Centro Studi Politica Internazionale

 

SPECIALE MIGRACTION

 

realizzato con il sostegno di

Compagnia di San Paolo

Ministero degli Affari Esteri

Monte dei Paschi di Siena

 

 

 


Regioni e Province Autonome tra cooperazione e immigrazione

 


Gli stretti rapporti esistenti tra migrazioni internazionali e crisi economiche, sociali e politiche dei paesi di origine sono ben conosciuti, così come, quindi, dovrebbero essere riconosciuti gli stretti legami che dovrebbero esistere tra politica sull’immigrazione e politica estera, e in particolare politica di cooperazione allo sviluppo.

Già nel 1999 il Consiglio europeo di Tampere stabiliva che “l’Unione e gli Stati membri sono invitati a contribuire, nelle rispettive sfere di competenza ai sensi dei trattati, a una maggiore coerenza delle politiche interne ed esterne dell’Unione stessa. Un altro elemento fondamentale per il successo di queste politiche sarà il partenariato con i paesi terzi interessati, nella prospettiva di promuovere lo sviluppo comune”.

E nel 2002 a Valencia la Va Conferenza Euro-Mediterranea dei Ministri degli Esteri ha adottato un nuovo documento quadro che afferma l’importanza di definire partenariati tra paesi di origine e di destinazione per promuovere il contributo dei migranti allo sviluppo locale e regionale attraverso il commercio e gli investimenti.

 

Indice

 

Il monitoraggio delle politiche ed iniziative regionali                                                 p. 2

Leggi e programmi su cooperazione e immigrazione                                                   p. 2

5 linee di programma                                             p. 3

Limiti e ostacoli                                          p. 8

 

Nonostante ciò, finora, il lento processo di comunitarizzazione della politica sull’immigrazione è avanzato più sul versante della prevenzione e repressione dell’immigrazione illegale che su quello di una cooperazione per una gestione dei flussi migratori da realizzare nel quadro di partenariati di co-sviluppo con le regioni dei paesi di origine, come evidente nel Consiglio europeo di Siviglia [1].

A fronte di queste derive verso posizioni politiche miopi e orientate alla costruzione di una fortezza europea è importante approfondire la riflessione per rendere quanto più coerente la politica sull’immigrazione alla politica estera e di cooperazione. Non basta delegare alla politica estera e di cooperazione il compito di favorire lo sviluppo dei paesi terzi nella speranza che questo aiuti a contenere i flussi migratori. Occorre che la stessa politica sull’immigrazione sia disegnata in modo da considerare i suoi effetti sui paesi di origine, in una visione integrata e coerente tra politica interna ed estera.

 

In questo quadro stanno assumendo sempre più rilevanza le competenze delle Autonomie Locali e in particolare delle Regioni e Province Autonome. Sul versante delle relazioni internazionali è cresciuta l’attività di cooperazione decentrata delle Autonomie Locali verso i paesi in via di sviluppo ed in transizione economica. Così come sono le Regioni a programmare gli interventi sull’immigrazione e a premere per una maggiore partecipazione nelle decisioni sulla definizione del governo dei flussi. Ed è sempre a livello locale che si possono individuare iniziative sperimentali anche sul rapporto immigrazioni e cooperazione con i paesi di origine. Da questo livello, dalla creatività e vivacità dei soggetti territoriali, possono emergere idee ed orientamenti per il governo nazionale e comunitario per un approccio coerente tra politica sull’immigrazione e politica estera di cooperazione.

 

Il monitoraggio delle politiche ed iniziative regionali

 

Il CeSPI ha condotto nel quadro del programma di ricerca MigraCtion un monitoraggio[2] delle politiche ed iniziative delle Regioni e Province Autonome italiane per evidenziare le interconnessioni esistenti tra politiche di cooperazione e di immigrazione, e avanzare alcune riflessioni ed indicazioni per accrescere la coerenza tra queste due politiche in modo da adottare un approccio più comprensivo. In particolare si è cercato di mettere in luce alcune linee guida per il governo dei flussi migratori attraverso forme di partnership con i paesi di origine, evidenziando possibili limiti e punti di debolezza.

Con il monitoraggio è stata effettuata un’analisi incrociata degli orientamenti politici ed operativi che emergono dalle Leggi Regionali sia in tema di cooperazione decentrata che di immigrazione, nonché dai rispettivi Piani e/o Programmi di Lavoro e relative progettazioni.

E’ stato selezionato un campione di 9 Regioni più due Province Autonome, scelte per la loro importanza in termini di stranieri soggiornanti, cercando di mantenere una “equa” rappresentanza del Nord, Centro e Sud Italia: Campania, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Veneto, Province Autonome di Bolzano e di Trento. La comparazione tiene conto oltre che della forma in cui si presentano i diversi Piani di Lavoro, delle linee politiche che essi osservano, delle rispettive priorità geografiche e tematiche, della loro dimensione finanziaria e degli eventuali riferimenti incrociati esistenti tra le iniziative relative alla cooperazione decentrata e quelle relative, invece, alle politiche di intervento a favore degli immigrati.

In questo bollettino sono riassunte le principali conclusioni del monitoraggio, che verrà prossimamente pubblicato in una versione più ampia in Laboratorio CeSPI.

