ANTIGONEONLUS
per i diritti e le
garanzie nel sistema penale
L’analisi di dettaglio delle proposte di legge in discussione su indulto e sospensione condizionata della pena ci ha indotto a individuarne limiti e potenzialità da segnalare in vista del loro prossimo esame parlamentare.
La sospensione condizionata della pena
A nostro avviso l’attuale impianto del cosiddetto
“indultino” è insoddisfacente, perché pieno di limiti
ed esclusioni che ne condizionano fortemente gli esiti deflativi finali, ma anche
perché si sottrae alla logica della universalità tipica di un
provvedimento di clemenza. Inoltre
la misura delineata presenta passi indietro rispetto all’attuale sistema
delle misure alternative. Infatti durante la fase della sospensione della
esecuzione della pena la magistratura di sorveglianza è previsto che
possa imporre una serie di prescrizioni, alcune delle quali più rigide
di quelle ordinariamente previsti per gli affidati o i semiliberi. Inoltre vi
è una ampia ed esagerata possibilità di revoca della sospensione
della pena, finanche se si riporta una condanna a pena detentiva non inferiore
a sei mesi per delitto non colposo. In questo caso la pena andrebbe a
ricominciare daccapo e l’effetto deflativo verrebbe del tutto
compromesso.
La pdl prevede che la sospensione della pena per gli ultimi 3 anni
possa avvenire se il detenuto ne abbia scontata almeno un quarto. Ad esempio
una persona condannata a 3 anni e mezzo e che ha già trascorso 6 mesi in
carcere comunque non uscirebbe dalla prigione avendo da scontare almeno altri 4
mesi. E così via. Molte sono le esclusioni soggettive e oggettive,
più estese rispetto a quanto previsto nel testo sull’indulto. Sono
esclusi coloro che sono sottoposti al provvedimento di sorveglianza particolare
di cui all’articolo 14 dell’ordinamento penitenziario, ma
soprattutto la pdl in discussione non prevede l’applicazione ai
delinquenti abituali o professionali. Le esclusioni oggettive della sospensione
condizionata sono più ampie rispetto a quelle previste dal testo base
sull’indulto. Vanno a ricomprendere oltre alla devastazione, al sequestro
a scopo di estorsione, alla strage, al saccheggio, al l’associazione a
delinquere di stampo mafioso e al traffico di sostanze stupefacenti anche il
terrorismo, la prostituzione minorile, la pornografia minorile, la violenza
sessuale, la rapina aggravata e l’estorsione aggravata. Pertanto quel 25%
di esclusioni oggettive per l’indulto andrebbe a salire sino ad almeno il
40-45%. Il numero dei potenziali immediati beneficiari della sospensione della
pena sarebbe quindi certamente inferiore di alcune migliaia di unità
rispetto a quelle che potrebbero godere dell’indulto. Per le pene
più lunghe rispetto ai tre anni non vi sarebbe l’effetto
dell’accorciamento della carcerazione. Inoltre il provvedimento non
è automatico, pertanto la magistratura di sorveglianza si troverebbe di
fronte ad una infinità di pratiche da evadere. Infine per i migranti
irregolari la sospensione della pena comporterebbe l'obbligo di abbandonare il
territorio dello Stato entro un mese, e se questo non dovesse avvenire
riprenderebbe a decorrere la pena dal momento della sospensione.
L’indulto
Il punto di partenza dovrebbe essere il seguente: la riduzione di parte
della pena deve valere per tutti, a prescindere dalla durata della
carcerazione. Non si può temere la riduzione di tre anni per una persona
condannata a venti o ventiquattro. Clemenza è tale se è per
tutti.
