E se l'allarme sugli "sbarchi di
clandestini" fosse una pura e semplice invenzione? Una "emergenza"
che non ? affatto emergenza?
Partiamo dai dati. Se confrontiamo
gli arrivi di immigrati irregolari in questi primi 6 mesi e mezzo
del 2003 con lo stesso periodo dello scorso anno (primo gennaio -
venti luglio), constatiamo immediatamente una significativa tendenza
alla riduzione (8.157 nuovi arrivi rispetto ai 9.896 di un anno fa,
secondo i dati elaborati da A Buon Diritto - Associazione per le
libertà). E verifichiamo che, a fronte del picco registrato nei
primi 15-20 giorni di giugno, mai come quest'anno la seconda metà di
quel mese e la prima di luglio avevano fatto registrare un numero
così esiguo di sbarchi (solo 279 gli irregolari approdati negli
ultimi 27 giorni, al 20 luglio 2003). È fatale, poi, che delle
"emergenze" (il picco di giugno, appunto) si faccia un gran parlare,
e che invece, di una riduzione tanto sensibile, tutti (o quasi)
tacciano. Ma il punto vero ? un altro: l'immigrazione irregolare,
per limitarci al suo rilievo numerico, andrebbe analizzata con la
consapevolezza che le medie annuali altro non sono che
un'astrazione: rendono le macrodimensioni del problema, ma non
registrano tutta la sua irregolarità. Una irregolarità fatta di
ondate migratorie "anomale", di settimane di sbarchi a ripetizione
seguite da periodi, spesso ben pi? lunghi, di sostanziale
"scomparsa" del fenomeno. Tarare, quindi, la capacità di controllo e
accoglienza dei migranti su medie annuali vuole dire alternare
momenti di emergenza (che tali sono solo perché la persistente
disorganizzazione dell'amministrazione statale impedisce di adottare
strutture e iniziative adeguate a gestirli), a fasi in cui
l'immigrazione irregolare si riduce a un fenomeno di proporzioni
irrilevanti.
Sia chiaro: tutti i dati cui facciamo riferimento
scontano una misura inevitabile di imprecisione, dal momento che il
fenomeno in questione ?, per sua natura, irregolare e, dunque,
difficilmente monitorabile. Ma, ribadiamo, non c'? emergenza alcuna:
sia perché le proporzioni dei flussi tendono, ormai da anni, a
ridursi, sia perché - ed ? questo il punto cruciale - non c'? nulla
di imprevisto e imprevedibile. La dinamica degli sbarchi ?
fisiologica: dunque, se si vuole, controllabile.
Di pi?: se ? vero che la capacità di accoglienza deve essere
commisurata ai dati statistici reali, la linea di condotta verso gli
sbarchi non può essere indifferente ad altre questioni. A fronte di
un principio generale, che andrebbe tutelato sempre ed in ogni
circostanza - ovvero il pieno diritto di ogni essere umano alla
libertà di movimento - va considerato un dato significativo e
parzialmente nuovo. L'immigrazione verso l'Italia (ma dovremmo dire
verso l'Europa, visto che, per 3 migranti su 4, la nostra non ? che
terra di transito per altre destinazioni) assume, sempre pi?,
connotati di natura "politica". Si direbbe, in altre parole, che
alcuni fattori (quali guerre o dispotismi, persecuzioni di minoranze
etniche o religiose) si stiano sostituendo alle tradizionali matrici
di natura economica nella spinta ad abbandonare i paesi d'origine.
E' troppo presto per ricavarne una indicazione stabile e una
tendenza generale, ma la novità ? assai significativa. Sbarcano in
numero crescente palestinesi, curdi, afghani, centroafricani (dei
quali, in qualche caso, non c'era traccia negli anni precedenti):
tutti provenienti da aree di crisi del pianeta, da zone di guerra,
da paesi che vedono riprodursi gravi situazioni di violazione dei
diritti umani, di oppressione di minoranze, di discriminazione
razziale e sessuale. Quest'ultimo ? un dato cruciale: secondo
l'Organizzazione mondiale per le migrazioni, le donne sono il 48%
dei migranti del pianeta. Finora, in Italia, nel corso del 2003, ne
sono sbarcate 326, di cui 7 incinta; e i bambini sono stati 209. Chi
vuole "respingere i clandestini", rispedirli "a casa loro" o
prenderli "a cannonate", deve almeno sapere che sta negando a
migliaia di esuli politici, di rifugiati, di profughi, di
perseguitati la possibilità di trovare accoglienza laddove la loro
vita non sia messa costantemente in pericolo.
