Gli effetti della guerra preventiva si
fanno sentire anche sul fronte interno, ed aggravano le misure repressive
contro i migranti con una spirale che sembra non debba avere mai fine.
Malgrado siano ormai numerose le
“bufale” prese dalla polizia alla caccia di fantomatici terroristi
islamici, ad ogni sentenza di proscioglimento, in qualche caso con risarcimento
dei danni per ingiusta detenzione, segue il “boato” di una nuova
notizia di associazione terroristica, con la consueta raffica di arresti,
amplificata ad arte dai media che invece trascurano le notizie delle
assoluzioni o dei proscioglimenti. Questa strategia poliziesca e mediatica,
piuttosto che alimentare il senso di insicurezza della popolazione, ormai
abituata a livelli crescenti di disinformazione, rischia di produrre frange di
estremisti tra i tanti fondamentalismi pure presenti nel nostro paese. Anni e
anni di lavoro di integrazione, legami di solidarietà costati
l’impegno generoso di tanti, italiani e stranieri insieme, rischiano
così di andare irrimediabilmente perduti, con un degrado complessivo
della nostra convivenza civile.
a)L’allontanamento forzato ed il
respingimento degli stranieri irregolari.
Ma la guerra ai migranti in Italia, ed in
altri paesi europei, è
stata dichiarata da tempo, ed ha trovato le sue armi più affinate nella
nuova legge sull’immigrazione approvata lo scorso anno dal Parlamento (
l. n.189 del 2002).
In Italia sono violati sempre più spesso il diritto di asilo previsto dalla
Costituzione, la riserva di legge prevista in materia di condizione giuridica
dello straniero dall’art. 10.2 della stessa Costituzione, la
intangibilità dei diritti di libertà (per effetto di
provvedimenti di polizia non sottoposti al pieno controllo giurisdizionale
dettato dall’art.13) ed i diritti di difesa previsti dall’art.24
della Costituzione.
Dopo l’entrata in vigore della
legge Bossi- Fini, si stanno diffondendo procedure “sommarie” di
allontanamento forzato degli stranieri irregolari, come il respingimento dalle
cd. zone di transito aeroportuale o marittimo, e l’espulsione con
accompagnamento immediato,
In questi ultimi casi, caratterizzati
dalla estrema brevità delle procedure, diventa decisivo il rapidissimo
riconoscimento effettuato dall’autorità consolare del paese di
provenienza dell’immigrato da rimpatriare, e per effetto dei nuovi
accordi di riammissione i documenti di viaggio essenziali per i rimpatri
vengono forniti dai consoli (ammessi dalle autorità italiane a visitare
i centri di permanenza temporanea o altri luoghi dovo sono trattenuti in stato
di fermo di polizia gli immigrati da espellere) vengono forniti in tempi sempre
più brevi.
Dopo il “riconoscimento” e la
consegna del “foglio di viaggio”, un numero crescente di stranieri
irregolari viene accompagnato nei paesi di provenienza con voli charter
organizzati congiuntamente da diversi paesi europei a seguito dei più
recenti accordi di collaborazione conclusi a livello comunitario.
Non esiste neppure una regolamentazione
precisa di queste forme accelerate di allontanamento forzato e gli immigrati
rimangono privi di interpreti, di informazione, di assistenza sanitaria, di
difesa legale, sottomessi soltanto alla discrezionalità
dell’autorità di polizia. Basta anche un lievissimo precedente
penale, una segnalazione di polizia, una denuncia, per degradare i diritti
degli immigrati in aperto contrasto con tutte le previsioni costituzionali in
materia di tutela giuridizionale, limitazione della libertà personale e
diritti di difesa.
E’ noto il principio di diritto internazionale secondo cui
nessun vettore dovrebbe trasportare persone che non siano identificate
singolarmente, anche alla luce del principio del Protocollo firmato a
Strasburgo il 16 settembre 1963, ed allegato alla Convenzione Europea dei
diritti dell’uomo, che vieta appunto le espulsione collettive ( art.4).
