sulle norme minime per la
concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di
sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli stati
membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze
dell’accoglienza degli stessi
Il regime di protezione, in mancanza di decisione di cessazione adottata dal Consiglio, e’ prorogato automaticamente di sei mesi in sei mesi per un secondo anno. E’ solo l’ulteriore proroga di un anno a richiedere una nuova decisione del Consiglio.
Non si capisce in che misura siano pertinenti le disposizioni dell’art. 33 del Testo unico, in relazione alla protezione temporanea di minori non accompagnati.
L’esclusione puo’ avvenire in seguito a condanna per reato “particolarmente grave”, tale da far ritenere la persona un pericolo per la sicurezza della comunita’ dello Stato membro ospitante. I reati riportati al comma 2 non possono essere considerati tutti “particolarmente gravi”. L’automatismo dell’esclusione contrasta con il successivo comma 3.
E’ inaccettabile che la persona non ammessa sia, per cio’ stesso, espulsa. Caso mai dovrebbe essere respinta alla frontiera, ovvero dovrebbe essere adottato un provvedimento di invito a lasciare il territorio dello Stato. Salvo il caso di contraffazione dei dati finalizzato ad eludere l’esclusione, la persona non dovrebbe essere sanzionata con un divieto di reingresso.
La direttiva pone come condizione per il ricongiungimento (facoltativo) dei familiari di cui alla lettera c) del comma 1 la necessita’ di protezione, non discriminando tra coloro che hanno gia’ avuto protezione in altro Stato membro e coloro che si trovino ancora fuori dal territorio dell’Unione europea.
Dovrebbe essere esplicitamente affermato che anche il permesso rilasciato ai familiari abilita allo svolgimento di attivita’ di studio e lavoro.
Data la criticita’ di una rinuncia all’istanza di riconoscimento dello status di rifugiato, e’ opportuno che il comma in questione menzioni esplicitamente la necessita’ di informare adeguatamente lo straniero riguardo alle conseguenze delle disposizioni di cui all’art. 7, co. 2 del Decreto legislativo in esame.
Nota: il testo italiano dell’articolo 11 della
direttiva e’ ambiguo; fa riferimento, infatti, alla persona che
“soggiorni o tenti di entrare illegalmente nel territorio di un altro
Stato membro”. Sembra cosi’ che il semplice soggiorno faccia
scattare la riammissione. Il testo inglese recita pero’: “...
remains or seeks to enter without authorisation on the territory of another
Member State”; e’ il “rimanere” (il prolungamento non
autorizzato, cioe’) a far scattare la sanzione, non il
“soggiornare”. L’interpretazione corretta sembra essere quindi
quella che fa riferimento alla persona che “soggiorni illegalmente o
tenti di entrare illegalmente nel territorio di un altro Stato membro”.
Se le cose stanno cosi’, la disposizione di cui al
comma 1 e’ formulata male. Per un verso, non sembra legittimo applicare
un divieto di allontanamento in contrasto con la Convenzione di Schengen. Per
l’altro, non si puo’ dare per scontato che le disposizioni adottate
dagli altri Stati membri impediscano l’uscita dal ripettivo territorio.
L’attraversamento delle frontiere interne da altro Stato membro verso
l’Italia sarebbe allora legittimo, se effettuato attraverso un valico
autorizzato e nei limiti previsti dalla Convenzione di Schengen. Dovrebbero
pertanto essere sanzionati col rinvio verso lo Stato membro che ha accordato la
protezione solo l’ingresso attraverso un valico non autorizzato, ovvero
l’ingresso e/o il soggiorno in violazione delle disposizioni
dell’Accordo di applicazione della Convenzione di Schengen (es.: il
soggiorno prolungato oltre i tre mesi o il caso di omessa dichiarazione di presenza).