ASSIEME NELLA DIVERSITA'

 

I LABORATORI SPERIMENTALI DELLE COPPIE MISTE

 

 

INDICE

 

1

INTRODUZIONE

 

1

1.1

PREMESSA

1

1.2

DISEGNO DELLA RICERCA

2

1.2.1

ASPETTI STRUTTURALI E METODOLOGICI

3

1.3

CENNI STATISTICI

6

1.3.1

IL FENOMENO MIGRATORIO

6

1.3.2

I MATRIMONI MISTI

8

1.3.3

IL "MERCATO" MATRIMONIALE

 

12

2

QUADRO INTERPRETATIVO

16

2.1

UN LAVORO DI COSTRUZIONE

16

2.2

LA GESTIONE DELLE DIFFERENZE:

UN MODELLO INTERPRETATIVO

17

2.3

I "NODI" DELLE DIFFERENZE

 

19

3

ASSIEME NELLA DIVERSITA'…:

23

3.1

UNA CULTURA "IMPOSTA"

23

3.2

UNA CULTURA "TRALASCIATA"

26

3.3

DUE CULTURE IN "EQUILIBRIO"

31

3.4

UNA CULTURA DEL "POSSIBILE"

 

36

4

PROVENIRE DA PAESI DIVERSI…

 

42

5

CONCLUSIONI

 

52

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

54

 

 

Rapporto di ricerca

A cura di

Barbara Bastarelli

Trento, dicembre 2001

 

 

 

 

 

1   INTRODUZIONE

 

 

1.1   PREMESSA

 

     Scenari nuovi, inediti, bizzarri: le unioni composte da due individui di cui uno non appartenente alla comunità nazionale autoctona, vengono configurandosi -anche nel nostro Paese- come fenomeno sociale in progressiva estensione.

     Statisticamente e socialmente le coppie miste suscitano particolare interesse laddove sono implicate culture, società, religioni particolarmente differenti; laddove, cioè, la distanza fra riferimenti simbolici dei partners viene percepita -da una o da entrambe le comunità d'origine dei soggetti coinvolti- come elemento costitutivo di presumibili inconciliabilità.

     Se riferirsi comunemente a tali unioni come "coppie miste" rimanda immediatamente l'immaginario più che a "unioni binazionali" a "unioni biculturali", la pregnanza di tale espressione sta proprio nella sua capacità di essere "significante generico", in grado di alludere a blending di ambiti interpretativi possibili e costituire occasione elettiva per analisi a livello di micro-interrelazioni.

     Da espressione che riferisce alla sfera intima delle relazioni, l'unione interetnica trasla il suo essere "fatto privato" per divenire «il barometro più interessante della nostra società plurale» (Tognetti Bordogna M., 2001, p.29). Il consenso o l'opposizione della comunità -parentale, amicale, territoriale- rappresentano indici tangibili degli spazi di comunicazione fra i gruppi, l'interpenetrazione delle comunità migranti nel tessuto sociale autoctono.

     E' nell'evolversi del fenomeno migratorio, nelle condizioni di consolidata stabilizzazione che il suo giungere ad una fase di maturità comporta, che l'entità della presenza di unioni miste può divenire indice sociologicamente rilevante delle modalità d'interazione offerte dalla comunità d'accoglienza.

     E' nel mutamento dei modelli tradizionali familiari, nell'affievolirsi dell'influenza familiare sulla scelta matrimoniale che possono essere colte -individualmente- le occasioni per diversificare ambiti di vita e d'appartenenza, cambiando i modi di "fare famiglia".

 

1.2   IL DISEGNO DELLA RICERCA

 

Studio volto ad evidenziare e sondare alcune modalità relazionali delle coppie miste nella gestione delle differenze culturali, in relazione ai vissuti personali e alle dinamiche extrafamiliari intervenienti nelle strategie e nelle mediazioni poste in atto dai singoli componenti della coppia interetnica.

     Nel quadro generale degli obiettivi della ricerca le tematiche affrontate hanno mirato all'approfondimento:

a)    della gestione delle differenze nell'organizzazione e nel processo decisionale della coppia negli ambiti relativi

-      allo svolgimento del ménage familiare

-      agli orientamenti educativi nei confronti dei/delle figli/e

a)    dell'integrazione matrimoniale nelle rispettive comunità di riferimento della coppia nell'ambito relativo alle relazioni parentali;

dell'integrazione del/la cittadino/a migrante nella comunità autoctona.

 

1.2.1  ASPETTI STRUTTURALI E METODOLOGICI

 

     Nell'estensione del termine alludente «coppia» e nel suo attributo «misto» sono inclusi una varietà di significati ed esperienze che risulta necessaria una definizione preliminare dell'oggetto d'analisi sondato dal lavoro di ricerca.

     Il modello di famiglia (intesa come convivenza) qui considerato è indipendente dal grado di riconoscimento sociale e di legittimazione giuridica di cui gode nel nostro Paese.

Le relazioni interpersonali comprendenti l'unione legalizzata fra individui di sesso differente -modello matrimoniale- e le unioni eterosessuali non normate giuridicamente -modello di convivenza non-matrimoniale- rappresentano i rapporti di coppia analizzati nel nostro studio[1].

     Discriminante, pertanto, e definitorio nel circoscrivere precipuamente l'oggetto d'analisi, diviene -nella locuzione considerata- l'attributo «misto», evocante la trasgressione di regole o consuetudini di omogamia sociale variamente intervenienti nella determinazione dei confini dei mercati matrimoniali[2].

Paradigmi simbolici strutturano -detto altrimenti- la percezione della mésaillance. Mésaillance che, nel nostro studio, viene individuata come problematizzante l'unione fra cittadini/e autoctoni/e e cittadini/e migranti appartenenti a contesti nazionali extracomunitari[3].

 

     Le scansioni temporali che hanno accompagnato lo sviluppo della ricerca hanno contemplato momenti diversi d'analisi fortemente intrecciati fra loro.

     Al fine di indagare un fenomeno ancora relativamente recente per il nostro Paese e non supportato -scientificamente- da una produzione teorica significativa, ci si è avvalsi -nella fase immediatamente propedeutica dell'indagine- degli spunti raccolti in ricerche empiriche qualitative condotte in specifiche e circoscritte realtà territoriali italiane. Lo sviluppo di una traccia interpretativa atta a sondare alcuni aspetti delle modalità relazionali più ricorrenti nelle coppie miste ha permesso la realizzazione di interviste in profondità che hanno consentito l'approfondimento degli ambiti tematici predefiniti e hanno colto spazi problematici non precedentemente identificati. L'analisi del contenuto delle testimonianze raccolte è contenuta nel presente rapporto[4].

 

     Al fine di giungere all'approfondimento delle tematiche oggetto dello studio e per evitare possibili distorsioni, la ricerca ha previsto il coinvolgimento di soggetti con una "esperienza matrimoniale" almeno triennale. Laddove possibile si è scelto di intervistare entrambi i componenti della coppia, separatamente[5].

     Nell'insieme i trentacinque soggetti intervistati riferiscono -complessivamente- a 24 famiglie, tutte residenti -al momento dell'intervista- nella Provincia Autonoma di Trento. Nello specifico, sono stati intervistati entrambi i coniugi di 11 coppie, mentre nelle restanti 13 famiglie è stata concessa l'intervista da un solo partner.

     Delle 24 coppie di riferimento in 18 casi il partner maschile è italiano, coniugato prevalentemente con cittadine originarie dal Sud-America (9) e dai Paesi dell'Europa dell'Est o Balcanici. Con cittadine provenienti dal Maghreb, dall'Africa Meridionale e dall'Asia sono coniugati 3 italiani.

     Dei 6 cittadini stranieri coniugati con una donna italiana 4 sono cittadini maghrebini (di cui 2 cittadini marocchini e due algerini), mentre dal Cile e dall'Albania provengono 2 coniugi stranieri.

 

1.3            CENNI STATISTICI

 

1.3.1  IL FENOMENO MIGRATORIO

 

Considerando il dato (fonte Caritas, 2001 - su dati del Ministero dell'Interno) relativo ai permessi di soggiorno validi al 31/12/2000 risultano titolari di permesso di soggiorno[6] 1.388.153 cittadini/e stranieri/e, con un incremento, rispetto al 1999 del 10,9%.

Sul totale dei permessi di soggiorno il 16,5% è da riferirsi a cittadini/e provenienti dall'Unione Europea, dai Paesi Europei non comunitari, dall'America del Nord e dalla Nuova Zelanda. Il restante 83,5% risulta costituito da cittadini/e provenienti dai cosiddetti Paesi in via di Sviluppo. Scorporando quest'ultimo dato la componente migratoria più rappresentativa (27,8%) risulta essere quella africana (con il 65,4% di cittadini/e provenienti dal Maghreb), con un decremento -rispetto all'anno precedente- dello 0,7%. La componente proveniente dall'Europa dell'Est (27,4%, con il 65,4% di cittadini/e albanesi) presenta un incremento dell'1%, similmente alla componente asiatica (20%). I/Le cittadini/e provenienti dall'America Centro- Meridionale rappresentano l'11,9% del totale della presenza straniera extracomunitaria.

La componente femminile rappresenta quasi il 46% degli/delle immigrati/e soggiornanti in Italia al 31/12/2000, con una marcata differenziazione interna ai singoli Paesi.

L'Europa dell'Est risulta essere l'area con maggiore presenza femminile (quasi il 75% dei/delle cittadini/e provenienti da alcuni Paesi dell'ex Unione Sovietica sono di genere femminile). La marcata connotazione di genere è visibile anche fra gli/le asiatici/che (sono donne oltre l'87% dei/delle thailandesi presenti), fra i/le cittadini/e provenienti dall'America Centro-Meridionale (sono di genere femminile l'84,6% di cittadini/e provenienti da Cuba e il 73,8% di quelli/e provenienti dal Brasile), e da alcuni Paesi Africani (81,3% della popolazione proveniente da Capo Verde è costituita da donne e il 77,9% di quella proveniente dalla R. Dominicana). In valori assoluti il Paese asiatico con maggior presenza femminile in Italia è quello delle Filippine, con il 65,7% di donne.

Confrontando la consistenza numerica fra i generi la componente femminile risulta minoritaria fra i/le senegalesi, i/le packistani/e, e i Paesi dell'Africa Settentrionale (sono di genere femminile il 26% della popolazione proveniente dal Maghreb).

Oltre il 25% dei permessi di soggiorno validi al 31/12/2000 risultano rilasciati per motivi familiari.

 

1.3.2  I MATRIMONI MISTI

 

Se nel nostro Paese «la metà dei soggiornanti si trova in Italia da più di cinque anni [dati I.S.T.A.T sui permessi di soggiorno al 31/12/1999] e un quarto da più di dieci anni [… ciò sta ad indicare un evidente] radicamento del processo di stabilizzazione del fenomeno migratorio» (Caritas, 2001, p.157). Radicamento che, fra i suoi effetti meno visibili, ma non per questo meno rilevanti, informa e plasma l'esistenza di molti nuclei familiari: dalle coppie con entrambi i partners con esperienza migratoria (stesso continente ma con nazionalità diverse o diverso continente e diverse nazionalità) alle coppie con un partner con esperienza migratoria e uno autoctono.

Per lo più residenti nel nord Italia -contesto in cui risulta più stabilizzata la presenza emigratoria- l'universo dei matrimoni misti risulta nel 1997 incrementato -rispetto al 1996- di quasi il 40% di unità matrimoniali, passando dai 9.785 casi del 1996 ai 13.814 del 1997 (fonte ISTAT, Caritas 2001).

Dalle forme sempre più distinte la tipologia formata da un partner autoctono prevale nettamente sul totale dei matrimoni misti, costituendo nel 1997 quasi l'80% (10.914) dell'universo dei matrimoni misti (13.814) registrati nel nostro Paese.

