Domenica
4 agosto 2002 al centro sociale Villaggio Globale di Roma si sono incontrati i
Rom delle Associazioni: U.N.I.R.S.I., SUTKA; della cooperativa BOSNIA I
HERZEGOVINA; i rappresentanti delle comunità: via dei Gordiani (Serbia),
Vicolo Savini (Bosnia), Tor de’ Cenci (Macedonia), Nettuno (Kosovo),
Abbiamo
letto la nuova legge Bossi-Fini e individuato i punti che non ci permetteranno
di regolarizzarci:
·
Senza
il contratto di lavoro non si può avere il contratto di soggiorno
·
Chi
ha un decreto di espulsione con accompagno alla frontiera non può
accedere alla sanatoria
·
Il
lavoratore autonomo non ha più il diritto di far valere il suo lavoro ai
fini della regolarizzazione
Si
è deciso di scrivere una lettera al Presidente della Repubblica, al
Ministro degli Interni, alle Prefetture e alle Questure dove spiegheremo la
nostra situazione e dove chiederemo di valutare meglio i nostri diritti.
Chiediamo:
1.
Rispetto
della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e Rispetto delle leggi Europee
sulle Minoranze Etniche e Linguistiche
2.
Permesso
di Soggiorno senza condizioni e libera circolazione sul territorio Nazionale ed
Europeo
3.
Abitazioni
dignitose
4.
Informazione
5.
Formazione
Professionale
Allegheremo
alcuni documenti dove sono sviluppate nel dettaglio le nostre richieste
ALLEGATO 1:
|
La Legge Turco-Napolitano offriva tutte le premesse per introdurre negli ordinamenti italiani elementi negativi per tutti gli immigrati, di conseguenza ancora di più per gli stranieri Rom. A questo proposito è bene segnalare l’assioma che domina ogni legislazione passata e presente a proposito dei Rom: la stessa commissione per gli Affari Costituzionali del Senato, di fronte alle segnalazioni dell’Opera Nomadi a proposito della situazione italiana dei Rom stranieri, dichiarò che “GLI ZINGARI NON ESISTEVANO NELLA LEGGE TURCO-NAPOLITANO, NON ESISTONO NELLA LEGGE BOSSI-FINI E NON ESISTERANNO IN NESSUN ALTRA LEGGE.”
Si potrebbe lasciare alla libera interpretazione di tutti questo ambiguo assioma:
· I Rom non sono stranieri
· Per loro occorre una legge speciale
· I Rom non possono essere considerati fruitori di diritti
· Qualunque altra interpretazione è ammessa solo come assioma per absurdum.
Dal punto di vista della cultura giuridica italiana, gli istituti che hanno la pretesa di trarre fondamento da giudizi escludenti il coinvolgimento di un giudice non seguono nessuna logica giuridica, dal momento che l’unico fondamento è di natura (oltre che discriminatoria) escludente, perché già dall’origine si pone come obbiettivo la irrealizzabilità voluta dell’integrazione sul territorio italiano per quanti sono considerati STRANIERI, non solo perché provenienti da altri paesi, ma nel senso antropologico di ESTRANEI.
Esaminiamo gli elementi emergenti in negativo:
1. art. 4 comma 2: in violazione dei principi costituzionali, si consente alle ambasciate italiane di negare il visto per turismo o per altre tipologie immotivatamente (la negazione NON DEVE ESSERE MOTIVATA)
2. art. 4: si nega il permesso d’ingresso per chi ha reati penali pregressi e espiati
3. art. 4: i rilievi dattiloscopici (a prescindere dalla loro inutilità nel caso che l’identità sia stata già accertata precedentemente e asserita sui passaporti) anche per chi chiede il rinnovo del permesso di soggiorno, sono una sorta di vessazione umiliante, rivolta a far sentire l’inferiorità dello straniero
4. art. 6: il contratto di soggiorno per lavoro si svolge in modo trilaterale (prefettura-datore di lavoro-persona) pone il datore di lavoro in obbligo di fornire un’adeguata sistemazione alloggiativa, e il lavoratore in obbligo di sborsare anticipatamente le spese del ritorno in patria: questi requisiti non hanno nulla a che fare con il rapporto civilistico e fanno assurgere il datore di lavoro a “garante” verso lo stato, sia per l’alloggio che per il rientro. Nessun commento a proposito delle difficoltà che condizioneranno da subito l’assunzione di un lavoratore straniero e tanto più zingaro
5. art. 11: gli atti diretti a procupare ingresso a stranieri – anche senza fini di lucro – saranno puniti con severità tale che nessuno si accollerà la chiamata dall’estero
6. art. 12: le navi della marina militare che dovrebbero essere stanziate a sbarramento delle ondate migratorie (a parte il ridicolo della presunzione) non potranno mai essere disposte in acque internazionali
7. art. 12: l’espulsione disposta come accompagnamento immediato, senza intervento dell’autorità giudiziaria prima della partenza ma con ricorso dal paese di origine, che non consente l’autorizzazione ad inoltrarlo, è una violazione palese di tutte le dichiarazioni dei diritti dell’uomo, della convenzione di Ginevra, ecc.; il primo requisito è quello del “giusto processo” (con il contraddittorio, difesa, ecc.); l’espulsione deve essere convalidata dal giudice entro 48 ore, che normalmente non ottiene la sospensione dell’espulsione. Nel caso di rientro le pene sono inasprite. Tutta questa logica non impedirà la crescita dell’immigrazione e creerà una fascia di immigrati illegali come manovalanza a basso prezzo per le imprese italiane legali o illegali. L’immigrazione è un fenomeno esistenziale, di geopolitica, non arginabile con questi accorgimenti: si formeranno quindi più allargate categorie escluse e a se stanti, coinvolte in conflitti sociali che a loro volta favoriranno il razzismo
8. art. 17 comma 11: nel caso di perdita di lavoro il periodo da destinare alla ricerca di uno nuovo, che prima era di sei mesi, ora sarà conteggiato nel residuo di validità del permesso di soggiorno vecchio, quindi si ridurrà a 4, 2, 1 a seconda della rimanenza dopo il licenziamento
9. art. 19: ancora si parla di titoli di PRELAZIONE e non di PREFERENZA, mettendo a fuoco la considerazione che si ha per gli uomini-oggetto. Un elemento di preferenza sarà considerato per gli oriundi italiani…
10. art. 23: è quello che più colpirà gli zingari. Sarò concesso il ricongiungimento a:
· Genitori senza figli che li mantengano o ultrasessantacinquenni.
· Figli malati gravemente
· Coniugi dimostratamente conviventi o con prole riconosciuta
· Minori da inserire in progetti di integrazione sociale o privati (fornita da enti riconosciuti).
· Bambini con più di tre anni, che dimostrino due anni di frequenza nei suddetti progetti o più anni in progetti di lavoro. Tutti devono essere forniti di alloggio sino alla maggiore età; tutti da detrarre dalle quote di ingresso
11.
si deve
evidenziare che le apparenti concessioni a colf e badanti, sono condizionate dalla
presenza di espulsioni amministrative pregresse e quindi i permessi di
soggiorno non saranno concessi, nel caso che i richiedenti abbiano avuto nel
passato un ingresso clandestino o una mancanza di rinnovo. Ancora più
grave la responsabilità del datore di lavoro laddove si presenti il caso
di una assunzione di colf o badante, nell’ignoranza del passato di
costoro.
Va in ogni caso segnalato l’aggravarsi delle pastoie e dei rischi per chi assume un lavoratore straniero e per il lavoratore stesso, aggravarsi ancora più irreversibile per un immigrato Rom.
ALLEGATO 3:
Associazione di Promozione Sociale
“SUTKA”
Via Pontina, 601 – 00128 Roma
Tel. 3396106875 / 3391562275
E.mail: sutka.rom@inwind.it
Dagli incontri con gli Assessori competenti sono emersi alcuni problemi
che riguardano il lavoro, l’abitazione, la formazione e la
regolarizzazione dei cittadini Rom.