 


Leggi e programmi su cooperazione e immigrazione

 

Dall’analisi condotta sono emerse, ovviamente, esperienze differenti da parte delle Regioni italiane considerate, sia sul piano degli orientamenti assunti in cooperazione decentrata e, in minor misura, sul piano di quelli assunti nelle politiche di intervento a favore degli immigrati. L’analisi ha, in particolare, messo in luce alcune differenze di rilievo nell’approccio istituzionale per ciò che riguarda la prospettiva di poter interconnettere attività di cooperazione decentrata ad interventi di gestione dei flussi migratori. Il monitoraggio si struttura su tre livelli: il primo è relativo alle leggi regionali sulla cooperazione e sull’immigrazione; il secondo è relativo alle rispettive programmazioni; il terzo riguarda le progettazioni.

 

Dal punto di vista normativo non emergono differenze rilevanti. Tutte le leggi regionali pongono l’accento sulla formazione (nei paesi in via di sviluppo –PVS- e in Italia) e il rientro quali interventi volti a valorizzare gli immigrati e a incentivarli al reinserimento volontario nel Paese di origine. Da questo punto di vista si possono notare delle sovrapposizioni tra leggi regionali sulla cooperazione e sull’immigrazione.

Le leggi di alcune Regioni mettono in rilevo altri aspetti della transnazionalità dei flussi migratori da valorizzare ai fini della cooperazione tra Paese di origine e di destinazione. Nel caso della Puglia la legge sulla cooperazione (l.r. n.11/93) mira a “promuovere, coordinare e sostenere iniziative finalizzate alla conoscenza da parte della popolazione pugliese delle culture proprie dei gruppi di immigrati extracomunitari mediante forme idonee di informazione”. La legge di cooperazione del Veneto (l.r. 55/99) intende svolgere “un’azione preventiva dell’immigrazione mediante interventi di sostegno in campo economico, sociale e culturale”, in questo modo la cooperazione viene formalmente finalizzata al contenimento dei flussi. La legge veneta pone inoltre gli immigrati tra i soggetti della cooperazione: “i cittadini dei PVS o loro associazioni presenti sul territorio regionale possono essere coinvolti nella progettazione di iniziative di cooperazione decentrata rivolte ai loro Paesi di origine”. I rappresentanti della Consulta regionale veneta dell’immigrazione fanno parte del Comitato per la cooperazione allo sviluppo e quindi concorrono alla sua programmazione. Infine la Regione Campania nella legge sull’immigrazione (l.r. 33/94) indica la possibilità di proporre interventi “concernenti questioni di ordine economico, sociale, previdenziale ed assistenziale anche da realizzare d’intesa con gli Stati dai quali provengono detti immigrati”, e nel quadro di programmi di carattere internazionale.

 

Tuttavia, le indicazioni di queste leggi sulle possibili interrelazioni tra cooperazione e immigrazione non sempre trovano riscontro nella programmazione delle attività delle Regioni e Province Autonome (in particolare nei casi di Campania, Emilia Romagna, Lazio, Puglia, Province Autonome): sia per la rilevanza ancora marginale del tema in discussione nei piani regionali sulla cooperazione, sia per la priorità dell’integrazione sociale e lavorativa e la presenza di emergenze (si veda ad esempio il caso dei centri di accoglienza in Puglia) che assorbono tutte le scarse risorse dei fondi sull’immigrazione.

Ciononostante, nei casi delle programmazioni di alcune Regioni come la Lombardia, le Marche, il Piemonte, la Toscana e il Veneto è esplicitata la relazione tra politica di cooperazione e politica sull’immigrazione. Nel caso della Lombardia, del Piemonte e del Veneto la programmazione della cooperazione indica tra le priorità geografiche i Paesi di origine dei più importanti flussi migratori, con l’intenzione di promuovere uno sviluppo locale che abbia effetti sul contenimento dei flussi. Nel programma di cooperazione della Regione Toscana si evidenzia come il sostegno allo sviluppo locale consenta “una migliore connessione tra interventi rivolti all’immigrazione e politiche di cooperazione, più volte espressa in via teorica e che comincia a diventare realtà, sulla base sia delle motivazioni di solidarietà, sia della consapevolezza crescente dell’interdipendenza e del mutuo interesse alla collaborazione e la crescita dei soggetti di paesi diversi”. Lo stesso concetto viene espresso nel piano sulla cooperazione del 2001 della Regione Marche.

Il programma lombardo sull’immigrazione privilegia tra le priorità di intervento “la fornitura di servizi finalizzati a favorire l’inserimento degli immigrati nel mondo del lavoro, anche nei Paesi di origine; le iniziative di formazione professionale realizzate nei Paesi di origine; il rientro nei Paesi di origine o il passaggio in altri Paesi in cui venga garantito un lavoro almeno triennale attraverso accordi di cooperazione internazionale”. A sua volta il piano veneto evidenzia tra le iniziative di formazione per gli immigrati: l’acquisizione di nuove capacità in relazione alle qualifiche e profili professionali richiesti dal sistema produttivo e a possibili progetti di rientro degli immigrati nei Paesi di origine; la formazione nei Paesi di origine attraverso iniziative con le autorità di questi paesi. Sul versante del governo dei flussi migratori il programma della Regione Veneto prevede che per “gli immigrati che secondo la normativa vigente hanno perso le condizioni per la permanenza in Italia, potranno essere attuate forme di aiuto e sostegno per il rientro nei Paesi di origine”. Allo stesso modo il nuovo piano triennale della Regione Marche sull’immigrazione sostiene “il rientro nei paesi di provenienza, attraverso specifici progetti di cooperazione internazionale”. Nel caso della Provincia Autonoma di Trento il piano sull’immigrazione prevede la realizzazione di “azioni di cooperazione decentrata per interventi nei paesi d’origine delle vittime della tratta”, identificando un campo di intervento di grande rilevanza umanitaria.