Scorporando territorialmente il dato, nella nostra regione sono stati registrati nel 1997 317 matrimoni composti da un/a cittadino/a italiano/a e un/a cittadino/a straniero/a.

Incrociando le variabili genere e cittadinanza, oltre i 2/3 dei casi (219) risultano formati da italiano con straniera, una forbice nella composizione del genere migrante nelle coppie miste particolarmente visibile anche dall'analisi del dato nazionale: appartengono al genere femminile il 74,5% dei cittadini stranieri coniugati con un italiano. Detto altrimenti, solo il 25,5% delle coppie miste sono formate da una cittadina italiana e un cittadino straniero.

Considerando che il dato relativo alla quantificazione del fenomeno dei matrimoni misti testé illustrato è da riferirsi esclusivamente alle coppie unite dal vincolo giuridico, sembra plausibile considerarlo quale sottoinsieme di un più variegato fenomeno, comprendente -ad esempio- i matrimoni celebrati in contesti territoriali extranazionali e le unioni informali. Convivenze non matrimoniali che, dalle informazioni deducibili dal XIII Censimento della Popolazione Italiana svolto nel 1991, rappresentavano il 15% del totale delle famiglie miste censite[7], una realtà statisticamente rilevante anche considerando la bassa incidenza che nel nostro Paese hanno le famiglie di fatto composte da entrambi i partners italiani.

L'analisi di alcune caratteristiche del "mercato matrimoniale" delle coppie miste, fa rilevare una sostanziale "omogeneità religiosa" nelle coppie in cui è di genere maschile il partner autoctono, con un ampliamento del mercato matrimoniale dalle cittadine latino-americane e asiatiche alle cittadine dei Paesi dell'Europa dell'Est e dei Balcani, mentre più frastagliata sembra essere la situazione in cui è di genere maschile il partner straniero, con una maggior presenza di unioni con cittadini maghrebini e mediorentali. Gli autoctoni, pertanto, «si uniscono più frequentemente con donne che provengono da paesi a maggioranza cristiana, sia cattolica (Brasile, Polonia, Repubblica Domenicana), sia ortodossa (Romania, ex URSS). Meno prossima è la similarità culturale e religiosa quando è lo sposo ad essere straniero. Anche i dati elaborati dal Cadr circa il numero di dispense, confermano che le donne italiane di religione cattolica sposano persone di fede islamica, mentre nei matrimoni interconfessionali sono coinvolti i maschi italiani» (Tognetti Bordogna M., 2001, II).

Sebbene siano vari i fattori che influenzano la "distribuzione geografica" delle preferenze matrimoniali dei coniugi italiani, le caratteristiche anagrafiche degli/delle stranieri/e presenti sembrano concorrere incisivamente nel creare -o nel non creare- possibilità di incontro con gli/le autoctoni/e, le unioni miste, pertanto, «mostrano una chiara tendenza ad orientarsi in corrispondenza di qualche nazionalità in cui è più frequente la migrazione individuale, di un sesso o dell'altro» (Maffioli D., 2001, p.56).

Polarizzazioni su specifica nazionalità che, conseguentemente, possono assistere all'acquisizione della doppia cittadinanza da parte dei/delle propri/e cittadini/e.

Il matrimonio con un/a cittadino/a italiano/a rappresenta, nel nostro Paese, la modalità più semplice per l'acquisizione -su specifica istanza- della cittadinanza. Nel corso dell'anno 2000 (fonte ISTAT, Caritas 2001) 9.545 cittadini stranieri hanno acquisito la cittadinanza italiana. Nell'84,1% dei casi l'acquisizione è avvenuta per matrimonio[8].

Se l'acquisizione della cittadinanza costituisce -indubbiamente- l'unica possibilità percorribile dal/dalla cittadino/a straniero/a per l'esercizio dei diritti politici o per l'accesso ad alcuni ambiti professionali o, più semplicemente, per "facilitarsi la vita".

Il ricorso al matrimonio al fine di ottenere la cittadinanza sembra profilarsi come una delle possibili strategie d'inserimento nel nostro Paese, una delle opportunità d'ingresso che il/la cittadino/a straniero/a ha a disposizione.

Analisi di tipo demografico e ricerche pilota condotte in alcuni contesti regionali italiani ipotizzano una non trascurabile relazione fra la tipologia dei "matrimoni di convenienza o matrimoni per le carte" e l'alto tasso di separazioni registrato fra le coppie miste. Tasso di separazioni quasi doppio rispetto a quello fra italiani.

Un aspetto particolarmente inquietante che può assumere la rottura di una coppia mista -laddove la conflittualità non è gestita consapevolmente fra i coniugi- viene a costituirsi nella problematica della sottrazione internazionale di minore, un fenomeno che sembra essere in costante crescita, passando da 98 casi del 1999 ai 170 del 2000.

 

1.3.3  IL MERCATO MATRIMONIALE

 

La possibilità di tradurre le differenti combinazioni di alcune tra le risorse personali dei partners (genere, età, nazionalità, titolo di studio, professione) in indicatori del modo in cui può venir preservata la regola sociale dell'omogamia matrimoniale, permette di valutare l'influenza dei fattori personali che fungono da riequilibratori sociali delle differenze.

Confrontare i disegni tracciati dagli indicatori compensativi fra coppie formate da entrambi i partners italiani e coppie composte da un/a cittadino/a straniero/a può favorire una prima comprensione di come uno svantaggio sociale -quale può essere percepita da una determinata comunità la diversa origine etnica- può venire bilanciato dall'accentuazione o dalla presenza di altre qualità sociali scarsamente reperibili -per le risorse personali a disposizione del partner italiano- nel mercato matrimoniale[9] autoctono.

Se una certa cautela nella valutazione degli indici compensativi appare necessaria in presenza di dati anagrafici ascrivibili alle coppie miste non sufficientemente articolati, un primo indicatore significativo è osservabile nel dato relativo alla differenze d'età fra i partners.

Differenza d'età che, se confrontata con i 3 anni della media italiana, risulta nettamente maggiore (circa 7 anni) per le coppie in cui è italiano il partner maschile, mentre si riduce sensibilmente (di poco superiore alla media italiana) nel caso di coppie in cui è italiana la partner femminile. La risorsa età e genere d'appartenenza sembrano -pertanto- variabili compensative della differenza etnica per le coppie formate da cittadino italiano e cittadina straniera, mentre la risorsa età non appare particolarmente significativa nel caso opposto[10].

Un ulteriore, consueto, indicatore di compensazione, è costituito dal fattore istruzione, la cui distribuzione fra i generi risulta essere -nelle coppie italiane- significativamente sfavorevole alle donne, mentre, nelle coppie miste con partner femminile italiano, si assiste ad una notevole riduzione del divario di istruzione fra i coniugi (sempre, comunque, sfavorevole alle donne, il 20% delle quali risulta diplomata o laureata a fronte del 27% degli uomini) e nelle coppie miste con partner maschile italiano si riscontra un'inversione del fenomeno (appare laureato o diplomato il 21% degli uomini a fronte del 23% delle donne straniere).

Se tutte le ricerche disponibili tendono ad evidenziare che nel gioco della compensazione dell'origine straniera l'appartenenza al genere femminile aggrava lo squilibrio delle forze contrattuali fra i coniugi[11], l'alto tasso di nascite fuori dal matrimonio -riscontrabile in particolare nelle coppie miste formate da cittadino italiano e cittadina straniera (12 ogni 100 nati nel matrimonio, contro 3,2 per le coppie italiane)- risultano di più complessa lettura. L'insufficienza di una riflessione approfondita e specifica non permette - infatti - di ascrivere la paternità dei figli alla coppia o a precedenti unioni della donna. Indirettamente l'alto numero di convivenze registrato nelle coppie in cui è italiano il partner maschile e il numero di nascite more-uxorio potrebbe avvalere l'ipotesi della paternità dei figli al coniuge, nascite pre-nuziali seguite dalla regolarizzazione giuridica dell'unione.

 

Pur nel divario fra le forze contrattuali dei partners, disequilibrio particolarmente sfavorevole al coniuge straniero di genere femminile, la stessa esistenza di modalità compensative e del relativo scambio delle risorse sociali fra persone appartenenti a differenti ambiti nazionali e culturali sottende e rafforza l'esistenza di processi modellanti i confini sociali del principio dell'omogamia matrimoniale, ove «simile continuerà a sposare simile, […] ma i criteri della somiglianza vengono parzialmente modificati e la somiglianza stessa non è più lasciata solo all'iscrizione, ma può venir acquisita» (Saraceno C., 1988, p.96).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2   QUADRO INTERPRETATIVO

 

 

2.1   UN LAVORO DI COSTRUZIONE

 

Nelle metamorfosi del fare famiglia, le unioni interetniche rappresentano comunità sociali plasmate dall'evento migrazione presente nella vita di uno dei membri.

     Il viaggio, lo spostamento -fisico, psichico, sociale- da esperienza individuale, privata, intima, trasla -nell'unità matrimoniale- i suoi significati, reinterpretandoli.

     Gli elementi qualificanti tali unioni sovvertono valori, regole, abitudini, costumi di riferimento di entrambi i partners, generando comportamenti non pienamente riconoscibili nelle culture di origine, codici di comunicazione inediti «in cui vi sono pezzi del qui e pezzi del , ma anche pezzi nuovi, di un modo di essere nuovo» (Tognetti Bordogna M., 2001, p.28).

     Parallelamente l'essere fra culture, storie, riferimenti religiosi differenti può cedere spazio al conflitto, alla decostruzione identitaria, all'assimilazione, alla negazione della memoria di sé o dell'altro.

     "Zona di compatibilità fra differenze", dunque, che richiede - ad entrambi i partners un incessante lavoro di costruzioni simboliche, di articolazioni non stereotipate del proprio pensiero. Ed è in un tale luogo, «su questa zona che si può sviluppare la coppia, mentre rimarranno altre due zone appartenenti ai rispettivi Io culturali con possibilità di autonomia e continua rivisitazione dei parametri dell'identità etnica» (Terranova Cecchini R., 2001, p.150)[12].

     E' nel luogo della gestione delle differenze e delle appartenenze, nelle modalità comportamentali fra partners, che è possibile rintracciare i significati plurimi concettualmente sottesi all'orizzonte delle "differenze".

 

2.2     LA GESTIONE DELLE DIFFERENZE:

UN MODELLO INTERPRETATIVO

 

La gestione delle differenze nell'organizzazione e nel processo decisionale delle coppie può essere letta utilizzando un modello interpretativo (Bertolani B., 2001) individuante quattro modalità comportamentali: assimilazione, allargamento del possibile, affermazione e mediazione; modalità riferibili a due ipotesi analitiche.

La prima ipotesi sottende un processo (da parte di uno o di entrambi i membri della coppia) di distacco/elaborazione della propria cultura d'origine e di un approccio alla cultura dell'altro come possibilità aggiuntiva per l'unione interetnica. Le scelte comportamentali della coppia vengono, quindi, a disporsi lungo un continuum, i cui estremi teorici opposti sono costituiti dalle modalità ideal-tipiche dell'assimilazione e dell'allargamento del possibile.

L'assimilazione implica l'abbandono o il rifiuto (sempre reversibile) del sistema valoriale da parte di un membro della coppia, in favore dell'assunzione di alcuni ambiti di riferimento culturale del coniuge[13].

L'allargamento del possibile prevede -per entrambi i partners- un'incessante selezione delle alternative offerte dai due sistemi culturali d'origine, un ampliamento delle possibilità e di riferimenti culturali[14].

Le modalità ideal-tipiche dell'affermazione e della mediazione implicano l'ipotesi che i partners siano soggetti veicolanti nella relazione valori e riferimenti della propria comunità etnica d'appartenenza.

