TRIBUNALE DI TORINO

GIUDICE UNICO

SEZIONE LAVORO

 

 

RICORSO EX ART. 700 C.P.C.

 

 

 

 

 

 

Per il sig.                         residente in                   ed elettivamente domiciliato in Torino, Via Juvarra 10 presso lo studio degli avv.ti Sergio Bonetto e Mariagrazia Napoli che lo rappresentano e difendono, anche disgiuntamente per delega in atti

 

-Parte ricorrente-

 

 

 

CONTRO

 

 

 

                                                con sede in           in persona del rappresentante legale pro tempore.

 

 

-Parte convenuta-

 

 

 

FATTO

1.     Il ricorrente lavora alle dipendenze dell’azienda convenuta dal              con mansioni di

2.     Dette mansioni  si traducono nell’espletamento

3.     Il sig. ricorrente ha percepito una retribuzione a cadenza mensile pari a , lavorando mediamente per circa      ore la settimana, seguendo un orario lavorativo articolato in        giorni settimanali;

4.     In specie l’orario lavorativo osservato dal sig.    è stato il seguente: dalle h.  alle  e dalle h.    alle h.  dal lunedì al sabato;

5.     Tuttavia, il rapporto non è mai stato regolarizzato ai fini contributivi e previdenziali;

6.     Il ricorrente è un cittadino extracomunitario privo di un regolare permesso di soggiorno;

7.     In data 10/09/02 è entrato in vigore il D.L. 9 settembre 2002 n. 195 in materia di legalizzazione del lavoro irregolare extracomunitario prevedendo all’art. 1 che “chiunque, nell’esercizio di un’attività d’impresa (…), ha occupato nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore del presente decreto, alle proprie dipendenze lavoratori extracomunitari in posizione irregolare, può denunciare, entro trenta giorni dalla medesima data, la sussistenza del rapporto di lavoro alla Prefettura (…) mediante la presentazione, a proprie spese di apposita dichiarazione attraverso gli uffici postali (…);

8.     Per questo motivo, il sig.    ,ha più volte sollecitato il proprio datore di lavoro affinché desse avvio alle procedure previste da detto Decreto necessarie alla regolarizzazione della propria posizione;

9.     Ciò nonostante, dette richieste non hanno avuto alcun riscontro.

10.  Ad oggi, il sig. continua a lavorare alle dipendenze dell’azienda convenuta;

 

 

 

***

 

Con il presente ricorso il sig.     intende far dichiarare l’illegittimità del comportamento tenuto dall’azienda convenuta, in quanto in contrasto con lo spirito e le disposizioni normative in materia di legalizzazione del lavoro irregolare degli extracomunitari, oltre che gravemente pregiudizievole per il ricorrente, soprattutto in relazione alla vicinanza della scadenza del termine (10 ottobre) concesso dalla legge ai datori di lavoro per “sanare” le posizioni dei lavoratori extracomunitari che, come il ricorrente, si trovino in posizione irregolare.

Tale ricorso viene proposto in via d’urgenza in quanto si ritengono sussistenti i presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora richiesti dall’art. 700 c.p.c..

 

 

FUMUS BONI IURIS

Come anticipato nella parte in fatto del presente ricorso, il sig.        lavora alle dipendenze dell’azienda convenuta dal …… con mansioni di            seguendo un orario lavorativo articolato in        giorni settimanali e percependo, in corrispettivo dell’attività lavorativa svolta una retribuzione mensile media pari a €

Da quanto esposto in narrativa, appare incontestabile la costituzione tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato ex art. 2094 c.c. a far data dal

Gli elementi essenziali che configurano l'esistenza della subordinazione nell'ambito di un rapporto di lavoro sono stati individuati dalla giurisprudenza di merito e di legittimità nella sottoposizione del lavoratore alle direttive e al controllo del datore di lavoro, vale a dire nell'inserimento del medesimo nella struttura datoriale, con conseguente assoggettamento al potere gerarchico, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro; nelle modalità della retribuzione, a tempo, e a prescindere dal risultato; nel vincolo ad un orario lavorativo da rispettare (vedasi Cass. civ., sez. lav., 26 ottobre 1994, n. 8804; Cass. civ., sez. lav., 3 aprile 1990, n. 2680; Cass. civ., sez. lav., 15 dicembre 1990, n. 11925; Pretura Torino, 17 giugno 1994, in Giur. Piemontese, 1994, 321).