L’art. 3 della stessa Convenzione Europea e l’art. 33 della
Convenzione di Ginevra, che vietano il rimpatrio forzato verso paesi nei quali
si può rischiare la persecuzione o trattamenti inumani e degradanti,
sono regolarmente disattesi, anche perché i rimpatri vengono effettuati
verso paesi terzi , come la Grecia, che poi a loro volta possono rimpatriare
gli immigrati espulsi dall’Italia verso il paese d’origine ( ad esempio
la Turchia).
b) Alcuni casi esemplari
Si riscontra così la negazione
sostanziale dei diritti fondamentali della persona, e tra questi del diritto di
asilo. Come nel caso della famiglia siriana bloccata a dicembre dello scorso
anno all’aeroporto di Milano Malpensa e lì fermata per cinque
giorni nella zona di trattenimento in transito dell’aeroporto, per essere
successivamente respinta in Siria, senza avere potuto presentare una richiesta
di asilo.
La pratica generalizzata dei
respingimenti in frontiera vanifica in molti casi l’esercizio del diritto
di asilo previsto, oltre che dalle Convenzioni internazionali, dall’art.
10 della Costituzione italiana.
Chi viene rimpatriato in queste
condizioni finisce per essere internato in carcere o ucciso, come si teme che
sia successo già nel caso della famiglia siriana, o di un gruppo di
kurdi rimpatriati nel 2001 direttamente in Turchia, e come avviene anche per
molti cingalesi disertori o tamil, riconosciuti dal console cingalese e
rimpatriati con un volo charter direttamente nel paese dal quale erano fuggiti.
Nel 2002 l’Italia ha effettuato 5 voli charter verso lo Sri Lanka per
rimpatriare persone molte delle quali, rinchiuse nei centri di detenzione
pugliesi, avevano manifestato l’intenzione di chiedere asilo; senza
riuscire a formalizzare la domanda, in assenza di interpreti o per il giudizio
sommario da parte delle autorità di polizia circa la
strumentalità della richiesta. Altri voli charter sono stati eseguiti in
questo primo scorcio del 2003, e molte persone che avevano richiesto asilo,
dopo un esame sommario da parte di una delegazione della Commissione centrale
competente al riguardo ( per l’occasione trasferitisi da Roma in Puglia),
e dopo un riconoscimento altrettanto sommario del console di quel paese,
chiamato dalla polizia subito dopo il diniego della Commissione, sono state
imbarcate su un aereo sotto scorta della polizia italiana che li ha consegnati
alla polizia cingalese.
Come se la semplice proposizione della
richiesta di asilo non esponesse gli immigrati a sicure ritorsioni da parte
della polizia del loro paese, al momento del rimpatrio forzato.
c)I centri di permanenza temporanea
La disciplina dei centri di permanenza
temporanea è rimasta sostanzialmente immutata rispetto alle norme
introdotte dalla legge Turco Napolitano.
La legge Bossi-Fini raddoppia il periodo di permanenza
massima all’interno di queste strutture, rendendo sempre più
drammatica la condizione degli immigrati che vi sono internati.
La situazione è andata peggiorando
progressivamente, non si contano più gli atti di autolesionismo e le
rivolte sedate con veri e propri pestaggi da parte delle forze
dell’ordine. Da oltre un anno non viene più applicata la Carta dei
diritti e dei doveri degli immigrati trattenuti nei centri, documento approvato
con una direttiva del precedente governo, nell’estate del 2000. Nei fatti
l’accesso è consentito soltanto alle associazioni che cogestiscono
queste strutture, e persino i parlamentari si vedono limitata da parte dell’autorità
amministrativa la possibilità di parlare con gli immigrati e di
effettuare fotografie o riprese video. Il libero esercizio delle funzioni dei
parlamentari viene di fatto impedito da decisioni estemporanee delle
autorità di polizia o delle prefetture.