Comunque, la presenza di indicazioni programmatiche sul rapporto tra cooperazione ed immigrazione non è detto si traduca in progettazioni concrete (ad esempio nel caso della Regione Marche non si sono riscontrati progetti sul tema qui analizzato), così come d’altra parte l’assenza di tali indicazioni non significa che in alcune Regioni non si siano avviati dei progetti sperimentali di nostro interesse (questo è ad esempio il caso della Regione Emilia Romagna).

 

5 linee di programma

 

Dall’analisi delle progettazioni concrete emergono 5 linee di programma sulla connessione tra cooperazione e immigrazione, che vanno al di là di quanto previsto nella normativa e nei piani, che superano l’orientamento, riduttivo, sul classico aiuto al ritorno volontario, e che mettono in rilievo l’esigenza di arrivare ad un nuovo approccio di co-sviluppo. Probabilmente è proprio il carattere sperimentale di molte di queste iniziative che mostra le possibili innovazioni da apportare nelle leggi e nei piani di lavoro regionali. Sono state individuate le seguenti 5 linee di programma.

 


1. Programmi di cooperazione economica ed umanitaria per il rientro. Come già affermato, a livello normativo praticamente tutte le Regioni prevedono la possibilità di sostenere progetti di ritorno. Tra le istituzioni è soprattutto la Regione Veneto che a livello programmatico ha teorizzato la formazione professionale come campo cruciale su cui far convergere iniziative volte al reinserimento qualificato di immigrati nei relativi Paesi di provenienza.

A livello progettuale esistono alcuni casi di sperimentazione, alcuni già realizzati, altri in avvio. Sia la Regione Veneto che la Regione Toscana hanno sostenuto progetti, rispettivamente uno con immigrati albanesi e uno con immigrati senegalesi, per il loro rientro, coinvolgendo le imprese nella formazione, al fine anche di aprire attività imprenditoriali comuni nel paese di origine. Allo stesso modo la Provincia  Autonoma di Bolzano sta sostenendo un progetto per il rientro di immigrati marocchini, che prevede una fase di formazione e quindi la creazione nel paese di origine di un centro per lo sviluppo imprenditoriale nel settore agro-zootecnico.

 

Nel quadro dei programmi umanitari per la difesa, il recupero e il reinserimento sociale di donne e minori vittime della tratta, possono essere previste misure per appoggiare il loro rientro volontario nel paese di origine. In tal caso sono indispensabili misure di cooperazione con organizzazioni ed istituzioni del Paese di origine. A livello progettuale si possono citare, ad esempio, i progetti di recupero delle donne  vittime della tratta sostenuti dalla Regione Emilia Romagna e dalla Regione Piemonte, un progetto per minori finanziato dalla Regione Puglia. Un caso particolare di assistenza al rientro riguarda gli immigrati detenuti: la Regione Piemonte sta appoggiando la realizzazione di un progetto di formazione e sostegno al rientro di carcerati albanesi e marocchini.

 

Un altro problema che richiede un approccio internazionale è quello del rientro dei rifugiati. In tal caso il ritorno dipende dalla costruzione di particolari condizioni politiche, economiche e sociali nel Paese di origine dei profughi. Come mostra bene la storia dell’Associazione Progetto Prijedor, le cui azioni di cooperazione sono sostenute dalla Provincia Autonoma di Trento, è necessaria l’implementazione di attività articolate e integrate che vanno dalla diplomazia popolare ad azioni sociali e di sostegno economico. La complessità e difficoltà del tema dei rifugiati richiede un impegno politico notevole e la creazione di partenariati di lungo periodo: il caso di Prijedor e delle Agenzie per la Democrazia Locale sostenute dal Consiglio d’Europa rappresenta un esempio di grande rilevanza. La Provincia Autonoma di Bolzano ha in atto uno sforzo per definire, per quanto possibile, una politica integrata per i rifugiati, dalla fase di accoglienza a quella di integrazione o rimpatrio. E’ questo un impegno che dovrebbe portare la Provincia a stringere rapporti e azioni di cooperazione con i Paesi di origine per il reinserimento dei rifugiati.