Tale orientamento risulta, peraltro, ulteriormente confermato da recenti pronunce resa dalla Suprema Corte, nella quale è stato nuovamente ribadito il principio che ai fini dell’accertamento della natura subordinata del rapporto costituito tra le parti “(….) assumono valore decisivo l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione delle imprese in modo continuativo e sistematico e l’esercizio di una costante vigilanza del datore di lavoro sull’operato del lavoratore in quanto, tali elementi, rappresentano i connotati esclusivi e peculiari della subordinazione” (Cass. 28/02/00 n. 2228) mentre, a seconda delle circostanze, costiuscono “(…) circostanze sintomatiche della situazione di subordinazione, elementi quali la continuità del rapporto, il versamento a cadenze periodiche del relativo compenso, la presenza di direttive tecniche e l’esercizio concreto di poteri di controllo e disciplinari, il coordinamento dell’attività lavorativa  rispetto all’assetto organizzativo dell’azienda, l’impiego di materiali ed attrezzature proprie della stessa, l’osservanza di un vincolo di orario, l’assenza di rischio economico (…)” (Cass. /20/03/01, n. 3975).

Nel caso di specie, quindi, il carattere subordinato della prestazione risulta confermato dalla presenza di una numerosa serie di requisiti assunti, oramai pacificamente, dalla giurisprudenza di merito quali indici del vincolo della subordinazione.

Tuttavia, come si è detto, il predetto rapporto di lavoro non è mai stato regolarizzato ai fini contributivi e fiscali anche in ragione del fatto che il sig.  è un extracomunitario privo di regolare permesso di soggiorno.

Il sig.     , quindi, pur di garantirsi condizioni di vita decorose e dignitose attraverso l’espletamento di un attività di lavoro lecita, ha dovuto adattarsi a questo tipo di situazione, fino a quando non gli si è concretamente prospettata l’opportunità di regolarizzare, finalmente, la propria posizione lavorativa così come previsto dal D.L. n 195 del 09/09/02 (ultimo di una serie di provvedimenti normativi emanati in materia di regolamentazione dell’immigrazione).

Per questo motivo, il ricorrente, si è affrettato a sollecitare più volte il suo datore di lavoro affinché provvedesse a regolarizzare la propria posizione lavorativa all’interno dell’azienda seguendo la procedura prevista dal D.L. n. 195 cit.

Inaspettatamente, alle richieste del ricorrente ha fatto seguito il rifiuto tassativo di parte convenuta di non procedere ad alcuna regolarizzazione.

A norma dell’art. 1, comma 1 del predetto D.L., “Chiunque, nell’esercizio di un’attività di impresa sia in forma individuale che societaria, ha occupato nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore del presente Decreto, alle proprie dipendenze lavoratori extracomunitari in posizione irregolare, può denunciare, entro trenta giorni dalla medesima data, la sussistenza del rapporto di lavoro alla Prefettura (…) mediante la presentazione, a proprie spese di un’apposita dichiarazione (…)”.

A questo punto non vi è chi non veda come il comportamento seguito dall’azienda convenuta si ponga chiaramente in contrasto con l’art. 1, comma 1, del pluricitato D.L. n. 195.

Non può esservi dubbio alcuno, infatti, che l’art. 1, comma 1, cit. determini un obbligo a carico del datore di lavoro (perlomeno quando gli venga espressamente richiesto da un dipendente interessato), di regolarizzare la posizione lavorativa dei propri dipendenti irregolari extracomunitari.

Ed invero, per maggior chiarezza, fin da una prima lettura dell’articolo 1, comma 1, D.L. n. 195 non sarà certamente sfuggito ai più come il legislatore, nell’estensione dell’art. 1, abbia inopinatamente fatto ricorso ad un linguaggio non propriamente tecnico: ci si riferisce, in particolare, all’espressione può denunciare che, ragionando in termini meramente ipotetici, potrebbe portare a ritenere (come probabilmente è avvenuto con parte convenuta) che il datore di lavoro che impieghi lavoratori extracomunitari irregolari abbia semplicemente la facoltà e non l’obbligo giuridico di regolarizzarli.

E’ evidente, che un’interpretazione di questo tipo (che pare essere seguita da parte convenuta) non possa in alcun modo essere condivisa dal momento che verrebbe a legittimare una situazione di fatto diametralmente opposta a quella perseguita dal legislatore con l’emanazione del D.L. n.195, ossia l’integrazione del cittadino extracomunitario fondata sul reale inserimento nel mondo del lavoro e la diminuzione del lavoro prestato in nero.

