Allegato A
Seduta n. 256 del 30/1/2003


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(Sezione 3 - Iniziative per garantire il diritto di critica e di confronto degli studenti universitari sui programmi di esame)

C)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere - premesso che:
presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli studi di Brescia è stata distribuita una dispensa di approfondimento dal titolo «Bada alla Bossi-Fini! Contenuti, «cultura» e demagogia della nuova legge sull'immigrazione», obbligatoria ai fini del corso di filosofia del diritto tenuto dalla professoressa Tecla Mazzarese, titolare della cattedra. La dispensa è parte integrante dell'esame (seminario di approfondimento);
la dispensa redatta da Alessandro Leogrande e Grazia Naletto riporta in copertina le indicazioni di: Altreconomia-Terre di mezzo, dell'Asgi, Ics-Consultorio italiano di solidarietà, Lo straniero e Lunaria. Inoltre c'è l'esplicita indicazione che «chiunque desidera ricevere copie dell'opuscolo o riprodurlo può scrivere a antirazzismo.lunaria.org o telefonare allo 06-88.41.880. Per sostenere l'autofinanziamento è possibile inviare un contributo a Lunaria, via Salaria n. 89-00198 Roma sul conto corrente postale n. 33066002 oppure, tramite bonifico bancario, sul conto n. 1738 presso Banca popolare etica - Abi 5018, Cab 12100. Ringraziamo Stefano Ricci per l'illustrazione di copertina e tutte le persone che hanno scritto»;
nell'introduzione, a pagina 5, a firma di Goffredo Fofi, direttore de «Lo straniero» e di Giulio Marco dell'«Associazione Lunaria», si legge: «È difficile esprimere con le parole la nostra indignazione nei confronti di una legge così ingiusta come la Bossi-Fini (legge 189 del 2002), della classe dirigente che l'ha proposta, elaborata e promulgata e di tutti quelli - in Italia e altrove - che l'approvano e la sostengono. Si è verificato in altri tempi e in altri luoghi, si verifica nel mondo ogni giorno che si votino e si applichino leggi ingiuste, ma le circostanze che rendono così importante e decisiva questa legge, e così impellente la risposta che deve sollecitare da parte nostra, non sono circostanze normali. È in atto nel mondo una battaglia, talvolta molto chiara e talvolta molto confusa, che può essere decisiva tra una idea di società e un'altra. La prima è basata sulla rispettosa convivenza degli uomini, le donne e delle loro culture tra di loro, e anche con gli animali e con la natura; sulla responsabilità che ciascuno deve assumersi, con le proprie forze e non cedendo agli alibi e ai ricatti del proprio «particolare», nei confronti degli altri. Questa idea di convivenza è fondata sulla garanzia dei diritti delle generazioni future, e non potrebbe essere altrimenti. L'altra è basata su una logica di rapina, a vantaggio di chi più già ha, e senza alcuna considerazione per il futuro se non degli assolutamente privilegiati. È in questo contesto che si colloca, venendo così ad assumere per noi e per il nostro Paese un significato di estrema rilevanza, la legge che regolamenta la vita dei migranti sul nostro territorio e il nostro rapporto con loro. Questa legge erode i fondamenti della nostra democrazia: per partecipare in ugual modo alla sfera pubblica, a tutti i soggetti devono essere garantiti gli stessi diritti umani, sociali, di cittadinanza. Con la legge Bossi-Fini questo non è. «Loro»