Per cercare di risolvere queste problematiche, l’associazione
SUTKA propone:
1.
Regolarizzazione:
il problema dei documenti e dei permessi di soggiorno, è la principale
questione da risolvere per poter affrontare definitivamente l’inserimento
reale del popolo Rom, non proveniente dalla Unione Europea, nel tessuto sociale
del paese ospitante; infatti è già accaduto in passato che alcuni
di noi non hanno potuto accedere al mondo del lavoro, oltre al pregiudizio, a
causa dell’impossibilità di rinnovare il prezioso permesso di soggiorno. Come abbiamo
evidenziato più volte, già dalla legge 40/98, siamo i primi
esclusi da qualsiasi tipo di regolarizzazione e quindi da tutti i diritti, solo
alcuni di noi hanno potuto accedere al permesso di soggiorno per motivi
umanitari, con validità di
un anno, ma attualmente questo tipo di permesso di soggiorno non viene
più rinnovato e neanche viene più rilasciato. L’eventuale
approvazione del DDL Bossi-Fini, una legge razzista che rappresenta un
ulteriore attacco ai diritti di tutti i migranti, peggiorerebbe le già
dure condizioni di vita del nostro popolo, con la conseguente crescita delle
difficoltà per i Rom che stanno cercando, con molta fatica, di
autorganizzarsi in associazioni e cooperative per rendersi autonomi.
Perciò pensiamo sia necessario un intervento forte nei confronti del
governo, delle prefetture e dei commissariati per risolvere la problematica
della nostra regolarizzazione, e quindi chiediamo che vengano rilasciati i
permessi di soggiorno per motivi umanitari, rimanendo strettamente legati alle
leggi Europee sui diritti e sulla tutela delle minoranze etniche e linguistiche,
nell’attesa di una normativa che sia coerente con quelle europee su tali
minoranze. Riteniamo inoltre che sia urgente una revisione delle norme attuali
sull’accesso alla cittadinanza italiana, che escludono tanti Rom e
immigrati nati e vissuti in Italia.
2.
Servizi:
l’obiettivo principale è coinvolgere i Rom e le loro strutture
organizzate nella gestione e manutenzione dei campi e dei villaggi, nella
gestione dei progetti di scolarizzazione dei minori Rom e nella mediazione
interculturale, linguistica e sanitaria (A.S.L., Enti locali, ex uffici di
collocamento, camere di commercio, tribunali, carceri, ecc.), con
l’ausilio dei Rom già formati in questi anni (mediatori,
accompagnatori, operatori sociali, elettricisti, idraulici, ecc.), al fine di
aumentare l’inserimento lavorativo, ed aumentare l’interesse e il
coinvolgimento dei Rom, nei confronti del mantenimento e della cura dei beni in
possesso, e nei confronti dell’importanza all’istruzione e alla
conoscenza, sia per i propri figli sia per se stessi. Come
“servizi” pensiamo di essere in grado, mettendo a disposizione i
nostri mediatori ed operatori, anche di sviluppare progetti di intervento
sperimentale sui/lle minori Rom che si avvicinano ad atti di
microcriminalità, avviando così progetti di misure alternative
alla pena detentiva, coinvolgendo Servizi Sociali del Ministero di Grazia e
Giustizia, tribunale e carcere minorile; diciamo “sperimentali” non
perché prima non siano stati avviati tali progetti, ma perché per
la prima volta verrebbero attivati direttamente da strutture Rom e , forse
proprio per questo, si potrebbero raggiungere migliori risultati rispetto il
passato. Crediamo inoltre che in tutti i progetti sopra descritti, per prime
siano da coinvolgere le donne Rom, perché pensiamo sia fondamentale per
risolvere le grandi problematiche che le riguardano: accattonaggio come fonte
di sostentamento e, di conseguenza, esclusione dal tessuto sociale. Altri
servizi che potrebbero svolgere le Cooperative Rom sono interventi di
manutenzione di giardini e parchi pubblici, recupero e riciclaggio dei rifiuti
e dell’allumini, ecc., da realizzare inizialmente con un intervento di
avvio da parte dell’amministrazione al fine di un inserimento lavorativo
concreto. Uno degli interventi che ci si aspetta da parte dell’amministrazione
è quello, ad esempio, di modifica e facilitazione di accesso ai bandi
pubblici, infatti, è già successo che a causa dei requisiti
richiesti troppo articolati, per imprese giovani ed inesperte come le nostre,
non abbiamo potuto accedere neanche a semplici bandi di assegnazione locali
dove collocare le nostre sedi. È chiaro, comunque, che se si vuole
eliminare accattonaggio ed episodi di microcriminalità, bisogna
risolvere il problema del reddito, e quindi pensiamo che se non si avviano al
più presto forme di lavoro concreto, si deve inserire tra le proposte
l’ipotesi di un reddito sociale per ogni famiglia Rom, come avviene
già in altre città italiane, usufruendo i fondi sociali europei,
che spesso non vengono utilizzati, e non i soldi dei contribuenti italiani.
3.
Formazione:
qualsiasi persona che lascia il proprio paese di origine deve imparare la
lingua del paese che lo ospita, più volte abbiamo sottolineato questa
necessità e la sua importanza in ogni situazione di vita; i genitori
potrebbero occuparsi direttamente e senza intermediari delle relazioni con le
scuole frequentate dai propri figli; con la conoscenza della lingua italiana
gli adulti Rom potrebbero frequentare corsi di formazione o di avviamento
professionale, proposti dalla Regione o da altri Enti, con facilità,
oppure conseguire gli esami di terza media (requisito fondamentale per
frequentare tali corsi), oltre al fatto che si tutelerebbero meglio rispetto le
leggi che li riguardano. Perciò proponiamo l’avviamento immediato
di corsi di lingua italiana da effettuarsi, per il momento, all’interno
dei villaggi e dei campi per agevolare la frequenza a tutti e in particolar
modo alle donne che sono le più penalizzate rispetto orari e spostamenti
per i motivi che tutti conosciamo bene. Crediamo sia poi opportuno incentivare
i Rom a formazioni con percorsi brevi e specifici atti a facilitare
l’inserimento lavorativo; inoltre sicuramente fondamentale è la
formazione di nuovi mediatori interculturali i quali, anche se non volessero
svolgere tale lavoro, potrebbero in ogni caso utilizzare le conoscenze
acquisite nella vita quotidiana e trasmetterle ad altri. Per quanto riguarda i
giovani, pensiamo che i ragazzi con licenza media inferiore recente, non
abbiano ancora gli strumenti necessari per frequentare le scuole superiori,
forse saranno pronti/e solo alcuni/e ragazzi/e che usciranno dalle scuole medie
tra due o tre anni, in quanto il loro percorso formativo sarà veramente
completo ed adeguato alle scuole che andranno a frequentare; per il momento,
per evitare inutili perdite di tempo, conflitti e derisioni, crediamo sia
più giusto stimolarli a frequentare i Centri di Formazione Permanente e
Professionale già esistenti. Per stimolare i Rom ad una formazione
professionale che possa poi permettergli un inserimento lavorativo reale e
dignitoso, pensiamo siano necessari dei rimborsi, delle forme di sostegno
formativo o borse di studio adeguate al mantenimento loro e delle famiglie,
questo ovviamente strettamente legato alla frequenza e al buon fine di tali
corsi.
4.