Le ridotte garanzie di difesa e la
discrezionalità amministrativa nella gestione dei centri che comunque
consentono una limitazione della libertà personale, in contrasto, con i
principi a tutela della persona sanciti dalla nostra Carta Costituzionale, e
con numerose convenzioni internazionali ( a partire dalla Convenzione Europea
dei Diritti dell’Uomo, che viene spesso invocata per giustificare la introduzione di
queste strutture detentive), rendono la permanenza in queste strutture
più penosa e spesso più pericolosa della stessa detenzione
carceraria. Queste circostanze hanno prodotto frequenti interventi della
giurisprudenza che ha sindacato sia i presupposti del trattenimento ( il
provvedimento di respingimento o di espulsione), che le modalità
concrete di attuazione della misura restrittiva della libertà personale,
e dunque soggetta al controllo di legittimità da parte del giudice,
secondo quanto previsto dall’art. 13 della nostra Costituzione.
A fronte di 150.746 stranieri irregolari
fermati sul territorio nazionale dalla polizia, e tra questi 88.501 stranieri
irregolari allontanati dall’Italia nel 2002, soltanto 18.625 sono stati
internati nei CPT, ed una buona parte di quelli internati nei CPT, si
può stimare all’incirca la metà, non sono stati
accompagnati invece in frontiera per la mancanza del riconoscimento da parte
della loro autorità consolare, e dunque del cd. foglio di viaggio.
L’importanza effettiva dei CPT ai
fini di garantire la effettività delle espulsioni diventa dunque sempre
più marginale e sarà ancora più limitata considerando che
non è ancora pronto nessuno degli 11 centri di permanenza temporanea
previsti per il 2003 dalla legge Bossi Fini, che ha raddoppiato il tempo
massimo di permanenza in queste strutture ( da 30 a 60 giorni) dimezzando in questo
modo la capienza complessiva del sistema espulsivo imperniato sui centri di
detenzione amministrativa.
Le ultime visite effettuate da
delegazioni di parlamentari nazionali e regionali hanno documentato la
perdurante assenza di interpreti e di servizi di mediazione, oltre che la
impossibilità di ricevere informazioni sul diritto di asilo o di
presentare la relativa istanza, e ancora condizioni igieniche scandalose, e
regimi detentivi ai limiti del trattamento disumano e degradante ( sanzionato
dalla Convenzione Europea a garanzia dei diritti dell’uomo), come la
prassi generalizzata di chiamare un appello ogni due ore dalle 7 di mattina
sino all’una di notte con lunghe code in fila, in piedi, sotto il sole o
la pioggia.
d) la privatizzazione delle misure di
trattenimento degli stranieri
Non si hanno ancora notizie della
costruzione dei nuovi centri di identificazione per richiedenti asilo, ed al
riguardo è forte il rischio che il governo, tramite le prefetture,
specialmente dopo la proclamazione dello stato di emergenza, eserciti pesanti
pressioni sulle associazioni di volontariato che gestiscono centri di
accoglienza già funzionanti. Per trasformare queste strutture in centri
chiusi di identificazione, con sorveglianza esterna delle forze di polizie. Risulta
significativa al riguardo la recente presa di posizione della Caritas di
Genova, secondo cui la stessa Caritas dichiara che “ non
parteciperà alla gestione del centro di permanenza temporanea: al limite
potrebbe intervenire con attività di solidarietà”.
Come la Caritas sostenne già nel
1998, si afferma “ i centri di permanenza temporanea accettano
l’equazione clandestino = criminale, e questo noi non possiamo
accettarlo, visto che non è vero”.
In realtà malgrado queste prese di
posizione, in altre realtà come a Bologna, direttamente, o a Trapani,
indirettamente, tramite una cooperativa “vicina”, la Caritas ha in
talune situazioni partecipato a pieno titolo alla gestione dei centri di
detenzione.
Un passo dopo l’altro nella
direzione della privatizzazione delle strutture detentive, già
ampiamente sperimentato in Gran Bretagna, ed adesso in via di espansione nel
resto di Europa.
e) La situazione siciliana
Considerando che in Sicilia nel 2002 sono
sbarcati 18.225 immigrati clandestini, i centri di permanenza temporanea
tuttora funzionanti nell’isola garantiscono una capienza di appena 450
posti, che considerando una durata media della detenzione di 40 giorni si
traduce nella prassi quotidiana di deportazioni di migranti, sbarcati in
Sicilia, ma immediatamente trasferiti con pullman o aerei in Calabria o in
Puglia, a causa del sovraffollamento dei centri di detenzione siciliani. Una
prassi particolarmente pericolosa, dopo l’approvazione della legge Bossi
Fini è costituita dalla liberazione degli immigrati clandestini giunti
in queste strutture con l’intimazione a lasciare il territorio nazionale
entro cinque giorni. E questo anche se sono completamente privi di mezzi. Di
fatto destinatari di un ordine impossibile da eseguire.
