(Sergio Briguglio 12/12/2003)
I CRITERI DI AMMISSIONE DEI
MIGRANTI PER LAVORO: IL MODELLO ITALIANO E UNA POSSIBILE ALTERNATIVA
Abstract: Si esaminano gli aspetti principali della normativa
italiana sullÕimmigrazione per lavoro e della applicazione che ne eÕ stata data
negli anni 1987-2003. Si evidenzia come il difetto principale dellÕimpianto
legislativo consista nel non tener conto in modo adeguato della necessitaÕ, ai
fini della costituzione del rapporto di lavoro, di un incontro diretto tra
datore di lavoro e lavoratore. Si propone un modello di politica di
immigrazione alternativo alla politica delle quote, e se ne discutono le implicazioni
con riferimento alla possibilitaÕ di definire, in analogia con il diritto
dÕasilo, un diritto di immigrazione.
LÕasimmetria asilo-immigrazione
I flussi migratori verso i paesi ad economia avanzata
vengono tipicamente classificati in base ai motivi principali che li
determinano, distinguendo Ð almeno in prima approssimazione - tra flussi di
rifugiati (in fuga da persecuzioni) e flussi di immigrati (alla ricerca di
migliori condizioni economiche). Questa classificazione puoÕ apparire forzata
quando si tenti di applicarla al singolo migrante, dato che spesso le ragioni
che ne hanno determinato la partenza sono una miscela di bisogni economici
inappagati e di diritti fondamentali non rispettati. Essa peroÕ corrisponde al diverso assetto giuridico
sviluppato dagli Stati in risposta a ciascuna componente del flusso migratorio.
Mentre, infatti, alla fuga dalle condizioni di persecuzione corrisponde, negli
ordinamenti nazionali dei paesi ad economia avanzata[1]
e nellÕordinamento internazionale, un preciso diritto Ð il diritto dÕasilo Ð,
nessun ordinamento prevede un corrispondente diritto di immigrazione per coloro che fuggano da
condizioni economiche insopportabili neÕ, a maggior ragione, per coloro che
aspirino, piuÕ semplicemente, a un incremento del proprio benessere. Questa
asimmetria ha conseguenze piuttosto modeste sulle condizioni di inserimento,
nel paese ospitante, del rifugiato o dellÕimmigrato per lavoro: non vi eÕ un
significativo privilegio del primo rispetto al secondo, dal momento che la sua
condizione eÕ, sotto molti aspetti, equiparata dalle convenzioni internazionali
alla piuÕ favorevole tra quelle previste per i cittadini stranieri[2],
e questÕultima, tipicamente, corrisponde proprio alla condizione del lavoratore
immigrato. Le conseguenze sono invece evidentissime in relazione allÕammissione
nel paese dÕarrivo. Lo straniero rifugiato matura il diritto dÕasilo in seguito
a circostanze che prescindono dalla situazione o dalle scelte contingenti del
paese in cui si rifugia. Lo si considera quindi, al momento dellÕarrivo, il
massimo conoscitore della sua condizione[3].
Chi si dichiari perseguitato eÕ quindi ammesso nel territorio dello Stato,
almeno fino a quando la sua richiesta di asilo si riveli, in seguito a un esame
piuÕ approfondito, infondata[4].
La mancanza di un diritto di immigrazione, invece, fa
siÕ che lÕammissione dellÕimmigrato nel territorio dello Stato sia fondata prioritariamente
sulla convenienza del paese dÕarrivo: non eÕ piuÕ la condizione soggettiva
dello straniero a determinare la decisione sul suo ingresso, e non vi eÕ alcun
automatismo che lo protegga Ð sia pure temporaneamente Ð dal respingimento o
dallÕallontanamento[5].
Mercato ideale e mercato reale
A chi spetta stabilire che cosa eÕ conveniente, con
riferimento al flusso di immigrazione per motivi economici? La prima, ovvia,
risposta eÕ che le decisioni devono essere frutto della composizione degli interessi
degli attori in gioco (stranieri migranti che offrono lavoro[6]
e cittadini nazionali che lo acquistano): devono essere, cioeÕ, determinate dal
mercato. In generale, un mercato ideale (che sia cioeÕ pienamente
concorrenziale, con attori pienamente informati, e privo di benefici o di costi
sociali non ben rappresentati dal sistema dei prezzi Ð le cosiddette
esternalitaÕ positive o negative, rispettivamente) determina il prezzo a cui
viene scambiato un bene in modo tale che domanda e offerta di quel bene si
eguaglino. AllÕequilibrio la quantitaÕ del bene scambiata eÕ tale che
lÕutilitaÕ dellÕultima unitaÕ di bene acquistata eÕ pari al costo dellÕultima
unitaÕ di bene prodotta, ed entrambe sono uguali al prezzo. Entrambe le
categorie Ð acquirenti e venditori Ð massimizzano cosiÕ simultaneamente il
proprio interesse[7]. Se il
prezzo fosse piuÕ alto di quello di equilibrio, lÕeccesso di offerta rispetto
alla domanda indurrebbe i venditori, in gara tra loro per aggiudicarsi la
scarsa domanda, ad abbassarlo progressivamente fino a ripristinare il valore di
equilibrio. UnÕanaloga concorrenza tra gli acquirenti innalzerebbe un prezzo
innaturalmente basso. Un mercato ideale tende cosiÕ ad eliminare gli squilibri
tra domanda e offerta e conduce, con la sua Òmano invisibileÓ, allÕallocazione
ottimale delle risorse.
Nel mondo reale, tuttavia, si verificano spesso
condizioni che conducono ai cosiddetti Òfallimenti del mercatoÓ: deviazioni dal
funzionamento ideale Ð associate, per esempio, alla mancanza di concorrenza
perfetta o allÕesistenza di esternalitaÕ negative Ð impediscono alla mano
invisibile di esplicare la sua azione o, rispettivamente, fanno siÕ che essa si
muova in modo maldestro, e richiedono lÕintervento regolatore dello Stato. Un
mercato del lavoro aperto ai lavoratori immigrati, in particolare, puoÕ
presentare alcune importanti esternalitaÕ negative. Ciascuna di esse eÕ in
corrispondenza con un bene pubblico, meritevole di tutela, che puoÕ risultare
minacciato dallÕimmigrazione: la sicurezza pubblica, il benessere delle fasce
deboli della popolazione attiva, le strutture dello stato sociale. Alla base di
questa minaccia (e del potenziale costo sociale non regolato dal meccanismo dei
prezzi) vi eÕ la distanza Ð fisica
ed economica Ð tra i paesi di emigrazione e quelli di immigrazione. Questa
distanza, infatti, fa siÕ, tipicamente, che il migrante in arrivo risulti
incognito alle autoritaÕ preposte alla salvaguardia dellÕordine pubblico, privo
di risorse e scarsamente informato sul paese dÕarrivo. La prima di queste
caratteristiche eÕ spesso percepita come un rischio per la sicurezza pubblica:
vi eÕ un timore diffuso, e talvolta fondato, che uno straniero dal passato
difficilmente ricostruibile risulti vettore di attivitaÕ criminali o possa
esserne, comunque, facilmente attratto.
La seconda caratteristica Ð la povertaÕ delle risorse
Ð puoÕ fare del lavoratore straniero un concorrente molto aggressivo per i
lavoratori nazionali meno qualificati, dal momento che si traduce in un salario
di ingresso (la soglia minima per lÕinstaurazione di un rapporto di lavoro)
molto piuÕ basso di quello di lavoratori sindacalizzati o comunque protetti dal
sistema di solidarietaÕ familiare.
La terza caratteristica Ð la mancanza di informazione
sul paese di arrivo e, in particolare, sulla situazione del mercato del lavoro
e sullÕesistenza e localizzazione di effettive opportunitaÕ di impiego Ð
determina, se combinata con la povertaÕ di risorse, un forte rischio di
fallimento del progetto migratorio: ove non riesca a raggiungere in un tempo
ragionevole un inserimento lavorativo sufficientemente remunerato, eÕ possibile
che il migrante si trovi Ð per lÕentitaÕ delle spese di viaggio o per
lÕimpossibilitaÕ di ripianare i debiti eventualmente contratti per migrare Ð
nellÕoggettiva impossibilitaÕ di rimpatriare, cada in condizioni di grave
indigenza. In unÕottica Ð un poÕ astratta Ð di lassaiz faire, la societaÕ di accoglienza
potrebbe accettare supinamente questa situazione, attendendo che la
marginalitaÕ di queste fasce di immigrazione non inserita agisca come fattore
repulsivo rispetto a ulteriore immigrazione di soggetti con le stesse
caratteristiche: un equilibrio sarebbe allora comunque raggiunto, a spese del
disagio di un certo numero di individui deboli. Tuttavia, il mancato accesso di
questi soggetti ad un sufficiente livello di risorse comporterebbe
lÕimpossibilitaÕ, per loro, di godere di diritti elementari e, in definitiva,
la destabilizzazione dellÕordinamento sociale. LÕimpraticabilitaÕ di questa indifferenza
istituzionale
costringerebbe allora le strutture pubbliche a soccorrere gli immigrati a
rischio di esclusione sociale con misure di assistenza. Si perderebbe peroÕ,
questa volta, lÕeffetto di repulsione, rispetto a nuovi ingressi,
dellÕesperienza diffusa di insuccesso. Il problema, in assenza di qualunque
meccanismo di controreazione, si ripresenterebbe immutato con la successiva
ondata migratoria, e le strutture dello stato sociale potrebbero essere messe
in ginocchio.
LÕesistenza di queste esternalitaÕ negative (o, piuÕ
semplicemente, il rischio che esse si presentino) giustifica un intervento
correttivo statale rispetto al puro meccanismo di mercato. Riguardo al problema
della sicurezza, le misure da adottare non possono che coincidere con quelle
giaÕ messe in atto nellÕazione di repressione della criminalitaÕ autoctona e,
per altro verso, nel controllo dellÕidentitaÕ e degli eventuali precedenti
penali di qualunque straniero in ingresso (il turista, per esempio). Quale che
sia lÕeffettivo livello di efficacia di queste misure, non vi eÕ, comunque,
alcun elemento che debba essere introdotto con riferimento specifico alla
migrazione per lavoro.
Riguardo alla protezione dei lavoratori nazionali
piuÕ deboli, una attenuazione della concorrenza esercitata dai lavoratori stranieri
puoÕ essere conseguita imponendo e verificando il rispetto degli standard
minimi di trattamento previsti dalle leggi o dalla contrattazione collettiva.
Anche in questo caso, come si vede, si tratta essenzialmente di dare attuazione
a disposizioni che giaÕ esistono, a prescindere dalla presenza di lavoratori
migranti. La delicatezza del problema risiede nel fatto che, paradossalmente,
lÕimposizione di standard minimi puoÕ significare un ingiusto parteggiamento,
nel confronto tra insider e outsider del mercato del lavoro, per i primi, a danno dei
secondi: questi infatti, in ragione di un concreto rischio di esclusione,
possono trovare conveniente lÕesistenza di forme di inserimento meno protette
e, quindi, piuÕ facilmente raggiungibili.
Il conflitto insider-outsider, peroÕ, esiste giaÕ, in ogni
economia avanzata, per ragioni generazionali o di disomogeneitaÕ della
distribuzione del reddito da lavoro sul territorio nazionale, ed eÕ solo reso
piuÕ visibile dalla presenza dei lavoratori stranieri.
Peculiarmente collegato al fenomeno dellÕimmigrazione
per lavoro eÕ invece lÕintervento richiesto a salvaguardia dello stato sociale.
EÕ da notare, sulla base di quanto detto sopra, come sia il concorso di due
caratteristiche del migrante Ð la mancanza di informazione adeguata e quella di
risorse Ð a determinare le condizioni per il fallimento del progetto migratorio
dello straniero. LÕeventuale incapacitaÕ di rimpatriare con le proprie forze
non si tradurrebbe, infatti, di per seÕ, in un rischio di emarginazione per
migranti perfettamente informati sullÕofferta di lavoro, dal momento che essi
non avrebbero difficoltaÕ a trovare inserimento (ovvero si asterrebbero proprio
dal migrare, in caso di inserimento impossibile); cosiÕ pure, lÕinsuccesso
conseguente a un difetto di informazione non nuocerebbe troppo a immigrati
capaci di invertire per tempo la rotta. EÕ sufficiente allora porre rimedio a
uno solo di questi due aspetti; lÕintervento correttivo puoÕ consistere, cioeÕ,
nel condizionare lÕammissione dellÕimmigrato al soddisfacimento di opportuni
requisiti che facciano riferimento al possesso di unÕinformazione sufficiente
o, in alternativa, di capacitaÕ di rimpatrio adeguate.