Abitazioni:
siamo decisamente contrari alla costruzione di nuovi campi, vogliamo ricordare
che tantissimi di noi prima di venire in Italia, non sapeva neanche cosa
volesse dire “campo” o vivere in una roulotte; anche lontani dal
nostro paese di origine non siamo mai stati costretti a vivere così
nell’insicurezza, buttati in mezzo al fango senza acqua e luce oppure
dentro a dei “lager” chiamati “villaggi” chissà
perché; tanti di noi quando sono arrivati in Italia (e vogliamo
ricordare anche questo: a causa di conflitti scoppiati nei nostri paesi o a
causa delle conseguenze che tali conflitti hanno comportato), hanno impiegato
mesi e mesi per abituarsi a questa vita, ma si sa la necessità, la
povertà, la sopravvivenza, la paure delle guerre e della morte, porta
l’essere umano ad adeguarsi a tutto; ecco perché pensiamo che sia
ormai giunto il momento di inserire, per prime le famiglie che lo vogliono, con
o senza permesso di soggiorno (vedi sistema sociale tedesco), in appartamenti
come gli altri immigrati; questo porterebbe ad un sicuro risparmio economico,
inoltre si libererebbero dei posti nei campi e nei villaggi già
esistenti che potrebbero essere messi a disposizione di quelle famiglie che invece preferiscono vivere nei campi;
oppure una parte dei fondi che saranno stanziati, 25.000.000.000 di lire in tre
anni per la costruzione di 6 nuovi campi sosta e di 7 nuovi villaggi attrezzati
(!?!), potrebbe essere messa a disposizione, delle famiglie Rom che ne faranno
richiesta, per l’acquisto di terreni dove organizzare spazi abitativi e
lavorativi propri e adeguati alle loro necessità (artigiani, fabbri,
falegnami, ramai, ecc.); ma cosa più importante, l’inserimento
nelle abitazioni porterebbe automaticamente ad un sicuro e reale inserimento nel
tessuto sociale del popolo Rom, perché faciliterebbe un rapporto diretto
ed umano con gli altri cittadini di Roma, ed è proprio con la conoscenza
diretta fra le persone che si creano le basi dei rapporti di fiducia e di
riconoscimento reciproco, abbattendo così i pregiudizi e permettendo un
vero inserimento ed interscambio culturale e lavorativo diretto.
Sappiamo che se ci fosse un po’ di volontà da tutte le
parti, queste ipotesi si potrebbero realizzare facilmente rendendo così
il popolo Rom autonomo ed in condizione di vivere con le proprie forze e con
dignità, ed inoltre senza tante alzate di testa da parte di gruppi
politici xenofobi; potremmo citare o riportare tanti esempi già avviati,
anche in Italia (sia al nord, sia al sud), di interventi “coraggiosi”
nei nostri confronti, utilizzando oltretutto finanziamenti europei appositi
e non i soldi dei contributi dei cittadini italiani.
Vogliamo sottolineare che senza un intervento serio sulla REGOLARIZZAZIONE della nostra permanenza in Italia, tutte queste risulterebbero soltanto parole scritte ma senza alcun valore, e i bellissimi incontri cadrebbero come al solito in un “nulla di fatto”.
Chiediamo scusa per il ritardo, ma come sapete, se a un italiano
produrre quanto sopra basta poco tempo, a noi Rom serve sicuramente il triplo
del tempo e non perché siamo incapaci, ma la lingua, le diverse
modalità di vita, la mancanza di aiuto, ecc……
Comunque sicuri della sensibilità, della voglia reale e sincera
di tutti i partecipanti ai gruppi di lavoro a risolvere la nostra grave
situazione,
porgiamo Cordiali saluti, augurando a tutti un ottimo lavoro.
Roma, 16 aprile 2002
La Presidente
Minire
Abaz
ALLEGATO 4:
1. INTERCULTURA
E MEDIAZIONE CULTURALE
L’intercultura rappresenta la strategia per promuovere la disponibilità al confronto di idee tra soggetti portatori di culture diverse, che operano per la creazione di identità culturali nuove, contrastando la nascita di forme di conflitto, esotismo o di semplice curiosità e folclore.
Ogni cultura dà per scontate alcune “verità”, come il proprio modo di comunicare e i valori di cui è portatrice, quasi che fossero "l'unico modo”, compreso e accettato da tutti, anche da coloro che non lo condividono, spesso accompagnato dal tentativo, manifesto o meno, di cercare di assimilare anche chi non vi fa parte.
Se io non conosco qualcuno, l'immagine che ne ho è, in genere, quella “stereotipata”; e se io non me ne rendo conto, questa si trasforma in pregiudizio, in discriminazione, in mancanza di rispetto e di dialogo.
Proprio per questa ragione nasce l'esigenza di una “mediazione”, di un confronto aperto e costruttivo tra sistemi culturali anche profondamente diversi, ma che cercano di convivere pacificamente e positivamente.
2.1 L’esperienza della
mediazione culturale in oltre un decennio di attività
L’esperienza di formazione e di inserimento dei “Mediatori Rom e Sinti” non è un fatto recente ma un processo ormai decennale che, a partire dall’ambito scolastico, si è progressivamente esteso nei servizi socio sanitari ed in genere nelle Istituzioni e negli Enti Locali, nel variegato contesto regionale e nazionale.
E’ bene ricordare come tale esperienza si ricolleghi a temi di respiro internazionale, più volte affrontati dall’Unione Europea e che ha trovato in Italia, uno tra i Paesi in cui l’Associazionismo e parte dell’apparato statale ha sostenuto attivamente l’avvio e l’affermarsi della figura del “Mediatore Rom e Sinto”.
Nata inizialmente dall’esigenza di affrontare con strumenti nuovi la scolarizzazione dei bambini Rom, Sinti e Camminanti, problema che resta ampiamente irrisolto per complessi condizionamenti di ordine politico, sociale ed educativo, la “mediazione” è stata riconosciuta e applicata con effetti positivi nell’ambito delle moderne attività e strategie di politica sociale e culturale delle Istituzioni.
Il “Mediatore” promuove nella propria azione professionale l’interazione tra sistemi spesso lontani, avvicinandoli, creando quella reciprocità e quello scambio tra culture diverse e tra diverse regole di vita familiare e sociale che li sorreggono.
Non si può comprendere tuttavia la portata innovatrice del cambiamento di prospettiva culturale introdotto dal “Mediatore” se non si intuisce quale sia la complessità entro la quale si muove, il contesto a cui si rivolge, la storia e la tradizione di un popolo, quello dei Rom e Sinti, vicino ma al tempo stesso staccato dal resto della società.
Con il Mediatore culturale si è delineata nel
tempo una nuova figura che ha contribuito attivamente alla promozione della
partecipazione di un popolo tradizionalmente escluso dai processi decisionali
ed organizzativi e al riconoscimento della dignità di una cultura
sconosciuta ai più, divenendo riferimento autorevole per le istituzioni,
in primis quella scolastica, e motore di sviluppo e integrazione delle stesse
comunità rom/sinte nella società.
La formazione dei “Mediatori” è
avvenuta con la partecipazione attiva alla costruzione del percorso didattico e
del tirocinio professionale di Università, Regioni e Comuni che,
congiuntamente all’Opera Nomadi e ai Provveditorati agli Studi di diverse
città hanno rilasciato, al termine dei cicli formativi o di
aggiornamento, i primi attestati e diplomi regionali che hanno permesso
l’ingresso dei “Mediatori Rom / Sinti” nelle strutture
pubbliche.
In effetti, tutto ciò ha anticipato e preparato
un percorso scientifico patrocinato dalle Università che, solo
recentemente, hanno varato corsi di laurea breve sulla
“mediazione”.
Questo fatto non deve comunque trarci in inganno o
affrettare conclusioni suspiciose.
Il profilo dei “mediatori” che
intervengono nelle comunità rom/sinte non può essere slegato da
alcuni fattori determinanti che caratterizzano lo stesso profilo del
“mediatore”:
· L’appartenenza etno geografica
· il radicamento sul territorio
· Il riconoscimento delle proprie
professionalità acquisite da parte delle istituzioni
· La comunicazione linguistica (bi/trilinguismo)
“Il Mediatore” interviene oggi principalmente in 4 ambiti professionali e culturali:
1. scuola
2. politiche sociali e abitative
3. sanità
4. giustizia
Riteniamo
utile e necessario affermare l’opportunità di pervenire a una
maggiore definizione dei compiti e del ruolo istituzionale del
“Mediatore” chiarendo che, nella situazione attuale, vanno sia
riconosciute le professionalità ormai acquisite sia incentivato il
percorso di formazione degli stessi Rom/Sinti che devono poter continuare a
svolgere tale funzione attivamente, senza ulteriori meccanismi di delega e
tutoraggio.
