BOZZA NON CORRETTA |
COMMISSIONE
XIV
POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIACOMO STUCCHI
La seduta comincia alle 14.
Variazione nella composizione della Commissione.
PRESIDENTE. Avverto che a decorrere dalla data odierna, per il gruppo parlamentare Democratici di sinistra - l'Ulivo, il deputato Beatrice Magnolfi cessa di far parte della XIV Commissione permanente mentre entra a farne parte il deputato Marco Filippeschi.
PRESIDENTE. Avverto che, se non
vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche
mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione del ministro della giustizia, Roberto Castelli, in merito alla proposta di decisione quadro sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia presentata dalla Commissione delle Comunità europee.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 126 bis del regolamento della Camera, del ministro della giustizia, Roberto Castelli, in merito alla proposta di decisione quadro sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia del 29 novembre 2001 presentata dalla Commissione delle comunità europee.
Nel dare il benvenuto al ministro Castelli, intendo
sottolineare l'importanza dell'audizione odierna, che consente al Parlamento di
prendere parte alla fase ascendente di formazione delle politiche dell'Unione
europea; in particolare, la proposta e decisione quadro sulla lotta contro il
razzismo e la xenofobia del 29 novembre 2001 interviene su una materia di
estrema delicatezza, sulla quale è quanto mai opportuno coinvolgere il
Parlamento nella sua fase di definizione.
Ricordo che la proposta di decisione quadro - da adottare nel Consiglio
all'unanimità - ha carattere vincolante quanto al risultato da ottenere
ed è volta essenzialmente al riavvicinamento delle disposizioni
legislative e regolamentari ed alla cooperazione tra le autorità degli
Stati membri riguardo i reati che comportano forme di razzismo e xenofobia.
Do la parola al ministro Roberto Castelli, che ringrazio per la
disponibilità ad intervenire in questa sede poco prima della riunione
del Consiglio giustizia ed affari interni, che affronterà questa materia.
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Grazie, presidente. La produzione di
decisioni quadro a Bruxelles è andata aumentando nell'ultimo periodo in
maniera assai rilevante. Si tratta di un fenomeno che esprime la potestà
legislativa del Consiglio, organo non elettivo e non sottoposto a controllo
parlamentare, che produce uno strumento che obbliga gli Stati al raggiungimento
di determinati obiettivi comuni, secondo criteri anch'essi comuni, che spesso
si traducono in vere e proprie norme di legge negli ordinamenti interni dei
vari paesi membri e, quindi, come ogni altra norma, vengono necessariamente ad
incidere nella sfera della libertà individuale dei cittadini.
Così è avvenuto, ad esempio, con la decisione quadro sul mandato
di arresto europeo. Esso, infatti, consente all'autorità giudiziaria dei
paesi membri di emettere mandati eseguibili direttamente in qualsiasi altro
paese dell'Unione europea; così potrebbe accadere ora per un altro
progetto di decisione quadro, quello su razzismo e xenofobia attualmente in
discussione a Bruxelles, che intende colpire in maniera omogenea nei paesi
membri tale reato.
Si tratta di due decisioni quadro che sono destinate ad interagire strettamente
fra loro, se si tiene presente, ad esempio, che il reato di razzismo e
xenofobia è uno di quelli previsti per l'emissione del mandato di
arresto europeo. Tale interazione è ancora più preoccupante se si
considera che tale reato è compreso in una lista di reati nella
decisione quadro sul mandato di arresto europeo, per i quali si prescinde
dall'applicazione del principio della doppia incriminabilità. Per
comprendere meglio i collegamenti tra la decisione quadro sul mandato d'arresto
europeo e la proposta di decisione quadro sulla lotta al razzismo e xenofobia,
esaminerei più in dettaglio alcuni aspetti dei testi in questione.
Nella decisione quadro che introduce il mandato d'arresto si prevede che lo
stesso possa essere emesso per dei fatti puniti dalla legge dello Stato
emittente con una pena privativa della libertà o una misura di sicurezza
della durata massima non inferiore a 12 mesi, oppure per condanne pronunciate
di durata non inferiore a quattro mesi. All'articolo 2, paragrafo 4, viene
altresì stabilita la regola che riconosce la possibilità di non
dar luogo alla consegna nel caso in cui i fatti per i quali è stato
emesso il mandato non costituiscano reato ai sensi delle leggi dello Stato
membro di esecuzione, secondo il ricordato principio della doppia
incriminazione.