La politica migratoria italiana dal 1987 ad oggi
In Italia, dal 1987 Ð vale a dire, dallÕentrata in
vigore della prima legge di rilievo sullÕimmigrazione, la Legge 943/1986 Ð a
oggi, il Legislatore si eÕ dimostrato molto affezionato alla prima
possibilitaÕ. Sulla base di disposizioni che hanno resistito a tutte le riforme
in materia, lÕingresso di lavoratori stranieri eÕ stato generalmente
condizionato, mediante la procedura di autorizzazione al lavoro[8]
(o di procedure equivalenti), alla
proposta preventiva, da parte di un datore di lavoro, di un contratto di
lavoro, con lÕintento di evitare che lÕimmigrato potesse trovarsi, in Italia,
incapace di trovare sistemazione lavorativa. Per legge o per regolamento, sono
stati poi introdotti requisiti aggiuntivi che garantissero la soliditaÕ di quel
contratto (ad esempio, una adeguata capacitaÕ economica del datore di lavoro[9])
o prevenissero le conseguenze di una possibile incompletezza di informazione in
relazione ad altri mercati comunque significativi per la valutazione, da parte
del lavoratore, delle condizioni di inserimento (la garanzia di un alloggio a
disposizione del lavoratore[10]).
Rispetto a questo quadro di riferimento, la normativa
italiana ha offerto allÕesecutivo alcune altre manopole mediante le quali
introdurre ulteriori restrizioni o rilassamenti delle condizioni di ingresso.
Tra le prime, la possibilitaÕ di fissare limiti superiori al numero di ingressi
di lavoratori stranieri in un anno (le cosiddette quote)[11]
e lÕaccertamento preventivo di indisponibilitaÕ di manodopera nazionale o
comunitaria quale condizione necessaria per lÕautorizzazione di un nuovo
ingresso[12]. Tra le
seconde, la piuÕ nota eÕ quella, prevista dallÕart. 23 del Testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dellÕimmigrazione e norme sulla
condizione dello straniero[13] (T.U.) prima di essere
soppressa con lÕentrata in vigore della legge Bossi-Fini (L. 189/2002),
relativa allÕingresso, nei limiti della quota appositamente fissata annualmente
dal Governo, per inserimento nel mercato del lavoro: lÕammissione di un lavoratore
straniero per un anno di ricerca di lavoro sul posto, condizionata allÕimpegno
di un garante (sponsor) riguardo allÕalloggiamento, al sostentamento e
allÕassicurazione contro i rischi in materia sanitaria del lavoratore fino a
inserimento avvenuto[14],
e alla copertura delle spese di rimpatrio in caso di insuccesso[15].
Accanto a questa forma di ingresso, va ricordato quella Ð anchÕessa cancellata
dalla L. 189/2002 Ð che potremmo chiamare auto-sponsorizzazione[16]: lÕingresso, cioeÕ, di
lavoratori iscritti in apposite liste di prenotazione[17]
e capaci di provvedere al proprio sostentamento ed alle eventuali spese di
rimpatrio[18], fino a
esaurimento della quota di ingressi per inserimento nel mercato del lavoro
eventualmente residuata a sessanta giorni di applicazione del decreto di
programmazione.
LÕesame di come queste disposizioni e lÕuso che ne eÕ
stato fatto abbiano giocato nellÕinfluenzare lÕandamento dellÕimmigrazione in
Italia eÕ importante per operare previsioni su quanto deriveraÕ
dallÕapplicazione della legge 189/2002 (la legge Bossi-Fini) e per giudicare
lÕandamento del confronto in corso, in sede europea, sullÕarmonizzazione delle
condizioni di ingresso e soggiorno per lavoro degli immigrati.
La politica di controllo dei flussi migratori
presenta, in Italia, dal 1987 ad oggi, cinque fasi. La prima fase, dal 1987 al
1990, eÕ regolata dalla legge 943/1986. LÕingresso del lavoratore eÕ
condizionato alla sua preventiva chiamata da parte di un datore di lavoro,
possibile solo quando sia stata accertata lÕindisponibilitaÕ di manodopera
residente a ricoprire quello specifico posto di lavoro[19].
Si registra, in quegli anni, un flusso stimabile in circa 13.000 lavoratori per
anno[20].
La seconda fase (1991-1996) eÕ regolata dalla legge
39/1990 (la legge Martelli). Il Governo potrebbe imporre, con il decreto annuale
di programmazione dei flussi, un limite superiore al numero di ingressi; nei
fatti, tuttavia, non lo impone. La condizione resta cosiÕ quella del preventivo
impegno allÕassunzione, a valle dellÕaccertamento di indisponibilitaÕ, cui
viene aggiunta, con i decreti ministeriali di programmazione dei flussi, quella
dellÕofferta di un alloggio adeguato per il lavoratore da parte del datore di
lavoro[21].
I decreti di programmazione di quegli anni, peroÕ, impediscono lÕassunzione di
lavoratori residenti allÕestero in tutti i casi in cui Òvi sia possibilitaÕ di
occupare nel posto di lavoro altro cittadino extracomunitario giaÕ regolarmente
residente in ItaliaÓ[22].
A causa dellÕalto numero di immigrati formalmente disoccupati, sono ammesse
cosiÕ, nei fatti, solo le assunzioni di lavoratori da adibire a servizi
domestici, per le quali, anche per i lavoratori italiani, eÕ consentita la
chiamata nominativa[23],
senza riguardo per la graduatoria dei lavoratori disoccupati iscritti nelle
liste di collocamento. Negli ultimi anni di questa seconda fase, le assunzioni
sono anche condizionate, dalle circolari di applicazione dei decreti di
programmazione, al fatto che il datore di lavoro sia in possesso di un reddito
sufficientemente alto[24].
Gli
ingressi per lavoro ammontano, durante lÕintero periodo, a circa 22.000 per
anno.
Nel biennio Ô97-Õ98 (terza fase), vigente ancora la
legge Martelli, il Governo impone formalmente un tetto al numero di ingressi
per anno. Si tratta peroÕ di limiti determinati come semplice estrapolazione
dei valori registrati negli anni precedenti[25].
Permanendo invariate le altre condizioni per lÕammissione per lavoro, eÕ
probabile, cosiÕ, che questo vincolo non abbia comportato un effettivo
restringimento del canale di ingresso. In media, sono ammessi, nel biennio,
circa 20.000 lavoratori per anno.
La quarta fase, dal 1999 al 2001, eÕ caratterizzata
dallÕapplicazione della legge 40/1998 (la legge Turco-Napolitano)[26].
Scompare la condizione di accertamento di indisponibilitaÕ, mentre
lÕimposizione di tetti sul numero di ingressi diventa la norma. Le altre
condizioni restano sostanzialmente immutate, pur acquistando il rango di
disposizioni regolamentari (eÕ il caso del reddito in capo al datore di lavoro)
o, addirittura, di legge (la sistemazione alloggiativa del lavoratore). La
generalizzazione dellÕesonero dallÕaccertamento di indisponibilitaÕ
provocherebbe, di per seÕ, un innalzamento significativo del numero degli
ingressi e lÕampliamento della relativa tipologia, quanto a settori di impiego;
eÕ cosiÕ il rispetto del tetto stabilito dai decreti di programmazione dei
flussi (e determinato con banale riproposizione dei valori fissati negli anni
precedenti) a risultare, nei fatti, la condizione piuÕ restrittiva. Oltre agli
ingressi per chiamata nominativa Ð in media, circa 22.000 per anno[27]
Ð, nel 2000 e nel 2001 vengono ammessi 15.000 lavoratori per anno per inserimento
nel mercato del lavoro (lÕingresso per ricerca di lavoro protetto da sponsor).
Nello stesso biennio, nei limiti di quote destinate (e non pienamente
utilizzate) a paesi che hanno stipulato accordi con lÕItalia per il contrasto
dellÕimmigrazione clandestina[28],
viene anche ammesso, per auto-sponsorizzazione, un certo numero di lavoratori
albanesi, marocchini e tunisini (circa 3500 ingressi, ad esempio, nel 2000).
La quinta fase, nel biennio 2002-2003, eÕ regolata da
una parziale applicazione della legge 189/2002 (legge Bossi-Fini). Soppressa la
possibilitaÕ di ingresso per inserimento nel mercato del lavoro (con
sponsorizzazione o auto-sponsorizzazione), la regolamentazione degli ingressi
per chiamata da parte di un datore di lavoro non registra rilevanti
innovazioni: un poÕ per la sostanziale coincidenza Ð al di laÕ della propaganda
politica Ð tra la disciplina originale (legge Turco-Napolitano) e quella
riformata[29]; un poÕ
percheÕ, nelle more dellÕemanazione dei regolamenti di attuazione della nuova
legge, la seconda non puoÕ dispiegare appieno i pochi elementi peculiari. I
decreti di programmazione dei flussi (nella forma di decreti di programmazione
transitoria[30]) ammettono
circa 14.000 lavoratori
subordinati[31] per il
2002, circa 10.000 per il 2003.[32]
Accanto a questo quadro corrispondente
allÕapplicazione delle disposizioni Òa regimeÓ, sono state adottate, nello
stesso periodo, cinque sanatorie, rese necessarie dallÕallarme determinato
nellÕopinione pubblica dallÕalto numero di stranieri privi di permesso di
soggiorno, ma di fatto stabilmente inseriti nella societaÕ e nel mercato del
lavoro. Pur variando, tra una sanatoria e lÕaltra, le condizioni per ottenere
il permesso di soggiorno, unÕapplicazione progressivamente piuÕ rilassata delle
norme corrispondenti ha finito, volta per volta, per includere quasi
integralmente, tra i beneficiari del provvedimento di sanatoria, il bacino di
immigrati in condizioni illegali accumulatosi fino alla scadenza dei termini
utili per fruirne. Hanno cosiÕ ottenuto la regolarizzazione della propria
posizione circa 120.000 stranieri nel 1987, 220.000 nel 1990, 250.000 nel 1996
e 240.000 nel 1999[33].
LÕultima sanatoria[34]
ha visto la presentazione di circa 700.000 istanze, il cui esame non eÕ ancora
concluso. Sulla base delle indicazioni fornite dal Ministero dellÕinterno, si
prevede che, a esame completato, il numero di permessi di soggiorno rilasciati
ammonteraÕ a circa 650.000.
Dalle cifre appena riportate ricaviamo che il numero
di posizioni sanate, tra gli stranieri che abbiano fatto ingresso nel periodo
1988-2002, eÕ di circa 1.360.000, con una media di 90.000 per anno[35].
LÕingresso legale per lavoro subordinato ha riguardato invece circa 285.000
immigrati (19.000 per anno)[36].
Si vede allora che non eÕ possibile considerare le sanatorie come interventi
meramente correttivi di una situazione determinata, a grandi linee, dalle norme
a regime. EÕ vero il contrario: oltre quattro quinti degli accessi a un
permesso di soggiorno per lavoro hanno avuto luogo grazie a un provvedimento di
sanatoria; meno di un quinto attraverso un ingresso basato sulla richiesta da
parte di un datore di lavoro.
Questa conclusione eÕ rafforzata dal dato qualitativo
ricavato dallÕesperienza di tutte gli organismi Ð associazioni, sindacati,
istituzioni ecclesiali, etc. Ð che
lavorano a contatto con immigrati. EÕ noto che le chiamate nominative di
lavoratori Òresidenti allÕesteroÓ riguardano in realtaÕ, nella stragrande
maggioranza dei casi, lavoratori di fatto giaÕ presenti in Italia, per lo piuÕ
illegalmente, a seguito di un ingresso clandestino o del prolungamento
irregolare di un soggiorno legale. In altri termini, anche nel caso degli
ingressi formalmente legali per lavoro (con chiamata nominativa), si eÕ in
presenza, in genere, di regolarizzazioni camuffate di situazioni
originariamente illegali. Se ne puoÕ concludere che, tra coloro che sono
arrivati a conquistare un permesso di soggiorno per lavoro, la percentuale di
quelli che hanno dato vita ad un aggiramento delle norme relative alle
condizioni di ingresso per lavoro eÕ compresa tra lÕottanta e il cento per
cento.
Il difetto, qui, potrebbe essere associato, in linea
di principio, a ciascuno dei requisiti imposti nei diversi periodi. Possiamo
avvalerci del fatto che le varie fasi siano state caratterizzate da
combinazioni diverse di quei requisiti per valutare separatamente lÕeffettiva
rilevanza di ognuno di essi. Notiamo cosiÕ che i limiti numerici non hanno
agito fino al 1997; che i requisiti di reddito e alloggio non erano in vigore
prima dellÕentrata in vigore della legge 39/1990; che lÕaccertamento di
indisponibilitaÕ eÕ stato soppresso dalla legge 40/1998 (e non eÕ ancora
rientrato in vigore, dopo lÕapprovazione della L. 189/2002, nelle more
dellÕapprovazione del Regolamento di attuazione[37]).