Occorre
svincolare l’attuale dibattito sulla “mediazione culturale”
dalla questione “immigrazione” più generale, in quanto
diversa è la prospettiva culturale e maggioritaria è la presenza
di rom/sinti italiani.
Chiediamo quindi, infine, di poter avviare un tavolo interistituzionale per la definizione del profilo e dei compiti del “Mediatore”, unitamente alla richiesta di azioni comuni a livello nazionale con le istituzioni.
2.
RICONOSCIMENTO
DELLA LINGUA ROMANÌ
L'ONU attraverso il CERD (Comitato per l'Eliminazione delle Discriminazioni Razziali) ha denunciato in un approfondito studio le condizioni disagiate in cui versano i Rom nel nostro paese ( 54° sessione, tenutasi tra l’1 e il 19 Marzo 1999). Condizioni disagiate che si riscontrano in tutti gli aspetti della vita civile.
Secondo l’Opera Nomadi un reale processo di integrazione non può prescindere dal riconoscimento dell'identità culturale, e riconoscere l'identità culturale non vuol certo dire escludere la lingua romanì (lingua dei Rom e Sinti) dalla legge sulle minoranze linguistiche come è avvenuto in Italia.
Nella prima stesura, il Progetto di Legge sulle Minoranze Linguistiche (che vedeva tra i promotori gli On.li Loris Fortuna, Francesco Rutelli, Giacomo Mancini e tanti altri Rappresentanti del Popolo sensibili ai Diritti delle Minoranze), comprendeva anche la lingua romanì, ma in sede di discussione alla Camera è stata cassata con motivazioni risibili.
In primo luogo la <non-riconducibilità> del popolo Rom ad un determinato territorio, trascurando così il fatto che costituisce una delle più diffuse minoranze linguistiche d'Italia.
In secondo luogo la diffusione dello stesso popolo sull'intero territorio europeo, come se ciò non valesse per le minoranze di lingua tedesca o francese.
La legge è così passata in Senato determinando una indubbia forma di discriminazione che in questa sede non possiamo esimerci dal denunciare ed anzi chiedere alla Commissione un diretto ed autorevole intervento sul Governo Italiano perché rispetti gli impegni formali presi in sede di Consiglio d’Europa e di Parlamento Europeo.
3.
LEGGE
SULLO SPETTACOLO VIAGGIANTE
Almeno fino agli anni '60 si potevamo annoverare circa 30.000 SINTI (fra quelli dei gruppi "regionali" italiani e quelli “gackane" ovvero "tedeschi") nel centro-nord, dediti allo spettacolo viaggiante sin dal loro arrivo in Italia cinque secoli fa.
Per i SINTI i problemi cominciarono negli anni '50 , allorché i “galuppi” (ovverosia quei lavoranti non-zingari assunti a giornata per montare le giostre nei diversi paesi incontrati) cominciarono a mettersi in proprio, introducendo quel meccanismo della concorrenza “sleale” nella scelta delle piazze, prima del tutto sconosciuto fra i SINTI, unici detentori da secoli dello Spettacolo Viaggiante e uniti dal complesso meccanismo delle alleanze parentali tipico dei Rom/Sinti e di tutte le organizzazioni sociali “elementari”.
A sostegno dei SINTI arrivava nel marzo del 1968 la Legge 337 “Corona” che doveva razionalizzare proprio l'assegnazione e l'attrezzaggio dei “plateatici” in ogni Comune italiano, ma, tranne qualche decina di centri nel nord, essa è rimasta inapplicata.
La diffusione di massa della televisione, del cinema, più recentemente delle discoteche e dei videogiochi, toglieva poi allo spettacolo viaggiante il monopolio del divertimento pubblico incontrastato, giova ripeterlo, per secoli, creando una frattura sociale fra i SINTI, tanto improvvisa quanto mancante di alternative.
Attualmente nemmeno il 50% dei SINTI vive più dei suoi “mestieri” tradizionali, per via delle tassazioni imposte dai vari Governi succedutisi dagli anni ’90 in poi, e soprattutto per l'impossibilità di reperire le piazze nella stragrande maggioranza delle città italiane, gravemente inadempienti alla Legge 337.
Di fronte all'indifferenza istituzionale si va distruggendo un popolo e uno dei mestieri più storici e significativi del nostro Paese.
4.
RICONOSCIMENTO
DEL “MATRIMONIO ZINGARO”
Molti Rom degli Stati Balcanici nati (o che vivono) in Italia da quasi trenta anni non hanno mai potuto fruire della possibilità di regolarizzarsi per la mancanza dei documenti di identità, negati sia dallo Stato Italiano che dal paese d'origine.
La situazione è ulteriormente aggravata dalla circostanza, più volte verificatasi, per la quale mariti e mogli, padri e figli, fratelli e sorelle risultano divisi con la forza, giacché gli uni ottengono il permesso di soggiorno e gli altri no, stante anche il non riconoscimento dalla Legge Italiana del matrimonio tribale Rom.
È chiaro che è difficile arrivare a tale riconoscimento: però i sistemi per ottenere una ufficializzazione della convivenza zingara si possono trovare ad esempio istituendo uffici notarili per la convalida del matrimonio.
Anche il riconoscimento dei figli nati da matrimoni tradizionali è molto complesso: è impossibile che una madre che ha partorito, anche se in regola, debba entro dieci giorni recarsi all'Ambasciata di Roma e farsi rilasciare il nulla osta.
5. DIRITTO AL NOMADISMO: CAMPI DI TRANSITO PER GLI ULTIMI SEMINOMADI
Il fenomeno del nomadismo (o meglio, seminomadismo), in Italia è ancora praticato da una minoranza di circa 20.000 Rom Kalderasha, Sinti Giostrai e Camminanti Siciliani, tutti cittadini italiani.
Il seminomadismo riguarda spostamenti stagionali all'interno di aree limitate ai territori delle singole regioni o al massimo interregionali.
Le famiglie, stanziali durante i mesi invernali, da fine aprile a settembre si spostano alla ricerca di lavoro.
Occorre pertanto mettere in atto strategie di intervento finalizzate alla tutela del seminomadismo come parte integrante di una identità culturale ancora forte innanzitutto costruendo aree di transito (pressoché inesistenti nel nostro Paese).
Si può ipotizzare la localizzazione delle aree di sosta, limitatamente a questi gruppi seminomadi, in ogni grande città', creando piccoli campi attrezzati per non più' di 10/12 gruppi familiari suddivisi in zone recintate dotate di servizi.
La strutturazione dei campi va progettata tenendo presenti le abitudini dei destinatari.
Ad esempio i Rom Kalderasha usano disporsi in circolo, poiché, per motivi di educazione, nessuno metterebbe mai la propria roulotte davanti a quella di un altro. Questo tipo di disposizione permette anche di usufruire di un ampio spazio condiviso per le attività in comune e per i giochi dei bambini.
Nella progettazione degli spazi e' necessario anche prevedere la possibilità che ogni famiglia debba ospitare per brevi periodi roulotte di parenti o amici in visita.
E' indispensabile anche avere ben presente che il fondamento della struttura sociale Rom/Sinta e' la famiglia allargata e che i figli maschi, quando si sposano, tendono a rimanere vicini ai propri genitori.
Data la natura delle attività degli abitanti dei campi di transito e' anche necessario prevedere un'area idonea ad ospitare le attrezzature di lavoro (nonché capannoni per la riparazione e manutenzione delle stese) non utilizzate durante i mesi invernali, come sono per i Sinti le giostre.
