per ricerca di lavoro all’accertamento di indisponibilita’ di lavoratori residenti ad occupare il posto di lavoro scoperto. E’ importante pero’ che una simile condizione non si traduca in un ostacolo irragionevole all’inserimento dei lavoratori immigrati; l’indisponibilita’ quindi dovrebbe considerarsi dimostrata quando, segnalata nei modi prestabiliti l’esistenza dell’opportunita’ di lavoro, non emerga, entro un limite di tempo fissato, alcun lavoratore residente alla cui assunzione il datore di lavoro sia interessato.

 

In ogni caso, ove si proceda a una limitazione numerica degli ingressi, dovrebbero essere definiti con chiarezza i criteri di precedenza per tutte le domande in eccesso rispetto al limite fissato. Un criterio ragionevole puo’ far riferimento alla data di presentazione della domanda; tuttavia, se si vogliono evitare carichi eccessivamente concentrati nel tempo sulle amministrazioni preposte alla raccolta delle domande, e’ necessario che quelle stesse amministrazioni siano in grado di tenere corrispondenti liste di prenotazione. L’esperienza di questi anni dimostra come le rappresentanze diplomatiche italiane non siano assolutamente in grado di allestire e mantenere tali liste. E’ necessario allora che la raccolta delle domande sia centralizzata o affidata a soggetti in grado di offrire sufficienti garanzie di efficienza e di trasparenza.

 

Rispetto alle disposizioni che erano in vigore prima dell’entrata in vigore della Legge 189/2002, un ulteriore incremento del livello di flessibilita’ del sistema potrebbe essere ottenuto consentendo ingressi per soggiorni finalizzatialla ricerca di lavoro di durata piu’ breve dell’anno previsto dalla Legge 40/1998. Il soggiorno potrebbe essere autorizzato per la durata corrispondente alla effettiva disponibilita’ di mezzi di sostentamento.

 

Accanto a queste disposizioni, sarebbe poi opportuno prevedere che qualunque permesso di soggiorno rilasciato sulla base della dimostrazione di autosufficienza economica dello straniero possa essere convertito in un permesso di soggiorno per lavoro in presenza di una possibilita’ di inserimento lavorativo sufficientemente stabile. [1]

 

Dovrebbe infine essere chiaro che l’assenza di possibilita’ di ingresso legale per ricerca di lavoro, rendendo fortemente vantaggiosa (se non inevitabile) una fase di soggiorno illegale finalizzata all’inserimento lavorativo, non puo’ che condurre alla crescita del bacino di immigrazione illegale. Lo svuotamento di tale bacino, non potendo essere efficacemente perseguito con il semplice inasprimento degli strumenti repressivi, richiede il ricorso periodico a provvedimenti di regolarizzazione. Finche’ ci si muove in un contesto del genere, sembra ragionevole che di fronte alle situazioni di soggiorno illegale l’amministrazione tenga conto, prima di adottare provvedimenti di espulsione, delle effettive condizioni di inserimento socio-lavorativo dello straniero. Nei casi in cui tali condizioni corrispondano a quelle normalmente richieste in occasione di una regolarizzazione e’ utile che l’amministrazione eviti di procedere all’allontanamento dello straniero  e gli rilasci un permesso di soggiorno per i motivi corrispondenti alle modalita’ del suo inserimento.



[1] Sarebbero cioe’ esclusi da questa facilitazione i permessi rilasciati per ragioni di soccorso dello straniero (permessi per richiesta di asilo, cura, etc.), per evitare che le corrispondenti forme di ingresso si traducano in un meccanismo di aggiramento del requisito di autosufficienza – requisito capace di garantire l’assenza di oneri per la societa’ ospitante. La conversione di permessi di questo genere potrebbe essere condizionata al soddisfacimento di requisiti supplementari, tali da impedire un uso strumentale dei canali umanitari.