 

2. Programmi di informazione e formazione sulla multiculturalità. Tutte le Regioni sostengono progetti di informazione e multiculturalità che in molti casi approfondiscono la conoscenza del fenomeno migratorio con riferimento alle sue cause e quindi anche ai problemi dei paesi di origine. Si stabiliscono rapporti con associazioni e istituzioni dei paesi di origine per scambi culturali. Da questi rapporti nascono collaborazioni internazionali e nuove iniziative di cooperazione allo sviluppo. Finora le Regioni e le Province Autonome hanno sostenuto soprattutto una serie di micro azioni diffuse sul territorio. Vi sarebbe l’opportunità, in alcuni casi, di coordinare maggiormente le iniziative costruendo su di esse una cooperazione internazionale culturale strutturata di medio lungo periodo con istituzioni dei Paesi di origine. Un’altra opportunità è quella di coordinare le iniziative di educazione alla pace e allo sviluppo, sostenute con le leggi regionali sulla cooperazione, con quelle relative alla multiculturalità, finanziate con le leggi regionali sull’immigrazione.

 

Tutte le Regioni sostengono, tradizionalmente, attraverso borse di studio e progetti, la formazione di studenti e altro personale tecnico e professionale proveniente dai PVS. Questi immigrati per motivi di studio rappresentano un capitale umano da valorizzare in termini culturali per sensibilizzare il territorio sulle problematiche dei Paesi di origine, e grazie ai quali strutturare relazioni di cooperazione di maggiore durata.

 

3. Programmi per la integrazione economica e finanziaria attraverso le capacità e le risorse dei migranti. Gli immigrati risultano particolarmente attivi nel lavoro autonomo e nella creazione di piccole imprese. Alcuni di essi possono essere considerati agenti per l’integrazione economica tra paese di origine e di destinazione grazie alle loro aziende per il commercio di generi alimentari ed artigianali con caratterizzazione etnica. Altri  sono impegnati nel favorire il turismo verso il loro paese e altri ancora lavorano in aziende italiane per promuoverne l’internazionalizzazione[3]. In quest’ambito i sostegni per l’inserimento lavorativo degli immigrati possono essere connessi ad attività di cooperazione internazionale volte a promuovere i contatti d’affari con i paesi di origine. Questo sembra essere il caso del progetto finanziato dalla Regione Toscana che vede coinvolti gli immigrati marocchini provenienti dalla provincia di Khénifra e che cerca di appoggiare la creazione di imprese artigiane marocchine e la commercializzazione anche in Italia di prodotti tipici. Nella stessa direzione la Regione Puglia ha finanziato un progetto di un corso di formazione pilota per l’accesso al lavoro autonomo e dipendente di immigrati e per la promozione di forme di cooperazione internazionale allo sviluppo. Un altro possibile sviluppo di questa linea potrebbe prevedere il collegamento dell’ethnic business con la rete del commercio equo e solidale.

 

Una risorsa dei migranti che costituisce da tempo oggetto di analisi per la sua grande importanza ai fini dello sviluppo dei paesi di origine sono le rimesse che avvengono attraverso canali formali ma soprattutto informali. Nelle politiche economiche dei paesi di origine sono state ricercate misure per favorire il rientro formale di questi capitali e agevolarne un utilizzo produttivo. Ciononostante alcune ricerche evidenziano come gli immigrati non abbiano fiducia in queste misure e nei sistemi bancari locali, preferendo quindi utilizzare canali informali. Per superare questi ostacoli si stanno sperimentando delle iniziative dirette a legare le rimesse a schemi di microfinanza da applicare nei territori di origine. In questo senso va un progetto innovativo sostenuto dalla Regione Toscana e coordinato dalla ONG COSPE per la creazione di un sistema agevolato per l’invio delle rimesse in Marocco e la distribuzione di microcredito a livello locale. Questo progetto si fonda sulle relazioni esistenti tra la comunità di immigrati marocchini residente in provincia di Livorno e la provincia di origine Khénifra, e vede il coinvolgimento del Monte dei Paschi di Siena per la raccolta dei risparmi degli immigrati, della società italiana Microfinanza srl per la consulenza tecnica, di una banca marocchina per la gestione dei trasferimento e dei depositi, e di una organizzazione di microfinanza locale per la concessione dei microcrediti.

 

4. Programmi per la gestione dei flussi migratori. Questa linea di programma risponde a motivazioni economiche e umanitarie. Il reclutamento di forza lavoro migrante che risponda alle necessità dei mercati locali italiani è una misura invocata dal mondo imprenditoriale italiano. A livello programmatico la Regione Veneto è quella che più sta teorizzando la creazione di una politica per definire il fabbisogno di personale immigrato e sostenere una sua selezione e formazione per inserirlo nel mercato del lavoro locale. Questa Regione intende giocare un ruolo attivo nei confronti del Governo per la concertazione delle quote di entrata di immigrati per motivi di lavoro, mentre a livello più operativo sta finanziando un progetto speciale che agevola il “ritorno” di argentini con origini italiane per un loro inserimento lavorativo in aziende venete. Questo progetto è comunque da considerare come un aiuto agli argentini a seguito della forte crisi economica, politica e sociale che ha colpito il loro paese alla fine del 2001. Non mancano tuttavia altre iniziative che mirano a favorire il reclutamento di emigrati di origine italiana: la Regione Veneto con la Provincia di Padova sostiene uno Sportello per il rientro di emigrati cileni e argentini e la Provincia di Vicenza ha un progetto per il reclutamento di emigrati con cittadinanza italiana in Brasile.