La costruzione dei campi di transito, da pianificare nei centri abitati di almeno 20.000 abitanti, verrebbe incontro alle necessità di spostamento stagionale ed è collegata anche alle previste, ma ben poco attuate, disposizioni in materia di attività circensi. Come già sottolineato, una legge nazionale (la 337 del 1968) prevede infatti che tutti i Comuni, ogni sei mesi, pubblichino OBBLIGATORIAMENTE l’elenco delle aree del proprio territorio da utilizzare per la sistemazione di giostre e circhi.
Queste aree devono essere dotate di servizi per il pubblico e di allaccio dell'energia elettrica a voltaggio industriale. Il fatto che le leggi esistenti vengano disattese è un problema grave e un ostacolo ad ogni progetto per il futuro.
Invitiamo Regioni e Province autonome ed il
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Dipartimento per le politiche
sociali e previdenziali - Direzione Generale per l’Immigrazione di
adoperarsi presso i Comuni attraverso le Prefetture perché vengano
rimossi gli illegali <Divieti di sosta ai Nomadi> ed anzi stanziare i fondi opportuni per la
costruzione dei suddetti campi di transito al fine di garantire il diritto
costituzionale alla libera circolazione ed al lavoro, visto che i mestieri dei Rom
Kalderasha, Sinti Giostrai e
Camminanti Siciliani
sono necessariamente ambulanti.
6.
STATUS DI CITTADINANZA EUROPEA PER ROM, SINTI E CAMMINANTI
In Italia tutti sono d'accordo nel riconoscere che i Rom, Sinti e Camminanti sono una minoranza; purtroppo questo non basta perchè bisogna anche definire cosa si intenda per minoranza. A tutt'oggi ancora nel Diritto Internazionale questa definizione non è chiara.
I Rom sono una minoranza e devono essere riconosciuti come tale e ha poca importanza se è definita una minoranza non territoriale oppure transnazionale, oppure europea.
Il riconoscimento , forte, anche in Italia di questo stato di cose è importante.
Si richiede pertanto un ripensamento sulle varie leggi sull'immigrazione questa volta considerando i Rom/Sinti una minoranza etnica europea.
Non c'è neanche il bisogno di inventare una minoranza italiana: siamo già <in Europa>.
Per quanto riguarda i <Rom stranieri> noi segnaliamo alcuni dei punti più gravi, ma questi riguardano anche gli Zingari italiani come il caso prima denunciato del matrimonio in rito Rom/Sinto che non è riconosciuto dalla Legge italiana.
Dal problema del riconoscimento scaturiscono molti altri problemi e situazioni di disagio.
Intanto non è possibile regolarizzare la famiglia: se la moglie è in regola ma il marito no, è chiaro che non avrà il riconoscimento della moglie perchè non risulta il suo matrimonio.
Il riconoscimento dei figli: ci sono stati moltissimi casi in cui sono nati bambini i cui genitori non erano in regola con il permesso di soggiorno, minori che fino a poco tempo fa venivano tolti ai genitori, dati in affidamento e avviate le pratiche per l'adozione.
C'è un altra questione molto importante: il diritto alla reciprocità non consente l'avvio dell'attività autonoma dei Rom stranieri. E' chiaro che se in Jugoslavia non è consentito agli italiani di praticare il commercio ambulante, il Rom non potrà farlo in Italia.
Si chiede inoltre norme appropriate per l'accesso al lavoro, possibilmente superando le barriere fiscali insormontabili per gli stranieri semianalfabeti e ancora non assuefatti alle nostre lungaggini amministrative. Si richiama alle procedure per la concessione di licenze speciali per gli ex-carcerati o per la popolazione a rischio.
Esistono già provvedimenti che favoriscono in certi tipi di lavoro, ad esempio le vendite ambulanti, tali facilitazioni dovrebbero interessare la rivalutazione e il riutilizzo delle attività tradizionali adattandole alle nuove esigenze del mondo moderno.
7.
DIRITTO
ALLA CASA
A
parte i gruppi seminomadi sopradescritti, nel Centro-Sud la grande maggioranza
dei Rom italiani
vive in casa ed ha abbandonato il seminomadismo per via della scomparsa
dall’economia italiana dell’allevamento dei cavalli e
dell’artigianato dei metalli, che per 600 anni avevano costituito la
sopravvivenza materiale e la conseguente cultura di vita.
Grave è ancora invece la sorte dei Rom originari della Romania e della Jugoslavia, i quali a migliaia sono fuggiti dai <Campi> per affittare vecchie case ma ancora troppi vivono in queste strutture con servizi promiscui.
L'esigenza di avere servizi privati per ogni nucleo familiare e' molto sentita, infatti l'uso di strutture in comune causa problemi derivanti sia da un senso del pudore tradizionalmente radicato, sia da un senso della cura e dell'igiene che sicuramente non si ha verso servizi che non sono di proprietà o di uso esclusivo.
Alcuni Comuni hanno assegnato <Case popolari> a qualche famiglia di Rom Jugoslavi, ma si tratta ancora di casi isolati.
Molto più numerosi i Comuni che hanno adottato la linea dei <Villaggi di prefabbricati> che almeno hanno eliminato la promiscuità, ma i Rom dei Balcani vogliono casa perché abituati da 50 anni nei loro Paesi a vivere in appartamenti del governo o in piccole abitazioni autocostruite.
Raccomandiamo un grande censimento delle esigenze abitative dei Rom/Sinti in Italia e inserire nella <Finanziaria> un finanziamento specifico.
7.1. Terreni agricoli
Nelle regioni dell’Italia del Nord sono presenti alcune
migliaia di famiglie di Rom e Sinti Italiani (Sinti Piemontesi, Lombardi,
Veneti, Teich, Gackane, Emiliani e Marchigiani; Rom Harvati, Lovara e
Abruzzesi), che superando le logiche assistenziali dei “campi
nomadi”, hanno acquistato dei piccoli appezzamenti terreni agricoli, dove
vivono con le proprie abitazioni: le roulotte.
Questa
tendenza inizia negli anni ’80, ed esplode in un decennio. Migliaia di
famiglie, con enormi sacrifici economici, acquistano terreni agricoli di circa
3000 mq.
In
particolare questa tipologia abitativa è propria dei Sinti Italiani, il
più numeroso tra tutti i gruppi presenti in Italia; è stimata una
presenza di circa 30/40.000 persone.
Il
vivere in roulotte è dettato da due principali motivazioni:
l’attività
lavorativa, che per i Sinti Italiani è sempre stata quella dello
spettacolo viaggiante (circhi, giostre, attrazioni varie)
la
coesione familiare, data da una serie di comportamenti che implicano lo
spostamento (es. in caso di bisogno di un componente della famiglia allargata
che abita in altra località).
Inoltre,
da alcuni anni si è costituita la Missione Evangelica Zigana che raduna
migliaia di Sinti Italiani in convegni religiosi, nel periodo compreso tra la
fine e l’inizio dell’anno scolastico. Centinaia di famiglie che si
spostano con le proprie abitazioni da una città all’altra portando
il messaggio evangelico.
Poche
sono le famiglie, appartenenti a questi gruppi, che nelle regioni
dell’Italia del Nord, vivono in appartamento. Anche se è presente
una tendenza alla sedentarizzazione, sempre accompagnata dalla
possibilità di spostamento ed incontro: acquisto di una piccola casa con
annesso piccolo appezzamento di terreno dove poter accogliere le roulotte dei
figli e dei parenti prossimi.
Il piccolo terreno è in definitiva
la risposta che questi gruppi etnici hanno dato alla logica del “campo
nomadi”, sempre più vissuto come “ghetto” o
“riserva indiana”. Nato all’inizio degli anni ’70, il
“campo nomadi” ha fallito essenzialmente il suo obiettivo di
offrire un habitat dignitoso per queste famiglie. Sovraffollati, nascosti ai
margini delle città, in condizioni igienico sanitarie penose e con alti
costi di gestione per le Amministrazioni Comunali hanno creato e creano
più problemi che benefici. Questa situazione è così marcata
che la Regione Emilia Romagna ha nei fatti modificato la propria Legge
Regionale, a tutela di Rom e Sinti, non volendo più finanziare le
realizzazioni di “campi nomadi” e supportando attivamente la
politica dei piccoli terreni privati o di piccole aree attrezzate per famiglie
allargate, formate da una decina di nuclei familiari, dando la
possibilità di costruire.