Un'ampia deroga, detta regola, è data dal paragrafo 2 del medesimo
articolo 2, che statuisce che per un elenco di 32 tipologie di reato - tra cui
razzismo e xenofobia - si dà luogo a consegna in base al mandato
d'arresto, anche se non sussiste il requisito della doppia incriminazione, qualora
nello Stato membro emittente il massimo della pena o della misura di sicurezza
privativa della libertà, per quello tra quei reati per cui è
emesso il mandato, è pari o superiore a tre anni.
Su questo impianto, la proposta di decisione quadro sul razzismo e xenofobia ha
un impatto indubbio. In primo luogo, si impone che vi sia in ciascuno Stato
membro la criminalizzazione di una serie di comportamenti ritenuti a sfondo
razzista o xenofobo; per tali comportamenti, in quanto considerati reati in
ciascun ordinamento, si dovrà pertanto eseguire un mandato di cattura
europeo a prescindere dal requisito del massimo edittale di almeno tre anni,
necessario in assenza di doppia incriminazione.
Tale limite scende, infatti, secondo la regola generale, ad un anno. Fissando la
durata massima della reclusione per il comportamenti sanzionati, che non siano
di mera istigazione o complicità, ad almeno un anno, la decisione quadro
garantisce altresì, per converso, che da ogni Stato membro potrà
provenire un mandato d'arresto per reati di questa natura.
Quindi la decisione quadro su razzismo e xenofobia implica che per i reati che
vi sono previsti potranno essere emessi, da ciascuno Stato presente o futuro
dell'Unione europea, mandati di cattura europei che dovranno essere eseguiti in
ogni altro Stato membro.
Giova poi ricordare che anche relativamente alla giurisdizione le decisioni
quadro fissano solo dei minimi, onde non si può escludere - anche se
questo non è previsto nel testo della proposta - che taluni Stati membri
si attribuiscano una giurisdizione, in materia di razzismo e xenofobia, anche
su comportamenti tenuti dal cittadino di un altro Stato membro all'interno del
suo proprio Stato. In questi casi la decisione quadro sul mandato d'arresto
prevede la possibilità della non esecuzione da parte
dell'autorità del paese richiesto. Se un paese non dovesse
esplicitamente avvalersi di questa facoltà, si potrà dare
tuttavia il caso che un cittadino di quello Stato membro venga consegnato ad un
altro Stato sotto l'accusa di avere commesso, nel proprio paese, un fatto a
sfondo razzista o xenofobo, che magari per l'ordinamento di quello stesso paese
non costituisce reato.
È possibile, infatti, che si verifichi l'ipotesi per cui, in presenza di
alcune condizioni, può essere emesso mandato d'arresto europeo per un
fatto che nel paese in cui tale mandato deve essere eseguito non è
neanche considerato un reato.
La decisione quadro sul mandato d'arresto implica, anche in questo settore
particolarmente delicato dove è in gioco, tra l'altro, la libertà
di manifestazione del pensiero, una ricaduta profonda la quale, come illustrato
prima, viene sensibilmente potenziata dalla proposta di decisione quadro sul
razzismo e la xenofobia. Di fatto, in maggiore o minor misura, ogni paese, fra
cui l'Italia, subirà una sorta di «importazione» non solo
degli ordinamenti ma anche delle prassi degli Stati che si mostrano più
zelanti in senso repressivo, e nei quali (non dimentichiamolo, anzi
sottolineiamolo con forza) il pubblico ministero non è generalmente
indipendente dall'esecutivo (anzi in alcuni Stati il pubblico ministero dipende
strettamente dall'esecutivo). Proviamo ad immaginare il combinato disposto di
quanto ho qui illustrato in casi estremi quale potenziale devastante potrebbe
avere a carico, ad esempio, della lotta politica.
Siamo così giunti a toccare con mano quali siano - e di quale
gravità - i problemi che si pongono in questo campo e che dobbiamo
affrontare con grande cautela ed estrema prudenza; a partire, ad esempio, da
una definizione il più concreta possibile delle figure di reato, reati
che di per sé tendono spesso a sfuggirà ad esatte catalogazioni e
che facilmente sconfinano e si confondono con la libera espressione del
pensiero.
