I Sinti chiedono i danni ai leghisti

Il gup li ammette come parti civili al processo per discriminazione razziale

A sorpresa sette nomadi sono arrivati in tribunale con gli avvocati per tutelare i propri diritti contro sei militanti del Carroccio


di Luigi Grimaldi «Buongiorno , siamo un gruppo di Sint i e questi sono i nostri avvocati. E siamo le persone offese dalle dichiarazioni di Flavio Tosi e di altri cinque leghisti». Si sono presentati così, ieri mattina, in tribunale, sette nomadi della comunità bersagliata dalla campagna del Carroccio che raccolse le firme per evitare che a Verona venissero istituiti nuovi campi d’accoglienza, ricavandone l’accusa di aver istigato all’odio e alla discriminazione razziale secondo il dettato della cosiddetta legge Mancino. E sempre ieri, alla fine dell’udienza preliminare che ha mandato sotto processo il segretario della Lega Nord Tosi, la sorella Barbara, e gli altri militanti del Carroccio Matteo Bragantini, Luca Coletto, Enrico Corsi, e Maurizio Filippi, i Sinti, con l’associazione Opera nomadi, sono stati ammessi al processo come parti civili. Pertanto potranno non solo esprimere la propria posizione in tribunale, ma chiedere anche un risarcimento del danno.
Protagonisti della sortita giudiziaria (non annunciata e sorprendente per gli avvocati Piero Longo e Paolo Tebaldi, che con Giovanni Maccagnani assistono i leghisti), sono altri tre legali: Federica Panizzo, Enrico Varali e Paola Malavolta. Ci hanno provato e ci sono riusciti. È infatti la prima volta che singoli cittadini Sinti si costituiscono parti civili in un processo sulla discriminazione razziale e potenzialmente almeno altri novantaquattro nomadi della stessa comunità potranno fare lo stesso prima del 10 aprile, giorno in cui inizierà il processo.
Ma prima di arrivare ad ottenere il diritto di vestire i panni delle parti civili, gli avvocati dei Sinti hanno dovuto sudare non poco in udienza davanti al giudice Sandro Sperandio e al procuratore Guido Papalia, perché i legali Longo e Tebaldi hanno attaccato le richieste di costituzione. «Come si fa a dire che una persona appartiene alla comunità dei Sinti?». E allora, dall’altra parte, gli avvocati Varali, Panizzo e Malavolta hanno prima incassato il colpo e poi mostrato un protocollo del Comune di Verona nel quale i loro sette clienti erano classificati proprio come appartenenti alla comunità nomade. E accanto ai loro nomi ce ne sono altri novantaquattro.
«Abbiamo studiato la questione», raccontano Federica Panizzo e Paola Malavolta, «ritenendo che i Sinti siano stati lesi nei loro diritti di essere effettivi destinatari di provvedimenti comunali e, comunque, di atti non discriminatori per la loro appartenenza. Secondo noi, devono poter avere la libertà di circolazione, le strutture per essere accolti, ma soprattutto, hanno diritto alla dignità. Di conseguenza, il singolo Sinti identificato come destinatario di predicazioni che si riferiscono ad espulsioni dal Comune di Verona viene inevitabilmente leso. Inoltre, in questa campagna della Lega sono stati indicati come socialmente pericolosi perché in tutte le dichiarazioni sono considerati come portatori di criminalità nei quartieri».
Gli avvocati Malavolta e Panizzo riconoscono il lavoro svolto dal loro collega Varali. E prima che l’udienza iniziasse, le ipotetiche parti offese comprendevano anche il Centro studi immigrazione (ma la richiesta di costituzione è stata poi ritirata per motivi giuridici). Erano stati infatti alcuni esponenti del Cestim e del Cesar K a consegnare, a settembre dell’anno scorso, una denuncia contro Tosi e gli altri leghisti subito dopo la conferenza stampa che annunciava la campagna «Via gli zingari da casa nostra».
E su quella conferenza stampa hanno avuto da ridire i difensori di Tosi e degli altri cinque militanti del Carroccio. Una delle osservazioni esposte in udienza dall’avvocato Longo è stata: «Ha parlato solo Flavio Tosi ed anche nelle interviste riportate sui giornali, gli altri cinque leghisti non hanno mai detto nulla sull’argomento. Come si fa a chiedere il loro rinvio a giudizio senza considerare cosa pensano sull’argomento?». I legali hanno anche sottolineato che la responsabilità penale è personale e che, in questo caso, non è possibile indagare chi non ha detto una sola parola sui nomadi.
Ma, dopo aver preso atto che sarà processato per discriminazione razziale (è la prima volta che gli accade) Flavio Tosi orienta i suoi anatemi contro la magistratura. «Non mi sorprende il fatto che i Sinti si siano presentati dal giudice», dice il segretario leghista, «mi sorprende piuttosto il fatto che il giudice sia stato quiescente nei confronti della richiesta del procuratore. E pertanto, non è una sorpresa che abbia ammesso i nomadi come parti civili al processo. Però voglio proprio vedere come si fa a considerarli parti offese. Noi abbiamo solo chiesto il ripristino della legalità in alcune zone nelle quali c’erano campi abusivi. E questo non è razzismo. E poi sostenere che in quelle zone c’è stato un aumento della criminalità è razzismo?».
Tosi prosegue nei suoi attacchi contro la sua (e non solo la sua) ossessione: la «magistratura di sinistra». «Questa accusa è un oltraggio alla magistratura vera». E, quando gli viene fatto notare che, in caso di condanna, potrebbe dover pagare i danni ai Sinti, risponde così: «Beh, ci vuole tempo. Forse in primo grado, qui a Verona, non avremo speranze. In secondo grado potrebbe anche emergere la verità e quindi arrivare all’assoluzione. In terzo grado, poi, bisognerà vedere se le cose sono cambiate». Quali cose? «La legge Mancino. Potrebbe non esserci più». Della serie molto di moda: se le regole del gioco possono farci perdere, allora le cambieremo.

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