La sostanziale costanza del fenomeno dellÕelusione delle norme in tutto il
periodo considerato indica allora come la causa principale di esso sia da
ricercare nellÕunica disposizione che eÕ rimasta in piedi durante lÕintero
periodo: quella che impone al datore di lavoro lÕimpegno allÕassunzione dello
straniero quando ancora questi risiede allÕestero Ð prima, cioeÕ, del suo
ingresso formale in Italia come lavoratore immigrato. Non eÕ difficile, del
resto, individuare le ragioni per cui questa disposizione induca una violazione
delle prescrizioni di legge. LÕinserimento di immigrati nellÕeconomia italiana
riguarda, infatti, prevalentemente il settore dei servizi alla persona (la
collaborazione familiare, lÕassistenza domiciliare agli invalidi, la cura di
bambini e anziani) e in quello della piccola impresa. Entrambi questi settori
sono basati su rapporti di lavoro con un forte contenuto fiduciale: percheÕ il
rapporto si costituisca eÕ indispensabile un incontro diretto tra datore di
lavoro e lavoratore. Un lavoratore che attenda dallÕestero la chiamata da parte
di un datore di lavoro, senza che un incontro vi sia stato, puoÕ attenderla
inutilmente per tutta la vita. EÕ indotto cosiÕ ad entrare in qualunque modo in
Italia per trovare sul posto unÕopportunitaÕ di inserimento. Se gli eÕ
possibile fare ingresso legalmente (per turismo, per esempio), utilizza il
tempo che ha a disposizione per cercare lavoro e, se questo non basta, si
trattiene oltre i termini del soggiorno legale, fincheÕ la ricerca non eÕ
coronata da successo. Se non riesce a entrare legalmente, percorre, con la
stessa finalitaÕ, vie di accesso clandestino. Una volta trovata unÕoccupazione
(in condizioni comunque illegali, data la mancanza di un permesso di soggiorno
che lo abiliti allo svolgimento di attivitaÕ lavorativa[38]),
il lavoratore regolarizza la propria posizione di soggiorno e di lavoro grazie
alla prima sanatoria utile o allÕuso improprio (rectius, forzato), di cui si eÕ
detto, della chiamata nominativa. In questÕultimo caso, il lavoratore torneraÕ
temporaneamente in patria, rientrando in Italia dopo aver ottenuto il visto di
ingresso per lavoro.
Una politica alternativa
Con riferimento al problema generale del rimedio
degli effetti negativi della distanza originaria, lÕerrore sta qui
evidentemente nel considerare lÕesistenza di un contratto anteriore
allÕingresso come cura dellÕincompletezza di informazione. Essa puoÕ essere, al
piuÕ, lÕeffetto di una cura appropriata, che peroÕ la disposizione di legge non indica
come effettuare. Una tale cura, ove si voglia comunque impedire che lÕonere
della ricerca di inserimento gravi su un migrante considerato come soggetto a
rischio di fallimento (e, quindi, potenziale minaccia per il sistema di welfare), dovrebbe consistere in un
dispositivo che permetta un incontro tra domanda e offerta di lavoro, senza
peroÕ affidarlo allÕiniziativa e alla mobilitaÕ dei lavoratori. Si potrebbe
pensare allora ad attivitaÕ di reclutamento allÕestero da parte dei datori di
lavoro (disciplinate dal nuovo art. 23 T.U.[39]).
AttivitaÕ del genere, probabilmente alla portata della grande impresa, sembrano
peroÕ improponibili per piccole imprese e famiglie Ð i piuÕ tipici, cioeÕ, tra
i soggetti da cui proviene la domanda di lavoro[40].
LÕincontro tra domanda e offerta potrebbe, in
alternativa, essere affidato ai servizi di agenzie di intermediazione, sia pure
nei limiti piuttosto angusti consentiti dalla normativa vigente[41].
EÕ noto che a livello informale (e illegale) questi servizi sono molto attivi e
riescono a collocare dai paesi dellÕEst Ð e non solo da quelli - lavoratori in
posizione irregolare perfino nei paesi dellÕItalia meridionale. Tuttavia, si
tratta di processi di inserimento non molto diversi da quelli utilizzati a
livello individuale dai migranti che vengono a cercare lavoro sul posto
illegalmente. Anche chi eÕ ÒcollocatoÓ da una di queste agenzie, infatti, entra
in Italia senza alcuna certezza sulla costituzione del rapporto di lavoro.
SaraÕ solo lÕincontro faccia a faccia tra datore di lavoro e lavoratore a
decidere della vita di questo rapporto, senza che la preventiva intermediazione
dellÕagenzia possa o voglia giocare un ruolo di garanzia per alcuna delle
parti.
Sul fronte delle attivitaÕ di intermediazione legale
tra parti distanti Ð tali, cioeÕ, da dar luogo a una promessa di assunzione
prima dellÕingresso, in assenza di un incontro diretto tra le parti Ð
lÕesperienza italiana eÕ molto modesta. Merita attenzione, peroÕ, il caso del Progetto
Albania,
condotto dallÕOrganizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), in
collaborazione col Ministero del lavoro italiano e con quello albanese.
NellÕambito di questo progetto, lÕOIM provvedeva, nel corso del 2000, a certificare
la qualificazione professionale di ciascuno degli iscritti Ð circa cinquemila Ð
in una lista di prenotazione raccolta dal Ministero del lavoro albanese. La
certificazione operata dallÕOIM aveva lo scopo di facilitare le chiamate
nominative di lavoratori albanesi da parte degli imprenditori italiani. LÕOIM
stessa, quindi, aveva reclamizzato la lista di lavoratori qualificati presso
molte importanti associazioni imprenditoriali del Centro-Nord. Si trattava, in
questo caso, di una effettiva opera di intermediazione, giaccheÕ, proprio sulla
base del processo di certificazione e di promozione completato dallÕOIM, la
chiamata del lavoratore sarebbe potuta avvenire Òal buioÓ (col lavoratore,
cioeÕ ancora in patria). Il risultato di questa grande mole di lavoro eÕ
consistito, alla fine dellÕintero processo, in poco piuÕ di sessanta chiamate
nominative![42]
LÕimpraticabilitaÕ o, rispettivamente, la scarsa
efficacia delle attivitaÕ di reclutamento e di intermediazione spinge a cercare
una cura alternativa per il fallimento del mercato. Piuttosto che a compensare
lÕincompletezza dellÕinformazione, si puoÕ allora puntare a prevenire le
situazioni in cui la debolezza dellÕimmigrato che non trovi inserimento
lavorativo gli impedisca di rimpatriare, riaffidando, al contempo, alla
mobilitaÕ dei lavoratori stranieri il compito di colmare la distanza fisica tra
domanda e offerta di lavoro. Si tratta, a questo scopo, di stabilire una soglia
minima di risorse economiche, al di sotto della quale la condizione di
inserimento sociale della persona sia da considerare inaccettabilmente
precaria. Tale soglia, in nome di un principio generale di uguaglianza rispetto
ai diritti fondamentali, saraÕ strettamente correlata alla soglia minima al di
sotto della quale scatta, per i cittadini nazionali, il diritto ad interventi
di natura assistenziale; potraÕ ad esempio corrispondere alla disponibilitaÕ di
una idonea sistemazione alloggiativa, di mezzi di sostentamento in misura pari
allÕimporto dellÕassegno sociale[43]
e di una assicurazione contro il rischio di malattia. LÕingresso e il
successivo soggiorno del
lavoratore straniero potrebbero essere consentiti a chiunque sia in grado di
dimostrare la disponibilitaÕ della quota di risorse minime per tutta la durata
del soggiorno in questione. Disposizioni di questo genere sono giaÕ presenti
nella normativa italiana, e di ogni altro paese avanzato, in relazione ai
soggiorni di breve durata (ad esempio, per turismo)[44].
Sono disposizioni largamente sperimentate: in Italia si contano circa 400.000 ingressi
allÕanno per soggiorni di questo tipo, da paesi non appartenenti allÕUnione
europea per i quali valga lÕobbligo di visto, con una punta, in tempi recenti,
di circa 500.000 ingressi nel 2000 (in occasione del Giubileo). LÕinnovazione
qui consisterebbe nellÕapplicazione ampia di queste disposizioni al problema
dellÕaccesso legale al lavoro: lo straniero che faccia ingresso sulla base
della propria volontaÕ e del soddisfacimento del requisito di disponibilitaÕ di
risorse sufficienti sarebbe autorizzato a intraprendere attivitaÕ lavorative
(anche saltuarie[45]), a
prolungare il proprio soggiorno in presenza di rinnovata disponibilitaÕ di
risorse, e a stabilizzarlo a titolo di lavoro una volta reperita una solida
opportunitaÕ di inserimento[46].
Potremmo allora battezzare convenzionalmente questa modalitaÕ di ammissione conversione
turismo-lavoro.
Differentemente dal caso in cui a cadere al di sotto
della soglia minima siano le condizioni del cittadino nazionale Ð situazione
che esigerebbe lÕintervento assistenziale pubblico Ð, ove a trovarsi in
difficoltaÕ fosse il lavoratore straniero in fase di soggiorno precario, lo
Stato, esaurite le misure di primo soccorso, sarebbe legittimato ad imporne il
rimpatrio, non essendo tenuto a sobbarcarsi lÕonere del mantenimento di una
persona non appartenente alla comunitaÕ, neÕ invitata a soggiornare sulla base
di stime di fabbisogno di manodopera, qui del tutto assenti.
Le esperienze simili: sponsorizzazione e
auto-sponsorizzazione
Si eÕ giaÕ osservato, per altro, come la legge
Turco-Napolitano avesse reso possibili forme simili di ricerca di lavoro sul
posto: la sponsorizzazione e lÕauto-sponsorizzazione. A dimostrazione della
ragionevolezza del quadro da esse rappresentato, queste forme di ingresso hanno
avuto un grande successo, bencheÕ siano state utilizzate in via puramente
sperimentale. Come si eÕ detto, lÕingresso per inserimento nel mercato del
lavoro dietro prestazione di garanzia da parte di uno sponsor eÕ stato
consentito per la prima volta nel 2000 entro il tetto di 15.000 ingressi. A
dispetto della novitaÕ e delle molte incertezze, in fase di prima applicazione,
in relazione alla documentazione da produrre, il tetto eÕ stato raggiunto entro
pochi giorni. Il decreto di programmazione dei flussi per il 2001 ha confermato,
per un improvvido eccesso di cautela, lo stesso limite numerico. Il tetto,
questa volta, eÕ stato raggiunto entro poche ore, destinando al diniego la
maggior parte delle numerosissime domande (forse 150.000[47])
presentate da aspiranti sponsor.
CÕeÕ da dire, nellÕesaminare questi dati, che in
molti casi Ð quasi tutti, probabilmente, quelli corrispondenti a domande
presentate da sponsor italiani Ð la prestazione di garanzia mirava a riportare
alla legalitaÕ rapporti di lavoro giaÕ nati irregolarmente, a somiglianza di
quanto verificatosi per le chiamate nominative. Era cioeÕ il datore di lavoro a
proporsi come sponsor di un lavoratore solo formalmente in attesa nel proprio paese. La
ragione di questo comportamento, ancora una volta elusivo rispetto alle
disposizioni di legge, puoÕ essere rintracciata, oltre che negli argomenti
esposti in precedenza, nella necessitaÕ di aggirare le restrizioni derivanti,
in relazione al normale ingresso per chiamata nominativa, dai limiti numerici
imposti dai decreti di programmazione dei flussi e, in misura minore, dal
requisito relativo al reddito del datore di lavoro[48].
Difficilmente, per questi casi, si puoÕ trarre la conclusione che lÕingresso
condizionato alla prestazione di garanzia sia un buon canale per consentire la
ricerca di lavoro sul posto in forma originariamente legale. Questo rilievo non
impedisce peroÕ di considerare positivamente questa forma di ingresso in
relazione alle domande presentate da sponsor stranieri regolarmente
soggiornanti in Italia. Si ha a che fare, in questi casi, con effettive catene
migratorie, nelle quali lÕingresso legale del lavoratore straniero non eÕ
necessariamente preceduto da un periodo di soggiorno illegale[49].
