LETTERA APERTA SULL’IPOTESI DI UN ATTO DI CLEMENZA VERSO I DETENUTI.

 

 

In questi giorni di inteso e confuso dibattito nelle aule parlamentari, all’interno del mondo carcerario e nella società civile, circa l’ormai improcrastinabile necessità di interventi volti a risolvere i gravi problemi che da tempo affliggono il sistema penale – penitenziario del nostro Paese, riteniamo sia importante far sentire anche la nostra voce, offrendo, ci auguriamo, un costruttivo contributo alla riflessione in corso.

Le aspettative createsi in questi mesi fuori dal Parlamento impongono l’obbligo morale di fornire una risposta legislativa alle migliaia di detenuti in attesa di un provvedimento di clemenza e richiedono un maggiore sforzo da parte di tutto il mondo politico per arrivare, in tempi brevi, ad un soddisfacente accordo. Non ci sembra affatto serio lo spettacolo che in questi giorni sta offrendo il Parlamento: il continuo rinvio di ogni decisione, lo snaturamento, nel contempo, attraverso una serie di emendamenti, dell’efficacia di qualsiasi provvedimento che si dovesse, eventualmente, approvare non fanno altro che accrescere la tensione nelle carceri, al punto che e sono ormai più di 60 le prigioni che hanno aderito allo sciopero della fame promosso dai radicali

Sarebbe pericolosissimo se dopo tanto discutere si arrivasse, come sembra profilarsi, ad un nulla di fatto: la situazione nelle carceri rischierebbe davvero di sfuggire di mano.

 

Dopo avere esaminato attentamente le diverse proposte di legge all’esame delle Camere e seguito il dibattito in corso nelle aule parlamentari, siamo più che mai convinti che la via maestra da seguire sia quella di giungere all’approvazione, come si è sempre fatto in passato, di un generalizzato provvedimento di amnistia-indulto, che consentirebbe nell’immediato di dare una risposta al problema del sovraffollamento carcerario, di alleggerire i carichi di lavoro giudiziario e di migliorare la qualità della vita di coloro che resteranno in carcere.

Non ci interessa, in questa sede, entrare nel dettaglio delle varie proposte in discussione: che si abbia alla fine un’amnistia e un indulto generalizzato o un’amnistia condizionata e un indulto revocabile o il solo indulto o anche, come oggi, purtroppo, appare più probabile, un più modesto “indultino”, ci sono, in ogni caso, alcune questioni su cui riteniamo importante sollecitare una maggiore riflessione.

 

In quanto Associazione da anni impegnato sul fronte dell’immigrazione, ci preme, in primo luogo, segnalare le nostri forti preoccupazioni in ordine alla superficialità, per non dire altro, con cui il mondo politico ha in mente di affrontare il problema della presenza nelle carceri di più di 16.000 detenuti stranieri.

Crediamo che, se è nostro dovere in quanto Stato democratico offrire un’occasione di reinserimento nella società ad ogni individuo che ha pagato con il carcere gli errori commessi, è altrettanto nostro dovere offrire a tutti una seconda opportunità, anche a coloro che, alla ricerca di una vita più dignitosa, sono giunti nel nostro paese attraverso i canali dell’immigrazione irregolare.

Ebbene, è avvilente constatare come tutte le proposte di amnistia, indulto o indultino oggi all’esame del Parlamento facciano riferimento esclusivamente al detenuto cittadino e per quanto diversamente articolate e generalizzate, su un punto pacificamente concordano, ovvero l’automatica espulsione di tutti gli immigrati che beneficeranno del provvedimento di clemenza.  

Gli stranieri non vengono trattati come una realtà multiforme e complessa, non si tiene in alcun modo conto del percorso di crescita personale e sociale che ognuno di loro, se pur a fatica, può avere intrapreso dopo mesi, o magari anni, di detenzione: essi vengono trattati esclusivamente come una categoria generale, di cui sbarazzarsi alla prima occasione.

Quella degli stranieri, specie se irregolari, sembra essere da parte di tutte le forze politiche, inevitabilmente e quasi giustamente, considerata una “detenzione senza prospettive” e non viene neanche ipotizzato nei loro confronti un qualche tipo di recupero e di graduale inserimento nella società.

Siamo fermamente contrari a questa logica di autonomismo incondizionato ed a questa totale indifferenza e mancanza di sensibilità nei confronti dell’individualità di chi proviene da un’altra cultura, del suo percorso di vita, della situazione ambientale da cui è fuggito e di quella in cui lo si vorrebbe rispedire.