Tali modalità costituiscono, anch'esse, gli estremi opposti di un continuum che, nel caso dell'affermazione prevede, da parte di uno o entrambi i membri, una costante e stereotipata riproposizione -nella coppia- di modelli culturali e comportamentali riferiti alla comunità etnica d'origine[15], mentre dall'altro estremo la mediazione è scelta come strategia neutralizzante i conflitti, un compromesso fra "ambiti culturali concorrenti"[16].

Dinamiche di riduzione delle differenze e delle complessità della coppia caratterizzano -pertanto- le modalità comportamentali dell'assimilazione e dell'affermazione, mentre uno spazio alla gestione, al confronto costruttivo, al dialogo culturale è accolto dalle modalità comportamentali dell'allargamento del possibile e della mediazione.

Rappresentando relazioni gli ideal-tipi accennati sono da considerarsi "modalità strategiche", e come tali dinamiche, reversibili, spurie, in perenne sviluppo nel confronto culturale fra i partners.

Strategie del singolo che possono illuminare la dinamica prevalente delle relazioni nella coppia, lo "stato" del processo di accomodamento fra i partners, il bilanciamento delle forze contrattuali e delle reciproche influenze, la qualità della dinamica relazionale fra la coppia e l'ambiente esterno.

E' nella "zona di compatibilità" fra differenze, nel luogo del confronto, che tali processi possono essere definiti e ridefiniti, mentre gli spazi dell' "Io culturale", identitario, i riferimenti simbolici e culturali del singolo -incessantemente modellati dall'esperienza, mai statici e definitivi- sono resi visibili, portati alla consapevolezza individuale.

 

2.3   I "NODI" DELLE DIFFERENZE

 

Negli ambiti di vita analizzati, relativi allo svolgimento del ménage familiare e all'orientamento educativo nei confronti dei/delle figli/e, gli aspetti ai quali si è rivolta particolare attenzione hanno riguardato -rispettivamente- la scelta dei cibi e la gestione del denaro nelle coppie miste e la scelta del nome e della lingua utilizzata nel rapporto quotidiano con i/le figli/e.

L'alimentazione -ed i significati ad essa associati- costituisce un aspetto delle scelte di vita quotidiana.

Se intorno ad essa si costruiscono, culturalmente, i ruoli e le competenze di genere all'interno della famiglia[17], l'alimentazione rappresenta, parallelamente, momento di comunicazione fra i componenti del nucleo familiare. I significati simbolici che, in tutte le culture e tradizioni sono veicolati nelle scelte dei cibi, assumono, nella cultura islamica, un particolare spessore, identificandosi anche nell'aspetto dell'appartenenza religiosa.

E' nei sapori emanati dai cibi, nelle loro caratteristiche preparazioni, nel loro essere anche occasioni celebrative, che le memorie, i rimandi, le tradizioni possono esprimersi.

Altro punto nodale del ménage familiare sondato è l'amministrazione del denaro all'interno della coppia interetnica.

La responsabilità nella gestione delle entrate, la scelta legata alle priorità nella soddisfazione dei bisogni, il modo in cui allocare il risparmio, possono essere assunti quali indici della forza contrattuale fra i generi all'interno della coppia, consentendo inoltre di indicare gli aspetti culturali intervenienti nella valutazione del bisogno.

Gli orientamenti educativi nei confronti dei/delle figli/e, quali riferimenti, valori, religioni, appartenenze trasmettere, sembrano essere, nelle coppie miste in particolare, «il frutto di una negoziazione duplice: all'interno della coppia e fra la coppia e l'esterno (o meglio, i due spazi esterni, rappresentati dai gruppi familiari e sociali d'origine» (Favaro G., 2001, p.129)[18].

L'importanza fondamentale del "passaggio" degli elementi culturali del proprio patrimonio di riferimento, della storia legata alla propria appartenenza, dei tratti che ci identificano, delinea -anche nelle coppie senza figli- un ambito cruciale di confronto fra i partners, momento chiave delle possibili scelte adottabili.

Simbolicamente rilevante, l'attribuzione del nome ad un/a figlio/a, necessita, prioritariamente, della scelta dell'universo culturale dei nomi a cui si vuole attingere e, solo successivamente, rimanda alla scelta dei nomi all'interno dell'universo di riferimento identificato.

Il nome, nel rimando della sua immagine, chiarisce l'appartenenza, anche religiosa nella cultura islamica, il luogo simbolico in cui i genitori -al momento della nascita- desiderano inserire il/la proprio/a figlio/a.

Nella sfera educativa il valore della propria identità religiosa implica la scelta di una serie di comportamenti volti al passaggio della propria fede; e momenti decisionali rispetto a riti di passaggio di chiara valenza religiosa o tradizionale e simbolica (il battesimo, la circoncisione …).

La lingua, quale codice di comunicazione quotidiana utilizzato nei confronti dei/delle figli/e, rimanda a parole e suoni, a memorie, a modi di pensare e strutturare il mondo.

La "trasmissione" della propria lingua diviene elemento fondamentale che simbolicamente identifica l'aspetto dell'appartenenza e veicola immagini identitarie profonde, consentendo efficacemente relazioni significative con la comunità parentale e con il contesto sociale in cui è inserita.

E' nelle modalità di conciliazione, nella coppia mista, delle singole esigenze, che si evidenziano le differenti modalità (assimilatrice, affermativa, mediatrice, allargante il possibile) che può assumere il confronto fra i coniugi.

Dallo "svolgimento del quotidiano" alla "trasmissione culturale" le motivazioni che guidano i comportamenti concreti della coppia possono -allora- divenire indicativi dello stato, sempre reversibile, del "tipo di accomodamento culturale" presente nella famiglia (Bertolani B., 2001).

Focalizzare l'attenzione sulle "scelte" può quindi permettere una lettura sulla "forza contrattuale" fra i partners, sull'influenza dei riferimenti culturali e delle appartenenze religiose, sugli "attributi" che qualificano l'immagine identitaria.

 

 

 

 

3   ASSIEME NELLA DIVERSITA'…

 

 

Raccogliere le testimonianze di chi, dall'incontro casuale con la diversità, ne ha fatto progetto di vita, è decifrare -osservando- frammenti di un patchwork (Tognetti Bordogna m., 1996).

Laddove le risorse personali, le relazioni interpersonali e le dinamiche sociali si incontrano i partners delle unioni interetniche ne esprimono la trama.

Ascoltare testimonianze viene inteso come il tentativo di leggere i percorsi -a volte sovrapponibili- che dalla visione di sé e della coppia, dai significati individualmente definiti/percepiti della "propria differenza", portano alla pratica quotidiana, alle modalità relazionali utilizzate per sciogliere i "nodi delle differenze".

 

3.1   UNA CULTURA "IMPOSTA"

 

     A riproposizione dei colori di un sé, con raffigurazioni nette a tratti lineari, la mono-culturalità di riferimento di alcune coppie miste intervistate -tre, nettamente minoritarie nel nostro studio- sembra rappresentarsi come metro imposto da un solo universo simbolico: unica e legittima unità di misura praticabile per la coppia.

     Per chi adotta modalità relazionali affermative il "valore" dell'altro/a sembra dipendere -fondamentalmente- dalla sua tensione alla differenziazione, all'abbandono -cioè- di regole e riferimenti originari per eleggere a propri i modelli comportamentali del sistema culturale dell'altro/a:

 

 

     «Lei non è che è come le altre, che pensa come qui […] non è come … italiana»(A. Algerino);

 

      «Io anche penso gli vado bene come donna, come mentalità perché mi sono inserita bene, gli vado bene perché mi adatto […] Alle volte mi offende anche sul fatto che io provengo da un Paese povero con la mentalità che abbiamo … Lui dice che loro [i connazionali della donna] faticano a inserirsi perché noi [domenicani] viviamo più alla giornata […] ma questo non vuol dire che se vivi alla giornata sei incosciente» (U. Domenicana);

 

«Gli italiani sono superficiali e sfruttano… non tutti … cioè … non tu, non voglio generalizzare … ma … guarda anche la religione, tutti cattolici e poi … quello che sento […] Anche R. [… il nipote italiano] ciao, dopo quello [il battesimo] niente …» (H. Marocchino);

 

      «Il problema con lui è che è sempre pronto a disprezzare tutto quello che si fa qui, non gli va mai bene […] Così è come se non c'è rispetto per me» (F. Italiana, partner Marocchino).

 

 

     In questo quadro di giudizi di valore negativo e luoghi comuni che sembrano informare la visione della cultura d'appartenenza del coniuge, la profonda e radicata convinzione -da parte di uno dei due partner- dell'intrinseca superiorità del proprio insieme di riferimento che, nel processo di "gerarchizzazione" delle culture "ordina" i rapporti interpersonali, nell'ambito delle decisioni di coppia assume -sostanzialmente- la caratteristica di una negoziazione non paritaria fra le esigenze identitarie dei coniugi.

     Ogni scelta educativa o culturale diviene, allora, uno scontro fra "appartenenze", costituendo il "portato" di un processo di contrapposizione fra i coniugi che necessariamente richiede, per essere risolto, di "un vincitore e di un vinto".

     In questo orizzonte che sia l'attribuzione di un nome etnicamente connotato ad un/a figlio/a, o la scelta religiosa o -più semplicemente- il cibo da mangiare, ogni decisione sembra divenire il frutto di uno scontro diretto fra coniugi:

 

 

«Io non volevo quel nome lì [il figlio della signora ha un nome arabo ed è musulmano] e neppure che il bambino fosse solo della sua religione […] Tutte quelle discussioni … anche per la religione … io proprio non lo volevo e ancora oggi [non sono d'accordo …] Io non penso che sia giusto … io gli dicevo anche facciamo tutte e due … anche A. fanno tutte e due con i bambini, ma niente, per quello … abbiamo sempre dovuto litigare anche adesso ma lui lo ha sempre detto che per queste cose era così …» (B., Italiana, partner Algerino);

 

      «Alla fine decide lui su tutto, non possiamo litigare sempre […] Per me non è facile … anche per la bambina lui non vuole che io vado spesso a Santo Domingo e che magari porto la bambina con me così conosce i nonni e la gente» (U., Domenicana);

 

«La mia cultura, la mia religione è fatto mio, sono io che mi occupo personalmente di tramandarla [a mio figlio …] Ci sono discussioni [con la moglie] ma in quelle cose decido io […] Nel mio paese si educa giusto, non come qui» (H. Marocchino).

 

 

Uno scontro fra universi che può tradursi anche in una costante svalutazione/derisione del patrimonio di riferimento dell'altro/a, "forzandone" -indirettamente- l'abbandono:

 

 

«Lui diceva che era d'accordo [che parlassi in spagnolo con la bambina] ma poi è successo che lui faceva sempre delle battute "come suona male!" "fa ridere detto così!' … cose che allora mi sono sentita frenata» (U, Domenicana).

 

 

Seppure poco frequentato tale sfondo mono-culturale (imposto dal genere maschile nelle tre coppie riconducibili in quest'ambito) sembra caratterizzarsi -a differenza di quanto avviene nelle altre modalità del "vivere assieme nella diversità"- con l'utilizzazione, da parte di un coniuge, di un'unica e ricorrente modalità di accomodamento culturale a cui fa ricorso per la gestione delle differenze, mentre le tensioni generate dalle scelte della coppia sembrano acquistare -per l'altro coniuge, in particolare in relazione ai/alle figli/e- il sapore della "sconfitta":

 

 

«Io dico che almeno per il nome del piccolo [la signora è incinta] decido io, lui per la grande e io per questo […] Lui non è d'accordo, non so se … [lo convincerò …] Qualche cosa anch'io, che si veda che è anche mio …» (F. Italiana, partner Marocchino);

 

«Mia figlia [… la signora ha una figlia di 10 anni] lei ha poco, troppo poco di "me" […] Lei capisce, vede la differenza [di] come sono gli italiani [di] come sono i domenicani ma calca le definizioni. mi dice: "Mamma guarda i domenicani …" ma lo dice come se lei non lo fosse per niente …» (U. Domenicana).