Gli sbarchi sulle nostre coste altro non sono, dunque, che
l'esito parziale e fatale di una fuga di massa. Che come tutte le
fughe, disperate e improvvisate, conta caduti, dispersi, vittime.
Stando ancora ai dati del 2003, elaborati da A Buon Diritto -
Associazione per le libertà, nelle acque nazionali, durante la
navigazione o i tentativi di attracco, si sono registrati 23 morti,
102 dispersi, 30 feriti.
Se ? vero che il numero dei nuovi arrivi, nel corso del 2003, ?
stato inferiore a quello registrato negli stessi mesi del 2002; e se
? vero che i periodi di sbarchi ripetuti e consistenti si verificano
almeno da dieci anni, puntualmente seguiti da periodi di "calma
piatta": se ? vero tutto ciò - dicevamo - un dubbio va sciolto.
Ovvero qual ? il senso della gazzarra politica che ha animato
l'informazione nazionale per buona parte del mese trascorso?
Le
ipotesi pi? ovvie sono due e investono l'attuale maggioranza di
governo, dal momento che ? al suo interno che lo scontro si ?
rivelato pi? aspro. Prima ipotesi: il governo non ha un quadro
chiaro o, quantomeno, condiviso, dello stato del fenomeno. Seconda
ipotesi: certe campagne di mobilitazione emotiva hanno il solo scopo
di modificare i rapporti di forza tra i diversi partiti di
centrodestra, all'interno della stessa coalizione.
La Lega, oggi
pi? che mai, teme emorragie elettorali. Che possono venire, anche,
da una condotta troppo "istituzionale" e dall'assunzione di
responsabilità che vincolino, in misura eccessiva, il partito di
Bossi a una fedeltà di coalizione, considerata "asfissiante" per la
propria identità di movimento. Sganciarsi dalla rotta proposta dai
centristi su un punto chiave come l'immigrazione, dovrebbe
contribuire, nella strategia callida di Bossi, a ridare visibilità
alla propria "missione politica" e a galvanizzare l'elettorato:
tanto pi? su un tema "sensibile", come l'immigrazione. E poco
importa se, all'origine, c'? un "falso allarme".
Il guaio, comunque, ? stato fatto. Per porvi riparo, bisogna
affrontare due ordini di problemi. Il primo: una campagna battente,
come quella di poche settimane or sono, sul pericolo "immigrazione
clandestina", nel migliore dei casi può avere l'effetto di
sovrarappresentare, a livello mediatico, un fenomeno importante, ma
che - pure - non ha assolutamente i connotati di un'emergenza
politica, sociale e di ordine pubblico. Nel peggiore dei casi, ?
evidente, questa sequenza di allarmi ha l'effetto di coltivare e
riprodurre intolleranza: e, in particolare, quella che chiamiamo
"intolleranza per via istituzionale".
Il secondo ordine di problemi riguarda il fatto che questioni
dirimenti per la vita del paese - come la capacità di gestire
l'immigrazione, di accogliere e includere "virtuosamente" gli
immigrati nel nostro tessuto sociale - diventano, per la Lega,
strumenti bellici, da brandire verso questo o quel ministro e da far
pesare nel negoziato infragovernativo. Conflitti e scambi politici
miserabili. Altra ? la vita. Mustafà ? nato il 6 luglio scorso, a
Palermo. Era arrivato in Italia il 16 giugno, ancora nel grembo di
sua madre, Fathia, somala, 23 anni. La giovane viaggiava insieme a
un'amica, che oggi l'assiste in ospedale e che, a sua volta, ? madre
di una bambina di 3 anni, Sorania, ricoverata per problemi
neurologici e gravi disfunzioni fisiche. Che le esistenze e le
speranze di queste persone non debbano mai essere toccate dalle
vicende di un ceto politico incapace di provare
vergogna.