In proposito, il D.L. cit., contrariamente a quanto avviene per i cittadini italiani, prevede la possibilità di regolarizzare solamente quei lavoratori irregolari che siano già in possesso di determinati requisiti quali, ad esempio, l’aver prestato attività lavorativa nei tre mesi antecendenti al 09/09/02 ed il non aver subito un provvedimento di espulsione.

Pertanto, una volta superate da parte del lavoratore irregolare “le barriere all’ingresso” stabilite per Decreto e visto il periodo relativamente breve concesso per l’inizio della procedura di regolarizzazione (entro il 10 ottobre 2002), non può in alcun modo essere pensabile che l’esito di una procedura così importante come quella di regolarizzazione, (per le migliori e stimolanti prospettive di vita che favorisce a vantaggio di chi ne usufruisce) possa venire ulteriormente limitata da mere velleità datoriali (ti regolarizzerò se potrò o se ne avrò voglia) determinate, peraltro, da mera convenienza economica e comportanti la conservazione di situazioni illecite (il favoreggiamento di manodopera clandestina costituisce pur sempre una reato).

Ne consegue che l’espressione può denunciare non può che essere intesa nel senso il datore di lavoro ha l’obbligo e, quindi, deve denunciare, perlomeno quando gli venga richiesto da chi vi ha interesse (da qui l’utilizzo del verbo può, ossia quando se ne presenti l’occasione), agli organi competenti l’esistenza del rapporto di lavoro instaurato con un lavoratore extracomunitario irregolare.

Tale norma, infatti, oltre che in riferimento ai principi costituzionali di eguaglianza, della pari opportunità socio-economica, della libertà e quegli standard valutativi espressi nella realtà sociale (riassumibili, riguardo alla disciplina del lavoro subordinato, nella nozione di civiltà del lavoro), deve essere letta soprattutto in riferimento ad un quadro di equilibrio del nostro ordinamento secondo cui a fronte di una situazione di antigiuridicità, l’antigiuridicità medesima deve essere, in ogni caso, rimossa.

Nel caso di specie, dunque, la dichiarazione di emersione rappresenta la soluzione elaborata dal legislatore per risolvere ab origine un comportamento antigiuridico.

L’espressione può denunciare contenuta nel sopracitato art. 1, comma 1, è, quindi, riferita al fatto che attraverso la dichiarazione di emersione, il datore di lavoro ha la possibilità (così come previsto esplicitamente dal successivo comma 6) di evitare le sanzioni previste dal nostro ordinamento per le violazioni delle norme relative al soggiorno al lavoro e di carattere finanziario.

In ogni caso, così come sottolineato in una recente pronuncia della Suprema Corte, la pendenza di un rapporto di lavoro risulta svincolata dalla sussistenza o meno di un permesso di soggiorno o dalla concessione di uno nuovo: il permesso di lavoro è  richiesto non ai fini della validità del contratto, ma solo ai fini della sua efficacia. Nell’ipotesi, poi, in cui il contratto riceva di fatto esecuzione anche durante un periodo di carenza del permesso, sembra ipotizzabile l’applicabilità in via estensiva dell’art. 2126 cc (Cass. civ, sez. lav., 11/07/01 n. 9407).

Inoltre, nella denegata ipotesi in cui il Giudicante accedesse ad un’interpretazione dell’art. 1, comma 1, del D.L. n. 195 del 2002 differente da quella sin qui prospettata, tale norma comporterebbe la proliferazione e la legittimazione di irrazionali discriminazioni e diversità di trattamento nei confronti di soggetti eguali (intendendo tale eguaglianza come eguaglianza di requisiti e di condizioni di lavoro) la cui tutela dipenderebbe esclusivamente da un atto discrezionale del proprio datore di lavoro.

Inoltre, tale discriminazione, andrebbe così a colpire specificatamente soggetti deboli (come, appunto, i lavoratori extracomunitari irregolari) ponendosi chiaramente in contrasto con l’art. 1, 3, 4. 35, 36 della Costituzione vigente.

Il sig.         chiede, dunque, il linea subordinata che il Magistrato voglia sollevare eccezione in tal senso

In proposito, al fine di evitare inutili e dilatorie discussioni, si ricorda come le caratteristiche di sommarietà ed urgenza proprie della procedura ex art. 700 c.p.c. non siano incompatibili con la rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, cit.

