Oggetto: QUESITO - Regolarizzazione lavoratori non comunitari ex art. 33 L. 189/02, L. 222/02 -  interruzione del rapporto di lavoro emerso e possibilità di instaurazione di nuovo rapporto di lavoro, nelle more della procedura di regolarizzazione.

La richiesta oggetto del presente quesito, è originata dal fatto che, a livello territoriale, sono state riscontrate notevoli difficoltà, da parte dell’U.T.G., a dare un positivo riscontro alle situazioni afferenti alla problematica in oggetto.

Le disposizioni impartite in precedenza dal Ministero dell’Interno, con Circolare 16.01.2003, n. 2787, a firma della dott.sa D’Ascenzo, per il caso di morte del datore di lavoro (o del badato), di fatto non trovano puntuale e tempestiva attuazione per la gran parte degli interessati, a causa dell’altissimo numero di pratiche non ancora pervenute alle Prefetture.

La “specifica richiesta di trasmissione anticipata al Centro Servizi delle Poste”, delle pratiche non ancora pervenute,  viene infatti disattesa a causa della imperfetta archiviazione dei fascicoli da parte dello stesso Centro Servizi, rendendo la procedura di rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione di fatto inapplicabile nella maggioranza dei casi.

Al fine di consentire la valida instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro all’interessato in attesa di permesso di soggiorno, si richiede pertanto di valutare l’opportunità di considerare tali rapporti di lavoro quali rapporti validamente intrapresi, sulla base di una interpretazione analogica dell’art. 22, comma 12, D. lgs. 286/98, come modificato dalla L. 189/02.

La modifica alla norma dell’art. 22, introdotta dalla l. 189/02, è oltremodo significativa, nella misura in cui dispone che il possesso da parte del lavoratore della semplice ricevuta di presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, è titolo di soggiorno valido ai fini della prosecuzione del rapporto di lavoro o della instaurazione di nuovo rapporto di lavoro.

D'altronde, già la Circolare del Ministero dell’Interno N. 300.C/2002/2472/P/12.222.8/1^ DIV., del 31.10.2002, a firma del Capo della Polizia dott. De Gennaro, assimila, in via temporanea, la posizione dei lavoratori irregolari i cui datori di lavoro non hanno inteso procedere alla regolarizzazione e che in qualche caso hanno anche interrotto il rapporto di lavoro, nei cui confronti gli interessati abbiano aperto una vertenza, a quella dei perdenti il posto di lavoro (già titolari di permesso di soggiorno), facendola “rientrare nell’ipotesi di cui all’art. 22, comma 11 del T.U., relativamente al rilascio del permesso di soggiorno per una durata di sei mesi”.

Si tratterebbe di analogo procedimento interpretativo, in entrambi i casi fondato sulla considerazione che trattasi di lavoratori regolarmente soggiornanti, pur in via temporanea (fino alla definizione della procedura di regolarizzazione), la cui posizione viene assimilata a quella di coloro che siano già stati ammessi al soggiorno sul territorio nazionale in forza di specifico permesso di soggiorno, salvo che la soluzione già prospettata dalla circolare del Capo della Polizia testé citata dispone addirittura il rilascio di un permesso di soggiorno (attesa occupazione, per sei mesi), distinto da quello fisiologicamente previsto dalla legge in caso di positivo esito della regolarizzazione (permesso di soggiorno di durata annuale).

La interpretazione qui suggerita, invece, ad identica assimilazione dei lavoratori in attesa di regolarizzazione a quelli già in precedenza titolari di permesso di soggiorno, non fa seguire alcun rilascio di permesso di soggiorno, limitandosi a considerare la condizione di (temporanea) regolarità di soggiorno al fine esclusivo di garantire la continuità della possibilità di accesso al lavoro, alla stessa stregua di coloro che titolari di un permesso di soggiorno scaduto si trovano – nelle more della procedura - provvisti di semplice ricevuta di richiesta di rinnovo.

Ben si vede come il disposto dell’ art. 22, comma 12 T.U., recentemente introdotto dalla legge di riforma, si ispira proprio alla esigenza di non far gravare sul libero esplicarsi dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, tenendo indenne innanzitutto il datore di lavoro dalle conseguenze sanzionatorie, anche di carattere penale, che altrimenti sarebbero potute derivare (ai sensi del disposto normativo previgente) dall’assumere o mantenere alle proprie dipendenze un lavoratore già autorizzato al soggiorno, ma in una fase di verifica della sua posizione.

