OSSERVAZIONI e COMMENTI

sulla Proposta di direttiva per il RICONGIUNGIMENTO FAMIGLIARE

 

 

  1. Introduzione

 

1.1  La nuova proposta di direttiva

 

La proposta di direttiva sul diritto al ricongiungimento famigliare è stata modificata una seconda volta dalla Commissione, in seguito alla richiesta del Consiglio europeo di Laeken  [COM(2002)225 finale].

 

La proposizione iniziale della Commissione [COM(1999)638 finale] non corrispondeva interamente alle nostre proposte, ma rappresentava un reale passo avanti rispetto alla regolamentazione in vigore nella maggior parte degli Stati dell’Unione europea. Per questo motivo il Consiglio di Amministrazione del Coordinamento europeo aveva lanciato un appello alle associazioni perché sostenessero l’iniziativa della Commissione [Appello del C.A. del  9-04-2000]. 

In seguito al voto del Parlamento europeo, che aveva adottato numerosi emendamenti concernenti soprattutto il campo di applicazione della direttiva, la Commissione aveva presentato una proposta di direttiva modificata [COM(2000)624 finale].  Il Consiglio di Amministrazione del Coordinamento, pur disapprovando alcune delle restrizioni apportate, aveva rinnovato il suo appoggio, sottolineando nel suo commento le insufficienze della proposta e rilanciando l’appello a proseguire l’azione per il miglioramento della proposta della Commissione [Appello del C.A. del 3-02-2001].

   In seguito, quando il Consiglio dei ministri della Giustizia e degli Affari Interni aveva progettato di attuare gravi restrizioni concernenti alcune disposizioni fondamentali, il Coordinamento era intervenuto, insieme a numerose altre O.N.G., per opporsi all’adozione di un testo arretrato rispetto alla situazione di diritto di numerosi Stati e che avrebbe legalizzato la violazione del diritto a vivere in famiglia [Appello del Comitato Esecutivo del 30-04-2001]. 

  Poiché il Consiglio dei ministri della Giustizia e degli Affari Interni non aveva trovato un accordo, la Presidenza belga dell’Unione europea ha convocato a Bruxelles nell’ottobre del 2001 una Conferenza europea sulle Migrazioni aperta a tutti i paesi candidati all’adesione e ad alcuni paesi d’origine degli immigrati. Dopo una successiva riunione del Consiglio dei ministri della Giustizia e degli Affari Interni, del 16-11-01, nella quale si è preso atto degli elementi di disaccordo tra i governi, il Consiglio europeo di Laeken ha chiesto alla Commissione di presentare una nuova proposta.

 

 

1.2. – Il riorientamento della politica d’immigrazione

 

   In questo stesso periodo il riorientamento della politica d’immigrazione, quale era stato espresso nella dichiarazione del Consiglio europeo di Tampere nell’ottobre del 1999 e che permetteva di sperare in qualche progresso verso un maggior rispetto dei diritti dell’uomo, del bambino e della famiglia, si dirige decisamente in altro senso. Gli eventi dell’11 settembre hanno consentito il prevalere della politica di lotta al terrorismo come giustificazione di una politica di restrizione di tutte le migrazioni e del diritto d’asilo[1].

  1. – Analisi e commento delle principali disposizioni della proposta di direttiva modificata

 

Il testo della proposta di direttiva comporta numerose modifiche, alcune delle quali migliorano la precedente redazione, altre, molte più numerose, che ne restringono la portata e altre ancora che ne sconvolgono completamente l’equilibrio.

 

La nostra analisi segue l’ordine della Proposta della Commissione, raggruppando tuttavia in un solo paragrafo i commenti della Commissione e il testo degli articoli; la numerazione dei paragrafi corrisponde a quella del testo della Commissione, i paragrafi che non richiedono alcun commento vengono semplicemente saltati.

 

 

2.1. – ESPOSIZIONE dei MOTIVI

 

1.     L’introduzione riassume e spiega le condizioni che hanno costretto la Commissione a presentare una nuova proposta (vedi sopra).

2.     Con il titolo di “un nuovo approccio”, la Commissione pone di fronte alla necessità di procedere per tappe progressive, allo scopo di arrivare a una “armonizzazione delle legislazioni nazionali”. Non sembra che gli obiettivi esposti nella nuova proposta siano fondamentalmente diversi dai precedenti, tuttavia il fatto di porre in primo piano l’idea di un’armonizzazione delle legislazioni, al posto del riconoscimento del diritto al ricongiungimento famigliare, cambia profondamente la natura della proposta.

