"DECRETO
MARONI" SULLA REGOLARIZZAZIONE DEI LAVORATORI STRANIERI
SCHEDA PER UNA
PRIMA VALUTAZIONE DEGLI EMENDAMENTI INTRODOTTI DAL GOVERNO E APPROVATI DALLE
COMMISSIONI RIUNITE IL 24.9.2002
(DA OGGI
ALL'ESAME DELL'AULA DEL SENATO)
1. Una politica dell'immigrazione, in un paese come l'Italia
che di immigrazione ha bisogno vitale, si compone di tre passaggi: come si
entra, come si esce (o si è costretti a uscire), come si rimane (con
quali garanzie e percorsi di convivenza). I meccanismi di ingresso e di accesso
all'esistenza legale sono fondamentali anche nella formazione dell'immagine che
l'immigrazione (nel suo complesso) si fa della società di accoglienza, e
viceversa.
2. In Italia continua a mancare una politica di ingresso legale
dei lavoratori stranieri. Accanto alle "sanatorie" del '90, '96 e
'98, anche i "decreti flussi", nella seconda metà degli anni
'90, in realtà hanno coperto, con l'espatrio/rimpatrio, la
legalizzazione di quote d'immigrazione già presente. Il canale
d'ingresso largamente prevalente in Italia rimane quello clandestino,
perché (con la parziale eccezione del meccanismo degli
"sponsor", introdotto dalla Turco-Napolitano ed oggi abrogato) non
esiste un ingresso per ricerca di lavoro. E continua a non esistere un meccanismo
fluido e permanente di legalizzazione di coloro che, una volta entrati, trovino
un lavoro.
3. Dunque la modalità fondamentale di accesso rimane
quella dell'immigrazione illegale con successiva "sanatoria". Almeno
il 70% degli immigrati oggi legali in Italia sono passati per questo percorso
ad ostacoli. Ed i criteri adottati per "sanare" lo status degli
immigrati "clandestini" non riguardano solo loro: tendenzialmente si
allargano a tutti gli immigrati (perché si estendono, ad esempio, allo
snodo fondamentale del rinnovo del permesso di soggiorno), e lasciano
intravedere una concezione complessiva della società e del mercato del
lavoro, dunque alla fine riguardano tutti i lavoratori e i cittadini.
4. Dopo la "sanatoria" del '90, che era basata sul
semplice criterio della presenza in Italia ad una certa data (come avviene in
tutti i paesi civili, ultimi il Canada, il Portogallo, la Spagna e il Belgio),
nel '96 e nel '98 si è affermato un altro criterio: quello
"utilitaristico". Ti legalizzi se hai un lavoro, cioè se
"ci servi". A questo criterio fondamentale ne sono stati affiancati
altri (prova della presenza ad una certa data, abitazione di un certo tipo,
assenza di precedenti penali di diverso rilievo…), ma il criterio
fondante era quello del lavoro. Si trattava già di una rete a maglie
strette, tant'è che la legge Turco-Napolitano, dopo ben quattro anni, ci
lascia in eredità almeno 50.000 pratiche pendenti e non risolte di
rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno.
5. La "sanatoria" attuale (il termine non ci piace
affatto, perché si "sanano" ladri ed evasori, come ben sa il
governo Berlusconi, e qui stiamo parlando invece di gente onesta) tiene fermo
il criterio utilitaristico, ma gli affianca un secondo criterio: quello
"inquisitorio". Ti sani se lavori, e inoltre devi dimostrarci che sei
inoffensivo, perché di te non ci fidiamo per principio. E' il
rovesciamento della presunzione d'innocenza, che finora infatti, nella
legislazione italiana, si applicava a coloro che un tribunale ha già
ritenuto colpevoli: i detenuti. E' il criterio del giudice di sorveglianza
nelle carceri: buoni e cattivi, inseriti e non inseriti, redenti e reprobi. In
questo senso ha vinto la Lega, la sua visione terroristica e manichea
dell'immigrazione e della diversità, aggiunta alla cultura politica
concentrazionaria tradizionale della destra italiana fascista e postfascista.