EÕ da notare come, per i casi di uso proprio dello
strumento della sponsorizzazione, il dispositivo si avvicini molto a quello
della conversione turismo-lavoro. In entrambi i casi, infatti, il lavoratore eÕ
ammesso se il suo sostentamento in fase di ricerca di lavoro eÕ garantito. La
differenza principale sta nel fatto che, nellÕambito della sponsorizzazione, il
sostentamento deve necessariamente essere garantito da un terzo. Il limite
evidente di questa previsione eÕ rappresentato dal fatto che lo straniero che
aspiri a migrare in Italia per cercare lavoro e non abbia alcun contatto con un
potenziale sponsor Ð un parente giaÕ inserito, per esempio Ð si trova comunque
indotto a conquistare attraverso il soggiorno illegale unÕammissione
formalmente legale.
Il superamento di questo limite era potenzialmente
consentito, allÕinterno della legge Turco-Napolitano, dalle disposizioni che
consentivano, sotto certe condizioni, lÕingresso per auto-sponsorizzazione. Tuttavia, essendo
richiesto, per quel tipo di ingresso, il mancato raggiungimento del tetto
fissato per gli ingressi associati a prestazione di garanzia e lÕiscrizione del
lavoratore in una lista di prenotazione nel consolato italiano, lÕesiguitaÕ dei
tetti fissati e la mancata istituzione di liste ha fatto siÕ che, nel caso
generale, lo strumento non sia stato utilizzato.
Eccezioni (di carattere sperimentale, appunto) si
sono avute Ð come detto Ð per i paesi cui erano state assegnate, per gli anni
2000 e 2001, quote riservate: Albania, Tunisia e Marocco. NellÕambito degli
accordi di collaborazione stipulati con lÕItalia erano state istituite, per
quei paesi, liste di prenotazione Ð allestite, in realtaÕ, dalle autoritaÕ di
ciascuno dei paesi, non dai corrispondenti consolati italiani. I decreti di
programmazione dei flussi avevano autorizzato ingressi di lavoratori iscritti
in quelle liste, alle condizioni previste per lÕauto-sponsorizzazione, in caso di mancato
raggiungimento dei tetti fissati per la sponsorizzazione.
Pur essendo esaurite in pochissimo tempo le quote
generali per sponsorizzazione (quelle, cioeÕ, fissate senza riferimento alla
provenienza dei lavoratori), la condizione favorevole di mancato esaurimento si
registra Ð nel 2000 Ð con riferimento alle quote riservate per ciascuno dei tre
paesi citati[50]. Per quanto
riguarda lÕAlbania, in particolare, sono cosiÕ ammessi per
auto-sponsorizzazione circa milleduecento dei lavoratori iscritti nella lista
raccolta dal locale Ministero del lavoro. Non esistono dati ufficiali
sullÕesito della ricerca di lavoro da parte dei lavoratori cosiÕ entrati.
Tuttavia, sulla base di quanto riportato dallÕOIM, si puoÕ presumere che il
tasso di insuccesso sia stato inferiore al 5-10%[51].
Emerge, allora, chiaramente lÕefficacia di questo strumento nel consentire un
percorso interamente legale di inserimento lavorativo, e lÕincomparabile superioritaÕ
di esso rispetto alla soluzione rappresentata dallÕagenzia di
intermediazione (una sessantina di ingressi su chiamata nominativa, a partire dalla
stessa lista).
La conversione turismo-lavoro
Rispetto alle esperienze giaÕ maturate di ingresso
condizionato a sponsorizzazione o auto-sponsorizzazione, lÕapproccio fondato
sulla conversione turismo-lavoro rimuove il requisito relativo al rispetto di
un tetto numerico fissato con il decreto di programmazione e, quindi, quello
relativo allÕiscrizione in una lista di prenotazione. Riduce cosiÕ fortemente
la necessitaÕ di intervento statale.
La principale obiezione che puoÕ essere mossa a una
proposta di questo genere eÕ che essa non sembra in grado, di per seÕ, di
garantire allo Stato la concreta possibilitaÕ di allontanare lo straniero le
cui risorse, fallito il tentativo di inserimento lavorativo, cadano al di sotto
della soglia minima. Trovandosi in queste condizioni, infatti, lo straniero
potrebbe sottrarsi al controllo periodico del possesso dei requisiti economici
previsti per il rinnovo del permesso[52].
EÕ necessario allora che le norme sullÕingresso e sulla possibilitaÕ di
permanenza legale siano affiancate da disposizioni che consentano allo Stato di
procedere, al rimpatrio di chi sia trovato in flagrante violazione delle norme
sul soggiorno. Uno dei principali ostacoli allÕattuazione di queste
disposizioni eÕ rappresentato dalla distruzione o dallÕoccultamento, da parte
dello straniero, del proprio passaporto Ð cosa che rende assai difficile lÕindividuazione
del paese di appartenenza o di provenienza, i soli tenuti a riammettere
lÕespulso nel proprio territorio[53].
Il ricorso a costose misure detentive finalizzate allÕaccertamento della
nazionalitaÕ della persona da allontanare[54]
puoÕ essere reso superfluo dalla conservazione, per ciascuno dei lavoratori
stranieri ammessi, di una fotocopia del passaporto e delle impronte digitali[55]
(o di altro analogo segno di riconoscimento non equivoco). Ogni altro onere per
lÕerario puoÕ poi essere evitato imponendo, in ingresso, il deposito di un
biglietto aperto per il viaggio di ritorno o dei mezzi necessari ad acquistarlo[56].
In questo modo, lo straniero che, in qualunque modo,
cada nel novero delle persone non legittimate a soggiornare nel territorio
dello Stato, potrebbe, alla prima intercettazione che ne evidenzi questa
condizione, essere associato immediatamente al fascicolo impronte-passaporto-biglietto. Potrebbe cioeÕ essere
allontanato senza difficoltaÕ e senza bisogno di accordi di riammissione con
altri paesi[57]. Allo
stesso tempo, e in virtuÕ della linearitaÕ acquistata dal procedimento di
allontanamento, lo Stato potrebbe ben rinunciare, nei casi in cui
lÕallontanamento stesso non sia motivato da reati, allÕapplicazione di
qualunque sanzione aggiuntiva (quella tipica eÕ il divieto di reingresso[58]),
dato che nessun danno Ð in termini di aggravio di spesa Ð eÕ stato apportato
dallo straniero alla collettivitaÕ.
Andrebbe, ovviamente, rispettato comunque il diritto
dello straniero di far valere le proprie ragioni contro il provvedimento di
allontanamento, ma tale rispetto non inficierebbe in alcun modo la capacitaÕ
dello Stato di mantenere il pieno controllo della situazione: se anche lo
straniero, in assenza di un regime di detenzione, si sottraesse al provvedimento,
la successiva intercettazione darebbe luogo allÕallontanamento immediato,
essendo giaÕ esaurito il diritto di ricorso[59].
Si osservi come, in questo contesto, il rilevamento
delle impronte digitali non assuma la connotazione di misura vessatoria adottata
da parte di uno Stato pervasivo nei confronti di un individuo giaÕ privato di
molte delle proprie prerogative. EÕ piuttosto lo strumento per il recupero in
extremis, da parte dello Stato, della porzione di sovranitaÕ ceduta Ð per cosiÕ
dire Ð allÕindividuo straniero, con lÕammissione nel proprio territorio, in
nome del rispetto sostanziale della libertaÕ di movimento e di iniziativa di
questi. EÕ anche, certamente, una misura discriminatoria, dato che, anche in
caso di estensione al cittadino nazionale[60],
questi non ne soffrirebbe la valenza repressiva. Ma la discriminazione
corrisponde esattamente, e nel modo piuÕ contenuto possibile, a quella
esistente, a livello fondamentale, tra cittadino e straniero (lÕuno dotato di
un diritto pieno di soggiorno, lÕaltro semplicemente autorizzato a soggiornare) Ð condizione
che, pur sempre, si ribalterebbe a vantaggio dello straniero nel suo paese di
origine.
La costituzione del fascicolo, mirata a garantire la
possibilitaÕ di allontanare lo straniero dal territorio dello Stato, senza
difficoltaÕ, ove ve ne siano i presupposti, rappresenta, allo stesso tempo, una
buona risposta ai problemi legati alla sicurezza pubblica, se eÕ vero Ð come eÕ
vero Ð che lÕunica minaccia specifica di cui puoÕ essere portatore, al riguardo,
lo straniero eÕ associata alla concreta possibilitaÕ di occultare la propria
identitaÕ.
LÕesigenza di protezione dei lavoratori nazionali
piuÕ deboli daÕ invece origine ad una seconda possibile obiezione contro il
dispositivo di conversione turismo-lavoro: anche nellÕipotesi di un pieno
controllo del rispetto degli standard minimi di tutela dei lavoratori previsti
dalla legislazione nazionale o dalla contrattazione collettiva, la concorrenza
di una manodopera straniera ammessa senza eccessive restrizioni a cercare
lavoro nel territorio dello Stato puoÕ dar luogo, in ragione della sua forza
numerica, a una concorrenza troppo aggressiva nei confronti di quella
nazionale. Un rischio del genere potrebbe essere ridimensionato imponendo il
preventivo accertamento di indisponibilitaÕ di manodopera nazionale come
condizione necessaria per la costituzione di un rapporto di lavoro duraturo con
un lavoratore straniero (e per la conseguente stabilizzazione del soggiorno di
questi)[61].
Al di laÕ dellÕapparente ragionevolezza di una misura del genere e della
facilitaÕ con cui puoÕ captare il consenso dellÕelettore mediano, peroÕ, occorre tener
presente che essa, come tutte le misure di tipo protezionistico, provoca un uso
inefficiente delle risorse, e i costi che ne derivano per i consumatori
nazionali possono eccedere largamente i benefici di cui vengono a godere i
lavoratori protetti[62].
PercheÕ non
si riveli un boomerang per il paese di accoglienza andrebbe quindi usata con
cautela: solo Ð possibilmente Ð quando sia necessario tutelare, in situazioni
particolari e per tempi non troppo lunghi, settori specifici del bacino di
disoccupazione.
LÕimposizione, invece, di un limite numerico sugli
ingressi o sulle possibilitaÕ di stabilizzazione, non fondandosi, di per seÕ,
sullÕeffettiva aspirazione del lavoratore nazionale ad occupare un determinato
posto di lavoro Ð, non sembra difendibile. EÕ ancora meno difendibile quando Ð
come eÕ successo con la programmazione dei flussi dal 1997 ad oggi Ð eÕ intesa
non come strumento di tutela del disoccupato residente, ma come risultato di
una stima del fabbisogno di manodopera non saturato dallÕofferta nazionale. Il
vincolo, infatti, non agisce se non quando il limite viene superato dal numero
di richieste avanzate dai datori di lavoro Ð quando, cioeÕ, la stima si rivela
errata[63].
Un tetto numerico potrebbe ancora avere una ragion dÕessere se fosse
determinato sulla base di criteri diversi, quali il rispetto delle limitate
capacitaÕ di accoglienza da parte della societaÕ, con riguardo alla
disponibilitaÕ di strutture e servizi sociali o alla necessitaÕ di proteggere
la cultura locale da unÕeccessiva alterazione della composizione etnica della
popolazione. Tuttavia, limitazioni di questo genere trovano in genere
giustificazione solo su una scala spaziale e temporale limitata (puoÕ essere
cioeÕ necessario evitare concentrazioni eccessive di presenza straniera nel
tempo o nello spazio); non eÕ quindi opportuno che abbiano carattere globale;
devono piuttosto tendere a ridistribuire il carico degli ingressi su un arco di
tempo un poÕ piuÕ lungo o su un territorio un poÕ piuÕ vasto.
Si vede come lÕassetto normativo basato sulla
conversione turismo-lavoro corrisponderebbe ad una ricombinazione ed
estensione, sia pure in chiave diversa da quella originaria, di disposizioni
giaÕ sperimentate o da poco introdotte nella normativa. Non costituendo un
salto nel buio[64] e
comportando un significativo alleggerimento del controllo statale sui flussi,
potrebbe ridurre di molto le dimensioni dei flussi illegali. Una simile
aspettativa eÕ tanto piuÕ fondata quanto piuÕ il requisito di autosufficienza
corrisponda allÕeffettiva protezione del migrante dal rischio di una
insostenibile indigenza. Nessun migrante troverebbe infatti vantaggioso eludere
un percorso legale di fatto ritagliato sul suo stesso interesse. La
definizione, per eccesso di prudenza, di criteri piuÕ restrittivi Ð in termini
di tetti numerici o di livelli minimi di risorse troppo alti Ð produrrebbe
invece una divaricazione tra lÕinteresse del migrante e cioÕ che gli eÕ
consentito fare. La migrazione illegale potrebbe ancora risultare appetibile, e
lo Stato si troverebbe probabilmente a sanare domani quello che non ha
autorizzato oggi.