Dal momento che la nuova legge sanziona
con l’arresto immediato l’inosservanza dell’ordine di
lasciare il territorio nazionale, si sta già verificando una crescita
rapidissima di persone che sono destinatarie di provvedimenti di espulsione,
che non possono essere ristrette in
un CPT per la carenza di posti, ma che proprio per questa ragione
rischiano di finire in gran numero in carcere, in carceri sempre più affollate.
f) Le zone di transito aeroportuale
Anche la zona transiti
dell’aeroporto internazionale di Fiumicino ( come quello di Milano Malpensa)
funziona per brevi periodi come centro di permanenza temporanea ( definito come
centro di transito), subito dopo lo sbarco o in prossimità
dell’imbarco forzato, ed è un altro luogo dal quale filtra
pochissimo, dove le associazioni non riescono neppure ad informare gli
stranieri trattenuti sulla possibilità di chiedere asilo ( sembra che ad
intermittenza possano accedervi soltanto operatori del CIR).
g) La espulsione delle vittime del
traffico della prostituzione
Un problema sempre più grave
è costituito, in questo quadro, dalle numerose immigrate, più
recentemente anche minorenni, che vengono introdotti nel nostro paese con varie
modalità, da organizzazioni criminali che gestiscono il traffico della
prostituzione.
Il contrasto al traffico della prostituzione
si traduce soltanto in retate ai danni delle vittime, che sono la componente
più debole, senza mai andare a scovare le organizzazioni che gestiscono
le case dove queste donne alloggiano, con la convivenza delle mafie locali, e
che movimentano il danaro che si ricava dallo sfruttamento, con uffici e call
center ormai diffusi su tutto il territorio nazionale.
Malgrado l’uso di apparecchiature
sempre più sofisticate, nei paesi di provenienza rimane una larga
percentuale di funzionari di frontiera pronti ad essere corrotti, ed anche il
funzionamento dei nostri consolati e delle nostre ambasciate andrebbe
monitorato per evitare episodi di corruzione come quelli che si sono verificati
a Lagos in Nigeria, episodi ormai lontani di cui nessuno ormai parla
più. In Nigeria intanto le donne rimpatriate devono scontare molti mesi
di galera soltanto per restituire allo stato il costo del biglietto aereo del
viaggio di ritorno. Dai centri di permanenza temporanea italiani alle prigioni
nigeriane, e tutto questo solo per avere tentato di introdursi clandestinamente
nella fortezza Europa, mentre si moltiplicano i casi di donne come Amina che in
Nigeria rischiano la vita per effetto delle decisioni dei tribunali islamici !
Eppure molte questure, come la questura
di Palermo, consentono una utilizzazione limitatissima dell’art. 18 della
legge Turco- Napolitano che prevede in questi casi la possibilità di
accedere ad uno specifico permesso di soggiorno per motivi di protezione
sociale.
Per questi uffici di polizia l’unica
condizione per concedere questo tipo di permesso è data dalla denuncia
degli sfruttatori da parte della donna, mentre invece la legge, e la precedente
interpretazione che se ne era accolta da parte degli stessi uffici,
consentivano il rilascio del permesso di soggiorno ex art. 18 per tutti i casi
in cui la donna per la propria volontà di sottrarsi allo sfruttamento ed
alla prostituzione si venisse a trovare in una situazione di pericolo. Nei
fatti, questo atteggiamento da parte delle forze di polizia ha incrementato la
copertura omertosa dei trafficanti da parte delle stesse vittime ed ha bruciato
anni di lavoro delle associazioni indipendenti operanti in questo campo.
h) La grande illusione della sanatoria
Il diffondersi della condizione
definitiva di irregolarità, conseguenza della mancata regolarizzazione
di diverse decine di migliaia di immigrati, dopo la grande illusione della
sanatoria dello scorso anno ( oltre 700.000 richieste !) , sta ampliando
enormemente il numero dei soggetti potenzialmente espellendi- e quindi
restringibili nei CPT in attesa dell’esecuzione dell’espulsione.