Esprimere infatti un'opinione dissenziente, magari in contrasto con la communis
opinio ma che porta in sé i germi della libera
dialettica da cui scaturisce il progresso civile, non può costituire un
fatto condannabile solo per la sua caratteristica antitetica o per la violenza
polemica con cui essa viene espressa.
È per proteggerci da tale pericolo che abbiamo a Bruxelles posto una
riserva di carattere generale su un testo che ci pare non solo ampiamente
suscettibile di miglioramenti sul piano della tecnica legislativa ma bisognoso
soprattutto di un approccio fondamentalmente nuovo che ponga al riparo dalle
insidie e dai pericoli che esso può portare alle libertà
costituzionali dei cittadini, prima fra tutte quella di esprimere il proprio
pensiero.
Una sommaria disamina della storia dell'esercizio negoziale sulla proposta di
decisione quadro sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia può
aiutarci a comprendere come si stia svolgendo un ampio confronto di idee e di
esperienze culturali su una materia che presenta una delicatezza estrema, anche
perché manca una chiara ed accettabile definizione di alcuni termini
chiave.
Il testo originale della proposta è stato presentato il 28 novembre 2001
dalla Commissione. Questo primo articolato non ha mancato di sollevare profonde
perplessità, oltre che in quella italiana, in numerose altre
delegazioni. Nel corso dell'esame del testo al Comitato diritto penale
sostanziale, la manifestazione di queste perplessità ha pertanto dato
luogo ad una serie di smussature sulle parti più controverse. Un primo
esempio di ciò è dato dalla eliminazione del tentativo di
definizione del concetto stesso di razzismo e xenofobia, reato che
originariamente veniva qualificato nei seguenti termini: «il
convincimento che la razza, il colore, la discendenza, la religione o i
convincimenti, l'origine nazionale o l'origine etnica siano fattori
determinanti per nutrire avversione nei confronti di singoli individui o
gruppi». Tale definizione consentiva di utilizzare nella fissazione delle
fattispecie di reato il concetto di «'intento razzista o xenofobo».
Provate a fare un esercizio intellettuale e capirete come un pubblico ministero
possa stabilire che ciascuno di noi all'interno di se stesso ha il
convincimento che la sua razza o il suo colore siano fattori determinanti di
quanto detto prima.
Ho già avuto modo di osservare, in sede di Consiglio GAI, che il termine
«xenofobia», immancabilmente abbinato a «razzismo» nei
testi in questione come in altri strumenti, ha di per sé il significato
di un «timore», chiedendomi che valore aggiunto ci dia il mostrare
di criminalizzare un timore. Evidentemente, se sul concetto di razzismo siamo
tutti d'accordo, bisognerebbe stabilire se l'aver timore di uno straniero o di
una persona di un'altra razza sia un reato. Su questo credo che si possa
discutere a lungo.
Per quanto concerne il campo d'applicazione, si è andati riducendo le
ipotesi ed elaborando una serie di possibili riserve, ovvero di facoltà
di non incriminare determinati comportamenti in assenza di condizioni
stabilite. A titolo esemplificativo, nel caso di apologia o minimizzazione di
crimini contro l'umanità, si è giunti a deliberare che questa
può non essere criminalizzata in assenza di condizioni quali un impatto
sulla quiete pubblica o un incitamento alla violenza e all'odio. Cadeva poi,
per fornire un altro esempio, l'obbligo di criminalizzazione per la semplice
direzione di una «gruppo razzista o xenofobo» o la stessa
partecipazione ad esso.
A questi sviluppi, che apparivano andare nella direzione di ridurre la
problematicità dell'impatto della proposta, ha tuttavia fatto seguito
una sorta di parziale «riflusso» nei mesi più recenti. Le
delegazione più radicali, unitamente alla Commissione, sono riuscite
infatti, a propria volta, ad ottenere di circoscrivere le riserve che le
delegazioni più perplesse avevano sino a quel momento strappato.
È stata altresì reintrodotta l'istigazione, almeno con
riferimento alla negazione o minimizzazione di crimini contro l'umanità.
Sono inoltre ricomparse le convinzioni religiose - ma su questo si è
continuato a discutere - e la «discendenza» fra i criteri
definitori di un gruppo rispetto al quale si possono connettere i reati fissati
dalla proposta di decisione quadro. Come capite, anche questo punto comporta
delle grosse problematicità, ad esempio in caso di stesura di testi
storici. Chi stabilirà se alcuni crimini contro l'umanità
(pensiamo soltanto alla persecuzione nazista contro gli ebrei) sono stati
minimizzato in sede di stesura di un testo di carattere storico oppure sono
stati resi con sufficiente obiettività?