Perché,
dagli anni ’80, migliaia di famiglie Rom e Sinte acquistano un terreno
agricolo? Per quattro semplici ragioni:
il
campo nomadi è “un ghetto”; la legge permette ad una
roulotte di poter sostare in un terreno agricolo;
è
poco oneroso a livello finanziario, pochissime sono le famiglie che possono
permettersi l’acquisto di una casa o di un terreno edificabile;
è
più facile iniziare un percorso d’integrazione senza dover perdere
le proprie specificità culturali.
Oggi
questa tipologia abitativa rischia di entrare in crisi a causa della nuova
legislazione in materia di edilizia, che entrerà in vigore dal giugno
prossimo. Il Testo Unico n.380, in materia di edilizia, decreta in maniera
inequivocabile che una roulotte abbisogna di concessione edilizia (articolo
3/e/5).
Fino
ad oggi la concessione edilizia era necessaria solo per quei manufatti che,
ancorati in modo permanente al suolo, modificavano l’assetto del
territorio.
In
Italia il legislatore, dal 1942, si era preoccupato in modo esclusivo di quei
manufatti fissati al terreno, cercando di arginare il fenomeno
“selvaggio” dell’abusivismo edilizio.
Anche
la Legge n.47 del 1985 non riconosceva alla roulotte la configurabilità
di abuso edilizio.
E’
nel luglio 2000 che la roulotte è indicata come possibile abuso
edilizio. La Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, con sentenza
n.12128/2000 indica per la prima volta la roulotte ad uso abitativo come abuso
edilizio.
La
roulotte costituisce abuso edilizio nel caso abbia solo la parvenza di
mobilità -in quanto il prefabbricato è invece stabilmente
incardinato al suolo con accorgimenti tecnici per garantirne la
stabilità- in modo tale che è da considerarsi una vera
costruzione che modifica - sia pure lievemente, ma durevolmente- l'assetto del
territorio.
Questa
nuova interpretazione della Legge non è costante e comunque a sua volta
interpretabile, ne è da esempio il Tribunale di Mantova che nel novembre
del 2001 non sanziona una famiglia di Sinti Italiani che sul proprio terreno
vive con delle roulotte e con una casa mobile, non ancorata al terreno.
Con la
nuova Legge non vi saranno più dubbi o ambiguità: la roulotte
è da considerarsi a tutti gli effetti un abuso edilizio e quindi
abbisogna di concessione edilizia.
Questa
situazione mette realmente in crisi migliaia di famiglie che attualmente
vivono, con le roulotte, in terreni agricoli di proprietà. Ma non solo,
in prospettiva il problema investirà le Amministrazioni Comunali che
dovranno affrontare il problema abitativo di queste famiglie.
Quali
risposte potranno dare le Amministrazioni Comunali:
ignorare
la Legge –
dovendo sgombrare la famiglia residente dal proprio terreno agricolo per
l’abuso edilizio dato dalle roulotte, il Sindaco del Comune deve poter
offrire un’alternativa abitativa e questo è estremamente difficile
da attuare;
sanare
l’abuso edilizio –
una strada difficile da percorrere attualmente considerato che questi
insediamenti si trovano lontano dalle zone edificabili, inoltre non è
presente una normativa al riguardo;
scaricare il problema – mettere in atto
comportamenti per costringere la famiglia a entrare nel “campo
nomadi” più vicino.
Il
rischio evidente è il ritorno al “campo nomadi”. Questa
prospettiva metterà in crisi, ancora più dell’esistente,
soprattutto i Comuni capoluogo di provincia che verranno loro malgrado
investiti dal problema. Difficilmente una piccola Amministrazione Comunale può
strutturare un “campo nomadi”, è quindi evidente che si
andranno a sovraffollare ulteriormente quelli esistenti, appunto nei Comuni
capoluogo di provincia.
In un
momento storico dove lentamente si supera il concetto ghettizzante del
“campo nomadi” e dove le famiglie vedono riconosciuta la propria
cultura, soprattutto attraverso i processi di mediazione culturale, questa
nuova Legge ci porterà indietro di trent’anni.
Naturalmente
il legislatore ha pensato, a ragione, di arginare gli attacchi alle zone
paesaggistiche, quali le nostre spiagge; non si è però accorto
di mettere in crisi una piccola
minoranza etnica, che negli ultimi vent’anni ha costruito il proprio
futuro proprio sui terreni agricoli.
Pensare
ad una revisione della Legge può diventare veramente difficile,
considerando anche il travaglio avuto dalla stessa Legge, crediamo possibile
lavorare sui regolamenti attuativi, insieme alle Regioni che hanno la delega su
questa materia.
Gli
obbiettivi che ci poniamo sono essenzialmente due:
·
sanare
le situazioni esistenti,
·
creare
le condizioni perché questa tipologia abitativa possa essere estesa, in
modo tale da uscire dalle logiche assistenziali del “campo nomadi”.
Proponiamo
la costituzione di un Tavolo Interistituzionale, coinvolgendo i Ministeri e le
Regioni interessate, quale strumento per arrivare ad una soluzione uniforme del
problema, su tutto il territorio nazionale.
8.
UN
UFFICIO DI COORDINAMENTO NAZIONALE
Chiediamo la costituzione di un Ufficio Nazionale per coordinare tutte le politiche di sostegno ai 130.000 Rom/Sinti che vivono in Italia, ufficio che dovrebbe servirsi anche di Mediatori Culturali Rom/Sinti.
Lo Stato Italiano
non ha mai avuto nessun ufficio di questo genere e soltanto il Ministero
dell’Istruzione, dal 1970 in poi, ha effettuato una programmazione di
carattere nazionale riguardante i Rom/Sinti.
9.
LEGGI
REGIONALI DI TUTELA DELLE POPOLAZIONI ROM, SINTE E CAMINANTI
In
Italia, attraverso la divulgazione delle Raccomandazioni e Risoluzioni della
comunità europea, nonché dell'emanazione di Circolari
Ministeriali, è maturato un atteggiamento più attento alla
presenza de popolo dei Rom, Sinti e Caminanti sul territorio, tanto da
coinvolgere le Regioni ad intervenire normativamente, in primo luogo sui campi
sosta e conseguentemente su materie di rilevanza sociale, sanitaria e
lavorativa.
La
prima legge regionale sulla "Tutela della cultura Rom", risale
all'anno 1984 con riformulazione parziale nel 1989.
In
Italia le Regioni che hanno legiferato specificatamente per la tutela delle
popolazioni Rom, Sinte e Caminanti insistenti nel proprio territorio sono:
Legge Regione Veneto (13/7/84)
Legge Regione Veneto (22/10/89)
Legge Regione Lazio (24/5/85)
Legge Regione Toscana (12/3/88)
Legge Regione Toscana (18/4/95)
Legge Regione Sardegna (2/2/88)
Legge Regione Lombardia (22/12/89)
Legge Regione Emilia Romagna (23/11/88)
Legge Regione autonoma Friuli Venezia Giulia (9/2/88)
Legge Provincia autonoma di Trento (2/9/85)
Tuttavia ancora poche sono le regioni che hanno recepito tale necessità ed a volte le stesse regioni più sensibili scontano complesse difficoltà di gestione della “Legge” al punto di rischiare di renderle vane.
Occorre perciò ribadire la necessità che tutte le Regioni si dotino di una adeguata legislazione e di strumenti tecnici e finanziari di intervento che permettano di costruire modelli e strategie comuni di intervento istituzionale.