Verso un diritto di immigrazione?
Si puoÕ allora concludere che la ricetta per una
gestione del fenomeno migratorio che renda inutili i flussi illegali e, allo
stesso tempo, eviti di trasformarlo in un onere o in una minaccia per la
societaÕ del paese dÕarrivo consiste nel lasciare che ogni individuo Ð il
migrante, in particolare Ð agisca liberamente per migliorare la propria
condizione fincheÕ questo non peggiori la condizione di qualcun altro Ð in
particolare, il cittadino nazionale[65].
Le deviazioni da questo principio corrispondono proprio alla definizione di
criteri inutilmente restrittivi, che impediscono lÕevoluzione di alcuni
soggetti Ð i migranti Ð senza che gli altri Ð i cittadini nazionali Ð ne
abbiano alcun vantaggio[66].
Dando luogo ad una fascia di situazioni proibite dalle norme a dispetto della
loro utilitaÕ, queste deviazioni promuovono, di fatto, le pratiche illegali.
AllÕinverso, lÕimplementazione della ricetta di
conversione turismo-lavoro somiglia molto alla definizione di un vero e proprio
diritto di immigrazione. Non un diritto assoluto Ð come formalmente[67]
eÕ il diritto dÕasilo Ð, ma un diritto condizionato alla tutela dello status
quo della
societaÕ ospitante: il migrante ha diritto di essere ammesso, purcheÕ non
rappresenti un onere netto per il paese dÕarrivo[68].
EÕ ipotizzabile che questo quadro trovi
corrispondenza nella normativa e nella politica italiana? Stando ai contenuti
della riforma recentemente varata con la legge Bossi-Fini, no. Rispetto al
quadro uscente, eÕ stata confermata lÕimpostazione dominante, fondata sulla
stipula preventiva del contratto di lavoro (ribattezzato contratto di
soggiorno per lavoro subordinato). EÕ stata invece cancellata ogni possibilitaÕ di ingresso
per sponsorizzazione o auto-sponsorizzazione. Verosimilmente si riprodurranno
cosiÕ, a dispetto di un inasprimento delle sanzioni contro lÕimmigrazione
clandestina, le condizioni che hanno indotto per anni i lavoratori stranieri a
cercare nellÕillegalitaÕ la via di accesso a una condizione di soggiorno
stabilmente legale[69].
Le cose potrebbero, in linea di principio, modificarsi
in virtuÕ del processo di armonizzazione delle politiche di immigrazione e
asilo in ambito europeo, avviato con il Trattato di Amsterdam. AllÕinterno di
questo processo la Commissione europea ha presentato proposte per direttive e
regolamenti che toccano ormai quasi tutti gli aspetti di rilievo della materia.
La strategia qui prospettata Ð ingresso per soggiorni di breve durata
condizionato alla dimostrazione di autosufficienza economica, con deposito
delle impronte e di copia del documento di viaggio; possibilitaÕ di ricerca di
lavoro sul posto; stabilizzazione del soggiorno in caso di reperimento di
unÕoccupazione, previo eventuale accertamento di indisponibilitaÕ di manodopera
nazionale, ma senza il vincolo di limiti numerici prefissati Ð non sembra
incompatibile con le proposte finora avanzate dalla Commissione. In
particolare, la Proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni
d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi ai fini dello
svolgimento di unÕoccupazione retribuita e di attivitaÕ di lavoro autonomo prevede che possa ottenere
un permesso di soggiorno per lavoro subordinato anche lo straniero che sia giaÕ
legalmente soggiornante nel territorio di uno Stato membro per altri motivi,
incluso il turismo (art. 5). Condizione per il rilascio del permesso eÕ
lÕesistenza di unÕofferta di assunzione da parte di un datore di lavoro, in
corrispondenza alla quale sia stata accertata lÕindisponibilitaÕ di manodopera
residente (art. 6). LÕimposizione, da parte di uno Stato membro, di un tetto
massimo sul numero dei permessi rilasciabili eÕ consentita solo se motivata da
coonsiderazioni relative capacitaÕ di accoglienza del paese o di una sua
regione (art. 26). A dispetto di questa compatibilitaÕ, tuttavia, i
rappresentanti di tutti i governi si sono pronunziati, nellÕambito dellÕesame
della proposta di direttiva su ingresso e soggiorno per lavoro, contro la
possibilitaÕ di accesso sul posto al soggiorno stabile per lavoro da parte di chi sia
stato autorizzato allÕingresso per un soggiorno di breve durata; e Ð come eÕ
noto Ð eÕ il Consiglio europeo (espressione dei governi) a detenere il potere
legislativo nellÕUnione europea, non la Commissione. Anche lÕEuropa sembra
cosiÕ destinata a impantanarsi in un quadro legislativo giaÕ rivelatosi
chiaramente insufficiente.
[1] In Italia, le disposizioni che regolano la
condizione giuridica dello straniero sono in gran parte contenute nel Testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina dellÕimmigrazione e norme
sulla condizione dello straniero (dÕora in avanti ÒT.U.Ó), di cui al D. Lgs.
286/1998, emanato ai sensi dellÕart. 47, co. 1, L. 40/1998 (legge Turco-Napolitano). Il T.U. include le disposizioni rilevanti della
stessa L. 40/1998 e le poche disposizioni giaÕ vigenti, non incompatibili con
queste. Modifiche al T.U. sono state apportate, successivamente, dal D. Lgs.
380/1998 e dal D.Lgs. 113/1999 (emanati ai sensi dellÕart. 47, co. 2, L.
40/1998), dal D.l. 51/2002 (convertito, con modificazioni, in L. 106/2002), dal
Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di spese di giustizia (testo A; approvato con il DPR
115/2002), dalla L. 189/2002 (legge Bossi-Fini), dal D. Lgs. 87/2002 (di attuazione
della direttiva 2001/51/CE, che integra le disposizioni dell'articolo 26 della
Convenzione applicativa dell'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985). Accanto a
queste disposizioni sopravvive, in materia di diritto dÕasilo, lÕart. 1 del D.l.
416/1989, convertito, con modificazioni, in L.
39/1990 (legge Martelli), cui sono stati aggiunti sei articoli (da
1-bis a 1-septies), dalla L. 189/2002. EÕ stato infine emanato il D. Lgs.
85/2003 (di attuazione della direttiva 2001/55/CE,
relativa alla concessione della protezione temporanea in caso di afflusso
massiccio di sfollati ed alla cooperazione in ambito comunitario).
[2] La Convenzione di Ginevra del 1951 sullo
status dei rifugiati, ad esempio, prevede questa equiparazione in relazione a
esenzione dalla condizione di reciprocitaÕ (art. 7), proprietaÕ mobiliare e
immobiliare (art. 13), diritto di associazione (art. 15), accesso alle
professioni dipendenti (art. 17), indipendenti (art. 18) e liberali (art. 19),
alloggio (art. 21), diritto di libero passaggio (art. 26). La Convenzione
prevede invece equiparazione con i cittadini nazionali in relazione ad altre
materie, le piuÕ rilevanti delle quali sono il diritto di adire i tribunali
(art. 16), lÕeducazione pubblica (art. 22), lÕassistenza pubblica (art. 23), la
legislazione del lavoro e sicurezza sociale (art. 24). La normativa italiana, tuttavia,
parifica giaÕ lo straniero in generale al cittadino per tutte queste materie,
con lÕeccezione della fruizione delle misure di assistenza sociale: lÕart. 41
T.U. stabiliva la parificazione per lo straniero titolare di carta di soggiorno
o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno; lÕart. 80, co. 19
L. 388/2000 ha limitato la parificazione ai titolari di carta di soggiorno.
[3] Con la Legge 189/2002 la disciplina relativa
alla procedura di riconoscimento dello status di rifugiato eÕ stata
radicalmente riformata. Sono stati infatti aggiunti sei articoli allÕart. 1 del
D.l. 416/1989 (convertito in L. 39/1990), con
i quali si dispone che il richiedente asilo che presenti la domanda in
condizioni di soggiorno tali che, in assenza di domanda di asilo, si dovrebbe
procedere al suo allontanamento dal territorio dello Stato, sia trattenuto in
un centro apposito. Sul piano formale, tuttavia, non eÕ previsto che
lÕautoritaÕ incaricata di esaminare la sua domanda debba farsi guidare da una
presunzione di manifesta infondatezza della stessa (come era invece previsto da
un disegno di legge di iniziativa governativa presentato dal Governo Prodi nel
1997).
[4] Gli artt. 32 e 33 della Convenzione di
Ginevra limitano fortemente lÕespellibilitaÕ del rifugiato: il rifugiato
regolarmente soggiornante puoÕ essere espulso solo per gravi motivi di
sicurezza nazionale o di ordine pubblico (art. 32, co. 1) e non, per esempio,
in seguito a condanne per reati comuni; in caso di espulsione deve avere la
possibilitaÕ di presentare ricorso sul posto (art. 32, co. 2) e il tempo di
farsi ammettere regolarmente in altro paese (art. 32, co. 3); non puoÕ comunque
essere allontanato verso un paese nel quale corra rischio di persecuzione a
motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua
appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche, salvo il caso
di grave minaccia per la sicurezza nazionale (art. 33). La normativa italiana
recepisce esplicitamente questÕultima disposizione, estendendo il divieto al
caso in cui il rischio di persecuzione sia motivato dalle Òcondizioni
personaliÓ dello straniero (art. 19, co. 1, T.U.), e non subordinandolo
allÕassenza di pericoli per la sicurezza nazionale. Le disposizioni di cui
allÕart. 32 della Convenzione trovano invece debole riflesso nella normativa
italiana, a dispetto del dettato dellÕart. 10, co. 2, Cost., che vorrebbe la
condizione giuridica dello straniero regolata dalla legge in conformitaÕ con le
norme e i trattati internazionali: il rifugiato, in caso di mancato rinnovo del
permesso di soggiorno, potrebbe infatti essere espulso mediante lÕintimazione a
lasciare lÕItalia entro quindici giorni (art. 13, co. 5, T.U.). Avrebbe la
possibilitaÕ di presentare ricorso, ma non quella di attendere la decisione
sullo stesso (art. 13, co. 8, T.U.) neÕ quella di farsi ammettere regolarmente
in altro paese.
[5] La normativa italiana prevede (art. 10, co.
1, T.U.) che lo straniero sia respinto alla frontiera quando tenti di fare
ingresso nel territorio dello Stato privo dei requisiti (titolo di viaggio
valido, visto di ingresso, se richiesto, risorse sufficienti per il soggiorno,
salvo che per i casi di ingresso per lavoro, etc.) previsti per lÕingresso. Il
respingimento eÕ effettuato anche quando lo straniero sia stato condannato per
determinati reati o costituisca una minaccia per lÕordine pubblico o la
sicurezza dello Stato o di uno degli Stati dellÕarea Schengen (art. 4, co. 3,
T.U.), ovvero sia gravato da un divieto di regingresso (art. 4, co. 6, T.U.).
Non si applicano le disposizioni sul respingimento quando si debba applicare la
normativa relativa al diritto dÕasilo (art. 10, co. 4, T.U.). Lo straniero eÕ
invece espulso, oltre che nei casi in cui rappresenti una minaccia per lÕordine
pubblico o la sicurezza dello Stato (art. 13, co. 1, T.U.), risulti socialmente
pericoloso (art. 13, co. 2, lettera c, art. 15, T.U.) o debba scontare pene detentive di
una certa rilevanza (art. 16, T.U.), nei casi in cui abbia fatto ingresso
clandestino o soggiorni nel territorio dello Stato senza aver chiesto il
permesso di soggiorno o senza averlo rinnovato per tempo (art. 13, co. 2,
lettere a e b, T.U.).
[6] Qui e nel seguito ci si limita a considerare
lÕimmigrazione per motivi di lavoro e, in particolare, quella per lavoro
dipendente.
[7] Supposto Ð ragionevolmente Ð che lÕutilitaÕ
decresca con la quantitaÕ acquistata e il costo cresca con la quantitaÕ
prodotta.
[8] Art. 8, L. 943/1986.
[9] Il requisito eÕ previsto dallÕart. 30, co. 3,
lettera c, DPR 394/1999
(Regolamento di attuazione del T.U.), che non stabilisce peroÕ una precisa
quantificazione del reddito necessario in capo al datore di lavoro. La
circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 55/2000
provvede a tale quantificazione per i casi di assunzione di lavoratori
domestici: il livello di reddito varia a seconda della provincia in cui risiede
il datore di lavoro, sulla base delle tabelle corrispondenti al cosiddetto redditometro (misuratore dei redditi introdotto, a fini
fiscali, dal D.M. 10/9/1992 del Ministero delle
finanze). In media, tale livello ammonta a circa novanta milioni di vecchie
lire (circa 45.000 euro), e non si discosta di molto dai livelli giaÕ stabiliti
con analoghe circolari, ma senza un corrispondente riferimento regolamentare, in
vigenza della legge Martelli (L. 39/1990).