 

3.2   UNA CULTURA "TRALASCIATA"

 

Ad imitazione dei colori dell'altro -seppure mai totalmente e con tonalità variabili- dallo sfondo tendenzialmente mono-culturale di riferimento di alcune (cinque, complessivamente) coppie miste incontrate, emerge l'immagine di una rinuncia, di un'assimilazione: una cultura nell'ombra, posta ai margini per soddisfare esigenze adattative.

L'abbandono, il distacco da un patrimonio culturale/tradizionale/valoriale inizialmente presente e veicolato dai partners nelle coppie interetniche appare     -generalmente- come momento successivo alla formazione del nucleo familiare, un continuo tralasciare indefinibile nel tempo:

 

 

«All'inizio su tutte le cose facevo una cosa e poi le altre … poi non mi sono poi tanto accorta e … ho perso tante cose … mi sono accorta quando sono andata a casa [Albania] ed erano tante cose a cui io ho ricordato … perché anche se è una cosa stupida se mangi come noi ti ricordi e ti senti che sei tu» (F. Albanese);

 

«Noi all'inizio dovevamo andare alla ricerca [per il mangiare] di tutte le cose che non si trovano qui […] poi anche la cucina cinese si avvicina a quella thailandese e andavamo lì spesso [al ristorante cinese …] Poi lei pian piano ha cominciato a cucinare all'italiana e questa cosa qui si è persa […] anche se a me piace la cucina thailandese …» (R. Italiano, partner Thailandese);

 

«Non so … in sei anni sono cambiata tanto che non so bene, prendi tutto e ti abitui anche al modo di pensare di qui anche sulle cose importanti […] Non so … si anche nella religione che è la stessa ma da noi è diverso più sentita più che credi … anche fuori si vede … la messa sempre ogni giorno[…] No, no, non è che ora non credo, ma non è più come prima andare in chiesa e le preghiere è un'altra cosa … qui non è così e uno poi si adatta» (S. Polacca).

 

 

Una graduale presa di distanza dal proprio patrimonio normativo che sembra fondarsi su una concezione (del singolo e della coppia) dell'integrazione quale processo di assimilazione della cultura minoritaria in quella maggioritaria.

"Strategia funzionale" alle richieste -a volte pressanti- dell'ambiente familiare e sociale in cui si è inseriti ed è inserita la coppia, "strategia adattativa" che sembra richiedere -quotidianamente- la rinuncia -sempre reversibile- di una parte della memoria identitaria d'origine, sia essa formata da tradizioni, stili di vita, abitudini o sapori:

 

 

«Anche se si è integrata qui la sua cultura rimane, solo che sta qui e deve integrarsi qui […] Lei si è dovuta adattare anche alla cucina italiana, e a tutto quello di diverso del suo Paese» (R. Italiano, partner Thailandese);

 

«Io vivo qua e quindi mi sono dovuta adeguare a questa cultura, a questa società. Sono del parere che quando uno vive in un posto deve adeguarsi agli usi e costumi, a tutto di quel posto […] Ritorno a quello che ti ho detto prima, a casa predomina il suo modo di gestire la vita» (R. Cilena);

 

«E' così perché io vivo qui, se fossimo in Ucraina non era così» (L. Ucraina);

 

«Faccio sempre italiano perché nessuno mangia il mio» (F. Albanese).

 

 

La percezione stessa delle "diversità identitarie d'origine dei partners", dei differenti bagagli culturali/tradizionali di riferimento sembrano orientarsi alla "negazione", al processo di "neutralizzazione" che comporta il parallelismo con le "differenze" esistenti in tutte le coppie:

 

 

«Non c'è differenza, solo problemi che tutti hanno» (R., Cilena);

 

«Non esiste il problema della differenza di nazionalità, o di religione [la signora è musulmana, partner cattolico] con O., diciamo che ci sono difficoltà che in ogni coppia sorgono, che poi è come in tutti» (F. Albanese);

 

«Non ci sono differenze [culturali] siamo uguali» (L. Ucraina);

 

«Penso che questo sia un discorso che coinvolge non solo le coppie italo-straniere ma anche coppie italiane o dello stesso paese. Ogni coppia è diversa, questo vale per tutti, in modo uguale […]Non esiste il problema della differenza di nazionalità, diciamo che ci sono difficoltà che in ogni coppia sorgono, che poi ci si mischia dentro anche la difficoltà di culture differenti Ok, ma comunque penso che si avrebbero anche per le coppie solo italiane, basta pensare ad un milanese ed a un romano … ecco fatto che ci sono delle differenze» (R. Italiano, partner Cilena).

 

 

Unica problematica riferita sembra essere quella -iniziale- della diversità linguistica, a cui sembrano ricollegarsi le "diversità", le "incomprensioni":

 

 

«C'era solo il discorso [problema] della lingua, perché lei quando è arrivata sapeva due parole in croce di italiano e anche dopo qualche anno venivano fuori i problemi per la lingua con mia madre […] Ecco perché lei anche quando aveva ragione stava zitta […] E poi non è per fare un complimento a mia moglie, ma i miei non avrebbero potuto trovare di meglio […] Nella sua cultura [thailandese] è così anche [… con me] sua mamma le diceva: "stai zitta, quando hai ragione stai zitta, quando hai torto stai zitta" in modo di non creare attriti […] Io penso che con lei sia principalmente un discorso di lingua, anche se le culture sono così diverse» (R. Italiano, partner Thailandese);

 

«Mah! … non siamo tanto diversi … lui parla poco e non si capisce tanto […] Per il diletto, magari mi dice qualche cosa e penso che sia dialetto e poi anche lui. Nelle piccole cose … magari mi dice delle cose e che bisogna prendere per la spesa e io non capisco. Allora lui pensa che non voglio prendere e pensa perché? E poi non dice niente subito, ma dopo magari si arrabbia […] Se c'è un problema che magari non è un problema è solo la lingua diversa» (L. Ucraina);

 

«La prima cosa è la lingua, tu non capisci e da lì sorgono i problemi […] Con O. non ci sono tante differenze anche perché se tu stai in un Paese non tuo devi essere il più uguale …» (F. Albanese).

 

 

Una conformità all'ambiente in cui si vive che sembra indurre queste coppie anche a scelte educative nei confronti dei/delle figli/e fortemente indirizzate all'assimilazione: dal nome alla lingua trasmessa o ai riferimenti quotidiani proposti, tutto sembra volto alla "negazione delle differenze":

 

 

«Lei non mangia carne di manzo per una questione religiosa, io non la mangio perché non mi piace la carne in genere. Solo ai bambini ogni tanto la diamo perché pensiamo che gli faccia bene […] Vivono qui e sono della mia, [religione] anche se io non è che credo … lei di più … ma vivono qui e allora […] Mia moglie parla sempre in Italiano con i miei figli, perché insegnare a loro una lingua che non sentono … I bambini vanno a scuola, parlano con i nonni, con gli amici in italiano, quindi è inutile che gli si parla in thailandese» (R. Italiano, partner Thailandese);

 

«Il nome è italiano perché è nata qui, è italiana […] Io le ho sempre parlato in italiano, viviamo qui, lei è italiana … non è che deve sentirsi diversa, in nessuna cosa » (R. Cilena);

 

«Mia moglie ama moltissimo il suo Paese […] ma anche lei ormai si sente italiana. Quindi non ha trasmesso niente delle sue usanze a nostra figlia […] Lei ha sempre pensato che [la figlia] è nata qui, ha le sue origini qui e che quindi lei avesse le usanze e il modo di pensare di qui […] Si, anch'io la penso così, mia figlia è italiana, non deve sentirsi "differente"» (R. Italiano, partner Cilena);

 

«Se avessi un figlio parlerei in italiano perché tutti parlano in italiano […] Sarebbe italiano perché è nato qui, perché vive qui» (L. Ucraina).

 

 

La monoculturalità e il monolinguismo possono anche considerarsi strategie di "minimizzazione delle differenze", strategie di difesa da un ambiente fondamentalmente percepito come discriminatorio ed ostile:

 

 

«Si chiama F. [la signora albanese, musulmana ha un figlio con nome italiano e religione cattolica] perché siamo in Italia, i miei non volevano, da noi per tradizione si mette un nome nostro ma siamo in Italia, anche a scuola non può sentirsi diverso dagli altri, con quello che si dice di noi non può far vedere che [ha un genitore albanese …] Si anche per la religione … i miei non volevano e neppure io pensavo: "ma sta qui, con quello che si dice" … anche se da noi non è che la religione non è molto forte come per quelli altri musulmani […] Ma io non potevo e anche O. diceva che è meglio per quello che pensano qui è meglio non far vedere» (F. Albanese).

 

 

Ma il monolinguismo e la monoculturalità comportano -inevitabilmente- una scarsità di relazioni significative con la comunità parentale di riferimento del genitore straniero. Genitore che, nel guardare una cultura trascurata, abbandonata, tralasciata, sembra osservare la storia "sfilacciata della propria appartenenza":

 

 

«Purtroppo fino a poco fa [la signora ha una figlia di 15 anni] non lo sapeva [percepiva] nemmeno [che era per metà cilena] o se lo sapeva non ci ha mai fatto caso … Noi non ne abbiamo mai parlato di questa cosa qui, ma non credo che per mia figlia sia importante avere una mamma di un altro Paese» (R. Cilena);

 

«Loro [i figli] parlano italiano […] Io cerco di insegnargli qualche cosa in thailandese, quando abbiamo tempo […] Anche per i miei, quando andiamo in vacanza almeno possono parlare tra loro e conoscersi se hanno imparato qualche cosa ma … hanno ben poco della mia cultura, forse la più grande … Crescendo forse capiranno e apprenderanno di più» (S. Thailandese);

 

«Il bambino non vuole venire [in Albania] perché là non ci sono giochi [parchi gioco] e pensa che è tutto … più brutto […] perché sente alle cose in televisione … e allora … Forse quando sarà grande capirà che non è solo importante i soldi che un Paese ha … ma è piccolo [la signora ha un figlio di 10 anni] e che anche là vale … c'è solo una cultura diversa» (F. Albanese).

 

3.3   DUE CULTURE IN "EQILIBRIO"

 

A colori diversi -di sé e dell'altro/a- a tratti marcati ma con tonalità concilianti, due mani tracciano lo sfondo per mostrare immagini di culture che, nel perenne sforzo dell'evitamento del cono d'ombra, formano un tendenziale non-penalizzante equilibrio di immagini.

Nello scenario bi-culturale praticato da molte coppie incontrate -otto, numericamente simile a quello composto dalle unioni pluriculturali "dell'allargamento del possibile"[19]- la percezione della "differenza d'origine" sembra tradursi nella "non-negazione" della propria immagine identitaria, identificata spesso con l'appartenenza Nazionale:

 

 

«Siamo differenti, per religione no, ma per tutto il resto si […] e tanto: tradizioni, nazioni, di questo ne abbiamo parlato e anche di come fare [a conciliare] prima ancora di sposarci, ma che domande fai? …» (V. Ucraina);

 

«La differenza di mentalità è vera, è ovvio che c'è una differenza» (F. Albanese);

 

«Noi la pensiamo in modo diverso perché io dico abbiamo avuto storie diverse. Lui non può capire: il suo Paese ha colonizzato, il mio è stato colonia. Questo forma … nessuno vuole essere schiavo di nessuno. Noi discutiamo spesso, ma rispettiamo le idee e le cose dell'altro» (V. Brasiliana);

 

«Due figli sono nati in Italia, a Trento e sono italiani e l'ultimo abbiamo fatto in modo che nascesse proprio in Ecuador e ha la cittadinanza doppia e ne è molto fiero. Loro hanno un sangue misto, slavo di mio marito e basco il mio. Il carattere di tutti i figli sono baschi e ne vado fiera» (E. Equadoregna).