Si ricorda come, analogamente al caso che ci occupa, l’urgenza di tale intervento riformatore si era posta in tutta la sua gravità, in particolare con riferimento ai tempi della procedura di rinnovo dei titoli di soggiorno che sovente si prolunga ben oltre il termine di venti giorni indicato dalla legge (art. 5, comma 9 T.U.). Attualmente, la norma contenuta nell’art. 22, comma 12, punisce soltanto il datore di lavoro che abbia alle proprie dipendenze un lavoratore con il permesso scaduto “e del quale non sia stato chiesto nei termini di legge il rinnovo”, tenendo indenne il datore di lavoro da eventuali ritardi della Amministrazione, non a lui imputabili.

Si richiama l’attenzione sul fatto che anche in occasione del protrarsi della precedente procedura di regolarizzazione (D.P.C.M. 16.10.98), si era ritenuto di adottare analoga soluzione, considerando il “cedolino comprovante l'avvenuta presentazione della domanda di regolarizzazione” quale titolo di soggiorno idoneo alla costituzione del rapporto di lavoro, in attesa di esibire successivamente il permesso di soggiorno”, (Circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale n. 2567, del 25 novembre 1999, a firma del Sottosegretario Caron, il cui contenuto risulta esplicitamente richiamato e confermato dalla recente circolare del Ministero dell’Interno, del 16.10.2002,  N.300.C/2002/2068/P/12.214.3.4./1^Div., la quale recita che “la ricevuta della domanda a suo tempo presentata …, ha costituito titolo utile per il temporaneo soggiorno in Italia ).

Anche in quella occasione si era ritenuto di “corrispondere alle pressanti richieste pervenute da parte delle Associazioni di categoria dei datori di lavoro e dei lavoratori immigrati” riconoscendo esplicitamente l'efficacia di permesso di soggiorno temporaneo al cedolino comprovante l'avvenuta presentazione della domanda di regolarizzazione ex D.P.C.M. 16.10.1998, restando tuttavia fermo “che in caso di mancato rilascio del permesso di soggiorno in quanto il lavoratore risulta sprovvisto dei prescritti requisiti, il rapporto di lavoro non potrà ulteriormente proseguire”.

Non si può disconoscere un elemento differenziante tra l’odierna procedura di regolarizzazione e quella precedente, consistente nella circostanza che, a differenza della ricevuta di inoltro della domanda di emersione, il cedolino comprovante l'avvenuta presentazione della domanda di regolarizzazione ex D.P.C.M. 16.10.1998, veniva rilasciato previa identificazione personale del lavoratore non comunitario interessato.

Non sembra che tale differenza sia in alcun modo rilevante, al di fuori dei profili attinenti all’altra problematica, relativa alla possibilità o meno di allontanarsi dal territorio nazionale nelle more della procedura di regolarizzazione, oggetto di specifica circolare del Ministero dell’Interno N.300/C/2002/2293/P/12.222.8/1^Div., del 16 ottobre 2002, a firma del Capo della Polizia De Gennaro.  In proposito, si stabilisce che “essa non costituisce titolo che possa consentire, in caso di esodo temporaneo dal territorio nazionale, un successivo rientro in Italia dello straniero interessato, né l'attuale normativa prevede la possibilità di un'autorizzazione all'uscita ed al successivo reingresso del cittadino extracomunitario oggetto di emersione o legalizzazione… L'eventuale parallelismo con la ricevuta della richiesta di regolarizzazione del 1998 non è pertinente, in quanto allora l'istante veniva identificato al momento della richiesta, mentre, attualmente, nessuna Autorità ha ancora avuto contatti col clandestino il cui nome è solo indicato nell'istanza del datore di lavoro”. E’ evidente, dal tenore letterale della circolare in parola, che la “non pertinenza” del parallelismo con la regolarizzazione del 1998, deve essere riferita esclusivamente al riconoscimento del cedolino quale di titolo valido, oltre che per il soggiorno, anche per l’attraversamento dei valichi di frontiera esterni e per il reingresso (a seguito di allontanamento dal territorio nazionale), natura che ben poteva essergli riconosciuta nel 1998 a differenza di oggi.

 

Infine appare non del tutto superfluo svolgere alcune considerazioni in ordine alla ratio dei provvedimenti di emersione di rapporti di lavoro non regolari con cittadini extracomunitari, ex art. 33 l. 189/2002 (per il lavoro domestico o all'assistenza di familiari affetti da patologie o handicap che ne limitano l'autosufficienza) e D.L. 195/02, successivamente convertito con legge 9 ottobre 2002, n.222 ( lavoro subordinato).