[10] Il requisito era stato introdotto giaÕ col
Decreto ministeriale 17 Novembre 1990 recante disposizioni per la ÒLimitazione
dei flussi programmati dei cittadini stranieri extracomunitari per lÕanno
1991Ó, emanato in attuazione dellÕart. 2, co. 3 della legge Martelli (v. Nota
11). EÕ stato poi ripreso dallÕart. 22, co. 2, T.U., sia nella versione
originale, sia in quella risultante dalle modifiche apportate dalla legge
Bossi-Fini (L. 189/2002): la richiesta di autorizzazione (ora di nulla-osta) al lavoro deve essere accompagnata da
documentazione relativa alle modalitaÕ di sistemazione alloggiativa del
lavoratore. La legge 189/2002, tuttavia, ha
rafforzato la prescrizione, stabilendo, al comma 1 del nuovo art. 5-bis T.U.,
che il contratto di soggiorno per lavoro subordinato deve contenere Òla garanzia da parte del datore di lavoro della
disponibilitaÕ di un alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri
minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblicaÓ.
[11] LÕart. 2, co. 3, D.l. 416/1989 (convertito in L. 39/1990), stabiliva che
entro il 30 ottobre di ogni anno si procedesse Òalla programmazione dei flussi
di ingresso in Italia per ragioni di lavoro dei cittadini stranieri
extracomunitariÓ per lÕanno solare successivo, mediante decreti adottati, di
concerto, dai ministri degli affari esteri, dellÕinterno, del bilancio e della
programmazione sociale, del lavoro e della previdenza sociale. BencheÕ la legge
non menzionasse esplicitamente la determinazione di quote (massime) di
ingresso, la possibilitaÕ di fissarle era garantita dalla formulazione
assolutamente generica della disposizione (e, di fatto, eÕ stata utilizzata Ð
v. infra, nel testo). Una
previsione analoga, ma con riferimenti espliciti alla determinazione di quote
massime, eÕ contenuta nellÕart. 3, co. 4, T.U.. Il decreto o, se necessario, i
decreti sono emanati peroÕ,
in questo caso, dal Presidente del Consiglio dei ministri. La versione
originale della disposizione prevedeva che, in caso di mancata emanazione, le
quote fossero fissate in conformitaÕ con i decreti emanati per lÕanno
precedente. La legge 189/2002 ha modificato questa disposizione, stabilendo che
in caso di mancata emanazione la quota di ingressi non deve superare quella definita per lÕanno precedente.
[12] LÕart. 8, co. 3, L. 943/1986 stabiliva che,
ai fini della concessione dellÕautorizzazione al lavoro di uno straniero
residente allÕestero, gli uffici provinciali del lavoro e della massima
occupazione provvedessero ad accertare ÒlÕindisponibilitaÕ di lavoratori
italiani e comunitari aventi qualifiche professionali per le quali eÕ stata
richiesta lÕautorizzazione al lavoroÓ.
[13] V. Nota 1.
[14] Art. 23, co. 1, T.U.. Le disposizioni
relative allÕingresso per inserimento nel mercato del lavoro sono state
soppresse dalla L. 189/2002, che ha radicalmente innovato lÕart. 23 T.U.,
trasformandolo nella disciplina della maturazione, dallÕestero e mediante la
partecipazione a percorsi formativi, di titoli di prelazione per lÕingresso in
Italia per lavoro.
[15] Art. 34, co. 2, DPR 394/1999, Regolamento di
attuazione del T.U.
[16] Art. 23, co. 4, T.U., poi sostituito, dalla
L. 189/2002 con disposizione di contenuto affatto diverso (v. Nota 14). La
disposizione di cui al comma 4 dellÕart. 23 non faceva parte del disegno di
legge di iniziativa governativa che diede vita alla L. 40/1998 (poi confluita
nel Testo Unico); fu introdotta, nel corso dellÕesame del provvedimento da
parte della Camera dei deputati, in base ad un emendamento presentato dallo
stesso Governo su pressione delle associazioni di volontariato attive nel
settore dellÕimmigrazione. Chi scrive partecipoÕ, in via informale, alla
stesura di quellÕemendamento.
[17] LÕart. 23, co. 4, T.U. faceva riferimento a
liste da istituirsi presso le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane,
con graduatoria basata sullÕanzianitaÕ di iscrizione. Le liste avrebbero dovuto
essere tenute quindi su iniziativa della sola autoritaÕ italiana, a differenza
di quelle previste dallÕart. 21, co. 5, e finalizzate alla chiamata dei
lavoratori da parte di datori di lavoro, che avrebbero dovuto essere istituite
nellÕambito di intese bilaterali con i paesi di emigrazione disposti a
collaborare per la riammissione degli stranieri espulsi dallÕItalia.
[18] PiuÕ precisamente, la Direttiva del Ministro
dellÕinterno 1 Marzo 2000 (G.U. Serie Generale n. 64, 17 Marzo 2000), emanata
ai sensi dellÕart. 4, co. 3, T.U. stabiliva, quali requisiti per lÕingresso ex
art. 23, co. 4, T.U., la disponibilitaÕ di mezzi per il proprio sostentamento
pari almeno a metaÕ dellÕimporto annuale dellÕassegno sociale (v. Nota 43) e
delle risorse necessarie per lÕiscrizione al SSN o per la stipula di
unÕassicurazione privata valida su tutto il territorio nazionale. A questi
requisiti andavano aggiunti quelli, generali, di Òindicazione di idoneo
alloggio nel territorio nazionaleÓ e di disponibilitaÕ dei mezzi necessari per
le spese di rimpatrio (eventualmente dimostrabile con esibizione del biglietto
di ritorno).
[19] Art. 8 L. 943/1986 (v. Nota 12).
[20] In mancanza di dati completi eÕ stato
utilizzato il dato relativo allÕanno 1990 (questo e gli altri dati riportati
sono tratti, salvo che sia diversamente indicato, dalle edizioni 1991-2002 del
Dossier statistico sullÕimmigrazione curato dalla Caritas).
[21] V. Nota 10.
[22] Art. 1, co. 1, lettera c, Decreto ministeriale 17 Novembre 1990
(citato nella Nota 10).
[23] Art. 6, co. 2, L. 943/1986.
[24] V. Nota 9.
[25] Che questo fosse stato il criterio utilizzato
per la determinazione del numero massimo di ingressi fu comunicato a chi
scrive, in un colloquio informale, da un consigliere del Ministro dellÕinterno
del tempo.
[26] Rectius, del Testo unico di cui al D. Lgs. 286/1998 (v. Nota
1).
[27] La legge Turco-Napolitano ha introdotto la
possibilitaÕ di ingresso per lavoro stagionale, disciplinato dallÕart. 24 T.U..
LÕingresso eÕ autorizzato, previa chiamata da parte di un datore di lavoro e
con procedure non molto diverse da quelle stabilite per rapporti di lavoro di
lunga durata, nei limiti di apposite quote fissate dal decreto di
programmazione dei flussi. Al lavoratore straniero eÕ rilasciato un permesso di
soggiorno di durata non superiore a nove mesi, al termine dei quali il
lavoratore deve lasciare il territorio dello Stato, a pena di espulsione. Il
lavoratore stagionale che rispetti lÕobbligo di lasciare lÕItalia matura Ð in
modo piuttosto vago Ð un diritto di precedenza per il rientro in Italia per
lavoro stagionale rispetto ai connazionali che non abbiano ancora fatto
regolare ingresso in Italia per lavoro. A partire dal secondo anno di lavoro
stagionale in Italia, puoÕ inoltre convertire il proprio permesso in un
permesso di soggiorno per lavoro subordinato (ordinario) in presenza di una
richiesta di assunzione che lo riguardi, purcheÕ tale richiesta rientri nella
quota (ordinaria) fissata dal decreto di programmazione. In questo lavoro si
considerano tuttavia solo gli ordinari ingressi per lavoro subordinato Ð
finalizzati, cioeÕ, a un inserimento relativamente stabile nel mercato del
lavoro Ð, dal momento che gli ingressi per lavoro stagionale corrispondono a un
flusso netto nullo.
[28] LÕart. 21, co. 1, T.U. prevede che, in sede
di programmazione dei flussi, possano essere riservate, in via preferenziale,
quote di ingresso ai paesi con i quali il Ministero degli affari esteri abbia
stipulato accordi finalizzati alla regolamentazione dei flussi e Ð soprattutto
Ð alla riammissione degli stranieri espulsi. Sulla base di questa disposizione
sono state assegnate, negli anni, quote riservate a Tunisia,
Albania, Marocco, Romania, Nigeria, Moldavia, Sri Lanka ed Egitto.
[29] Le principali modifiche in relazione alle
condizioni per lÕautorizzazione (ora nulla-osta) allÕingresso del lavoratore introdotte dalla L.
189/2002 (il nuovo art. 5-bis T.U. e la riforma dellÕart. 22 T.U.) consistono
in un rafforzamento della garanzia relativa allÕalloggio (v. Nota 10) e
nellÕimpegno, per il datore di lavoro, a sostenere le spese dellÕeventuale
rimpatrio del lavoratore e a comunicare qualunque variazione del rapporto di
lavoro. Questi oneri costituiscono parte integrante del cosiddetto contratto
di soggiorno per lavoro subordinato. La formulazione delle relative disposizioni non chiarisce se la
stipula di un contratto siffatto sia necessaria anche per rapporti di lavoro
successivi a quello per il quale eÕ stato autorizzato lÕingresso (con
trasferimento degli oneri da un datore di lavoro allÕaltro), o se per i
rapporti successivi lo straniero sia equiparato al lavoratore nazionale
(rimanendo lÕonere sul primo datore di lavoro). Il dubbio saraÕ risolto con
lÕentrata in vigore del Regolamento di attuazione; nella versione Ð non
definitiva Ð inviata dal Governo agli organi di controllo, eÕ stabilito che la
costituzione di un nuovo rapporto di lavoro richieda un nuovo contratto di
soggiorno per lavoro (con trasferimento degli oneri). Questo appare in
contrasto con il disposto dellÕart. 2, co. 3, T.U. (equiparazione del
lavoratore straniero regolarmente soggiornante in Italia con il lavoratore
italiano, in attuazione della Convenzione OIL n. 143/1975), ma, allo stesso
tempo, riduce di molto il potere dissuasivo delle nuove disposizioni rispetto
allÕassunzione di lavoratori residenti allÕestero. Una seconda modifica
consiste in un parziale ripristino della condizione di accertamento di
indisponibilitaÕ di manodopera nazionale o comunitaria, temperata peroÕ dalla
previsione che lÕaccertamento si concluda entro venti giorni dalla richiesta e
dalla disposizione del Regolamento Ð non ancora in vigore Ð sul carattere non
vincolante, ai fini dellÕassunzione del lavoratore straniero, dellÕeventuale
accertamento di disponibilitaÕ. EÕ da ritenere che lÕimpatto piuÕ significativo
delle nuove disposizioni si avraÕ, piuÕ che sullÕingresso di lavoratori
stranieri (chiamati nominativamente), sulla stabilitaÕ del loro soggiorno.
Oltre a quanto giaÕ detto sulla necessitaÕ di reiterazione del contratto di
soggiorno per lavoro, rilevano i limiti piuÕ stringenti per la richiesta di
rinnovo del permesso di soggiorno (deve aver luogo almeno novanta giorni prima
della scadenza del permesso, anzicheÕ trenta, come previsto dalla legge
Turco-Napolitano), la minor durata del permesso di soggiorno per lavoro (sia in
sede di primo rilascio, sia in sede di rinnovo) e il margine piuÕ limitato per
la ricerca di una nuova occupazione in caso di interruzione del rapporto di
lavoro (di norma sei mesi, anzicheÕ un anno).
[30] Stabilita cioeÕ dal Presidente del Consiglio
dei ministri, con proprio decreto, in caso di mancata emanazione del decreto
ordinario, nei limiti delle quote fissate per lÕanno precedente (art. 3, co. 4,
T.U.; v. Nota 11).
[31] Ripartiti in quote riservate a paesi con i
quali lÕItalia abbia concluso accordi e, sulla base di quanto disposto
dallÕart. 21, co. 1, T.U. (come modificato dalla L. 189/2002), a cittadini
argentini di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori (fino al
terzo grado, in linea retta di ascendenza).