3.     “Flessibilità”. Con questo termine si annuncia che il nuovo testo comporterà gravi passi indietro, come autorizzare gli Stati a sospendere provvisoriamente l’applicazione di numerose disposizioni fondamentali.

4.     “Stand still”. Questo regresso è apparentemente limitato da una clausola, detta “stand still”, che in teoria proibisce agli Stati di procedere a tali deroghe se la loro legislazione non le prevedeva già prima dell’adozione della direttiva; ma niente impedisce agli Stati di cambiare prima la loro legislazione!

5.     “Rendez-vous”. Una clausola detta “rendez-vous” tenta di salvare le apparenze, decidendo che un nuovo tentativo di armonizzazione sarà attuato dopo due anni dalla trasposizione della direttiva nelle legislazioni nazionali (cioè… nel caso migliore nel 2006!).

6.     “Principali cambiamenti”. La Commissione stessa sottolinea i cambiamenti dell’articolo 4 (libera circolazione dei cittadini dell’Unione), dell’articolo 5-1 (età dei figli che possono essere ricongiunti), dell’articolo 7-1 (controllo delle risorse), dell’articolo 8 (dilazione di più anni del ricongiungimento famigliare), dell’articolo 1-2 (durata della validità dei permessi di soggiorno) e 15-1 (limite massimo della concessione di uno statuto autonomo).

 

2.2. – COMMENTO e TESTO degli ARTICOLI

 

Art. 1. La Commissione afferma che la nuova redazione mira a “meglio precisare” l’oggetto della direttiva. In realtà lo trasforma profondamente, giacché la formula “instaurare un diritto al ricongiungimento famigliare” è sostituita da “fissare le condizioni nelle quali si esercita il diritto al ricongiungimento famigliare di cui godono i cittadini dei paesi terzi” (il commento aggiunge “riconosciuto dalle legislazioni nazionali e dagli strumenti internazionali esistenti”)[2]. Dunque, a differenza delle precedente, la nuova redazione dell’articolo 1 respinge categoricamente il principio che era all’origine del fondamento del Coordinamento: “il diritto (…) di vivere con il coniuge che si è scelto e con i propri figli è un diritto imprescrittibile che gli Stati  hanno l’obbligo di rispettare (…), non possono né opporvisi, né aggiungervi condizioni tali che risulti svuotato del suo contenuto” (dichiarazione della Conferenza internazionale di Bruxelles, novembre 1993).

 

Art. 3.1. Si richiede ai candidati al ricongiungimento una condizione supplementare: avere la prospettiva ben fondata di ottenere un permesso di soggiorno permanente; tale condizione mira ad escludere le persone che lavorano alla pari e che sono in stage; non si fa menzione degli studenti, ma si può pensare che il testo si applichi anche a loro.

 

Art. 3.3. Sono esclusi dal campo dell’applicazione i membri della famiglia dei cittadini dell’Unione, poiché il loro caso deve essere trattato nel nuovo progetto di direttiva sulla libera circolazione.

 

Art.3.5. Questo nuovo paragrafo autorizza gli Stati a introdurre o a conservare alcune disposizioni più favorevoli ai beneficiari … ma non impedisce loro di adottarne di meno favorevoli prima della promulgazione della direttiva.

 

Art. 3.6. “Clausola dello stand still”. Questo paragrafo proibisce agli Stati di introdurre disposizioni meno favorevoli durante il periodo in cui alcune deroghe all’applicazione di queste ultime sono ammesse. Ma tale clausola dovrà normalmente essere applicata al momento dell’adozione della direttiva. Niente impedisce dunque agli Stati di modificare la loro regolamentazione prima di questa data[3].

 

Art. 4.  La nuova redazione riduce sensibilmente il numero dei beneficiari del ricongiungimento famigliare, limitandoli al coniuge sposato e ai figli minorenni. Gli altri parenti, i figli maggiori a carico e i partner non sposati potranno beneficiare del ricongiungimento solo se la regolamentazione dello Stato in questione lo prevede. Tale clausola riduce sensibilmente l’interesse di una direttiva europea.