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sono persone titolari di diritti che ogni convenzione internazionale e ogni Paese civile dovrebbero non solo riconoscere, ma far rispettare. Quei diritti che invece la legge Bossi-Fini nega, riducendo i migranti a «macchine da lavoro» strumenti di un moderno schiavismo «usa e getta», utili solo finché servono alle nostre economie. La globalizzazione neoliberista fa circolare (più o meno) liberamente merci, denari, ad eccezione ovviamente dei migranti. A meno che non ci servano. E a casa nostra (e non solo) si fa il peana della «flessibilità», ma non certo per i migranti: a loro è chiesto di avere il lavoro «a vita» se vogliono venire da noi. Se poi vogliono ricongiungersi con la propria famiglia, i governanti cattolici che un giorno sì un giorno no innalzano i valori della «famiglia» si oppongono: i migranti non ne hanno bisogno per stare da noi. Al massimo vengano i figli, ma solo se minorenni. E poi non ci si appelli al garantismo: i richiedenti asilo vengano ricacciati al loro Paese senza aspettare l'esito del ricorso al diniego dello status di rifugiato. Molti di loro sono giunti fra noi fuggendo assai spesso situazioni di disastro sociale, economico, politico e conflitti bellici. Proprio quelli che vengono da noi per chiedere protezione e asilo, diritto che l'attuale legge discrimina e restringe ulteriormente. Figuriamoci se potranno invocare mai il «legittimo sospetto» dei berlusconiani. Quando il giudice si pronuncerà definitivamente saranno già tornati tra i loro torturatori e persecutori dai quali scappavano venendo da noi. Altro che garantismo; per i migranti la discriminazione è una certezza. Ecco, tutto questo (e molto altro purtroppo) è la legge Bossi-Fini. Una logica di rapina e di sfruttamento vige talvolta dall'alto al basso della scala sociale, in Italia, poiché non sono più attenti ai diritti degli immigrati i cittadini che si servono delle prestazioni di uno solo di loro all'interno delle loro botteghe case famiglie, degli industriali che ne occupano decine e centinaia. A questo si unisce senza difficoltà, nella mentalità di tanti nostri connazionali, come dei nostri governanti, la preoccupata difesa di uno «stile di vita» che essi ritengono superiore. E purtroppo non bisogna dimenticare che la legge Bossi-Fini approfitta del varco che era stato aperto dalla legge del centrosinistra Turco-Napolitano - applicata fino in fondo proprio nelle misure più restrittive e «di ordine pubblico» - per portare alle estreme conseguenze una logica poliziesca e liberticida a danno dei migranti. Dei modi in cui l'Europa ha creduto di poter affrontare il problema dell'immigrazione, il modo italiano è stato in passato il più schizofrenico e incerto, ma è diventato oggi, con il Governo della destra, esplicitamente razzista e segregazionista, perfino oltre i desideri della Confindustria, oltre le complicità dei più potenti, oltre le diffidenze suscitate dai media. Come dunque reagire? Lo scopo di questo opuscolo non è, per quanto lodevole esso possa essere, solo di denunciare; è anche quello di informare e di indicare possibili modi di reagire, persona per persona e gruppo per gruppo. Il dovere di rispondere e reagire a una legge così schiettamente ingiusta è uguale per tutti, e cioè per ogni cittadino in età di ragione e in grado di sentire e soffrire l'ingiustizia di una imposizione e di una regola contraria ai principi di uguaglianza e di solidarietà. Non ci interessa soltanto, in questo momento, insistere sulla condizione dei migranti. Ci sembra prioritario richiamare l'attenzione su di noi, cittadini dei Paesi di accoglienza, e sulle nostre possibilità di agire, criticare, sollecitare i cittadini alla richiesta di leggi più giuste. Attraverso la nostra capacità di dire no»;
l'intero testo è intriso da una forte propaganda antigovernativa e tra i detrattori della legge si contraddistingue Fabio Raimondi del Tavolo dei migranti del Vicenza Social Forum, che, a pagina 29, afferma: «La Bossi-Fini è una legge razzista e xenofoba, barbara e incivile, ma è anche, non secondariamente, una legge antioperaia e la testa di ponte per mezzo della quale il Governo Berlusconi dà il via alla ristrutturazione del mercato del lavoro in Italia, secondo i criteri stabiliti dal libro bianco di Maroni e dal recente patto per l'Italia». Il suo scritto è pervaso da