[32] Al momento non sono noti i dati relativi agli
ingressi effettivi, anche se eÕ presumibile che le quote siano state esaurite,
come sempre negli ultimi anni, in brevissimo tempo.
[33] Le disposizioni transitorie su cui si sono
fondate le sanatorie citate sono contenute, rispettivamente, nella L. 943/1986,
nel D.l. 416/1989 (convertito in L. 39/1990), nel D.l. 489/1985 (reiterato piuÕ
volte Ð D.l. 22/1996, D.l. 132/1996, D.l. 269/1996 Ð, ma non convertito in
legge; effetti prodotti fatti salvi dalla L. 617/1996), nel D.P.C.M. 16 Ottobre
1998 (effetti estesi dal D.Lgs. 113/1999).
[34] Disposizioni contenute nella L. 189/2002 e
nel D.l. 195/2002 (convertito in L. 222/2002).
[35] Si eÕ considerato il periodo periodo
1988-2002, non essendo disponibili informazioni attendibili sullÕistante di
inizio della formazione dello stock di immigrati irregolari regolarizzati con
la sanatoria del 1987. Per la regolarizzazione avviata con la legge Bossi-Fini
(L. 189/2002) e con il decreto-legge 195/2002, si sono usate le proiezioni del
Ministero dellÕinterno sul numero di istanze accoglibili. Se ci si limita, per
evitare lÕincertezza sugli ingressi legali negli anni 1987-1990 (v. Nota 36), al
periodo 1991-2002, il totale eÕ di 1.140.000 regolarizzazioni (95.000 per
anno).
[36] Per gli anni dal 1987 al 1990 si eÕ
utilizzata la stima di 13.000 ingressi per anno. Il totale sul piuÕ limitato
arco di tempo 1991-2002, esente da questa incertezza, eÕ di 246.000 ingressi
(20.500 per anno). Sono stati comunque esclusi dal totale gli ingressi per
inserimento nel mercato del lavoro.
[37] V. Nota 29.
[38] Il dare lavoro a stranieri privi di permesso
di soggiorno eÕ sanzionato dallÕart. 22, co. 12, T.U. (come modificato dalla L.
189/2002). LÕinfrazione eÕ punita con lÕarresto da tre mesi ad un anno e con lÕammenda di 5000 euro per ogni lavoratore impiegato.
[39] La L. 189/2002 ha sostituito il vecchio art.
23 (quello sullÕingresso per inserimento nel mercato del lavoro) con un
articolo totalmente innovato, che disciplina la maturazione, da parte dei
lavoratori stranieri residenti allÕestero, di titoli di prelazione per
lÕingresso. I lavoratori che frequentano con successo corsi di formazione
eventualmente organizzati nei paesi di emigrazione nellÕambito di
collaborazioni tra una lunga serie di soggetti (ministeri, regioni, provincie,
enti locali, organizzazioni nazionali degli imprenditori e dei lavoratori,
organismi internazionali, enti e associazioni attive da almeno tre anni nel
campo dellÕimmigrazione) guadagnano il diritto ad essere chiamati con un certo
grado di precedenza dai datori di lavoro che, volendo assumere un lavoratore
straniero, non ne conoscano alcuno (art. 23, co. 3, T.U.). PiuÕ importante la
previsione (non ancora in vigore) di cui allÕart. 34, co. 7 e 8, DPR 394/1999
(Regolamento attuativo del T.U., come modificato dallo schema di Regolamento
attuativo della L. 189/2002 approvato provvisoriamente dal Governo Ð v. Nota
29): i lavoratori che abbiano maturato i tioli di prelazione vengono iscritti
in apposite liste; il decreto di programmazione dei flussi puoÕ riservare una
quota degli ingressi per lavoro subordinato agli iscritti in tali liste o,
addirittura, stabilire che le chiamate dalle stesse liste possano aver luogo
senza vincoli di quota.
[40] Una esperienza pionieristica eÕ stata tentata
dalla Regione Lazio. Non sono stati pubblicati Ð a quanto risulti a chi scrive
Ð i dati relativi alle chiamate effettuate a conclusione dei corsi di
formazione. Fonti ufficiose riportano, peroÕ, numeri irrisori.
[41] Dal 24 Ottobre 2003 la materia eÕ
disciplinata dal Titolo II del D. Lgs. 276/2003 (legge Biagi).
[42] Questi e gli altri dati relativi al Progetto
Albania sono citati a memoria, sulla base di quanto esposto da rappresentanti
dellÕOIM durante un incontro al Centro Studi Politica Internazionale (CeSPI), a
Roma, nellÕAprile 2002.
[43] La concessione dellÕassegno sociale eÕ
disciplinata dallÕart. 3, co. 6 e 7, L. 335/1995. LÕassegno eÕ concesso a
persone di etaÕ superiore a sessantacinque anni il cui reddito sia al di sotto
di una determinata soglia..
[44] Direttiva del Ministro dellÕinterno 1 Marzo
2003 (v. Nota 18).
[45] LÕart. 70 del D. Lgs. 276/2003 (legge Biagi,
da poco entrata in vigore), disciplina la prestazione di attivitaÕ di lavoro
meramente occasionali (cosiddetto "lavoro accessorio").
L'introduzione di questa fattispecie sembra estremamente interessante, perche'
da' dignita legale al lavoro saltuario, senza appesantirlo con adempimenti
burocratici insostenibili. Cosi' come sono formulate, tuttavia, le disposizioni
sul lavoro accessorio ne limitano grandemente la portata, in particolare, per
quanto riguarda gli stranieri. Con riferimento a questi, infatti, la loro
applicazione e' ristretta al caso di stranieri che abbiano perduto il lavoro
(nei soli sei mesi successivi successivi alla perdita Ð il riferimento
sottinteso eÕ all'art. 22, co. 11 del T.U., di cui peroÕ viene interpretato in
modo inadeguato il disposto) e che non totalizzino, con tale modalita' di
lavoro, piu' di trenta giornate lavorative e tremila euro di reddito nell'anno
solare. Viene inoltre delimitato in modo piuttosto rigido il novero delle
attivita' lavorative cui la disciplina si applica.
[46] La possibilitaÕ di convertire un permesso di
soggiorno per turismo (o, piuÕ in generale, per motivi diversi dal lavoro) in
un permesso di soggiorno per lavoro eÕ prevista dallÕart. 39, co. 7, DPR
394/1999 (Regolamento di attuazione del T.U.), con riferimento al solo lavoro
autonomo ed entro i limiti numerici fissati, per gli ingressi corrispondenti,
dal decreto di programmazione dei flussi. Lo schema di Regolamento attuativo
della L. 189/2002 approvato provvisoriamente dal Governo Ð v. Nota 29 Ð
modifica il DPR 394/1999 sopprimendo questa disposizione.
[47] In mancanza di dati ufficiali del Ministero
dellÕinterno, la stima eÕ basata su informazioni relative a un ristretto numero
di province.
[48] Il livello minimo di reddito per poter
procedere alla chiamata nominativa di un lavoratore domestico era stato
fissato, dalla Circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n.
55/2000, intorno ai novanta milioni di vecchie lire (v. Nota 9). Ai fini della
prestazione di garanzia per lÕingresso per inserimento nel mercato del lavoro,
invece, il Vademecum su ÒIngresso in Italia di
cittadini extracomunitari per lavoro per lÕanno 2000Ó, diramato dal Ministero
dellÕinterno, fissava il reddito minimo necessario pari, in caso di sponsor
senza altri familiari a carico, allÕimporto annuo dellÕassegno sociale (circa
otto milioni di vecchie lire).
[49] Non vi sono elementi di fatto, a parere di
chi ha seguito sul campo lÕapplicazione delle norme sulla sponsorizzazione, per
ritenere che i casi di domande presentate da sponsor stranieri corrispondessero
in larga misura ad abusi o alla copertura di situazioni nate comunque in modo
illegale. Paradossalmente, proprio lÕalto numero di siffatte domande (circa
metaÕ del totale) eÕ stato guardato con sospetto da chi ha guidato la stesura
del disegno di legge Bossi-Fini (si veda, in proposito, il resoconto
dellÕaudizione del Prefetto Pansa, Direttore centrale
della Polizia stradale, ferroviaria, postale, di frontiera e dell'immigrazione
della Polizia di Stato, nel corso della seduta del 10 Aprile 2003 della
Commissione affari costituzionali della Camera, nellÕambito dellÕesame
parlamentare del disegno di legge). LÕistituto della sposnorizzazione eÕ stato
cosiÕ soppresso a dispetto del soffio di legalitaÕ che aveva iniettato nel fenomeno dellÕimmigrazione
per lavoro.
[50] Le quote riservate potevano essere utilizzate
sia per ingressi con chiamata nominativa, sia per ingressi con
sponsorizzazione.
[51] LÕOIM, che aveva Ð come detto Ð certificato
la qualificazione di ciascuno di quei lavoratori, offre loro, allÕatto
dellÕingresso, la propria assistenza per il superamento delle difficoltaÕ che
possano presentarsi in Italia. Dei lavoratori entrati, solo un terzo circa
prende effettivamente contatto, nei mesi seguenti, con lÕOIM, chiedendo aiuto
per questioni burocratiche o di altro genere; lÕOIM fornisce lÕaiuto richiesto,
e registra, per ogni contatto, il recapito del lavoratore in Italia. Degli
altri due terzi lÕOIM perde le tracce; ma non sembra infondata lÕipotesi che
abbiano raggiunto un inserimento lavorativo con le proprie forze Qualche tempo
dopo, infatti, avendo organizzato corsi di formazione professionale per i
lavoratori albanesi, e temendo di doverli cancellare per mancanza di iscritti,
lÕOIM raggiunge tutti i circa quattrocento lavoratori di cui conosce un
recapito, invitandoli ad iscriversi ai corsi. Tre quarti degli intervistati
declina lÕinvito, per aver giaÕ trovato lavoro; gli altri accettano di
iscriversi. Degli iscritti, successivamente, riescono a trovare occupazione una
settantina; i rimanenti restano disoccupati. Fino a prova contraria (relativa
allÕesito della ricerca di lavoro da parte degli ottocento lavoratori con i
quali lÕOIM non ha avuto contatti), possiamo cosiÕ presumere che la percentuale
di insuccessi, nei casi di ricerca di lavoro auto-sponsorizzata, sia quindi non superiore al 7.5% (trenta su
quattrocento); e si puoÕ ipotizzare addirittura che sia non molto superiore al
2.5% (trenta su milleduecento).
[52] GiaÕ sulla base delle disposizioni vigenti,
il rinnovo del permesso di soggiorno eÕ in genere condizionato anche alla dimostrazione
di disponibilitaÕ di un reddito da fonti lecite sufficiente al sostentamento
proprio e dei familiari conviventi a carico (art. 13, co. 2 DPR 394/1999).
[53] LÕart. 13, co. 12, T.U. stabilisce che, salvo
il caso in cui vi sia rischio di persecuzione, Òlo straniero espulso eÕ
rinviato allo Stato di appartenenza, ovvero, quando ci˜ non sia possibile, allo
Stato di provenienzaÓ. Una disposizione dal contenuto analogo era giaÕ
contenuta nel D.l. 416/1989 (convertito in L. 39/1990). La distruzione o lÕoccultamento
del passaporto hanno costituito quindi, comprensibilmente, una pratica molto
diffusa tra gli immigrati in condizioni di soggiorno illegale. Per porre
rimedio alla oggettiva difficoltaÕ che da questa pratica deriva in sede di
esecuzione del provvedimento di espulsione, il Legislatore ha tentato dapprima
di sanzionare penalmente il mancato adoperarsi dello straniero ai fini
dellÕottenimento di un nuovo passaporto (D.l. 187/1993, convertito in L.
296/1993). Giustiziata questa norma dalla Corte Costituzionale (Sent. n.
34/1995), per lÕassenza di definizione certa della soglia di negligenza al
sopra della quale scatti la punibilitaÕ, ci si eÕ rivolti (art. 11, co. 4,
T.U.) allo strumento degli accordi di riammissione con i paesi di emigrazione Ð accordi in base ai quali
la controparte collabora attivamente, in cambio di vantaggi economici e/o
relativi alla determinazione dei flussi in ingresso (art. 21, co. 1, T.U.; v.
Nota 28) Ð allÕidentificazione dello straniero da espellere e al rilascio di un
documento di viaggio sostitutivo.