A riguardo, si richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 108 del 6/4/1995 secondo cui “ Il giudice ordinario adito ai sensi dell’art. 700 c.p.c. è legittimato a sollevare questioni di costituzionalità fino a quando non abbia emesso o respinto il richiesto provvedimento, in quanto solo la conclusione della fase cautelare esaurisce ogni sua potestà in quella sede e comporta che l’ulteriore potere decisionale competa al giudice della fase di merito”.

 

            PERICULUM IN MORA

 

Dall’esposizione dei fatti prima citati appare del tutto evidente il pregiudizio grave ed irreparabile che, nelle more del giudizio ordinario, potrebbe derivare al sig.       in considerazione del fatto che, così come previsto dal D.L. 195 cit. il termine fissato massimo per denunciare la propria posizione lavorativa alle autorità competenti è fissato al 10 ottobre 2002.

E' evidente che le vicende poc'anzi descritte determinano una situazione di forte disagio a danno del ricorrente, dal momento che al medesimo è impedita sistematicamente, e senza alcun valido motivo, la possibilità di regolarizzare la propria  posizione lavorativa.

A maggior ragione, gli stessi motivi che sorreggono la normativa che evidenziano la sussistenza in capo al ricorrente del diritto alla regolarizzazione della propria posizione lavorativa, sono di per se stessi sufficienti a motivare la richiesta di un provvedimento d'urgenza.

Per i motivi tutti dedotti il ricorrente, come sopra rappresentato e difeso confida nell’accolgimento delle seguenti

 

CONCLUSIONI

 

 

NEL MERITO

In via principale

1.     Accertarsi e dichiararsi la costituzione tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato ex art. 2094 c.c.a far data dal

2.     Accertarsi e dichiararsi il diritto del ricorrente ad essere inquadrato, in virtù delle mansioni svolte, come                            ex ccnl        e a vedersi riconoscere il relativo trattamento economico;

3.     Con riserva di agire in separato giudizio per la determinazione delle somme dovute;

4.     Accertarsi e dichiararsi la violazione da parte convenuta dell’art. 1, comma 1, del D.L. 09/09/02, n. 195, per le causali e le circostanze di cui al presente ricorso;

5.     Conseguentemente, ordinarsi ex art 1 comma 1, D.L. 09/09/2002 n. 195 l’obbligo a carico di parte convenuta di denunciare la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato instaurato con il ricorrente alle autorità competenti al fine di regolarizzarla;

6.     Con provvedimento che, in ogni caso, in via temporanea tenga luogo delle dichiarazioni di cui all’art.1, comma 1, 2, D.L. n. 195/2002 cit, ponendo, comunque, a carico della convenuta il pagamento di € 700 per le causali di cui rispettivamente all’art. 1, comma 3, lettera B, D.L. cit. nonché di € 2.000, 00 a titolo di spese di viaggio così come previsto dall’art. 6, comma b, L. 189/2002.

 

            In via subordinata

1.     Sollevarsi avanti alla Corte Costituzionale eccezione di costituzionalità per contrasto con gli art. 1, 3, 4, 35 e 36 della Costituzione dell’art. 1, comma 1, del D.L. 195/2002.

 

In ogni caso, con vittoria di spese, diritti e onorari di giudizio, anche per la fase sommaria del presente giudizio, e distrazione dei medesimi a favore dell’avvocato anticipatario

 

 

 

Tali saranno le conclusioni nel giudizio che si intende instaurare.

 

In via d’urgenza, il ricorrente

CHIEDE

che il Giudice, previa fissazione di udienza di comparizione delle parti, pronunci i provvedimenti ritenuti più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione di merito, ed in particolare voglia anticipare ex art. 700 c.p.c. gli effetti delle domande di cui ai punti 1), 4), 5) e 6) formulate in via principale, o, in caso contrario quella formulata al punto n.1 in via subordinata.

 

 

IN VIA ISTRUTTORIA

 

-assumersi, se del caso, sommarie informazioni o disporsi la prova per interrogatorio formale e testi sui fatti di cui ai numeri da 1) a 10) della parte in fatto del presente ricorso, punti che si intendono qui di seguito ritrascritti e preceduti dal “vero che” di rito.

 

Si indicano a testi

 

 

 

Si producono in copia

 

 

 

 

Torino, lì

 

Avv. Sergio Bonettto

Avv. Mariagrazia Napoli