La persistente spinta di alcuni paesi a tornare ad allargare il campo di
applicazione si è manifestata nella stessa seduta del Consiglio GAI
dello scorso novembre, in contrasto con le preoccupazione reiterate in quella
sede da parte di quanti intendono salvaguardare la libertà di
manifestare il pensiero.
Basta dare un'occhiata alle cronache giornalistiche dell'ultimo periodo, con i
processi intentati a noti pubblicisti di rinomanza internazionale, a causa
delle loro opinioni sulle origini e le radici del terrorismo che sconvolge il
mondo, per renderci subito conto che il pericolo esiste ed è reale (mi
riferisco alla Fallaci, tanto per essere chiari).
Per questo ci adoperiamo affinché si segua un approccio diverso ed anzi
opposto a quello seguito fino ad ora a Bruxelles; che si parta cioè
dalla esigenza assolutamente prioritaria di rispettare le garanzie
costituzionali primarie dei cittadini e solo dopo, in una seconda fase, si
giunga, ma come elemento residuale, alla definizione di reato di razzismo.
Sarebbe infatti evidentemente iniquo sanzionare il comportamento di chi, ad
esempio, protesti pacificamente per la presenza o l'insediamento illegale di
immigrati nel suo quartiere che provochi un aumento della
microcriminalità, la perdita di valore dei beni, l'aumento delle minacce
alla sicurezza ed alla integrità delle persone ed induca, in sostanza,
quel clima di paura che spesso si instaura nei quartieri delle nostre
città. In questi casi, ancora più aberrante, sarebbe sanzionare
addirittura come reato un tale comportamento, aggravato anzi, come prevede il
progetto di decisione quadro di Bruxelles, se tale protesta viene manifestata,
come spesso avviene, a mezzo di volantini.
Mi sembra poi estremamente pericoloso continuare a produrre normative che, collegate
fra loro, possono influire gravemente sulla sfera delle libertà
individuali, moltiplicando i poteri della magistratura requirente e - quando
questa è soggetta all'esecutivo, come spesso avviene - i poteri dei
rispettivi governi.
O che addirittura fanno da sponda a determinati organismi per arrogarsi un
potere di controllo capace di interferire spesso nella medesima sfera della
libera espressione politica dei singoli Stati membri, come è stato, ad
esempio, il caso del comunicato emesso dall'osservatorio europeo sul razzismo e
la xenofobia, lo scorso 6 aprile, in occasione dei risultati del primo turno
delle elezioni presidenziali in Francia, nel quale si dichiarava che - cito
testualmente - « partiti di destra che promuovono politiche razziste o xenofobe
hanno recentemente riscosso successi in Austria, Italia, Danimarca e
Francia», violando la verità oltre che esorbitando dalle
responsabilità e dai doveri dell'organismo. È facile quindi
vedere come, una volta che si accetti l'idea del «controllo» in
tali campi, esso poi possa facilmente estendersi alle nostre opinioni, alle
manifestazioni delle nostre idee e persino ai comportamenti elettorali
liberamente scelti!
Quindi, come sottolineavo prima, una questione di tal fatta si presta
facilmente a strumentalizzazioni di carattere politico, laddove i governi,
magari di opposte idee a quelli di un altro paese, possano indirizzare
l'attuazione dei pubblici ministeri che, come più volte ricordato e
ribadito, non sono indipendenti come in Italia, ad affrontare determinate
situazioni e a colpire qualcuno semplicemente perché avversario
politico. Tutto ciò va infine inquadrato, conviene sottolinearlo, nella
prospettiva del prossimo allargamento che potrà far aumentare, a sua
volta, i rischi, le situazioni di pericolo e le insidie per le libertà
individuali che sono venuto illustrando. In uno scenario allargato, infatti,
è inevitabile che si riproducano, ma fortemente amplificate, le
differenze ed i problemi che non sono solo quelli che discendono dalla
diversità degli ordinamenti: dall'organizzazione giudiziaria ai criteri
di attribuzioni della giurisdizione, dalle fattispecie di reato alle pene, che
si pongono già ora nell'Europa dei 15. Ma sono soprattutto quelli che
discendono da filosofie diverse, fortemente impregnate di statalismo, che hanno
fino a ieri dominato i comportamenti e le abitudini in certi paesi. E che
sarebbe ora un errore sottovalutare soprattutto di fronte alla temibile
efficacia di strumenti che presuppongono invece ben altra omogeneità ed
armonia e, prima di tutto, un codice deontologico che ponga al centro,
inesorabilmente, il rispetto assoluto delle libertà fondamentali del
cittadino.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che desiderano intervenire.