Nessuno sembra ricordare che sono ancora molti gli Stati che non hanno sottoscritto la Convenzione internazionale che vieta la duplicazione delle pene, con il concreto rischio per molti degli stranieri che dovessero venire espulsi, di vedersi condannati nuovamente nel loro Paese per il reato commesso in Italia.

Nessuno sembra, altresì, ricordare che molti degli Stati da cui provengono gli stranieri attualmente detenuti e verso cui li si vorrebbe rispedire in massa, sono Stati in cui vengono istituzionalmente negate le libertà fondamentali, in cui vengono perpetrate e tollerate, nella quasi totale impunità, le violenze arbitrarie della polizia contro i detenuti, in cui vige un clima repressivo che stronca ogni forma di protesta, in cui sono all’ordine del giorno gli arresti arbitrari.

È facile immaginare che molti degli immigrati detenuti provenienti da tali zone preferiranno rinunciare a beneficiare di un eventuale provvedimento di clemenza (sempre che venga loro lasciata almeno tale scelta), piuttosto che tornare in simili realtà. Le conseguenze sono abbastanza evidenti: essi sconteranno l’intera pena nelle nostre carceri ed al termine il risultato sarà comunque lo stesso:  un’indiscriminata e praticamente automatica espulsione.

Tutto questo non ci sembra giusto e ci sembra indegno di un Paese democratico. 

Rivolgiamo il nostro appello al mondo della politica affinché questi rischi non vengano ignorati.

Chiediamo che nell’adottare un provvedimento di indulto si sperimenti parallelamente nei confronti di tutti i detenuti liberati, un possibile percorso di recupero sociale, al culmine del quale non si vede perché non poter immaginare per gli immigrati irregolari la concessione di un permesso di soggiorno.

Ci rendiamo conto della necessità di formulare proposte fattibili e condivise, almeno da parte della società civile: non pensiamo che delinquere in Italia debba diventare uno strumento per ottenere un permesso di soggiorno, ma siamo convinti che per tutti la pena espiata debba avere un senso e che non tutti i detenuti stranieri presenti attualmente nelle nostri carceri siano pericolosi criminali cui negare ogni forma di recupero.

 

Alcune riflessioni di carattere più generale.

Riteniamo che il provvedimento di clemenza di cui invochiamo l’approvazione, rappresenti non un punto di arrivo, ma al contrario il primo passo di un cammino che porti, in tempi brevi, alla creazione di un carcere più umano e di pene diverse da quelle attuali, la cui funzione rieducativa, solennemente sancita dalla Costituzione, non sia meramente nominale.

Il fatto che la ratio ispiratrice del provvedimento di cui si discute in questi giorni sia un’indubbia emergenza strutturale, non toglie che questa occasione possa essere sfruttata anche per intervenire con modifiche più radicali, in grado di affrontare le cause strutturali delle disfunzioni del nostro sistema carcerario.

Siamo contrari ad un provvedimento di clemenza finalizzato esclusivamente allo sfoltimento della popolazione carceraria, tanto più che l’esperienza ci ha dimostrato che gli effetti deflativi di tali provvedimenti vengono riassorbiti in poco più di un paio di anni.

Riteniamo che sia oggi più che mai necessario aprire una seria “vertenza carceri” che porti ad un ripensamento e ristrutturazione dell’intero sistema. Riteniamo sia necessario fare in fretta.

Quello che chiediamo a voi tutti è di riflettere, in particolare, sull’importanza di introdurre accanto a norme volte ad anticipare il momento finale della detenzione, norme dirette a favorire un effettivo recupero e reinserimento sociale del detenuto.

Non quindi un atto di clemenza fine a se stesso, bensì collegato ad un inizio di percorso di reinserimento, sotto il controllo ed il sostegno di strutture pubbliche o di associazioni o cooperative sociali. è fondamentale, a nostro avviso, che chi grazie ad un provvedimento di indulgenza, fuoriesca dalle carceri non venga abbandonato a se stesso.

Chiediamo, quindi, un atto di clemenza condizionato ad un effettivo percorso di recupero sociale, concordato con i servizi sociali e personalizzato in ragione della situazione concreta di ciascun condannato. Lo chiediamo per tutti i condannati che ne beneficeranno.

Vi invitiamo, su questi punti, ad  una maggiore riflessione. 

 

 

FABRIZIO MOLINA                                                                              Gloria Carroccio
Presidente                                                                             Responsabile area carceri
Associazione nessun luogo è lontano