 

 

Entrambi i coniugi veicolano nella coppia -negli atti della vita quotidiana, come in quelli educativi- messaggi ed immagini caratterizzanti i rispettivi sistemi valoriali di riferimento: "messaggeri culturali" che solo nel rispetto degli spazi e delle reciproche esigenze possono trovare possibilità di espressione:

 

 

«Se ognuno sta al suo posto, cioè senza voler prendere il posto dell'altro, penso che tu stai bene […] Cioè … non voglio dire che non è che nelle altre famiglie non ci sia questo ma qui deve esserci di più … E', però, anche un'altra cosa […] dico della cultura, della religione … di quelle cose lì … che non è come acqua» (R. Tunisina);

 

«Devo fare una premessa: si deve scendere a compromessi nel Paese che ti ospita. Allora mio marito ha accettato delle cose e io altre, ci veniamo incontro a metà […] Nella cultura di mio marito non si beve alcool, ma per me è stata una rinuncia ragionevole» (T. Italiana, partner Marocchino);

 

«Lui fa le sue cose e io le mie e possiamo andare insieme, ma nel rispetto […] Lui passa le sue cose alla bambina che è una cosa importante per tutti e due e io passo le mie […] Le religioni tutte e due perché sono importanti per tutte e due [come?] beh … lui passa le sue preghiere e io le mie tutte e due» (L. Italiana, partner Algerino).

 

 

 

Nel tentativo di "non far prevalere una cultura sull'altra" la strategia della mediazione -come "compromesso" fra universi simbolici differenti- può esprimersi -nel mènage quotidiano di queste coppie, come nell'ambito educativo o religioso- come scelta intermedia fra le due opposte esigenze identitarie:

 

 

«La settimana è di sette giorni così abbiamo fatto il lunedì riso italiano o sudamericano, martedì zuppe che sono uguali per Italia e America Latina, mercoledì pasta italiana, giovedì il mangiare della Valle di Non -polenta, funghi eccetera- venerdì pesce cotto in modo italiano o sudamericano sabato cucina mista e domenica tutti insieme» (E., Equadoregna);

 

«Mangiamo a metà, un po’ mia e un po’ sua così non litighiamo» (Q. Argentina);

 

«Per questa cosa [il nome della figlia] abbiamo litigato molto perché io volevo chiamarla come mia nonna […] lui aveva scelto un nome arabo. Poi abbiamo scelto Sara perché va bene in tutti e due [le culture]» (L. Italiana, partner Algerino);

 

«Cucino io italiano, solo durante il Ramadan cucina lui, con i cibi propri della loro cultura» (T. Italiana, partner Marocchino).

 

 

Ma la dinamica dell'equilibrio può essere raggiunta anche su ambiti differenti: "alternando" fra i coniugi la "cessione" su un ambito con la vittoria su un altro:

 

 

«Si media cedendo, tutti e due, magari su cose diverse e importanti. Il fatto che io avrei voluto adottare dei bambini per scelta mia, e io so che per lui sarebbe un ripiego e non una scelta, per via del sangue. Ecco, il fatto è che io so che nella sua cultura è così, l'adozione è un ripiego per coppie sterili, ecco, io ho sempre pensato, da quando sono donna, che mai avrei ceduto su questo e ora … io sto cercando con tante cure di avere un figlio biologicamente mio. Ecco, questa è mediazione, in questo ho ceduto io, in altre cose lui» (G. Italiana, partner Albanese).

 

 

L'identità, l'appartenenza sembrano costituirsi come bagagli culturali/tradizionali simbolici da "tutelare" e "tramandare", pur nella profonda consapevolezza dei "limiti" del "passaggio" della propria cultura vivendo in un ambiente ad essa esogeno:

 

 

«Siamo qua, saranno italiani, è inevitabile che prenderanno tanto da qua […] Ma anch'io con la lingua [insegnandola ai figli] tu puoi passare la tua cultura e quello che credi ed io mi occuperò personalmente di passare ciò che c'è per me di importante» (S. Marocchino);

 

«Una cosa è il desiderio, un'altra la realtà. Se la mamma è straniera è tutto più fattibile, lei sta di più con i figli, crea la cucina, crea il modo di accogliere gli amici e i parenti e tutto il resto […] Io parlerò la mia lingua però non so se riuscirò perché mio figlio sentirà fuori solo italiano. Quando parlerò con mia moglie sarà in italiano e non è che può imparare solo se sente le mie richieste. Io potrò chiedere in albanese ma lui deve sentire parlare anche altri … ma io ci proverò […] Lascerò anche l'estate mio figlio in Albania, così impara e conosce, se io solo mi rivolgerò a lui non basta […] Mia moglie è d'accordo, lei vuole che impari la mia lingua» (F Albanese);

 

«E' importantissimo avere tutto dell'ambiente dove si sta, ma è anche importante che si abbai anche dell'altro» (E. Equadoregna).

 

 

Una consapevolezza identitaria da "trasmettere" ai/alle figli/e anche come "strategia difensiva", una "forza" su cui essi possano attingere per "tutelarsi" da un ambiente esterno percepito come pregiudiziale nei confronti della comunità etnica d'origine del genitore straniero:

 

 

«Passare una lingua è importantissimo […] Io so che i miei figli saranno "marcati" dall'esterno perché saranno figli di un albanese e sempre più albanesi che italiani … E' così, sono figli di un uomo albanese e porteranno il suo cognome […] Se io fossi la mamma albanese e lui il padre italiano sarebbe solo una questione di costume. Secondo me ci sarà un pregiudizio, spetterà al padre e a me passare l'orgoglio di essere figli di due culture, che si rafforzino e che sappiano gestirsi questa cosa. […] Se continueranno i pregiudizi rispetto a queste persone sarà inevitabile» (G. Italiana, partner Albanese);

 

«Un giorno [la signora ha un figlio di 8 anni] è venuto a casa piangendo perché lo avevano chiamato "Marocco" e altre cose brutte e mi parlava in italiano cosa che lui non ha mai fatto … Ed è come che aveva dentro come una rabbia […] Il padre poi lo ha preso e gli ha spiegato che deve andare fiero per quello che è, perché ha due cose e non una uguale e cose così gli ha detto … che gli altri sono ignoranti e invidiosi che lui può andare al mare in un posto bello tutte le estati» (R. Tunisina).

 

 

Messaggi ed immagini della propria origine, della propria storia, delle proprie tradizioni, da veicolare anche utilizzando -nel rapporto quotidiano con i/le figli/e- la lingua materna:

 

 

«Certo che parlo nella mia lingua, è fondamentale loro sono anche per metà argentini […] Hanno quello che io riesco a passare, come io sono … e vanno [in Argentina] e conoscono anche la loro gente» (Q. Argentina);

 

«Lei è bilingue, è per metà mia» (H. Algerino);

 

«Parliamo a seconda di come vogliono loro, italiano o spagnolo. All'inizio, quando erano piccoli per non fare confusione tra due lingue simili un insegnante mi aveva consigliato di parlare italiano. Poi sui 10 anni allora abbiamo parlato lo spagnolo. Ora parlano tutte e due» (E. Equadoregna).

 

 

La lingua come valore fondamentale e centrale percepito anche da chi, non ha perseguito nel tempo il bilinguismo dei/delle figli/e, e -a volte- può ricorrere a strategie educative "alternative" tendenti a "colmare" il senso di tale mancanza:

 

 

«Purtroppo loro parlano in italiano. Alle volte adesso un pochino in portoghese, ma ora, perché hanno interesse ad imparare [la signora ha due figli di 11 e 13 anni] Purtroppo in questo non sono riuscita a continuare, ma sono pochi gli stranieri che vivono in Italia e riescono a insegnare due lingue ai figli […] Mio marito mi ha sempre detto di insegnargli il portoghese, così anche quando andavamo a trovare i nonni potevano comunicare … Purtroppo … è difficile» (V. Brasiliana);

 

«Avevo iniziato ma poi ho smesso, ci vuole volontà perché in casa con mio marito parliamo italiano […] Anche con i nonni hanno poco perché devo sempre fare da interprete. Adesso abbiamo messo l'antenna e prendo la televisione Ucraina, così mi tengo informata e gli faccio vedere i programmi per i bambini lì, così guardando imparano» (V. Ucraina).

 

 

Un bilinguismo che facilita relazioni significative con la comunità parentale e familiare del genitore straniero e che può permettere al senso identitario dei/delle figli/e delle coppie miste il consolidarsi e lo strutturarsi della "duplice appartenenza":

 

 

«Per i figli è una questione di formazione identitaria, non si possono negare le doppie origini» (T. Italiana, partner Marocchino);

 

«E' per metà algerina, di questo lo sa ne deve andare fiera […] La vengono a prendere [i nonni] e la portano con loro [in Francia] così parla e sta con loro e prende da loro […] Ma si … lei crescerà qui ma sarà anche di là, di tutti e due» (L. Algerino);

 

«Loro hanno un rapporto di comunicazione data la distanza, un oceano ci divide, chi comunica con la zia, chi con la cugina e altro, per preferenza. Ho fatto tanti viaggi in Ecuador per lavoro e li portavo a turno. Qualche volta abbiamo fatto dei viaggi di famiglia a trovare i miei familiari» (E. Equadoregna).

 

3.4   UNA CULTURA DEL "POSSIBILE"

 

Con rifrazioni multiple, un caledoscopio di colori e immagini, nell'elaborazione/distacco delle culture d'origine, due mani esprimono il divenire di una trama "terza": un tessuto delle possibilità e delle occasioni.

Nello sfondo multiculturale di molte coppie incontrate, il riconoscimento identitario con le culture d'origine sembra apparire sfumato, frutto di un processo elaborativo precedente all'unione. Una presa di distanza da "marcate" identificazioni nazionali o etniche:

 

 

«Io non so, non mi sono mai sentita di avere una … cultura forte, mia» (M. Argentina);

 

«Il mio senso di personalità prescinde da considerazioni di nazionalità, dalla cultura del Paese d'origine. Ho vissuto anche in altri paesi Europei, in qualche modo mi servo delle varie appartenenze che ho avuto nel tempo» (H., Cileno);

 

«Mio marito è vissuto all'estero per molti anni, quindi non è così legato [alle sue origini …] e anch'io, come carattere, non siamo così … Noi abbiamo un diverso modo di vedere le cose rispetto alla gente, diamo più importanza ad altre cose» (D. Lettone);

 

«Sentirsi figli di un Paese d'origine non è una cosa che fa parte di me» (I. Italiana, partner Cileno);

 

 

L'unione interetnica è qui considerata fonte per nuove conoscenze, un arricchimento, un fattore di crescita personale, un patrimonio -anche simbolico- da cui attingere:

 

 

«La variante culturale è sempre una cosa molto importante. Io credo che arricchisca le persone e non le impoverisca. Credo che maggiore sia l'apertura culturale, non solo per me o per mia moglie, ma certamente anche per mia figlia, e più piacevole può essere il dialogo con altre persone» (F. Italiano, partner Lettone);

 

«La nostra è come una nuova cultura familiare … come i trentini con il loro dialetto e i loro modi di fare» (O. Venezuelana);

 

«Secondo me se non si è "fondamentalisti" è una ricchezza lo scambio di culture, sarei pronto a farlo anche con una cultura più diversa della sua (Argentina). C'è modo di conoscere cose nuove, di viverle più da dentro, di cambiare» (Z. Italiano, pertner Argentina).