 

Art. 4.1-c. Una grave deroga viene accordata, su richiesta del governo tedesco, per autorizzare lo stato a rifiutare il ricongiungimento famigliare dei bambini di più di 12 anni che non soddisfano le condizioni di integrazione stabilite dalla legislazione nazionale. Tale deroga, già di per sé scandalosa, lo è ancor di più per il fatto che la legge tedesca è una nuova legge e che la deroga ha dunque per effetto quello di autorizzare un aggravio delle condizioni del ricongiungimento famigliare attualmente in vigore.

 

Art. 4.5. Una nuova disposizione autorizza gli Stati a esigere un’età minima prima che il coniuge possa raggiungere il richiedente il ricongiungimento, allo scopo di osteggiare la pratica dei matrimoni combinati tra minorenni. Tale disposizione sarebbe accettabile, se l’età minima fosse quella della maggiore età legale.

 

Art. 5.1-5.3. Il principio della deposizione della domanda di ricongiungimento, quando i membri della famiglia si trovino fuori dallo Stato, è mantenuto, ma la richiesta può essere presentata sia nello Stato membro che nel paese di origine. Gli stati membri sono autorizzati ad esaminare le richieste dei membri delle famiglie già presenti sul loro territorio. Questa disposizione ci sembra positiva.

 

Art. 5.4. La durata della procedura di esame viene portata da sei a nove mesi. Il silenzio dell’amministrazione all’espirazione di tale termine va interpretato secondo la legislazione dello stato membro.

Anche se si può comprendere che in alcuni casi complessi le procedure d’esame richiedano del tempo, non è ammissibile che le amministrazioni siano autorizzate a rifiutare una domanda senza aver fornito una giustificazione alla loro decisione.

 

Art. 6.2. Il permesso di soggiorno può essere ritirato e non rinnovato per ragioni d’ordine pubblico o di sicurezza interna.

 

Art. 7.1. Sono stati precisati  i termini delle condizioni di alloggio e delle risorse economiche esigibili. La principale modifica autorizza gli stati a controllare ulteriormente tali condizioni in occasione del primo rinnovo del permesso di soggiorno. Questi due articoli tendono a rendere precaria la situazione e ad ostacolare l’inserimento e l’integrazione delle famiglie.

 

Art. 8. La durata del periodo di attesa prima che la persona sia autorizzata  a deporre la domanda di ricongiungimento è portata da uno a due o anche tre anni, per gli stati che abbiano previsto un limite del numero dei ricongiungimenti ogni anno e uno scaglionamento dell’ingresso dei membri di una stessa famiglia su più anni.

 

Artt.9-12. L’insieme delle disposizioni applicabili al ricongiungimento famigliare dei rifugiati (ai sensi della Convenzione di Ginevra) costituisce un nuovo capitolo della direttiva. Tali disposizioni sono in generali più favorevoli per i rifugiati che per gli altri stranieri. Ad esempio viene precisato che l’età dei bambini aventi diritto al ricongiungimento non può in nessun caso essere inferiore alla maggiore età legale (art 10.3); che nel caso di minori non accompagnati, il ricongiungimento con i loro parenti più prossimi o con il tutore legale è obbligatorio (art 10.4) e che nessun periodo di attesa può essere imposto (art 12.2). Tali articoli rappresentano un miglioramento del testo della direttiva: peccato che questo concerna solo i beneficiari della Convenzione di Ginevra.

 

Art. 13. La gratuità dei visti  è abolita.

 

Art. 14. Il diritto all’educazione, al lavoro e alla formazione professionale dei membri della famiglia sono gli stessi del richiedente il ricongiungimento.

Artt. 16-18. Gli articoli relativi alle sanzioni e alle vie di ricorso sono stati completati per consentire agli stati di osteggiare ogni forma di deviazione della procedura normale o di frode. Si precisa che le vie di ricorso sono quelle fissate dalle legislazioni nazionali.

 

Art. 19. Questo articolo prevede la “clausola del rendez-vous” (vedi sopra, 2.5).

 

3.     – Conclusione

 

La redazione della proposta modificata una seconda volta cambia profondamente il senso della direttiva:

rinuncia ad affermare il primato del diritto al ricongiungimento famigliare sulle disposizioni di legge e sulle regolamentazioni nazionali;

introduce numerose clausole che limitano le disposizioni favorevoli alle famiglie e che costituivano un passo avanti rispetto alle legislazioni di molti stati;

autorizza numerose deroghe aventi come effetto di aggravare invece che migliorare la situazioni attuale;

apre un periodo durante il quale gli stati potranno restringere le regolamentazioni attualmente in vigore;

legittima le pratiche degli stati che si rifiutano di applicare i principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e della Convenzione internazionale dei diritti del bambino.