L’indulto, affinché abbia ampia portata deflativa, non
dovrebbe avere preclusioni soggettive e oggettive. La cronica e crescente
condizione di sovraffollamento degli istituti di pena italiani impone la discussione di misure urgenti
e clemenziali per i detenuti ristretti nelle 205 carceri italiane dove, al 31 ottobre
scorso, risultavano detenute 56.733 persone contro una capienza regolamentare
di 41.730. Ben 15 mila persone in più rispetto ai posti letto a
disposizione. Il 31 dicembre del 2001 erano detenute nelle carceri italiane
55.275 persone. Nel 2000, anno in cui è partita la prima campagna
giubilare per l’amnistia e l’indulto, i detenuti erano fra i 53 e i
54 mila, mentre all’inizio del 1999 49 mila. La crescita è stata
in soli tre anni di 7 mila unità.
Nel testo unificato sull’indulto la concessione della misura
è pari a tre anni. Circa 18 mila detenuti, ossia il 61% di coloro che
sono stati condannati in via definitiva, hanno un residuo pena inferiore ai 3
anni e potrebbero quindi essere immediatamente rimessi in libertà. Sono
ingiustificatamente previste una serie di esclusioni oggettive e soggettive che
ne limitano fortemente la portata. Per quanto concerne le esclusioni soggettive
la pdl in discussione non prevede l’applicazione ai recidivi nei casi di
reati commessi durante l’esecuzione della pena o durante
l’evasione, ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza.
L’applicazione di tale “etichetta criminale” non è
infrequente nelle aule giudiziarie, soprattutto per coloro che commettono reati
contro il patrimonio o legati alla violazione della normativa sulle sostanze
stupefacenti. Infatti in carcere ci si va per una decina di tipologie di
crimini, sempre gli stessi, commessi in violazione dei cosiddetti dieci
comandamenti laici a cui si affida la nostra giustizia. L’amministrazione
penitenziaria non dispone di dati certi su tali tipologie di detenuti. In ogni
caso almeno qualche migliaio di persone ne sarebbero soggettivamente escluse.
Andrebbero altresì eliminate tutte le esclusioni oggettive.
L’esclusione oggettiva dalla pdl sull’indulto riguarda infatti una
decina di fattispecie di reato che complessivamente interessano circa il 25%
della popolazione detenuta. Da quei 18.000 potenzialmente ammissibili vanno
tolte quindi alcune migliaia di persone pluri-recidive più 4 mila circa
escluse in base al tipo di reato commesso. Un indulto fino a tre anni senza
preclusioni oggettive si potrebbe applicare indistintamente a coloro che sono
attualmente in misura alternativa i quali potrebbero beneficiare
dell’indulto e finire anticipatamente il periodo di semilibertà,
affidamento al servizio sociale o detenzione domiciliare. Si consideri che il
totale degli ammessi a misure alternative è pari a 35 mila unità,
di cui la gran parte con un residuo pena inferiore ai 3 anni. Mentre sono ben
70 mila coloro che sono già in sospensione della pena in applicazione
della legge Simeone-Saraceni e che in tal modo eviterebbero il giudizio di
sorveglianza.
E l’amnistia?
Amnistia e indulto sono fra loro intimamente correlate. L’indulto funziona se c’è contestualmente un provvedimento di amnistia. Oggi in via straordinaria bisogna intervenire sia sul sovraffollamento carcerario sia sul sovraffollamento giudiziario. Da un lato bisogna intervenire sulle pene, dall’altro sui reati. In tal modo va evitato il rischio che alla riduzione di pena non si accompagni la contestuale estinzione dei reati, almeno fino ad una soglia di tre anni di massimo edittale o di pena comminata in concreto. Una persona condannata a meno di tre anni di carcere per un fatto compiuto prima del 30 giugno 2001, il cui processo non si è ancora concluso alla data di entrata in vigore della legge, non sconterà la pena detentiva ma subirà comunque un inutile processo che si svolgerà altrettanto inutilmente in quanto la pena andrà estinta. Con l’amnistia decine di migliaia di cause pendenti per piccoli reati potrebbero estinguersi consentendo alle procure e ai tribunali di concentrarsi su questioni di maggiore spessore criminale.