Tra questi moltissimi Rom, che hanno perduto lo status di protezione
umanitaria, e che non sono più in grado di rinnovare il permesso di
soggiorno, soprattutto alla luce delle condizioni più restrittive
introdotte dalla legge Bossi-Fini.
Si è già sottolineato il
rischio connesso all’utilizzo delle misure espulsive coattive come
“strumenti ordinari e generici di gestione della presenza migratoria in
Italia”. Solo limitando le misure coattive a pochi casi,gravi e ben
definiti per legge, sembra possibile rispettare i principi costituzionali e
dare effettività alle misure adottate.
Si può quindi affermare che”
si debba senza indugio procedere alla revisione delle ipotesi di espulsione,
con una disciplina più selettiva, ed alla chiusura degli attuali centri
di detenzione, introducendo una
nuova disciplina relativa all’allontanamento coatto degli stranieri che
vivono illegalmente in Italia, ancorandola a criteri di chiara ispirazione e
fondamento costituzionale”.
i)
Alcune proposte concrete in una
grave situazione di degrado della democrazia
Occorre insistere, a questo punto, sulla
creazione di reti locali immediatamente operative a difesa degli immigrati, a
livello nazionale ed europeo, in
modo da intervenire nei casi di
espulsione trattenimento ed invocare con ricorsi efficaci e tempestivi, il
dettato costituzionale, o appellarsi ai giudici della Corte Europea dei diritti
dell’uomo, come già si è verificato in numerosi casi che hanno
dimostrato la illegittimità delle procedure di allontanamento forzato,
alla stregua delle nostre previsioni costituzionali e della Convenzione Europea
a salvaguardia dei diritti dell’uomo.
Veri e propri presidi di legalità
dovrebbero essere istituiti a ridosso dei campi rom e delle zone di transito
aeroportuale, da parte di associazioni supportate da interpreti indipendenti,
medici e legali in grado di assistere i migranti irregolari altrimenti
abbandonati alla totale discrezionalità delle autorità di polizia.
Sempre che non vengano previste ulteriori
restrizioni all’esercizio dei diritti di difesa o che non si intervenga
sulla magistratura condizionandone l’attività in materia di
espulsioni di stranieri, come già è successo in qualche caso.
Quando nel dicembre del 2000 i giudici milanesi trasmisero alla Corte
costituzionale le eccezioni di costituzionalità relativamente alle norme
che regolavano il trattenimento degli stranieri, quegli stessi giudici vennero
sottoposti ad un procedimento disciplinare davanti al CSM, per iniziativa del
Ministro della Giustizia.
Grazie anche al contenuto della decisione
105 del 2001 della Corte Costituzionale, che in parte accoglieva le
perplessità dei giudici milanesi, il caso fu poi archiviato con la loro
assoluzione.
Questa insofferenza dei governi nei
confronti delle decisioni della magistratura è oggi enormemente
cresciuta e si traduce in interventi sempre più frequenti di
rappresentanti della attuale maggioranza di governo contro i giudici ,
colpevoli di boicottare la legge Bossi Fini , perché sollevano nuove
eccezioni di costituzionalità o rimettono in libertà immigrati
irregolari per la inapplicabilità e la contraddittorietà delle
nuove disposizioni entrate in vigore da pochi mesi.
Ma qui siamo proprio ai confini dello
stato di diritto e della democrazia costituzionale, e se i paventati interventi
legislativi in materia di giustizia
avranno rapido corso, con la riduzione dell’autonomia della
magistratura rispetto ai poteri dell’esecutivo, come il premier
berlusconi ha annunciato, in Italia saremo alla vigilia di un vero e proprio
stato di polizia.
Fulvio Vassallo Paleologo
Associazione studi giuridici
sull’immigrazione (ASGI)