MAURO ZANI. Gradirei conoscere -
benché ritenga di averla compresa - quale sia in ultima istanza la
posizione del nostro Governo in ordine alla proposta di decisione quadro,
perché credo si tratti di questione - per molteplici aspetti in questo
momento storico, e alla luce di quanto avverrà in seguito nell'Europa a
25 in particolare -, piuttosto cruciale. Personalmente considero alquanto
significativa la proposta in esame. Naturalmente, sarei anche disposto a farmi
carico di talune osservazioni critiche che il ministro ha mosso, soprattutto in
ordine agli aspetti tecnico-giuridici, capaci di interagire con i quadri
legislativi dei singoli paesi, e addirittura con le libertà del
cittadino, in ragione di alcuni esempi dallo stesso ministro richiamati.
Il problema è che questi rilievi vengono sollevati - mi sembra di capire
dalle parole del ministro - nel quadro di una sorta di
«rovesciamento», il quale mette in mora radicalmente la stessa idea
di una proposta come questa di lotta al razzismo e alla xenofobia. Si tratta,
lo ripeto, di un vero e proprio rovesciamento, avendo il ministro Castelli
dichiarato che sostanzialmente il reato di razzismo si collochi sempre e
comunque dopo la libertà individuale.
Ora, ritengo non vi sia un prima e un dopo poiché il reato e le pratiche
concrete, molto diffuse purtroppo in Europa, di razzismo e anche di xenofobia -
perché la xenofobia non è soltanto un timore, una paura
comprensibile ma purtroppo anche una pratica «di lotta» - limitano
essi stessi la libertà del cittadino, e fortemente. Sono un fatto
costitutivo, oltre che ripugnante sul piano morale. Non ci può essere un
prima né un dopo. Non si può, a mio parere, operare questo
rovesciamento di principi per cui, in nome della libertà del cittadino,
la situazione esistente e molto preoccupante in Europa, all'origine della
proposta di decisione quadro, finisca per essere non dico sottostimata ma
comunque - stando alle parole del ministro - relegata ad occupare una posizione
del tutto secondaria. Nei dossier prodotti dal servizio studi della Camera dei
deputati sono citati ampiamente, come del resto nella stessa proposta di
decisione quadro, tutta una serie di casi, di fatti puntualmente descritti. Si
tratta di un grande numero di reati penali a base xenofoba e razzista,
registratisi in Europa - e ampiamente documentati dalla stampa -, di
incitamento all'odio razziale.
Questo è il problema con il quale ci troviamo alle prese. Nel momento in
cui procediamo verso l'obiettivo dell'allargamento si apre una questione
rilevante di tutela della libertà di espressione dei diritti civili
delle minoranze, nodo che, a mio parere, in Europa diventerà sempre
più scottante. Ecco perché ritengo di dover valutare attentamente
questa proposta, pur con i limiti che possa avere. Sarei peraltro disponibile a
discuterne nel merito pur non essendo un tecnico, e nella consapevolezza che
potranno farlo altri meglio di me. Sono certamente anche io sensibile al tema
della libertà dei cittadini e anche a quello relativo ad un'eventuale
strumentalizzazione nel corso della lotta politica, ma credo che qui la
preoccupazione del ministro sia altra. Il ministro ci ha detto che in
realtà una iniziativa di questo genere rischierebbe di criminalizzare
taluni comportamenti. Ebbene, non ritengo le cose stiano così.