 

 

Le considerazioni stesse sul costrutto di "differenza d'origine" sembrano acquistare -in queste unioni e per entrambi i partners- il senso della "riflessione":

 

 

«Io penso che tra noi non ci siano differenze sostanziali, ma tutto è relativo, dipende sempre da quanta importanza gli diamo alle cose» (N. Italiano, partner Venezuelana);

 

«Non sento che ci sia dentro di me un peso delle abitudini italiane, è come se io le cercassi fin dall'inizio» (M. Argentina);

 

«Mio marito si è abituato al mio modo di pensare, e io al suo. E' diverso, non nego … ma in fondo le nostre radici sono Europee. E comunque, in senso profondo, ci capiamo bene » (B. Polacca);

 

«Anche se la mia radice non è tanto diversa, io ho una formazione di profonde radici cattoliche, simile all'italiana, c'è differenza […] Ma dipende anche da diversi fattori, non credo che sia uguale per tutti […] Comunque i modelli culturali e sociali predominanti sento che mi appartengono, in parte» (O. Venezuelana).

 

 

Il "distacco mediato dalle culture d'origine" (Bertolani B., 2001) sembra -pertanto- schiudersi -nelle scelte di vita quotidiane come in quelle educative- all'allargamento delle possibilità, alla scelta fra le opportunità (comportamentali, normative, tradizionali e religiose) offerte da entrambi i patrimoni simbolici di riferimento dei partners:

 

 

«Riguardo a valori e tradizioni all'età di mia figlia [sette anni] tu cerchi di darle tutte le informazioni possibili sia da una parte che dall'altra. Questo non rappresenta un problema» (F. italiano, partner Lettone);

 

«Per fortuna mi sembra che la cultura si sta evolvendo a livello globale, allargata […] Secondo me anche le piccole tradizioni sono simpatiche, perché ti danno l'idea di sapere da dove veniamo. A me piace l'idea "siamo cittadini del mondo", ma anche dire che a Trento si fa lo "smacafam" è importante» (Z. Italiano, partner Argentina);

 

«Per i nostri figli sceglieremo anche fra nomi polacchi, lui è d'accordissimo» (B. Polacca).

 

 

E' questa una ricerca delle "ulteriori possibilità" per la coppia, ricerca visibile anche nell'interesse alla conoscenza del mondo culturale dell'altro/a: usi abitudini, riti, cibi fra i partners diventano momenti di scambio, di elaborazione, di ibridazione:

 

 

«Cerchiamo di amalgamare insieme tutto … di prendere il meglio … delle due culture. Ho cercato di imparare, di informarmi sulla storia polacca, insieme a quella italiana di cui mi interessavo una volta … Da ogni cultura impari, ogni cultura ha qualcosa di buono […Anche nel cibo?] Non è che io cucino, comunque lei fa un po’ di tutto … un po’ misto, diciamo così … pastasciutta … piatti polacchi … alternando un pò» (A. Italiano, partner Polacca);

 

«Le ricette è un misto, poi prendiamo ciò che è più buono, in modo naturale» (N. Italiano, partner Venezuelana);

 

«Abbiamo gusti diversi. A me piace tantissimo la carne e a lei non piace. Lei mangia sempre pasta, le piace molto, a me no. A lei piace lo "zelten", che è una bomba calorica, e a me no. Io quando andiamo in Argentina mangio solo carne, che lì è buonissima […] Loro usano molte salse, che sono come i nostri sughi, per condire la carne. Buonissime … Beh! … con il mangiare è stata una salvezza incontrarci!» (Z. Italiano, pertner Argentina).

 

 

Parallelamente gli orientamenti educativi nei confronti dei/delle figli/e si manifestano in una costruzione quotidiana di legami e di appartenenze "plurali", nella «convinzione secondo la quale l'appartenenza a due culture, tra loro in ibridazione, è più arricchente di quanto non sia il riferimento ad un solo mondo culturale» (Favaro G., 2001, p.138):

 

 

«Noi a casa parliamo spagnolo […] Per i ragazzi essere figli di due culture, perché hanno dentro molto della madre, e meno male, sono più ricchi […] Una ricchezza e grazie a questo sono più aperti, pronti ad adattarsi senza traumi ai cambiamenti. Una famiglia come la nostra è forte […] e se si gestisce bene le diversità, in modo adeguato, una famiglia così favorisce lo sviluppo delle persone che la formano » (N. Italiano, partner Venezuelana);

 

«Mia figlia non è differente dagli altri bambini, né immagino che si senta tale […] Lei invece certamente ha una conoscenza in più: la conoscenza di una variante culturale» (F. Italiano, partner Lettone).

 

 

E' nel sostenere l'appartenenza del/della figlio/a all'ambiente culturale e sociale in cui è inserito/a e nell'integrarlo significativamente con i riferimenti simbolici e culturali del genitore straniero -in una soluzione di continuità culturale- che i genitori offrono ai/alle figli/e la "doppia autorizzazione" ad appartenere a due culture:

 

 

«Loro [i figli] abitando qui si sentiranno, in senso lato, figli di questo Paese, ma avendo ancora un riferimento in Polonia» (A. Italiano, partner Polacca);

 

«Vivendo qua mio figlio si sentirà argentino non come appartenenza ad un Paese, ma come identità che lui sente per sé» (M. Argentina);

 

«Noi sempre abbiamo preparato e sostenuto bene i nostri figli a capire che la loro diversità è un valore. E ora hanno coscienza di questo, capiscono la ricchezza di avere due origini, gli appartengono, » (O.,Venezuelana).

 

 

Legami e riferimenti multipli che sembrano considerati, dunque, come fonti di opportunità aggiuntive, visibile anche nella scelta -praticata (o da praticare) da tutte le coppie miste riconducibili in quest'ambito- del bilinguismo dei/delle figli/e:

 

 

«Parliamo in italiano io e lei, mia figlia parla in italiano con me e in russo con la madre […] Mia figlia parla correttamente anche l'inglese [la bambina, 7 anni, frequenta un corso di lingua inglese] … E' un esperimento … ben riuscito!» (C. Italiano, partner Lettone);

 

«Di questo [del bilinguismo] ne abbiamo già parlato con mia moglie [non hanno ancora figli] I bambini dovranno avere entrambe le lingue, sia il polacco che l'italiano. Stando qua e andando in Polonia d'estate bisognerà che imparino entrambe le lingue» (A. Italiano, partner Polacca);

 

«Beh, per forza devono imparare l'italiano vivendo qui … allora perché no [la mia]? Ma è naturale» (B. Polacca).

 

 

Una pluriculturalità e un bilinguismo che permette ai/alle figli/e di queste coppie miste relazioni significative con la comunità d'origine del genitore straniero, in un'ottica di apertura delle possibilità e di crescita personale:

 

 

«E' naturale che i miei figli mantengono un costante rapporto con la mia famiglia d'origine. Spessissimo si sentono per telefono, raccontano … e ogni volta che vado in Venezuela mi porto a turno uno dei miei figli» (O. Venezuelana);

 

«Certamente lei vede meno i suoi nonni in Lettonia rispetto a quelli qui, ma un rapporto con i nonni esiste eccome! Quando si telefonano … vedi … tu vedi il conto che va alle stelle …!» (C. Italiano, partner Lettone).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

4   PROVENIRE DA PAESI DIVERSI…

 

 

     Aspetti variamente comunicanti con le modalità di gestione delle differenze e delle appartenenze nelle famiglie interetniche sono rappresentati dal tipo e dalla qualità delle relazioni instaurate fra i partners e i rispettivi contesti (familiari, parentali, comunitari) d'origine e dall'integrazione del/della cittadino/a migrante nella comunità d'accoglienza.

 

     Se tutto sembra partire -dalle parole dei protagonisti- dall'incontro amoroso, è solo l'esistenza di un'elaborazione personale -non sempre consapevole- di presa di distanza dai valori condivisi e dai modi di pensare dominanti, che può permettere all'incontro con l'altro/a di trasformarsi in un rapporto stabile, che può permettere la scelta di unirsi "al di fuori del proprio gruppo d'appartenenza".

Scelta personale ma anche sociale, fatto concreto da riferire.

Le caratteristiche delle comunità familiari di riferimento, il genere l'età e l'origine del partner determinano -in maniera rilevante- le modalità di comunicazione dell' "incontro amoroso".

Nelle testimonianze da noi raccolte, a contatto con unità familiari considerate "aperte", "non tradizionali", "cosmopolite", o inseriti in contesti sociali ove la diversa nazionalità del partner non è socialmente percepita come fattore di "lontananza" -per provenienza nazionale o diversità religiosa- la "trasmissione dell'informazione" ha utilizzato modalità di comunicazione aperta e diretta:

 

 

«L'ho presentata … senza grosse formalità … e dopo abbiamo detto … "ci sposiamo". [… Come è stata accolta la notizia?] Benissimo, mia madre è una cosmopolita … nella mia famiglia abbiamo già altre nazionalità e religioni, mio cugino era sposato prima con un'australiana e poi con una thailandese … Sia come internazionalità sia come multi-religiosità non abbiamo nessuna remora» (C. Italiano, partner Lettone);

 

«Non c'è mai stata difficoltà con i miei, non c'era difficoltà per uno sconosciuto [straniero] … di cui non si conosce la famiglia … la mia famiglia è abbastanza aperta. [… E poi come li ha informati che si sposava?] Un giorno ho parlato ai miei … ho detto … "l'ho fatto", e loro "cosa hai fatto?" "mi sono fidanzata". E dopo G. gli ha telefonato ed ha chiesto la mia mano, proprio come si fa da noi ma … tramite telefono! Gli ho scritto tutte le frasi in polacco perché capiscano … e ci ridono ancora adesso di come pronunciava … Ma comunque prima lo conoscevano già … non è che ha telefonato all'improvviso!» (B., Polacca).

 

 

In altri casi, in particolare se l'omologazione matrimoniale è percepita come significativamente rigida o se le stigmatizzazioni sociali verso una determinata comunità sono particolarmente negative, si è ricorso a tecniche di neutralizzazione o a modalità di comunicazione mediata o posticipata:

 

 

      «Non l'ho detto subito che stavo con F., proprio per quello che si sente […] Li ho "preparati" … proprio perché c'è diffidenza nei confronti degli albanesi» (G. Italiana, partner Albanese);

 

«Ho sempre detto tutto … io sono un tipo aperto. Ma questa cosa non ho avuto subito il coraggio … ci ho messo tre anni per dirla […] Sapevano che avevo un tipo qui ma non sapevano che non era italiano e mi dicevano sempre: "ma perché non ce lo porti?" [i genitori vivono a Milano]e io dicevo "si, si, la prossima volta" […] Tre anni per dire che H. era algerino» (L. Italiana, partner Algerino);

 

«Convivevo con F. ma loro non lo sapevano […] Anche oggi, dopo tanti anni [che siamo sposati] non sanno che ho convissuto, non lo ammettono, da noi non è permesso» (H., Marocchino).

 

 

La possibile compresenza, nel partner, di alcune caratteristiche (classe sociale, livello d'istruzione, età) considerate qualità sociali, sembrano costituirsi quali fattori "mitigatori" della diversità, e possono essere anche sfruttati -utilmente- nella comunicazione:

 

 

      «All'inizio c'erano molte perplessità da parte di mia madre […] ma dopotutto … il ceto sociale e … la scuola è simile, si è mostrata comprensiva» (O., Venezuelana);

 

      «Da parte di mio padre e di mia madre non ci sono stati problemi, anche perché io ho detto subito che lui era laureato come me, ricercatore al suo Paese … era in una posizione di prestigio» (G., Italiana, partner Albanese);

 

      «Si, problemi … da parte dei miei suoceri … più che altro per la religione [musulmana] per quello che si dice qui […] Ma poi … non tanti …il fatto che i miei sono in Francia da tanti anni e che insegnano all'università […] che ero laureato in Francia … anche i miei fratelli … tutti, allora queste cose qui, anche loro insegnano … queste cose li ha … diciamo … come più uguali … tranquillizzati» (H., Algerino).