Ai fini del reclutamento va anche l’iniziativa finanziata dalla Regione Lombardia per studiare la possibilità di agevolare l’incontro della domanda di lavoro locale con l’offerta di lavoro proveniente dalla Tunisia. A sua volta la Regione Lazio ha già sostenuto un progetto che ha visto la formazione e selezione in Tunisia di circa 120 aspiranti emigranti e il loro successivo inserimento nel mondo del lavoro italiano. Si è trattato di un’iniziativa di successo che si intende replicare in altri paesi quali Albania e Romania. Anche la Regione Emilia Romagna sta sostenendo un progetto di studio volto a definire la fattibilità di una agenzia per la gestione dei flussi migratori per motivi di lavoro che, a differenza delle iniziative precedenti, cerca di considerare anche le esigenze del mercato del lavoro dei Paesi di origine (Marocco e Senegal in questo caso) e le possibili forme di pendolarismo, circolarità e ritorno dei migranti.

A tale riguardo si sottolinea come queste misure di reclutamento si inquadrino nella politica nazionale sull’immigrazione che concede quote privilegiate di accesso di migranti al mercato del lavoro italiano ad alcuni paesi con cui vi sono accordi di cooperazione per il governo dei flussi[4]. La Legge n. 189 del
30 Luglio 2002,  nell’articolo 23 prevede la realizzazione di programmi di attività di istruzione e di formazione professionale nei paesi di origine. E che gli stranieri che abbiano partecipato a queste attività siano preferiti nei settori di impiego ai fini della chiamata al lavoro. Lo scopo è quello “dell’inserimento lavorativo mirato in Italia e nei paesi di origine, e dello sviluppo di attività produttive o imprenditoriali autonome nei paesi di origine”.

Infine si ricorda un progetto finanziato dalla Regione Toscana che, essendo stato proposto e gestito da un sindacato, non si pone nell’ottica del reclutamento ma di informazione e assistenza ai migranti per la difesa dei loro diritti nel mercato del lavoro italiano. Quest’opera di informazione è stata svolta nel paese di origine, in Marocco.

 

Una linea di azione assolutamente innovativa è proposta dalla Regione Emilia Romagna in campo sanitario. Si tratta del “Programma di assistenza sanitaria ai cittadini stranieri trasferiti in Italia nell’ambito di programmi umanitari delle regioni ed interventi in ambito sanitario nei Paesi di origine”, che prevede la costruzione di un sistema di governo della domanda-bisogni di assistenza sanitaria che proviene da PVS, e che implica una immigrazione per motivi umanitari, con l’offerta regionale, e nel contempo lo sviluppo di interventi strutturali, di scambio di esperienze professionali mediante azioni di formazione e addestramento del personale, e di aiuto materiale nei Paesi d’origine.

La sistematizzazione di tali interventi all’interno di un programma ben strutturato rappresenterebbe un tentativo innovativo nel panorama nazionale, volto a cogliere la necessità di mettere in atto strategie tese non solo a rispondere all’emergenza, quanto a sviluppare una politica che sappia agire su cause ed effetti, attraverso interventi mirati e coordinati tra cooperazione decentrata e gestione dei flussi per motivi umanitari.

 

5. Partenariati internazionali per il co-sviluppo locale e la gestione dei flussi migratori. Questa linea di azione intenderebbe presentarsi come una politica comprensiva delle linee precedenti, in quanto avrebbe l’ambizione di offrire un quadro globale e integrato dei possibili interventi che si situano tra cooperazione e immigrazione. Il governo dei flussi migratori e la risposta ai diversi bisogni andrebbe infatti considerata in un’ottica di co-sviluppo tra paesi di origine e di destinazione, e di integrazione regionale a livello euro-mediterraneo e con i paesi dell’Europa centro-orientale. Questo attraverso la creazione di partenariati internazionali tra Autonomie locali per il co-sviluppo e la gestione dei flussi migratori. A tale proposito  si rileva l’importanza del programma comunitario Interreg che intende favorire la cooperazione interregionale e transfrontaliera per una gestione comune delle opportunità e dei vincoli allo sviluppo. Questo programma prevede la creazione di reti tra regioni europee con il coinvolgimento di Paesi terzi per affrontare in modo concertato problematiche e opportunità comuni. Alcune Regioni hanno utilizzato questo programma per analizzare i flussi migratori e per avviare progetti pilota di cooperazione.

 

La Regione Puglia ha gestito il progetto “Interreg II Italia-Albania” al fine di individuare una politica e delle misure per favorire una integrazione economica tra le due sponde. Il progetto si è sviluppato su diversi assi: trasporti e comunicazioni; sostegno alle PMI; ambiente; turismo; formazione; cooperazione transfrontaliera. Nel progetto non sono previste in modo esplicito azioni riferite alle migrazioni, tuttavia le misure per favorire l’integrazione tra Puglia e Albania non possono non supporre una mobilità delle persone e quindi interventi per valorizzare i migranti.