Non reputo questa la nostra preoccupazione fondamentale. Inoltre, se per
libertà di manifestazione del pensiero - questo non lo ha sostenuto il
ministro Castelli naturalmente -, si intende potersi permettere di gridare
pubblicamente «ai forni», (ad esempio come avvenuto recentemente in
Italia nel corso di una manifestazione a chiaro sfondo razzista ed alla
presenza di un europarlamentare del nostro paese), allora dobbiamo convenire di
non agire più sul piano interpretativo corretto. Questa, infatti, non
è più violenza polemica, si tratta, invece, di un incitamento
all'odio razziale e alla violenza. Dal momento che, a mio parere, casi di
questo genere nell'Europa allargata, potranno verificarsi, ritengo rilevante la
decisione assunta, pur rappresentando semplicemente una base da cui muoverci e non
un risultato finale.
Vorrei dunque sapere se il ministro Castelli ritiene emendabile una proposta di
questo genere, nello spirito che ho appena descritto, considerando che una
delle preoccupazioni fondamentali in Europa oggi è appunto una lotta
aperta contro il razzismo e la xenofobia, oppure no. In questo ultimo caso non
ci sarebbe più alcun luogo a procedere.
GABRIELE FRIGATO. Signor
presidente, ho ascoltato senza particolare entusiasmo la comunicazione del
ministro e mi pongo sostanzialmente il problema di sapere se di fronte ad una
proposta che ci viene formulata, riconoscendo valore al problema da cui essa
origina, adottiamo un atteggiamento positivo di miglioramento della stessa,
consci del fatto che il tema è obiettivamente di particolare gravità
e quindi merita particolare attenzione, oppure se, invece, partiamo
sostanzialmente dall'idea che il tema in questione sia uno fra i tanti e,
quindi, risolverlo o non risolverlo non rientra comunque tra le priorità
che abbiamo di fronte.
Ritengo - ma credo di poter parlare anche per la parte politica che rappresento
- che, come giustamente ci ha già detto il collega Zani, il tema del
razzismo, della xenofobia, delle paure nella società europea, sia
sicuramente grave e una classe dirigente che voglia essere tale, abbia il
dovere di formulare una qualche risposta.
Anch'io riconosco alcune delle difficoltà che il ministro ha fin qui
evidenziato ma l'atteggiamento che vorremmo dal nostro Governo, il quale si
presenta al tavolo delle trattative insieme agli altri 14 - 24 fra qualche mese
- paesi, debba essere quello di chi riconosce la gravità di un problema
e, a fronte di ciò, cerca di armonizzare le situazioni per una soluzione
che sia di sintesi e di equilibrio complessivo per questo nostro vecchio
continente.
Vorrei riprendere, signor ministro, le sue affermazioni laddove, con molta
franchezza, lei afferma che potremmo trovarci nel caso di un mandato di arresto
per un qualche reato che tuttavia, in qualche altro paese, potrebbe non essere
considerato tale e, quindi, dovremmo noi andare a definire i confini del reato
stesso.
Tuttavia, diciamocelo francamente: quando un sindaco della mia regione - nel
caso specifico, il sindaco di Treviso Gentilini - dice che vestirebbe di
«leprotti» gli immigrati perché così sarebbe poi
più facile colpirli - veda lei con che cosa ma basterebbe andare a
rileggere le cronache dei giornali per individuare le affermazioni puntuali e
precise usate - non è forse questo un elemento di istigazione?
Dobbiamo attendere che cosa per arrivare serenamente a dire che la paura che
oggi c'è in Europa ha bisogno di una classe dirigente che trovi gli
argini a questa paura?
Ritengo che questa occasione meriti certamente di essere verificata, anche nei
dettagli tecnici, ma guai a noi se immaginassimo che tali dettagli fossero
più grandi della stessa portata dei problemi!
PRESIDENTE. Ringrazio il collega
Frigato per il suo intervento. Ritengo che la tematica sia importantissima e
sia stato opportuno collegare la questione sollevata al mandato di arresto
europeo.Bisogna riflettere sull'obiettivo da conseguire, cioè quello di
difendere le libertà di tutti i cittadini, per prevenire razzismo e
xenofobia.
Questo deve essere lo spirito del provvedimento che stiamo analizzando. In tal
senso, ritengo che l'impegno del Governo - esprimo ovviamente una valutazione
politica di parte, non certo per la mia posizione di presidente della
Commissione - costituisca un impegno che va nella giusta direzione.
ANDREA DI TEODORO. Sino
adesso hanno parlato soprattutto deputati dell'opposizione. Come deputato della
maggioranza devo riconoscere che ho invece ascoltato con estremo interesse e
profonda condivisione la relazione presentata dal ministro della giustizia.