ALLEGATO 5:
- Al Presidente del Parlamento Europeo
On.le Patrick Cox
Parlamento Europeo
PHS 11B11
Rue Wiertz, 60
1047 Bruxelles
- Al Presidente della Commissione Petizioni
Del PARLAMENTO EUROPEO
On.le Nino Gemelli
BRUXELLES
OGGETTO: Petizione per il riconoscimento, la tutela, l’insegnamento
della lingua romanì in Italia
I Rom, i Sinti, i Camminanti, in Italia sono 130.000 e vivono in tutte le regioni del Paese, arrivando a costituire una delle minoranze linguistiche più significativamente consolidate, anche per il quasi totale abbandono della cultura del nomadismo.
Il Parlamento Italiano il 15 Dicembre 1999 ha promulgato la Legge n.°482 <Norme in materia di tutela delle Minoranze Linguistiche Storiche>.
In piena contraddizione con l’articolo 6 della Costituzione Italiana, dalla stessa è stata esclusa, in itinere legis, la lingua romanì, pur essendo in Italia parlata sin dalla fine del XIV° secolo in tutte le regioni centro-meridionali (per via dei gruppi Rom giunti sulle coste adriatiche e joniche assieme ai profughi arberes’h) e dal secolo successivo anche nel resto del Paese (introdotta da quei gruppi Sinti immigrati invece via terra).
Il Romanès è lingua del ceppo indo-europeo con forte base sanscrita, ed è parlato tuttora, oltre che nell’intera Europa, da oltre 20 milioni di Rom che vivono ancora nella lontanissima (geograficamente e storicamente) terra-madre indiana.
Migliaia e migliaia di Rom dell’Abruzzo e del Molise, di parte della Puglia della Calabria della Lucania e della Campania (nonché del Lazio) e altrettante migliaia di Sinti delle regioni centrosettentrionali utilizzano tuttora il Romanès come prima lingua.
Ad essi negli ultimi 60 anni si sono uniti diecine di migliaia di Rom provenienti dai Balcani che hanno ulteriormente rinvigorito e illuminato nel quotidiano l’uso del Romanès, anche per via della scolarizzazione di massa dei minori Rom all'interno di quella degli alunni stranieri avviata con il Decreto Jervolino del 1994.
Si è realizzata, per Legge dello Stato, una estremamente pragmatica discriminazione etnica e razziale, in quanto nelle medesime scuole degli alunni avranno diritto all’insegnamento della propria lingua mentre contestualmente ad altri alunni tale diritto sarà negato.
Il Parlamento Italiano ha disatteso le risoluzioni del Parlamento Europeo (16 ottobre 1981, 11 Febbraio 1983, 30 ottobre 1987, 21 Gennaio 1993, 9 Febbraio 1994) e la raccomandazione specifica sul Romanès del Consiglio d’Europa del 2 Febbraio 1993, tutte in tema di tutela delle <Minoranze Linguistiche e Culturali> .
I
sottoscritti chiedono al Parlamento Europeo tutto di porre fine a cotanta
discriminazione con una specifica risoluzione che porti il Governo ed il
Parlamento Italiani ad uniformarsi a quanto unanimemente stabilito dagli
organismi parlamentari continentali, promulgando una Legge che riconosca e
consenta la tutela e l’insegnamento della lingua romanì sul territorio italiano.
PRIMI FIRMATARI :
On.le GIANNI PITTELLA, Gruppo PSE Strasburgo
PROF:SSA MARIA IMMACOLATA MACIOTI
Docente di Sociologia Università La Sapienza di Roma
GIORGIO BEZZECCHI Mediatore Rom, Segretario nazionale Opera Nomadi, Milano
KASIM CIZMIC, Rom Cergarija, VicePresidente Nazionale dell’Opera Nomadi
MASSIMO CONVERSO, Presidente Nazionale Opera Nomadi
Prof. MARCO BRAZZODURO, Sociologo, Università La Sapienza di Roma
ARIF TAHIRI, Rom Shiftarija, Presidente Opera Nomadi delle MARCHE
GIOVANNI SARACHELLO, Rom Molisano, Presidente Opera Nomadi di Isernia
GZIM BERISHA, Rom Shiftarija, Presidente Opera Nomadi di BARI
BIANCA LA PENNA Presidente Opera Nomadi di Firenze
MINIRE ABAZ, Presidente Ass. di Promozione Sociale “SUTKA”
ALIJA MEMED, Mediatore Interculturale e Linguistico Rom Macedone,
Consigliere Ass. di Promozione Sociale “SUTKA”
PATRIZIA ALLARIA, Vice Presidente Ass. di Promozione Sociale “SUTKA”
ALLEGATO 6:
i
Rom, Sinti e Camminanti
in Italia
sono circa
130.000
I
Rom, Sinti e Camminanti di cittadinanza italiana
(fra cui gli ultimi
seminomadi) sono circa 70.000:
· Rom ABRUZZESI e MOLISANI
(estesi anche al nord della Campania e della Puglia, a tutto il Lazio e con “colonie” in Umbria, Toscana, Emilia, Veneto, Alto Adige, Lombardia).
Fra tutti i rom centromeridionali giunti a seguito dei profughi arberes’h
(leggi albanesi) immediatamente dopo la battaglia
di Kosovo del 1392, è il gruppo più tradizionalista e che
conserva intatto l’uso della lingua romanì.
Loro mestiere tradizionale era quello dell’allevamento e del commercio di equini, mentre non risulta una cultura di lavorazione dei metalli.
Molto diffusa tuttora la pratica della chiromanzia fra le rumrià, che spesso è l’unico sostentamento delle famiglie.
· Rom NAPOLETANI (detti Napulengre)
fortemente mimetizzati nel capoluogo, vivono in comunità nella cintura partenopea e in tutte le altre provincie campane; fortemente inseriti fino a trenta anni fa in tutta l’economia campana, fabbricavano arnesi per la pesca, praticavano spettacolo ambulante con pony e pianole nelle ville e nelle piazze, addestravano pappagallini per la chiromanzia; vivono soprattutto di piccolo commercio ambulante, ma qualcuno ancora esercita i vecchi mestieri spesso spingendosi, a piccoli nuclei, nelle regioni circostanti.
· Rom CILENTANI
stanziati da secoli nel basso Salernitano in diversi centri, fra i quali una grande comunità, circa 800 Rom, si trova ad Eboli, dove alcune rumrià hanno raggiunto alti livelli di scolarizzazione fino alla laurea; erano annoverati anche in pubblicazioni ufficiali, proprio in quanto “zingari”, fra i mestieri ufficiali del Cilento per la loro indispensabile arte di riparatori ambulanti di utensili per la campagna
· Rom LUCANI
anche loro in passato grandi allevatori di cavalli e artigiani dei metalli, vivono in tutta la Basilicata con alcune “colonie” nell’Alto Cosentino, sono le comunità più integrate nell’economia del sud; addirittura a Melfi una rumrì lavora nella segreteria del Sindaco, a Lauria è Rom il sacrestano ed un apprezzato cantautore.
· Rom PUGLIESI
A Palo di Bari è segnalata con certezza una delle testimonianze più antiche della presenza delle Comunità Rom in Italia, dovuta ad una permanenza di un tale Capitano Vivilacqua nelle stanze dell'’Universitas appunto di Palo.
Numerosi in tutta la regione ma soprattutto nel Salento, sono del tutto simili ai loro fratelli lucani, ma con un tenore di vita più basso; è ancora attiva la produzione artigianale da parte delle rumrià di piccoli attrezzi in metallo per l’economia domestica; non rara la gestione di macellerie equine e l’impiego come braccianti nelle raccolte stagionali; assolutamente unica la, progressivamente in scomparsa, attività di produrre sapone tramite gli oli esausti raccolti casa per casa.