Tutte le regione adriatiche hanno partecipato al progetto Intemigra che ha studiato le cause e gli effetti sul territorio delle migrazioni provenienti dall’area balcanica, individuando linee programmatiche di intervento e sostenendo alcuni progetti pilota tra i quali uno di cooperazione transfrontaliera. La definizione di modelli di intervento si è articolata su tre direttrici: assetti territoriali; politiche sociali; mercato del lavoro e formazione professionale; mentre i progetti pilota sono stati realizzati nei seguenti settori: occupazione; investimenti produttivi e sviluppo delle piccole e medie imprese; adeguamento urbano e rurale; inserimento sociale degli immigrati; sviluppo della cooperazione transfrontaliera e interregionale. Il progetto pilota in quest’ultimo settore è stato sostenuto dalla Regione Friuli Venezia Giulia, attraverso la Friulia SpA, al fine di definire percorsi per identificare risorse umane migranti qualificate in Albania, Macedonia e Montenegro da inserire nel mercato del lavoro regionale e misure di internazionalizzazione delle aziende italiane che prevedano anche forme di rientro imprenditoriale degli immigrati.

Infine, la Regione Campania, assieme ad altre regioni italiane, francesi e spagnole, e in collaborazione con Paesi terzi come il Marocco e la Tunisia, ha intenzione di proporre un progetto dal titolo “Governance Interregionale delle Migrazioni” nel quadro del programma Interreg III Medoc, che mira a realizzare un sistema permanente per lo scambio di informazioni, finalizzato all’approfondimento di tematiche specifiche e al miglioramento di pratiche di gestione e di valorizzazione dei flussi migratori in una prospettiva mediterranea, con un accento particolare su eventuali misure di integrazione locale, internazionalizzazione e cooperazione decentrata.

                                                

In questo quadro si situano anche i progetti di cooperazione allo sviluppo e cooperazione economica che tra i loro fini cercano di assistere la creazione di occupazione nei Paesi di origine per ridurre, in modo indiretto, la pressione migratoria. La Regione Piemonte sostiene un programma di cooperazione con la Regione marocchina di Chaouia-Ourdigha (da dove si registra la provenienza della gran parte degli immigrati marocchini in Piemonte) nel campo dello sviluppo locale, attraverso azioni di sostegno alla creazione d’impiego e creazione d’impresa. Con questa iniziativa si vuole dimostrare come un ruolo sempre più decisivo possa essere svolto dai poteri locali, che sono in grado di adottare iniziative adeguate per controllare e coordinare i flussi migratori, in quanto conoscono le realtà locali da cui nascono o arrivano.

La Regione Lombardia sta valutando l’opportunità di sostenere il “Programma pilota di promozione dello sviluppo delle aree tunisine di emigrazione” promosso dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, e cofinanziato dal MAE, dalla Provincia e dalla Camera di Commercio di Torino. Questo programma pilota ha l’obiettivo di sostenere lo sviluppo economico locale  della regione a forte pressione emigratoria di Kasserine in Tunisia, attraverso la creazione di piccole imprese e imprese miste italo tunisine, la valorizzazione turistica di un sito archeologico, per la generazione di occupazione. A tal fine si cercherà di coinvolgere anche la comunità tunisina in Italia mobilitandone le risorse umane e finanziarie. Una attività riguarderà anche la realizzazione di una campagna d’informazione sulla migrazione regolare.

A sua volta la Regione Lazio sostiene, attraverso il programma PASARP (Programma a Supporto delle Popolazioni Albanesi e Rifugiati) coordinato dall’UNOPS (United Nations Office for Project Services) e finanziato dal MAE, un progetto della ONG VIS di formazione e qualificazione professionale per agevolare l’inserimento di giovani albanesi nel mercato del lavoro locale in modo da ridurre il fenomeno dello skill drain.

 

Questa linea di programma per il co-sviluppo cerca di affiancare ad una visione dell’integrazione come processo lineare di inserimento dell’immigrato nel paese di accoglienza, l’idea di una “integrazione circolare o transnazionale”, intesa come inserimento contemporaneo e mobile degli immigrati nella realtà politica, sociale ed economica dei paesi di origine e di accoglienza[5].

La scelta di questo approccio si fonda sul pieno riconoscimento del diritto allo sviluppo dei paesi di emigrazione e dell’imprescindibilità di un legame tra sviluppo e migrazioni. Si considerano, infatti, strettamente collegati i processi di mobilità e inserimento dell’immigrato con lo sviluppo di territori locali nei paesi di origine e di accoglienza in un ambito di integrazione regionale. In questo contesto si ritiene che le capacità di azione transnazionale degli immigrati dovrebbero essere inserite in un quadro di protezione e valorizzazione su cui costruire ipotesi concrete di co-sviluppo. Si aprirebbe così uno spazio nuovo per interventi attivi, tramite politiche adeguate a livello locale, nazionale e internazionale. E i casi qui analizzati possono, a tale riguardo, risultare certamente di utile riferimento.

 

Limiti ed ostacoli

 

Dall’analisi delle politiche regionali risultano evidenti limiti ed ostacoli da superare.

A livello normativo le leggi regionali insistono in modo tradizionale, e sostanzialmente arretrato rispetto alle opportunità esistenti, sull’aspetto del ritorno degli immigrati nei paesi di origine. Un aspetto che può essere oggetto di facili strumentalizzazioni, ma che soprattutto risulta di difficile applicazione e solo come una delle diverse possibilità di azione (e forse marginale).