Personalmente ritengo che la decisione quadro sul mandato di cattura europeo,
così come questa decisione quadro, appartengano a quello che mi piace
definire «il lato oscuro dell'Europa», per cui se da un lato,
così come stiamo oggi vedendo in questa Commissione attraverso lo strumento
dell'indagine conoscitiva sul futuro dell'Unione europea, l'Europa si sta
interrogando sull'allargamento dei suoi processi di costituzionalizzazione (che
vuol dire anche aumento della trasparenza del funzionamento delle istituzioni
europee e possibilità di maggiore controllo democratico da parte, per
esempio, dei parlamenti nazionali sulla formazione del diritto comunitario),
dall'altro, questa stessa Europa, attraverso decisioni quadro quali quelle al
nostro esame, mette a mio avviso per così dire «in mora»
questo stesso processo di autoriforma in corso per costituire appunto una
maggiore base democratica, facendo una fuga in avanti.
A mio parere (ritengo che in questo senso siano andate anche le valutazioni del
nostro Governo all'epoca della decisione quadro inerente al mandato di cattura
europeo), queste decisioni, in qualche modo, cercano di costruire un'Europa
penale in assenza di un'Europa costituzionale e giurisdizionale.
In altri termini, fino a quando non vi sarà la costruzione di un
ordinamento unitario, come già giustamente notava il ministro,
ciò che rappresenta una fattispecie di reato penalmente perseguibile in
un ordinamento - o paese -, può non avere le stesse caratteristiche
all'interno di altri ordinamenti - o paesi. «By-passare» questo
problema, costruendo quella che ho definito un'Europa penale, senza far
sì che essa poggi su di un ordinamento comune e su un'unità di
giurisdizione, avendo quindi un suo radicamento costituzionale che sia in
qualche misura unitario, pone sicuramente dei problemi relativamente alla
tutela dei diritti di libertà dei cittadini europei.
Mi ritengo, invece, molto rassicurato dal fatto che il nostro Governo si sia
posto questo problema, mentre mi sento molto poco rassicurato dal fatto che vi
sia in Europa - e in tal senso desidero domandare al ministro una
«spinta» anche da parte di altri governi - tale lato scuro di cui
ho parlato prima che, invece, potrebbe prevalere!
In altri termini, come mai il problema della difesa dei diritti fondamentali di
libertà dei cittadini del nostro paese - che sono cittadini europei -,
che ci stiamo ponendo, non è allo stesso modo avvertito come una
preoccupazione anche da parte di altri governi che invece, poi, spingono per
questa «fuga in avanti»?
Non credo che ciò sia dovuto ad una deficienza di scienza giuridica da
parte dei rappresentanti degli altri governi - evidentemente non sarà
questo il motivo - ma, allora, mi preoccupa che vi sia una spinta - che
presumibilmente sarà politica - da parte di alcuni rappresentanti di
governi europei che, in Europa, tenda appunto a non collegare i due problemi
della costituzionalizzazione e della costruzione di un quadro giurisdizionale
unico, traducendosi ciò nella possibilità di prevedere
fattispecie penali comuni.
È questo a mio avviso il problema politico fondamentale che sta alla
base della riserva che noi, come paese Italia, dovremmo porre rispetto al
documento di cui discutiamo!
Signor ministro, proprio in virtù dei profondi convincimenti di
libertà che nutro come deputato prima ancora che come cittadino, la
prego davvero di insistere nella sua posizione ferma, già preannunciata
nella sua relazione, perché ritengo che sia assolutamente dirimente per
quanto riguarda una costruzione di civiltà liberale in Europa.
MARCO AIRAGHI. Desidero
anzitutto ringraziare il ministro Castelli per il suo intervento di oggi su un
argomento che ritengo fondamentale e molto importante.
Ritengo di poter affermare che, proprio in virtù dell'importanza di
questo argomento, vi sia quasi un obbligo, un diritto-dovere da parte del
nostro Governo e del nostro paese, a volere essere propositivi e protagonisti
in questo campo.
È quindi assolutamente doveroso non accettarla passivamente, ma cercare
di portare le nostre ragioni nella messa a punto della normativa in questione.