 

La proposta della Commissione, invece di instaurare un Diritto al ricongiungimento famigliare che gli stati dell’Unione avrebbero l’obbligo di rispettare, si accontenta di prevedere, per un futuro indeterminato, l’armonizzazione delle legislazioni nazionali, senza nemmeno il divieto di modificarle in senso sfavorevole alle famiglie degli immigrati. Ben lungi dal costituire un primo passo verso una regolamentazione comunitaria, avalla le legislazioni interne e le pratiche degli stati membri.

 

Il Coordinamento non può più chiedere alle associazioni di sostenere questa nuova proposta, come invece aveva fatto per le precedenti. Al contrario esprime la sua disapprovazione nei confronti di una prassi retrograda e invita le associazioni e gli organismi della società civile a intervenire presso i parlamentari e i governi dei loro paesi per opporsi alla sua adozione; infatti, per quanto riguarda il ricongiungimento famigliare, meglio sarebbe non avere nessuna direttiva europea che una direttiva che legittima le violazioni al diritto di vivere in famiglia, perpetrate da alcuni stati membri.

 

Il Coordinamento esige che, malgrado le difficoltà incontrate fino a qui, la Commissione europea non sia condannata ad allinearsi sulle posizioni più retrograde di certi stati membri. L’Unione europea è un’istituzione democratica: il Parlamento europeo, che dispone di un potere di co-decisione, e gli organismi della società civile, che possono esercitare la pressione sui governi dei loro paesi, hanno la possibilità di costringere gli stati a rispettare i principi della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e le convezioni internazionali.

 

Il Coordinamento chiama le associazioni a unirsi e a intervenire attivamente presso l’opinione pubblica, i deputati europei e i rappresentanti dei loro paesi, per presentare insieme proposte costruttive, tendenti a instaurare una politica di immigrazione e di integrazione degli stranieri, che rispetti i diritti umani e concili gli interessi delle popolazioni autoctone e degli immigrati.

 

 

 

Testo redatto da Dominique Lahalle e approvato dal Comitato Esecutivo del Coordinamento Europeo. 

 

30.09.02.

 



[1] Le linee di questo riorientamento sono state espresse in seguito nelle conclusioni della Conferenza di Bruxelles sulle migrazioni, del 16 e 17 ottobre 2001 (soprattutto nel discorso di chiusura del commissario Vitorino e del ministro belga Antoine Duquesne) e in un documento di lavoro presentato il 5 dicembre 2001 dalla Commissione, Rapporto tra la tutela della sicurezza interna e il rispetto degli obblighi e degli strumenti internazionali in fatto di protezione.  Sono state riprese nelle conclusioni del Consiglio europeo di Laecken del 14 e 15 dicembre 2001 (sopratutto nel capitolo IV) e nella “considerazione fondamentale e linea d’azione” della Presidenza spagnola nel gennaio 2002. Un riassunto è stato redatto all’attenzione del movimento associativo, presentato nella forma più accettabile possibile rispetto al nostro punto di vista, nell’intervento del commissario Vitorino a l’ASTI del Lussemburgo il 24-04-02.

 

[2]  Dal punto di vista di chi come noi aveva sottolineato la propria soddisfazione di veder affermato un DIRITTO al ricongiungimento famigliare invece che delle regolamentazioni che ne stabiliscono le condizioni, si tratta di un grave passo indietro. Dietro quella che potrebbe sembrare una semplice questione di prerogative (l’U.E. può instaurare un diritto o può solo armonizzare le condizioni del suo esercizio?), si nasconde il rifiuto da parte degli Stati di riconoscere un diritto fondamentale e la loro volontà di decidere arbitrariamente su chi possa essere ammesso a beneficiare delle disposizioni adottate dalla maggioranza.

[3]  La redazione di tale clausola non poteva giuridicamente essere molto diversa da così, non essendo accettabile la sanzione delle infrazioni commesse prima della promulgazione di un testo legislativo. Quel che è grave è il contesto in cui la clausola interviene, poiché legittima, legalizzandola, una situazione di fatto e priva il Parlamento, le ONG e la Commissione stessa della possibilità di protestare contro gli abusi delle regolamentazioni o delle pratiche di certi Stati.