· Rom CALABRESI
Molto presenti in tutte le province calabresi, tranne che a Vibo, sono sicuramente i rom più poveri del nostro paese, tanto che non meno di 1500 vivono ancora in baraccopoli; in particolare nel Reggino ed in tutto il Catanzarese il livello di vita è più precario degli stessi khorakhanè bosniaci, a fronte invece di una ottima condizione abitativa nel Cosentino; come attività, hanno abbandonato il commercio di cavalli e l’attività di fabbri e sono quasi tutti impegnati nella rottamazione; sono attive però ben quattro cooperative sociali fra Cosenza, Nicastro e Reggio; a Cosenza nel dicembre del 2001 è stato inaugurato il <Villaggio Rom> che è il più bell’esempio – inserito nei quartieri urbani - di residenzialità in Italia – e forse in Europa - per Comunità Rom.
· CAMMINANTI SICILIANI
Semi stanziali anche a Milano, Roma e Napoli, sono, con i Rom Kalderasha ed i Sinti Giostrai, fra gli ultimi seminomadi ancora con i vecchi mestieri di arrotino e ombrellaio e con quello recente di manutenzione delle cucine a gas; la più grande comunità vive a Noto; secondo il glottologo Giulio Soravia sono eredi degli antichi Rom siciliani, immigrati nell’isola con le Comunità Arberes’h alla fine del XIV° secolo; non parlano il romanès, ma un loro gergo.
Questi
sette gruppi arrivano a circa 30.000 unità
· SINTI GIOSTRAI
L’esame del loro romanès, lascia ragionevolmente dedurre che si tratti dei primi Rom e Sinti giunti via terra in Italia all’inizio del 1400, tutti comunque diffusi nelle regioni del centro - nord e in estate anche nel sud e nelle isole; prendono la denominazione dalle regioni, i cui dialetti stanno lentamente soppiantando la lingua romanì: Sinti Marchigiani, Sinti Emiliani, Sinti Veneti, Sinti Lombardi, Sinti Piemontesi, Sinti Gackane (leggi Tedeschi). La mancata dolosa applicazione da parte dei Comuni della Legge Corona sullo spettacolo viaggiante del 1968, sta facendo scomparire con loro il più antico dei mestieri Rom , trasformandoli in rottamatori o venditori di bonsai artificiali.
A migliaia, perso il mestiere di Giostrai, hanno acquistato MICROAREE agricole, per ricrearvi habitat a dimensione di famiglia estesa.
I Sinti contano circa 30.000 unità.
· Rom HARVATI
Si tratta di Rom immigrati in Italia dal Nord della Jugoslavia, in conseguenza delle 2 guerre mondiali e della persecuzione Ustascia, comunque riconosciuti cittadini Italiani anch’essi; vivono tutti nel centro-nord in particolare nelle regioni orientali; i Rom Istriani e Sloveni, già cavallari, adesso vivono di rottamazione, ma non mancano solide realtà di cooperative sociali e di Mediatori Culturali nei servizi pubblici.
I Rom Kalderasha sono invece l’ultimo gruppo dalle autentiche tradizioni seminomadi, riuscendo a praticare tuttora l’attività millenaria di lucidatori e battitori di metalli e le rumrià la chiromanzia.
Si tratta di 7.000 unità complessive.
· Rom LOVARA
Consideriamo quei Rom di cittadinanza spagnola o francese che transitano per periodi molto lunghi in tutta Italia, sia per motivi economici, che per i raduni del nuovo credo religioso evangelista; peraltro si contano anche alcuni piccoli gruppi di Lovara “slavi” ,”svedesi” e apolidi. Non più di 1.000 unità.
I Rom
provenienti dall’est europeo (Polonia, Ungheria, e soprattutto
Jugoslavia e Romania) sono circa 60000
Si intendono con questo termine quelle
popolazioni ROM giunte in Italia a ondate
successive dal 1967 in poi dal sud della Jugoslavia, in particolare dalla
Bosnia-Erzegovina, dalla Serbia, dal Kosovo e dalla Macedonia e più di
recente anche dalla Romania, mentre a Novara vive da decenni una
comunità di rom polacchi e
a Roma sono comparsi i primi nuclei di Rom Ungheresi.
NESSUNO DI LORO E’ più
NOMADE sin dal 1946, allorchè nei paesi del socialismo reale fu
progressivamente attuata una politica paritaria della casa che coinvolse anche
i milioni di rom seminomadi.
· ROM KHORAKHANE' (= Rom musulmani)
- “cergarija” (cerga in serbo-croato = tenda) ; giunti nel 1967 a Milano, vivono in grandi comunità in campi comunali del Centro-Nord; sono tutti originari della cittadina bosniaca di Vlasenica.
- “crna gora” (= Montenegro), fra di loro gli ultimi grandi Maestri Ramai, nell’ultimo cinquantennio sono immigrati in massa in Bosnia, Croazia ed Erzegovina.
- “shiftarija” e “mangiuppi” (shiftar = aquila, simbolo dell’Albania; tutti originari del Kosovo, ma con forti nuclei immigrati in Macedonia e Montenegro); sono su tutto il territorio nazionale e costituiscono il gruppo di rom extracomunitari più numeroso ed in forte espansione; sono gli unici khorakhanè che dispongano di una gerarchia e formazione religiose. Alcune loro grandi comunità hanno ripreso l’uso della casa anche in Italia.
- “kaloperija” (provenienti da famiglie miste e legati ai cergarija)
- fra i khorakhanè è ancora fortissima l’evasione scolastica dei minori, spesso figli di genitori poco più che adolescenti a loro volta evasori o analfabeti di ritorno;
· ROM DASIKHANE' (cristiano - ortodossi, alla lettera
“serbi”)
- KANJARIJA (e i gruppi affini “mrznarija”, “busniarija”, “bulgarija”, “arlija” , “bankulesti”)
Come i crna gora per i khorakhanè, sono tutti originari di una regione (in questo caso la Serbia), ma successivamente immigrati in altre (Macedonia e Croazia). Sono presenti (anche da trent’anni) nel Centro-Nord e nel sud soltanto nel Napoletano e in Sicilia. Fortemente tradizionalisti nell’organizzazione sociale interna, curano meticolosamente le alleanze matrimoniali. Soltanto gli Arlija non usano correntemente la lingua romanì. Non pochi kanjarija hanno costruito proprie abitazioni multipiano nelle periferie delle città.
-
RUDARI
(parola rumena che corrisponde al latino gens) sono
immigrati in Serbia dalla Romania circa un secolo fà portandosene
l’uso della lingua e abbandonando il romanès. Erano ursari ed in genere circensi. Sono
tutti di Kragujevac, dove erano e sono ineriti anche nella manodopera
industriale, ed in Italia vivono nel centro-nord.
· ROM RUMENI
scacciati dalla Germania dopo la
compravendita marchi/profughi fra il loro governo post-Caesescu e quello
tedesco, provengono da Craiowa e Timisoara dove nel frattempo molte delle loro
case erano state bruciate dalle bande neonaziste. Sono in una rapida espansione
immigrativa nel nostro Paese . Fra di loro molti complessi di musicisti
professionisti che non disdegnano l’attività artistica di strada.
Le più grandi comunità sono stanziate a Roma, Milano e Genova; altre presenze si registrano nelle città di Lecce Bari Foggia Latina Lucca La Spezia Torino Brescia Montecchio di Vicenza, Bologna e nel Trentino: molti hanno scelto la strada della casa in affitto per ricreare la residenzialità dignitosa lasciata in Romania.
** I Rom rumeni presenti in Italia sono ormai intorno alle 10.000 unità, tutti gli altri sono dell’ex - Jugoslavia o della Federazione Jugoslava, ivi compresi i Rom già profughi di guerra.
Khorakhanè e dasikhanè sono presenti capillarmente in tutte le regioni Italiane, fatta eccezione per la Lucania e il Molise.
Schede curate nel Giugno 2002 da
MASSIMO CONVERSO, PRESIDENTE NAZIONALE dell’OPERA NOMADI