Gli immigrati sono tutti "sospetti", gli apparati dello stato si
trasformano in secondini e giudici di sorveglianza. Siamo a una svolta
pesantissima nella visione dell'immigrazione (nel suo complesso: non solo i
"clandestini") e nella cultura giuridica italiana.
6. Gli attuali "clandestini" sono stimabili in
3-400.000. Di questi, stando ai dati del Viminale, oltre la metà negli
ultimi quattro anni ha ricevuto un'intimazione di lasciare il territorio
nazionale. Dunque di oltre 200.000 uomini e donne i singoli prefetti dovranno
ora "valutare il grado d'inserimento sociale" per decidere se
revocare o no l'intimazione. Come può "dimostrare il proprio inserimento"
un clandestino? Con il possesso di un lavoro, s'immagina: ma questo è
scontato, è già un requisito della richiesta di regolarizzazione.
Allora cos'altro? Si convocheranno in prefettura i vicini, gli informatori
della polizia, il padrone di casa, il portinaio, il datore di lavoro? Si
valuteranno i tratti fisiognomici? Si istituirà una figura di
"valutatore sociale di quartiere"?
7. Ancora più grave, in via di principio e di fatto,
è il divieto assoluto di regolarizzare chiunque abbia pendenze penali (o
condanne di qualunque grado) per un "reato non colposo", cioè
per un qualsiasi reato ipoteticamente doloso. Prima almeno si faceva ricorso
alla casistica dei reati per i quali il nostro Codice prevede l'arresto in
flagranza, ed era già una casistica fin troppo ampia. Ora si tratta di
tutti i reati, dall'ingiuria e dal falso in su. Il decreto tradisce la sua
pericolosità proprio esplicitando, come "aexcusatio non
petita", l'ovvia esclusione di chi sia stato assolto in giudizio. Dunque
chiunque non sia stato assolto, per il solo fatto di essere inquisito è
colpevole. E viene escluso. E' una norma non solo incostituzionale, ma
pericolosissima. E' la negazione di qualunque garanzia. Se io non voglio
legalizzare la mia "serva" e la licenzio, e quella si trova un altro
datore di lavoro disposto a legalizzarla, per vendicarmi basterà che io
l'accusi falsamente di avermi rubato in casa un paio di calzini per condannarla
automaticamente alla clandestinità. Se in una comunità di
immigrati uno vuole "rovinare" un altro, basterà denunciarlo
per calunnia o ingiurie. E così via.
8. L'altra esclusione automatica è quella di chi abbia
avuto un decreto di espulsione "che comporti l'accompagnamento in
frontiera". Non solo dunque chi dopo la "intimazione" sia
incappato in una seconda espulsione o sia rientrato illegalmente in Italia, ma
anche chiunque abbia avuto un'espulsione ai sensi della Bossi-Fini, da
settembre in qua. I rastrellamenti e le operazioni di ordine pubblico di questo
mese hanno prodotto migliaia di decreti di espulsione, che ora divengono uno
stigma irrevocabile di clandestinità. Nelle precedenti
"sanatorie", per semplice buonsenso si era stabilita, per legge o per
circolare, una sorta di "moratoria" delle espulsioni durante la fase
di regolarizzazione. Ora no: le questure continuano a distribuire decreti di
espulsione agli stessi ai quali la televisione prospetta la speranza di
legalità. Così si alimenta la disperazione, e si attribuisce un
potere enorme agli apparati di polizia che, conoscendo perfettamente la mappa
della clandestinità, possono operare interventi "mirati" per
escludere chiunque vogliano dalla regolarizzazione.