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continui riferimenti ideologici, a titolo esemplificativo riportiamo uno stralcio di pagina 31: «La Bossi-Fini mira così a scatenare una guerra tra poveri che andrà a tutto vantaggio dei padroni, ma, seppur involontariamente, potrebbe anche essere l'occasione per costruire una nuova unità d'intenti e di lotte, a patto che si smetta di distinguere tra lavoratori immigrati e italiani come se fossero entità portatrici di problemi diversi, inconciliabili e in competizione tra loro. Con l'entrata in vigore di questa legge tutti gli operai di questo Paese hanno un problema comune: l'attacco al lavoro, alla sua qualità, alla sua visibilità e alla sua capacità di fornire i mezzi per una vita dignitosa. È il caso dunque di cominciare a mettere da parte visioni etniche della lotta contro questa globalizzazione che separino italiani e non (gli immigrati con gli immigrati per gli immigrati e gli italiani con gli italiani per gli italiani), perché è proprio questa legge che tende a cancellarne le differenze rendendoli tutti ugualmente deboli e succubi delle esigenze politico-economiche tanto delle folli politiche segregazioniste e sicuritarie quanto degli interessi del capitale e di chi lo possiede»;
i riferimenti ai presunti contenuti «xenofobi» del provvedimento ricorrono molto spesso fino a sfociare in alcuni brani, ad avviso degli interpellanti, di inaudita meschinità come nel paragrafo a firma di Gianfranco Bettin, prosindaco di Venezia, e Beppe Caccia, assessore alle politiche sociali del comune di Venezia, che, da pagina 54 a pagina 56, forniscono i rudimenti per disobbedire ai «diktat razzisti della legge», consigliando il rilascio della certificazione di residenza e di idoneità delle abitazioni in «maniera estensiva», favorendo l'ottenimento della carta di soggiorno che «allo stato attuale è l'unico modo per aggirare il famigerato «contratto di soggiorno». Si sprecano le ingiurie alla Lega Nord e ai suoi rappresentanti nelle istituzioni. In particolar modo, gli autori suggeriscono «Per non assomigliare a Gentilini, insomma, si possono fare diverse cose. Oggi, in realtà, per essere diversi da lui, ai sindaci, ai comuni, non basta più non dire le infamie che normalmente Gentilini dice. Bisogna, concretamente, fare delle cose. Altrimenti non si ha diritto di considerarsi molto diversi dal ridicolo, sinistro sceriffo da quattro soldi della bella Treviso»;
l'ultimo capitolo «agire in rete, inventare pratiche alternative», a cura di Grazia Naletto dell'«Associazione Lunaria» e di Alessandro Leogrande, redattore de «Lo straniero» è un vero e proprio vademecum per aggirare la legge Bossi-Fini. Vengono riprese le tesi di Moreno Biagioni della Consulta per l'immigrazione Anci Toscana, sostenute nel capitolo «costruire la cittadinanza civile e sociale dei migranti»;
gli altri curatori della dispensa sono Gianluca Vitale dell'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione (Asgi), Gianfranco Schiamone del Consorzio Italiano di solidarietà (Cis), Virginia Valente dell'Associazione progetto diritti, Fulvio Vassallo, patologo dell'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione (Asgi), e Annamaria Rivera, docente di etnologia dell'università di Bari;
è assolutamente impensabile che in un'università statale sia possibile propagandare posizioni così radicalmente faziose, prive di qualsiasi contraddittorio e barlume di pluralismo -:
quali iniziative normative intenda assumere per garantire il diritto di espressione, di critica e confronto degli studenti sui programmi di esame.
(2-00615)
«Caparini, Cè, Guido Giuseppe Rossi, Dario Galli, Bricolo, Ercole, Ballaman, Bianchi Clerici, Didonè, Guido Dussin, Luciano Dussin, Fontanini, Gibelli, Giancarlo Giorgetti, Lussana, Martinelli, Francesca Martini, Parolo, Pagliarini, Polledri, Rizzi, Sergio Rossi, Stucchi, Vascon».
(28 gennaio 2003)