 

 

Una qualche forma di appartenenza e di garanzia può essere richiesta al partner vissuto come "diverso", potenziale fattore di "disgregazione" di codici culturali o religiosi:

 

 

      «In Thailandia con il rito buddista […] Perché anche i suoi chiaramente mi dicevano: "Con chi la mandiamo, dove la mandiamo … cosa la mandiamo a fare … cosa … " […] cercavano delle garanzie … è anche giusto» (R. Italiano, partner Thailandese);

 

«Quando l'ho detto [che mi sarei sposato con una italiana] non l'hanno presa bene … volevano una donna come noi […] della nostra religione […] Ci siamo sposati con il rito musulmano» (H., Marocchino);

 

«La cosa più assurda è che i miei volevano proprio che ci sposassimo in chiesa, con il rito cattolico e i suoi … con il rito musulmano […] Uguali, dicevano le stesse cose, per la religione, per la gente, per i figli, … una cosa … difficile … da una parte dovevamo scegliere … » (B. Italiana, partner Algerino).

 

 

Stereotipie e luoghi comuni possono -altresì- informare commenti che dalla sfera dell'affettuosità traggono la forza di essere esplicitati:

 

 

      «Mia sorella all'inizio, mi ha detto cose … che potevano alludere al fatto che mi sposava per il permesso di soggiorno … secondo lei me le diceva per il mio bene … Anche mio cognato […] ho percepito che c'era diffidenza perché era albanese, discorsi non chiari, tanto che né io né F. abbiamo risposto … » (G. Italiana, partner Albanese);

 

      «Tante persone … parlavano solo di difficoltà [che avrei potuto trovare], … si c'erano tante persone, non a casa mia, ma fra i miei amici e anche fra persone importanti per me, come i miei professori … ed il prete» (B. Polacca);

 

      «Mi dicevano "ma proprio un italiano ti devi sposare con tanti bravi ragazzi albanesi che ci sono …" […] Avevano paura che … la stessa cosa che dite voi sui giornali … per quelle cose della prostitute … loro pensavano che O. potesse … [indurmi alla prostituzione]» (F., Albanese);

 

      «Raccontai ad un amico che mi sposavo [con una cilena] e lui fece delle battute abbastanza volgari alle quali stupidamente non risposi. Glielo raccontai e la offesi. Ho capito dopo di averla offesa perché non ho neanche reagito […] sai quei discorsi che si fanno tra uomini, stupidi […] Poi tante altre battute … da amici … fatte in modo ironico … discorsi che finivano sempre nella sfera sessuale» (R. Italiano, partner Cilena).

 

 

Il legame affettivo fra la comunità familiare/parentale/amicale dei partners sembra, comunque, fungere -generalmente, anche laddove erano visibili "perplessità" iniziali- da "collante" per l'accettazione o l'integrazione dell'altro/a nelle comunità di riferimento:

 

 

      «C'era solo mia suocera … suo padre era già morto … era un pochino allarmata per tanti motivi … non mi conosceva bene … italiano … allarmata … sua figlia lavorava e quindi portava un aiuto in casa […] Per tante cose, ma non so bene […] Però poi questa reazione è passata … non è stata eccessiva» (R. Italiano, partner Cilena);

 

      «All'inizio i miei genitori erano un po’ … titubanti … diciamo così … i miei sono anziani    sono così   Poi l'hanno conosciuta [… è andata] bene. Non c'erano problemi insomma. [E i suoi suoceri …] Mah … insomma, anche loro avevano qualche titubanza ecco, uno straniero … sai, …ma … all'inizio era un po’ … ma poi è andato tutto normale» (A. Italiano, partner Polacca);

 

«Quando H. li ha informati … erano ostili, molto ostili … è gente anziana e … la religione [musulmana] lì è molto sentita. Non volevano insomma […] Adesso … beh, non è che li vedo tanto e poi c'è il problema della lingua, però non è che posso dire … Forse lo fanno per H. o per i nipoti non so … ma non è che posso dire che non sono accolta» (F. Italiana, Partner Marocchino).

 

 

La cerchia amicale non appare modificarsi sostanzialmente. Non si tende -a differenza di quanto evidenziato in altri studi[20]- a preferire relazioni con altre coppie interetniche o a frequentare luoghi di possibili incontri:

 

 

«Amici miei, connazionali, li frequenta anche lui ma non tutti […] e io i suoi […] Si, una è che lei è brasiliana e lui italiano … ma non è che li frequentiamo per quello … lei è una amica mia …» (V., Brasiliana);

 

«Per il mio carattere … non è che io sia una che ha tanti amici […] A. no, siamo diversi, lui ha tanti amici è di carattere […] No, non conosciamo coppie miste» (B. Italiana, partner Algerino);

 

«Li conosco ma per caso … abitano qui [ …nello stessa palazzina] Io ho le mie amiche, lui non le frequenta perché sono donne» (V., Ucraina);

 

«Il mio lavoro [traduttore] mi porta a conoscere tanta gente, anche straniera […] Con alcuni siamo amici [… Coppie miste?] Fammi pensare … si penso due … tre, con O. li frequentiamo come frequentiamo altre coppie italiane, non perché sono coppie miste» (N. Italiano, partner Venezuelana).

 

 

Se nel contesto familiare/amicale è accolta la "differenza" dell'altro/a, il contesto sociale di inserimento del/la cittadino/a migrante appare caratterizzarsi -nelle testimonianze da noi raccolte, anche nella percezione dei partners italiani- in orientamenti ed atteggiamenti "ambivalenti", connotanti "una società fondamentalmente incline alla diffidenza"[21].

Parallelamente, processi di generalizzazione privi di discrezionalità e giudizi di valore negativo sembrano sostenere la differenziazione dell'"altro" dalla comunità d'appartenenza:

 

 

      «Nella società italiana si sono creati degli schemi generali sugli stranieri: uno è cattivo per la sua religione, altri sono slavi e albanesi e sono delinquenti che vengono per rubare […] o per la prostituzione e basta. Un'amica qui per cena mi ha detto che lei non mi considera albanese … allora nella sua mente l'albanese è "un'altra cosa". Cosa devo dire io …» (F., Albanese);

 

      «Mi è stato detto, da gente molto "intellettuale", molto impegnata socialmente, che è un "pericolo" l'aver sposato un albanese […] Mi è stato detto chiaramente, più volte, da persone che conoscevo appena, una cosa …» (G. Italiana, partner Albanese);

 

      «Qui c'è il Papa, salvate solo il Papa […] Qui si vede tutti come poveri e senza cultura. Sempre con quell'occhio lì. Un Paese è povero e pensate […] che è senza storia o ha una storia meno importante […] E' buono, ha una civiltà […misurata] solo con il metro del denaro. Un Paese per la sua storia non ha avuto … allora possono venirti a dare anche le cose vecchie …» (S., Polacca).

 

 

Per la realtà del soggetto migrante più sono visibili/percepibili i suoi tratti somatici, il colore della pelle, la lingua o la religione, più essi tracciano i confini simbolici (e culturali) in base ai quali la comunità autoctona percepisce "ciò che è diverso da sé" (Bertolani B., 2001), in base ai quali, cioè, costruisce stereotipizzazioni o immagini inferiorizzanti dell'altro:

 

 

      «Lui ha sempre difficoltà, quando la gente vede il suo aspetto esotico gli chiede: "ti piace la pastasciutta?" delle cose assurde succedono» (I. Italiana, partner Cileno);

 

      «Quando parlo sento che la gente mi guarda spesso. Prima mi scambiano per un'italiana perché ho la pelle chiara, sono chiara di capelli, alta con gli occhi azzurri e mi muovo bene nelle cose italiane [la signora è ], sono come mie ormai. Poi mi sentono parlare e capiscono che non sono italiana, forse non subito ma dopo si. Ecco, io sento questo passaggio tra il prima e il dopo … Si chiedono, ma è italiana o straniera? da dove viene questa … Dopo tanti anni questo mi pesa ancora» (M., Argentina);

 

      «Non mi hanno mai detto cose così brutte come alle volte fanno a quei ragazzi … i "Vu cumprà" come li chiamano … che devono lavorare, li deprimono proprio. Ma come a loro no» (V., Brasiliana);

 

«Tante di quelle parole ho sentito … tante parole che mi hanno fatto star male […] Anche nei negozi, quando entravo per comprare qualche cosa sentivo una differenza rispetto ad un'italiana […] non è cambiato, è che ora non ci faccio più caso perché ormai mi sono abituata» (S., Thailandese).

 

 

Gli atteggiamenti pregiudiziali o i comportamenti discriminatori conseguenti, che siano piccolezze o meschinità o atti e atteggiamenti xenofobi, si incuneano negli interstizi della maggioranza delle testimonianze raccolte:

 

 

«Si, tanti episodi [mi sono capitati], soprattutto negli uffici […] All'INPS mi dicevano che non potevo avere l'aspettativa perché non c'erano i contributi. E io … lì a spiegare che i contributi c'erano, e loro mi hanno detto che noi donne ucraine vogliamo stare in nero per guadagnare di più e che, allora, che cosa vogliamo di più. Io ho litigato molto quel giorno … non ero contenta di essere in Italia» (L. Ucraina);

 

«Nella scuola, con i miei figli, gli altri bambini li chiamavano "marocchini" con l'intenzione di offenderli […] Loro [le maestre] sapevano … ma prima niente … [Dicevano] che è una cosa di bambini […] Poi ho discusso, anche F. si è molto arrabbiata […] è una questione di civiltà» (H., Marocchino);

 

«Ho sentito … si, ho sentito certe battute rivolte ad A. … […], ad esempio nelle file davanti agli uffici, una vecchietta una volta gli ha detto: "Ma come! Mi ha rubato il posto, voi ci prende il posto e sempre di più!". Ha generalizzano in un contesto di razzismo […] Ci sono tanti esempi, ma non mi vengono in mente … fammi pensare, perché sono piccole cose che succedono tutti i giorni […]. Lui si sente sempre un po’ sotto esame» (I. Italiana, partner Cileno);

 

«Si sente di più nelle relazioni formali […] Piccoli atteggiamenti […] ad esempio nella scuola di mia figlia i bambini vengono schedati rapidamente come "diversi", "straniero" … hanno, sotto sotto, un atteggiamento di superiorità molto fastidioso» (Q., Argentina).

 

 

La "richiesta di cittadinanza", quale "strategia di riduzione" dei "sempre possibili" atteggiamenti discriminatori, sembra assumere il suo esclusivo significato nell'essere "facilitatore della vita".

Un mezzo aggiuntivo che, nello stesso significato attribuito dalla totalità delle testimonianze raccolte, rinvia, inevitabilmente, ad un'immagine della società locale costellata da chiusure e indifferenze:

 

 

      « Ho la cittadinanza perché così mi sono semplifica la vita. I documenti, le pratiche burocratiche. E' stato per opportunità che ho fatto questo, non c'è nessuna altra ragione» (M. Argentina);

 

      «L'ho richiesta perché ero stufa […] ogni cosa il permesso di soggiorno … ero stufa» (S., Thailandese);

 

      «Tutto è più semplice ora, l'ho presa per interesse» (S., Polacca);

 

      «Non volevo prima […] ma sempre quella burocrazia … e ti guardano come se chiedessi un favore … allora mi sono decisa» (V., Ucraina).