9. Rimane, nel decreto, la previsione di un contratto almeno di
durata annuale (che esclude gran parte del lavoro migrante nei settori ad
assunzione ciclica o a termine, dall'edilizia alla ristorazione e
all'alberghiero, dall'agricoltura all'industria di trasformazione). Rimane
l'esclusione totale del lavoro autonomo, fonte di reddito non solo per gli
interessati ma potenzialmente per il fisco. Rimane la clausola dei tre mesi
pregressi e continuativi d'impiego, che sembra fatta apposta per penalizzare
coloro che, una volta licenziati dal datore di lavoro disonesto che non vuole
legalizzarli, abbiano trovato in extremis, alla vigilia dell'entrata in vigore
della legge, un altro datore di lavoro disposto ad assumerli. Rimane
l'impossibilità, denunciata dai sindacati, di "emergere" per
iniziativa del lavoratore, magari accompagnata dall'avvio di una vertenza
sindacale e legale contro il proprio datore di lavoro nero. Sono tutte clausole
che, oltre a restringere l'imbuto della regolarizzazione, qualificano questo
provvedimento come una sanatoria "padronale": nel senso del padrone
classico, quello che ha potere totale su lavoratori schiavizzati.
10. La sottrazione dei regolarizzati dai prossimi decreti sui flussi
d'ingresso ha la doppia conseguenza di escludere definitivamente un decreto
flussi per il 2002 (perché non si avranno certo dati sulla
regolarizzazione prima dell'inizio del prossimo anno), e di svuotare quello del
2003. Ribadendo quindi la politica di chiusura degli accessi legali che dura in
Italia da diciotto mesi e che ha ingigantito l'immigrazione clandestina, con il
suo strascico intollerabile di morti e tragedie in mare e di estensione dei
budget e del raggio d 'azione delle mafie internazionali. Il ragionamento
è palesemente assurdo, perché l'Italia ha bisogno d'immigrazione
aggiuntiva rispetto a quella già presente che si dovrebbe regolarizzare.
Anche in questo senso dunque la posizione leghista, "securitaria" e
xenofoba, ha prevalso anche rispetto ad una concezione puramente utilitaristica
dell'immigrazione. Il governo si fa complice degli scafisti assassini,
perché il bisogno di manodopera e la spinta migratoria permangono, e
solo loro daranno una risposta.
11. L'associazionismo ed i sindacati sono unanimi: con questi criteri,
meno della metà dell'immigrazione irregolare in Italia sarà
sanata. Dunque almeno 200.000 persone resteranno fuori, aggiungendosi alle
decine di migliaia di lavoratori richiamati in Italia, da altri paesi europei
più che dalla madrepatria, dalla speranza di legalizzarsi. Il governo
pensa forse di destinare l'intera aviazione civile e militare e l'intera
marineria ad un'immensa operazione di rimpatrio collettivo? In realtà si
sta decidendo di lasciare che in Italia permanga una vasta area di
clandestinità, e di attribuire ai prefetti e alle questure un potere
immenso sia sui "sommersi" sia sui "salvati", per dirla con
Primo Levi. Le prefetture ne avranno in eredità una coda interminabile
di pratiche difficilmente risolvibili se non in base al puro arbitrio. La
magistratura si troverà obbligata ad applicare norme severissime nei
confronti di lavoratori e datori di lavoro, le carceri si rigonfieranno oltre
ogni limite. Il mercato del lavoro ne risulterà stabilmente segmentato,
indebolendo l'intero movimento dei lavoratori - che del resto non è
l'ultimo degli obiettivi di questo governo. Ma soprattutto questo decreto
ferisce mortalmente la certezza del diritto, la presunzione d'innocenza, la
protezione della parte debole nel rapporto di lavoro, il patto di cittadinanza
basato sul lavoro e sulla convivenza: cioè i fondamenti dello stato di
diritto, della legislazione sul lavoro e della stessa Costituzione.
(Dino Frisullo -
25.9.2002)