Già prima della entrata in vigore di tale normativa, la Circolare n. 13 del Ministero dell’Interno del 19 luglio 2002, provvedeva ad illustrare i “principali punti della normativa e della procedura riguardante la presentazione delle dichiarazioni di emersione e legalizzazione del lavoro irregolare, nonché la fase conclusiva della stipula del contratto di lavoro e del rilascio del permesso di soggiorno”.

Tale circolare provvedeva ad esplicitare la ratio dei provvedimenti di emersione del lavoro irregolare nei termini seguenti: “I datori di lavoro che presenteranno la dichiarazione di emersione o di legalizzazione di lavoro irregolare, secondo quanto stabilito dalle norme sopra richiamate, non saranno punibili per le violazioni delle norme relative al soggiorno, al lavoro, nonché per quelle di carattere finanziario, in relazione all'occupazione dei lavoratori extracomunitari indicati nella dichiarazione”, evidenziando al chiara volontà di riconoscere rapporti di lavoro esistenti e non regolarizzati a causa dell’impossibilità derivante dalla situazione di soggiorno irregolare dei lavoratori impiegati.

A conferma di tale finalità venivano indicati come elementi ostativi alla regolarizzazione: un eventuale provvedimento di espulsione per motivi diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno (elemento in seguito ulteriormente circoscritto all’espulsione eseguita con accompagnamento immediato), la segnalazione ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato,  una denuncia per uno dei gravi reati indicati negli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, a cui non sia seguita sentenza di assoluzione; in tal modo esplicitando la volontà di riconoscere il più possibile situazioni di concreta integrazione dei lavoratori, escludendo soltanto coloro che si siano macchiati di gravi reati o che, pur rimpatriati coattivamente, abbiano fatto nuovamente rientro in Italia sottraendosi ai controlli di frontiera.

La stessa circolare chiariva che la procedura riguardante la presentazione delle dichiarazione di emersione e legalizzazione del lavoro irregolare e la fase conclusiva della stipula del contratto di lavoro e del rilascio del permesso di soggiorno “si ispira alla massima semplificazione e semplicità del procedimento”

La finalità di privilegiare la situazione di fatto, viene esplicitata dalla Circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale N. 50/2002 del 20 settembre 2002, la quale nel rendere noto alle dipendenze territoriali dell’entrata in vigore della legge, sottolineava l’esigenza di dare una risposta efficace, indicando una procedura specifica in deroga a quella ordinaria di competenza delle Direzioni Provinciali del Lavoro: “l'incaricato della Direzione Provinciale del Lavoro, tenuta presente la specifica fase del procedimento a lui affidata, non dovrà chiedere alcuna ulteriore notizia, oltre a quelle necessarie per la compilazione del modello contrattuale; in particolare, non è previsto che debba curare alcun approfondimento né sulla capacità economica o sulle esigenze del datore di lavoro né sulle caratteristiche dell'alloggio offerto. Questo, sia in ragione della natura speciale della legge sia perché la dichiarazione di emersione o legalizzazione interviene su rapporti di lavoro già in corso; è da ritenere pertanto che la parte datoriale sia nelle condizioni economiche per assicurarne la prosecuzione.

Ma soprattutto, la già citata circolare del Ministero dell’Interno N.300.C/2002/2472/P/12.222.8/1^DIV., del 31 ottobre 2002, chiarisce in maniera inequivocabile come l’opportunità data dalla legge ai datori di lavoro di sanare le posizioni lavorative irregolari, non è rimessa alla discrezionalità di questi ultimi, corrispondendo invero ad un interesse generale, che viene sancito dalla possibilità di accedere alla regolarizzazione anche per quei lavoratori i cui lavoratori si rifiutino di fare la dichiarazione di emersione, preferendo mantenere un rapporto di lavoro illegale, ovvero addirittura interrompendo il rapporto al fine esclusivo di non provvedere alla regolarizzazione dello straniero.

La soluzione interpretativa prospettata appare pertanto opportuna, in ottemperanza alle richiamate esigenze  di massima semplificazione, in aderenza alle caratteristiche e ai tempi fisiologici propri di un mercato del lavoro sempre più flessibile e dunque al fine di consentire una continuità di impiego regolare a lavoratori i quali sono regolarmente presenti sul territorio nazionale ed autorizzati all’esercizio di una attività lavorativa.

Diversamente, o in assenza di altra soluzione interpretativa che Questo Ministero vorrà adottarre, saremmo di fronte alla, peraltro da più parti segnalata, paradossale circostanza della presenza di un enorme numero di persone autorizzate a soggiornare sul territorio nazionale (ed anzi impossibilitate ad allontanarsene), per le quali, perduto l’originario rapporto di lavoro, l’unica possibilità risiede nel ripercorrere la strada dell’occupazione irregolare.