 

A livello programmatico le indicazioni per una strategia integrata tra interventi sull’immigrazione e sulla cooperazione con i paesi di origine sono ancora generiche. Questo si deve evidentemente ad un limitato fondamento cognitivo, e però anche ad una impostazione che in alcuni casi risente di un atteggiamento culturale centrato sui problemi interni locali. Una prospettiva che risulta limitata nel momento in cui ci si confronta con un fenomeno internazionale come quello delle migrazioni. Si nota a questo proposito come, nel caso ad esempio della Regione Veneto, per la gestione del governo dei flussi si enunci la necessità di articolare la politica con diversi livelli istituzionali (con il governo centrale, con le altre Regioni, con le parti sociali), ma non con i paesi di origine.

 

Un aspetto particolarmente delicato nella programmazione del governo dei flussi è rappresentato dalla questione della discriminazione dei flussi migratori su basi nazionali. Nei recenti decreti annuali di programmazione dei flussi il Governo italiano ha fissato delle quote privilegiate di ingressi a fini lavorativi per quei paesi con cui vi sono forme di cooperazione in materia di controllo dei flussi. A questa preferenza si deve aggiungere la decisione della Regione Veneto di discriminare i flussi a favore del rientro di emigrati con origini italiane, sostenendo iniziative progettuali dedicate, come evidenziato in precedenza. Le motivazioni politiche di questa decisione sono oggetto di dibattito[6], mentre a livello progettuale non vi sono ancora riscontri sul successo o sul fallimento di quelle iniziative.

Anche la Legge 189/02 sull’immigrazione prevede nell’articolo 17 la definizione di una quota riservata “ai lavoratori di origine italiana  per parte dei genitori fino al terzo grado in linea retta di ascendenza”. Mentre al comma 1 si prevede la possibilità di stabilire delle “restrizioni numeriche all’ingresso di lavoratori di Stati che non collaborano adeguatamente nel contrasto all’immigrazione clandestina o nella riammissione”. Il recente decreto flussi per il 2002 definisce le quote di entrata per qualifica, per nazionalità e per origine italiana dei migranti. In questo modo la legge sull’immigrazione crea un sistema di incentivi (quote preferenziali) e di sanzioni (restrizioni numeriche) per il governo dei flussi migratori, che rappresenta uno strumento di politica estera verso i Paesi di origine e un quadro di riferimento per le programmazioni regionali.

 

La limitatezza cognitiva e programmatica dinanzi evidenziata viene in parte superata a livello progettuale attraverso interventi sperimentali. Nella analisi si sono potute identificare 5 linee programmatiche. Tuttavia questa sperimentazione avviene, come tradizione in Italia, in assenza di un quadro di monitoraggio e riflessione istituzionale o indipendente. Si rischia quindi di non apprendere dai casi progettuali e di non costruire quella conoscenza necessaria per riorientare la programmazione e migliorare gli interventi. Così come si rischia di promuovere iniziative senza un valido inquadramento teorico ed analitico. E’ questo un limite a cui intenderebbe rispondere, in parte, il programma MigraCtion, ma che abbisogna di uno sforzo comune e costante.

 

Un altro limite concerne la posizione rivestita dalle comunità locali di immigrati nelle iniziative promosse dalle Regioni. Se, infatti, è importante il potenziale ruolo transnazionale che gli immigrati potrebbero svolgere nell’ambito di tali iniziative, è altresì vero che gli stessi sevizi previsti sui territori regionali italiani sono erogati tutt’al più da organismi italiani. Insomma, il protagonismo organizzativo e di partecipazione degli immigrati resta ancora molto modesto[7]. D’altra parte è facile prevedere che, come in Francia ed in Belgio, crescano nel prossimo futuro associazioni e organizzazioni di immigrati che desiderano gestire in prima persona rapporti e progetti di cooperazione con i paesi di origine.

 

Sono evidenti altri due problemi di carattere istituzionale. Il primo riguarda lo scarso coordinamento tra i settori immigrazione e settori cooperazione internazionale delle amministrazioni regionali. La compartimentazione istituzionale risponde ad una necessaria divisione del lavoro che però trova il suo limite in una insufficiente visione comprensiva dei problemi sui quali si intende intervenire. Questo è il caso del fenomeno migratorio nei suoi aspetti transnazionali.

Il secondo problema concerne i risibili finanziamenti e il perdurare di emergenze che assorbono le scarse risorse a disposizione (si consideri ad esempio il caso dei centri di accoglienza in Puglia). Ne consegue che, rispetto alle questioni più urgenti dell’integrazione degli immigrati, gli interventi con carattere internazionale vengano tenuti al margine nella distribuzione dei finanziamenti, soprattutto quando non siano evidenti i rapporti costi benefici. La sperimentazione risulta quindi indebolita mentre la politica non evolve verso una visione più comprensiva delle possibili interazioni tra migrazioni e co-sviluppo regionale.

 

Questi ostacoli potrebbero essere in parte superati attraverso forme di condivisione delle prospettive politiche e di coordinamento delle azioni, in modo da sfruttare possibili economie di scala. Questo è il caso ad esempio del programma Interreg che però risulta anch’esso limitato in termini finanziari e operativi. Potrebbero allora essere ipotizzate misure di rafforzamento complementari a questo programma, sostenute dal Governo centrale assieme a gruppi di Regioni interessate.