 

 

Specularmente, sembra indicativo che solo tre testimonianze (sulle 35 raccolte) riferiscono anche ad altre motivazioni sottostanti la richiesta della cittadinanza:

 

 

      «Per viaggiare, per lavorare … E poi, perché mi sembra più di essere una concittadina italiana se ho i documenti italiani» (B., Polacca);

 

      «Mah! … vivendo in questo paese … pagando le tasse … vuoi anche sentire che appartieni … Le cose che succedono, nella politica per esempio, hanno effetto su di me e allora, avendo la possibilità di votare mi permette di partecipare a questo, anche per senso civico. Poi, dal punto di vista dei documenti … noi viaggiamo tanto … e con il passaporto di prima era una cosa molto difficile. Dopo che è nata mia figlia … penso che sia meglio anche dal punto burocratico … Anche con mio marito ci sentiamo più … alla pari … » (F., Lettone)

 

      «Ho fatto la domanda [della cittadinanza] perché decidendo di vivere in Italia è utile avere anche la cittadinanza, per il lavoro ma anche per altri motivi […] Mi da maggiori opportunità, anche se non cambia tanto. Sei cittadino italiano ma sei albanese, ti senti albanese e lo sei sulla carta. Ma [se hai la cittadinanza] puoi fare concorsi e puoi votare, almeno ti senti partecipe della vita di dove abiti» (F., Albanese).

 

 

Processi di difesa/minimizzazione che sembrano traducibili in una sorta di "accettazione della realtà in cui si vive", realtà che appare mossa -nella percezione degli intervistati- più dalla "leggerezza" data dall'ignoranza (intesa nel suo significato di non conoscenza) e alla paura della diversità che da sedimentate o profonde ideologie razziste o xenofobe:

 

 

      «Tante critiche ho sentito [perché ho sposato un marocchino], ma ho preferito dimenticarle e non prenderle in considerazione […] Sono solo il prodotto di una società alquanto "stretta"» (T. Italiana, partner Marocchino);

 

      «Alcuni miei parenti ebbero molto da dire [… perché mi sposavo con una cilena] perché apparteneva ad una cultura diversa … Colpa dell'ignoranza di questi miei parenti … Qui in Italia, secondo me, c'è una forma di razzismo latente […] è più ignoranza … tanta gente neanche sa dove sta [… con la testa] senza una cattiveria precisa … qualcuno ha sempre qualche cosa da dirle» (R. Italiano, partner Cilena);

 

      «Basta avere la pelle un po’ piu scura che trattano, o tentano di trattare come servo […]è questione di una forte ignoranza di fondo» (Q., Argentina).

 

 

La diversità del partner e la propria, relativa, differenza -«mah … io no so … lei è straniera ma anche io lo sono per lei» (U. Italiano, partner Ucraina)- sembrano generalmente vissuti nella loro dimensione più gratificante, punto di forza che arricchisce la coppia nello stesso elemento che la differenzia:

 

 

      «Insomma … può sembrare stupido … ma io devo dire che sono orgogliosa … Non so come dire … no, non è proprio orgoglio … ma sono contenta … ho di più» (L. Italiana, partner Algerino);

 

«E' proprio questo [l'essere diversi] che è bello» (F. Italiana, partner Marocchino);

 

«Siamo come un crocevia …» (R., Tunisina).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

5                CONCLUSIONI

 

 

L'analisi da noi compiuta -volta a sondare alcune modalità relazionali delle coppie miste incontrate nella gestione delle differenze culturali e i rapporti instaurati con le comunità di riferimento- ha permesso di evidenziare che -pur in presenza di culture familiari ove il sistema valoriale di riferimento di un partner appare prioritario (sia esso il portato di approcci relazionali orientati all'assimilazione o all'affermazione)- prevalentemente la trama delle relazioni di coppia appare volgersi al confronto e al compromesso -paritario- fra entrambi i sistemi simbolici di riferimento dei partners (siano essi il frutto di strategie relazionali orientate alla mediazione o all'allargamento del possibile).

 

     Non scevre da difficoltà, endogene ed esogene al nucleo familiare (in particolare appaiono problematici i rapporti dei cittadini stranieri con la comunità autoctona), le coppie miste, le famiglie meticce incontrate, nello sperimentare quotidianamente il gioco degli incontri, scontri, contaminazioni culturali del vivere "assieme nella diversità", modellano -parallelamente- inediti orizzonti culturali, ove l'ibridazione delle culture d'origine -schiuse, vissute, ridefinite- formano una nuova composizione, una trama inedita.

 

E' nelle strategie attuate per la valorizzazione delle differenze culturali fra i partners -considerate un patrimonio da cui attingere- che questi "luoghi di osservazione privilegiata della realtà" mostrano le loro "potenzialità". Modelli da cui attingere per una società "plurale" che voglia essere tale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

 

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[1] Nel testo, per esigenze d'esposizione, i sostantivi - unione, coppia, famiglia - sono da considerarsi sinonimi.

[2] «Un tempo, come del resto oggi, una regola fondamentale per la scelta del coniuge era quella della omogamia, per cui di sposava il/la simile socialmente, onde evitare mésaillances e garantire quella stabilità e equilibrio del rapporto necessari alla sua efficacia: che lo scopo fosse quello di trasmettere un patrimonio ad "eredi" adatti […] o anche, come si sostiene oggi, soddisfare i bisogni affettivi e sessuali di entrambi i coniugi» (Saraceno C., Sociologia della famiglia, Bologna, Il Mulino, 1988, p.94).

[3] con esclusione dei/delle cittadini/e del Nord - America e dei Paesi Europei non comunitari.

[4] E' all'approfondimento della realtà esaminata che mirano metodologie di tipo qualitativo. Gli spunti desumibili dall'indagine svolta non hanno - pertanto - la pretesa di essere esaustivi o generalizzabili all'universo delle coppie miste. Le osservazioni sono da ritenersi attendibili rispetto allo spaccato analizzato.

[5] Le interviste, della durata media superiore agli ottanta minuti, sono state condotte da personale preparato in alcuni incontri di briefings. I brani delle interviste riportati nel presente studio sono contrassegnati da una lettera che - progressivamente - ha siglato le testimonianze raccolte e dall'indicazione della nazionalità della persona incontrata. Nel caso di cittadini/e italiani/e è stata indicata anche la nazionatà del/la partner.

[6] I permessi di soggiorno risultano comprensivi dei permessi rilasciati per lavoro stagionale, ma non fotografano il dato sui permessi validi ma non ancora registrati e su quello relativo ai minori, che non sono titolari di un permesso di soggiorno autonomo.

Pur senza addentrarci nell'argomento riteniamo utile ricordare che la capacità informativa fornita dai dati sui permessi di soggiorno o sulle iscrizioni alle anagrafi comunali possiede - allo stato attuale - una serie di limiti connaturati alla rilevazione dei dati. Questi limiti, comunque, non inficiano la loro attendibilità come indicatori della presenza straniera sul territorio nazionale. (ISTAT, 1999)

[7] Nel 1991 le famiglie miste, con un/a componente italiano/a, risultavano essere 65.100 (Maffioli D., 2001, p.59).

[8] In caso di matrimonio con cittadino/a italiano/a il/la cittadino/a straniero/a può far richiesta di cittadinanza trascorsi 6 mesi dalla celebrazione del matrimonio se il/la cittadino/a italiano/a risulta residente in Italia o dopo 3 anni se residente all'estero. In tale lasso temporale la separazione dei coniugi o l'annullamento del matrimonio precludono la possibilità di presentare l'istanza di cittadinanza (L. n°91 del 05/02/1992 e regolamenti attuativi DPR n°572 del 1993 e DPR n°362 del 1994)

[9] Analogamente al concetto economico, la locuzione "mercato matrimoniale" è usata negli studi demografici e sociologici per indicare lo spazio ideale in cui avviene il confronto fra individui "matrimoniabili". Sono studiate le condizioni di equilibrio e gli aggiustamenti, in particolare utilizzando la struttura per età e genere. In alcuni casi, come nelle coppie miste, sono considerate altre variabili, che devono essere in equilibrio o che provocano aggiustamenti. Tali variabili, culturalmente determinate, devono, comunque, verificare un elevato grado di omogamia.

[10] I dati contenuti in questa sezione, se non diversamente specificato, sono riferibili a una complessa ricerca a carattere nazionale basata sull'analisi del comportamento demografico e procreativo delle coppie miste nell'arco temporale 1986-1989: Kosinski L.A., Birindelli A.M., Bonifazi C (a cura di), Impact of migration in the receiving countries. Italy, Ginevra, Iom-Cicred, 1993; Reginato M. (a cura di) La famiglia immigrata: interpretazioni sociodemografiche di una realtà in crescita, Torino, Cicsene, 1994; Maffioli D., «I comportamenti demografici delle coppie miste», in Tognetti Bordogna M., Legami familiari e immigrazione: I matrimoni misti, Torino, L'Hartmattan Italia, 2001 pp. 49-76.

[11] «Come risultato della probabile migliore posizione socioeconomica del partner italiano, la donna straniera originaria di un Paese in via di sviluppo, nello sforzo di ritagliarsi uno spazio nella società italiana, può essere indotta ad accettare situazioni per qualche lato svantaggiose sul piano personale, mentre per lo stesso motivo la donna italiana potrà più facilmente dettare le sue condizioni al partner straniero» (Maffioli D., 2001, p. 65).

[12] Terranova Cecchini R., «Crisi dell'incontro etnico di coppia» in Tognetti Bordogna M., op. cit., 2001, pp.139-154.

[13] «Nelle scelte educative, come in quelle quotidiane, tale atteggiamento si tradurrà in un processo di rimozione o occultamento di una parte degli elementi culturalmente specifici presenti in origine nella coppia, con conseguente diminuzione del grado di diversità interna e di possibile conflittualità fra i partner» (Bertolani B., 2001, p.55).

[14] Ciò si traduce, nelle scelte educative, in strategie di "doppia autorizzazione" (Favaro G., 2001), la doppia cultura come capitale di opportunità.

[15] «Ogni scelta culturale o educativa può così costituire il risultato di un processo di contrapposizione che genera, di volta in volta, dei vincitori e dei vinti» (Bertolani B., 2001, p.56).

[16] «L'ambito "mediazione" implica un genere di accomodamento che assomiglia al compromesso e che può essere di due tipi: a) la scelta che ciascun coniuge compie si colloca a metà strada tra le proprie e le altrui preferenze; b) le dinamiche di riequilibrio si giocano su fronti diversi [ … Tale modalità] implica l'accettazione ed il rispetto delle reciproche diversità, nonché la ricerca di un divisore comune, di punti di partenza condivisi cui fare riferimento» (Bertolani ., 2001, p.57).

[17] E' al genere femminile che tradizionalmente compete l'acquisto e la trasformazione del "bene cibo", «nulla [infatti] può essere consumato se prima non è trasformato: se il cibo acquistato non è cucinato e servito, se la tavola non è preparata, i piatti non sono lavati …» (Saraceno C., 1988, p.186).

[18] Favaro G., «Le radici diverse. Famiglia mista e scelte educative» in Tognetti Bordogna M., op.cit., 2001, pp.127-138.

[19] Si rimanda al successivo paragrafo per l'approfondimento delle dinamiche relazionali e dello sfondo culturale caratterizzanti tali unioni.

[20] Cfr. in particolare Tognetti Bordogna M., 1996, 2001; Bertolani B., 2001, Vicarelli G., 1994.

 

[21] La percezione dei soggetti intervistati non appare dissimile da quanto già evidenziato in altri studi condotti sul territorio provinciale. Cfr. in particolare: Bastarelli B., Invisibili ma presenti. Fra i luoghi del vivere quotidiano, l'appartenenza etnica e le espressioni della comunità ospitante. Percorsi di partecipazione delle donne migranti, Rapporto di ricerca, Ass. Uyamaà, Trento, 2000; Lonardi N., Jabbar A. (a cura di), Immigrati e partecipazione in un contesto multietnico. Il caso del Trentino-Alto Adige, Dipartimento per gli Affari Sociali - Presidenza del Consiglio dei Ministri, Working Paper n°2, Roma, 1999.