[54] LÕart. 14, co. 1, T.U. dispone che, quando
Ònon eÕ possibile eseguire con immediatezza lÕespulsione mediante
accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento, percheÕ occorre
procedere (...) ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identitaÕ o
nazionalitaÕ, ovvero allÕacquisizione di documenti per il viaggioÓ, il questore
dispone il trattenimento dello straniero in un ÒCentro di permanenza temporanea
ed assistenzaÓ per il tempo strettamente necessario. Tale tempo non puoÕ
superare (proroghe incluse) il limite di sessanta giorni (art. 14, co. 5, T.U.,
come modificato dalla L. 189/2002; il limite massimo previsto dalla legge
Turco-Napolitano era di trenta giorni). Il trattenimento eÕ sottoposto alla
convalida dellÕautoritaÕ giudiziaria; la proroga eÕ adottata direttamente da
tale autoritaÕ su richiesta del questore.
[55] LÕart. 6, co. 4, T.U., nella sua formulazione
originale, prevedeva che lo straniero della cui identitaÕ vi fosse motivo di
dubitare potesse essere sottoposto a rilievi segnaletici. La legge Bossi-Fini
ha modificato questa disposizione rendendo obbligatoria la misura ed
aggiungendo ai rilievi segnaletici quelli fotodattiloscopici. La stessa legge,
introducendo i nuovi commi 2 bis e 4 bis dellÕart. 5 T.U., ha stabilito che lo
straniero sia sottoposto a rilievi fotodattiloscopici in sede di rilascio e di
rinnovo del permesso. LÕart. 2, co. 5, del D.l. 195/2002 (convertito in L.
222/2002) ha stabilito peroÕ che queste disposizioni non
si applicano allo straniero che richiede il permesso di soggiorno per visite,
affari, turismo o altri motivi diversi dai motivi familiari o di lavoro o di
studio, di durata non superiore a tre mesi, ovvero per cure mediche, o che ne
richiede il rinnovo. Oltre ai casi previsti dalla legislazione nazionale, il
Regolamento del Consiglio europeo Òche istituisce il sistema ÇEurodacÈ per il
confronto delle impronte digitali dei richiedenti asilo e di taluni altri
cittadini di paesi terzi, al fine di agevolare l'attuazione della convenzione
di DublinoÓ stabilisce che sia sottoposto a rilievi fotodattiloscopici anche lo
straniero che chieda asilo, quello che abbia attraversato illegalmente la
frontiera e non sia stato respinto e quello che, trovato in condizioni di
soggiorno illegale nel territorio dello Stato chieda di non essere rimpatriato
affermando che vi si troverebbe in pericolo.
[56] LÕart. 2 della Direttiva del Ministro
dellÕinterno 1 Marzo 2000 impone, tra i requisiti per lÕingresso, Òla disponibilitaÕ della somma occorrente per il
rimpatrio, comprovabile anche con lÕesibizione del biglietto di ritornoÓ (nota:
rispetto a quanto si propone nel testo, la disposizione vigente non richiede il
deposito della somma o del biglietto, ma solo la dimostrazione della
corrispondente disponibilitaÕ al momento dellÕingresso).
[57] V. Note 28 e 53.
[58] LÕart. 13, co. 13, T.U., come modificato
dalla L. 189/2002, stabilisce che lo straniero
espulso non puoÕ rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale
autorizzazione del Ministro dellÕinterno, a pena di arresto da sei mesi ad un
anno e nuova espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera. Il divieto vale per dieci anni, salvo che col
provvedimento di espulsione non sia fissato un periodo piuÕ breve, ma comunque
non inferiore a cinque anni (art. 13, co. 14, T.U., come modificato
dalla L. 189/2002). Le corrispondenti
disposizioni originali (legge Turco-Napolitano) prevedevano lÕarresto da due a
sei mesi, e un divieto di cinque anni (con possibilitaÕ, per il giudice, di
fissare, in sede di decisione sul ricorso avverso il provvedimento di
espulsione, un termine piuÕ breve, ma comunque non inferiore a tre anni).
[59] La Legge Turco-Napolitano prevedeva (art. 13,
co. 8, T.U.) la possibilitaÕ di ricorso avverso il provvedimento di espulsione
per soggiorno illegale davanti al Tribunale ordinario entro cinque giorni dalla
comunicazione del provvedimento (trenta giorni in caso di espulsione con
accompagnamento coattivo alla frontiera). La Legge Bossi-Fini, anche in ragione
dellÕestensione della fattispecie di espulsione con accompagnamento coattivo
alla frontiera, ha esteso il termine per la presentazione del ricorso a
sessanta giorni (art. 13, co. 8, T.U., come modificato dalla L. 189/2002). Il D.l. 51/2002 (convertito in L. 106/2002), introducendo il
nuovo comma 5 bis dopo lÕart. 13, co. 5, T.U., ha disposto che il provvedimento
di accompagnamento coattivo alla frontiera sia sottoposto a convalida
dellÕautoritaÕ giudiziaria. I provvedimenti di espulsione restano comunque
immediatamente esecutivi (come erano giaÕ prima dellÕapprovazione della L.
189/2002), anche nelle more della convalida o in pendenza di ricorso.
[60] LÕart. 2, co. 7, D.l. 195/2002 (convertito in
L. 222/2002) dispone che i cittadini italiani siano
sottoposti a rilievi dattiloscopici allÕatto della consegna della carta
dÕidentitaÕ elettronica, prevista dallÕart. 36 del Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione
amministrativa di cui al DPR 445/2000.
[61] Un parziale ripristino di questo requisito ha
avuto luogo con lÕapprovazione della L. 189, che ha modificato in tal senso
lÕart. 22 T.U.. Lo schema di Regolamento di attuazione della L. 189/2002,
tuttavia, sancendo il carattere non vincolante dellÕaccertamento, limita di
molto la portata della disposizione di legge (v. Nota 29).
[62] Vedi, per esempio, World Bank, World
Development Record, 1986, pg.
23 (citato da S. Fischer, R. Dornbusch, R. Schmalensee, Economia, II edizione it. a cura di A. Chirco et al.,
Ed. Hoepli, Milano, 1996, pg. 1231).
[63] Recentemente eÕ stata positivamente avviata
una riflessione, in ambito politico, sullÕeffettiva convenienza
dellÕimposizione di un limite numerico. Alcuni esponenti dellÕattuale
maggioranza (in particolare, il Vicepresidente del Consiglio dei Ministri Fini,
il Sottosegretario al Ministero dellÕinterno Mantovano e altri) hanno
prospettato Ð sia pure in modo non privo di ambiguitaÕ Ð la possibilitaÕ che si
proceda a riformare la normativa italiana, con il superamento del meccanismo
delle quote. Paradossalmente Ð e a testimonianza dellÕimmaturitaÕ della
riflessione Ð il Governo italiano si sta facendo promotore dellÕadozione, in
sede europea, di questo stesso meccanismo. EÕ da notare, infine, come
lÕingresso per lavoro al di fuori delle quote programmate eÕ giaÕ consentito, dalla
legislazione vigente, con riferimento a determinate categorie (art. 27, co. 1,
T.U. e art. 40 DPR 394/1999) Ð tra le altre, ricercatori e professori
universitari (lettera c),
traduttori ed interpreti (lettera d), lavoratori dipendenti da un appaltatore residente
allÕestero trasferite in Italia per la realizzazione di opere o servizi oggetto
di un contratto dÕappalto (lettera i), sportivi professionisti (lettera p), artisti e lavoratori dello spettacolo
(lettere l-o), infermieri
professionali (lettera r-bis,
aggiunta dalla L. 189/2002). Val la pena di osservare come le modifiche
apportate dallo schema di Regolamento attuativo della L. 189/2002 allÕart. 40,
co. 13, DPR 394/1999 (relativo, ora, agli ingressi di lavoratori alle
dipendenze da appaltatore residente allÕestero) offrano una via efficace per
lÕaggiramento del vincolo delle quote per un novero molto ampio di settori
lavorativi (non ponendo limiti lÕart. 1655 c.c., neÕ il resto della
legislazione, allÕoggetto che un genuino contratto di appalto puoÕ avere).
[64] EÕ opportuno rilevare come due elementi
importanti della proposta che qui viene avanzata erano contenuti in altrettanti
emendamenti approvati in sede di esame parlamentare della proposta di legge
A.C. 5808, presentata, durante la scorsa legislatura, dai deputati Fini ed
altri, facenti parte, a quel tempo, dellÕopposizione. La maggioranza di allora
(di centro-sinistra) non si limitoÕ a sopprimere quasi tutte le disposizioni
della proposta, ma introdusse una serie di propri emendamenti alla normativa
vigente sull'immigrazione. Uno dei due emendamenti citati fissava pari
allÕimporto dellÕassegno sociale per il numero di mesi di soggiorno lÕammontare
delle risorse necessarie per lÕingresso in Italia, a prescindere dal motivo di
soggiorno (di breve durata), in tal modo abbassando il livello richiesto per
lÕingresso per turismo. Il secondo emendamento Ð del quale chi scrive aveva
curato la stesura Ð aggiungeva, allÕart. 5, co. 9, T.U. il seguente periodo:
ÒL'esistenza di una richiesta di autorizzazione al lavoro o della prestazione
di garanzia di cui all'articolo 23 per il lavoratore straniero che rientri
nell'ambito delle quote fissate dai decreti di cui al comma 4 dell'articolo 3,
eÕ considerata condizione sufficiente per la conversione di un permesso di
soggiorno rilasciato ad altro titolo, rispettivamente, in permesso di soggiorno
per lavoro subordinato, anche a carattere stagionale, o per inserimento nel
mercato del lavoro.Ó. Si noti che lÕemendamento ebbe parere favorevole anche da
parte del gruppo di Forza Italia (allora allÕopposizione). La proposta di
legge, cosiÕ approvata dalla Camera dei deputati non fu mai esaminata dal
Senato.
[65] Oltre a incorporare le risposte ai problemi
correlati alla difesa dei beni pubblici ritenuti meritevoli di tutela, questa
soluzione, col rendere inutile lÕimmigrazione illegale, rende inutili le
richieste di asilo abusive (mirate cioeÕ solo ad evitare i provvedimenti
previsti in caso di ingresso o soggiorno illegale). LÕeffettiva portata del
fenomeno delle richieste abusive eÕ tuttÕaltro che accertata. Il timore, peroÕ,
che esso mini la capacitaÕ dello Stato di controllare i flussi migratori eÕ
alla base della progressiva erosione del diritto dÕasilo nella normativa
italiana (il comma 6 dellÕart. 1-ter aggiunto al D.l.
416/1989 dalla L. 189/2002 ha reso immediatamente esecutivo, anche in
pendenza di ricorso, il provvedimento di allontanamento dal territorio dello
Stato conseguente al rigetto della richiesta di riconoscimento dello status di
rifugiato), come pure nellÕambito del processo europeo di armonizzazione delle
politiche in materia di immigrazione e asilo (si veda lÕevoluzione della Proposta
di direttiva del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate
negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di
rifugiato). Una politica
migratoria basata sulla conversione turismo-lavoro, alleggerendo il problema delle domande di asilo abusive
consentirebbe di invertire questo processo di erosione, dannosissimo per i
richiedenti asilo bona fide.
[66] Costringono quindi, evidentemente, il sistema
a restare lontano dalle condizioni di ottimalitaÕ paretiana.
[67] V. Nota 65.
[68] Un simile temperamento di un diritto non
costituirebbe unÕeccezione nella disciplina della condizione giuridica dello
straniero. La paritaÕ di diritti tra lavoratore straniero regolarmente
soggiornante e lavoratore nazionale, ad esempio, eÕ fortemente ridimensionata,
in relazione al diritto di scegliere la propria attivitaÕ lavorativa (art. 4, co. 2
Cost.), dalle disposizioni che condizionano, de jure o de facto, il rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero
allÕesistenza, ad una data precisa, di un contratto di lavoro. CosiÕ pure, il
diritto allÕunitaÕ familiare, pur garantito alla persona e non al solo cittadino (artt. 2, 29 e 30 Cost.) eÕ limitato, per lo
straniero, dallÕimposizione di requisiti, in relazione alla disponibilitaÕ di
reddito e alloggio; tale limitazione deriva, secondo la Corte Costituzionale,
dalla necessitaÕ di realizzare un corretto bilanciamento con altri valori
dotati di pari tutela costituzionale Ð in particolare, il diritto dei familiari
di godere di un normale tenore di vita (v. Corte Cost., Sent. n. 28/1995).
[69] Il ripensamento sullÕopportunitaÕ
dellÕimposizione di limiti numerici (v. Nota 63) non sembra al momento
estendersi alla validitaÕ degli altri requisiti per lÕingresso dei lavoratori.
Non eÕ quindi messa in discussione, in particolare, la condizione relativa alla
preesistenza di una proposta di contratto da parte di un datore di lavoro Ð condizione
che, come discusso sopra, ha reso impraticabili, per i lavoratori stranieri, le
vie di migrazione legale.