Un maggiore ruolo programmatico, ed in alcuni casi operativo, delle Regioni dovrebbe andare di pari passo con un rafforzamento di tutta la filiera della sussidiarietà: dalla definizione delle prospettive di cooperazione per l’integrazione regionale e di comunitarizzazione delle politiche migratorie a livello di Commissione Europea, alla concertazione del governo dei flussi e delle azioni di cooperazione con i principali Paesi di origine a livello di Ministero Affari Esteri, altri Ministeri competenti e Regioni, alla promozione di progetti sperimentali di cooperazione decentrata di Enti Locali e di soggetti del territorio.

 

Lungo questa filiera è però da sviluppare soprattutto lo snodo politico nazionale. Alle iniziative su cooperazione ed immigrazioni, pur sperimentali, sostenute e in alcuni casi condotte dalle Regioni e Province Autonome, non corrisponde infatti una sistematizzazione politica a livello nazionale. La legge 49/87 sull’aiuto pubblico allo sviluppo non riconosce i migranti quali soggetti di cooperazione e la legge 189/02 sull’immigrazione limita il suo interesse riguardo i rapporti con i paesi di origine al controllo e alla gestione dei flussi.

A livello comunitario la consapevolezza politica, sebbene vincolata alle percezioni nazionali e agli interessi elettorali, appare relativamente più aperta. In tal senso sono da seguire con attenzione, e da portare a livello nazionale, le riflessioni del Gruppo di Lavoro di Alto Livello[8] e l’iniziativa avviata nel quadro del Partenariato Euro-Mediterraneo a favore di un approccio comprensivo sul binomio cooperazione e immigrazione.

In questo ambito l’Italia, sulla base delle esperienze qui raccolte, potrebbe disegnare una interessante proposta politica di co-sviluppo fondata sulla moltiplicazione dei partenariati internazionali tra Autonomie e soggetti locali, nel cui quadro considerare i diversi fenomeni migratori. Questa proposta potrebbe rappresentare un valido contributo italiano alla definizione di un approccio europeo verso i paesi terzi, in vista anche della presidenza italiana dell’UE nel 2003.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 


I bollettini precedenti possono essere scaricati dal sito www.cespi.it

L’osservatorio sulle migrazioni nei Balcani “MIGRACTION BALCANI” è all’indirizzo www.osservatoriobalcani.org/migraction/

 

Il programma MIGRACTION è coordinato da Ferruccio Pastore (ferruccio.pastore@cespi.it) e Andrea Stocchiero (anstoc@edl.it).

Responsabile dell’osservatorio sulle migrazioni nei Balcani è Alessandro Rotta (alessandro.rotta@cespi.it).

Il coordinamento organizzativo del programma è assicurato da Cinzia Augi (cinzia.augi@cespi.it). La segreteria del programma MIGRACTION è situata presso il

 

CeSPI - via d’Aracoeli 11, 00186 Roma - tel. 06-6990630 - fax 06-6784104

 

 

 

Bollettino a cura di Andrea Stocchiero; chiuso il 28ottobre 2002.



[1] Si veda a tale proposito il Bollettino MigraCtion n.3

[2] Il monitoraggio è stato condotto da Oliviero Frattolillo e Andrea Stocchiero durante il periodo Novembre 2001 – Luglio 2002.

[3] A tale proposito si ricorda che il Centro Estero delle Camere di Commercio Piemontesi sostiene un corso di formazione con stage in aziende per immigrati con un certo livello di istruzione, al fine di avviarli nel mondo del lavoro con mansioni relative alle materie dell’internazionalizzazione economica (Andrea Stocchiero (1998), Circuiti economici e circuiti migratori nel Mediterraneo. La valorizzazione delle risorse e delle capacità degli immigrati nella promozione di aree-sistema di piccole imprese in Egitto, Marocco e Tunisia. Il contributo dell’Italia. CeSPI, Roma)

[4] Si veda il Bollettino MigraCtion n.3

[5] Si veda a tale proposito lo studio di Gaia Danese e Andrea Stocchiero (a cura di), Immigrazione e processi di internazionalizzazione dei sistemi produttivi locali italiani, CeSPI, Roma 2000.

[6] Se da un lato può essere in parte condivisibile la motivazione di una sorta di compensazione dello Stato italiano nei confronti dei discendenti di italiani che sono stati costretti ad emigrare per le difficili condizioni di vita esistenti in patria a cavallo del secolo XVIII e nel primo e secondo dopoguerra (sempre che sia riscontrabile una pretesa identità nazionale dei discendenti di seconda o terza generazione), appare meno condivisibile in termini di diritti umani la motivazione che oppone immigrati “buoni” a immigrati “cattivi” sulla base di differenze etniche e religiose.

[7] Vi sono tuttavia alcune eccezioni come il programma ProIm sostenuto dalla Regione Liguria, nel quale alcune ONG italiane hanno appoggiato la creazione di gruppi di lavoro di immigrati per la formulazione di progetti di cooperazione con i paesi di origine.

[8] Si veda a tale proposito Ferruccio Pastore “La Rotta di Enea. Relazioni euromediterranee e migrazioni” in EuropaEurope, n° 1/2001.