Proprio per l'importanza riconosciuta di questo tema ci sono stati, almeno
inizialmente, estremismi, come nel caso in cui si è discusso della
punibilità del convincimento di una persona in relazione a comportamenti
di tipo xenofobo o razzista. Credo che ciò potrebbe essere molto
rischioso, poiché si coglie il pericolo di un delirio giustizialista
dell'autorità giudiziaria: un magistrato o un giudice potrebbe ergersi
quasi a pantocrate, decidendo le opinioni o i comportamenti possibili. Lo
ritengo sbagliato e contrario alla giusta attenzione che si dovrebbe dare a
questo tipo di problemi. Bisognerebbe, invece, ricercare le vere ragioni che
alimentano in Europa il fenomeno della xenofobia: a fronte di una forte spinta
migratoria, molti Stati del nostro continente hanno subito la mancanza di
regole certe, che devono essere stabilite perché si possa garantire una
reale integrazione. Se l'immigrazione venisse correttamente regolata sarebbe
sicuramente accettata dai cittadini del nostro continente.
PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi che sono intervenuti e do la parola al ministro per la replica.
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Vorrei associarmi ai ringraziamenti
rivolti ai deputati intervenuti, perché le sollecitazioni che sono state
avanzate mi consentono di chiarire alcuni punti che ho tralasciato nella
relazione iniziale, ma che vale la pena sottolineare.
In via generale, vorrei rilevare che abbiamo sollevato subito
perplessità, sia di metodo sia di sostanza, riguardo al modo in cui le
decisioni quadro vengono approvate in Europa; esse sono, sostanzialmente, vere
e proprie leggi e, quando si raggiunge l'unanimità necessaria per la
loro approvazione, diventano cogenti per gli Stati. Non è considerata
neppure la possibilità che uno Stato membro possa non mettere in pratica
quanto la decisione quadro stabilisce. Per capirlo, è sufficiente
osservare come essa è strutturata: in genere, presenta una serie di
«considerando» che non esistono nei nostri testi legislativi, ma
anche un vero e proprio dispositivo legislativo. Dal punto di vista
sostanziale, stiamo legiferando per il popolo dei 15 paesi europei e per quelli
che entreranno a far parte dell'Europa in futuro.
Credo che sia necessario sottolineare un dato condiviso: siamo tutti figli del
pensiero di Montesquieu, di Hamilton, della rivoluzione francese e di quella
americana, che hanno stabilito che il potere deriva dal popolo, che poi investe
il legislatore. Non a caso, nella nostra Costituzione la prima affermazione
riguardante la giustizia è che essa viene amministrata in nome del
popolo. Il processo legislativo si genera in base a due principi: l'elezione
democratica del legislatore e l'assoluta trasparenza del processo stesso.
Dal punto di vista metodologico, ci troviamo di fronte ad una situazione
quantomeno curiosa: 15 ministri, che potrebbero non essere stati eletti da
alcuno (anche se hanno un mandato popolare e, dunque, possiamo immaginare che
all'origine esso esista) legiferano, assumendo le proprie decisioni nel
più assoluto segreto, dato che non c'è pubblicità dei
lavori e non esiste resoconto, né stenografico né sommario. Un
uomo politico inglese, in modo forse provocatorio, ha sostenuto che nemmeno nel
regime di Pol Pot si legiferava in questo modo: se l'avesse detto un ministro
della mia parte politica sarebbe probabilmente finito sulle prime pagine di
molti giornali italiani. Non condivido tale affermazione, perché in
effetti una serie di meccanismi pubblicitari esistono, ma il sistema
legislativo non è perfettamente trasparente e non compiutamente democratico.
Ricordo, inoltre, che siamo di fronte ad un fenomeno quanto meno paradossale:
normalmente, in relazione all'Europa si pensa sempre a quel dato ironico e un
po' comico per cui, in quella sede, si stabilisce la curvatura del cetriolo.
Oggi, invece, con il mandato d'arresto europeo (con il congelamento dei beni
appartenenti a cittadini) e con la decisione quadro sulla lotta contro il
razzismo e la xenofobia, stiamo decidendo della libertà individuale e
delle opinioni dei cittadini. Si tratta di questioni fondamentali per
l'esistenza stessa della cittadinanza democratica: la libertà
individuale, la disponibilità dei beni in proprio possesso, la
libertà di esprimere i propri convincimenti. Tutto ciò avviene
secondo un metodo che, a mio parere, è esattamente opposto a quello che
sarebbe auspicabile.
Ricordo che stiamo costruendo l'Europa comune: non so come la chiameremo e se
essa consisterà in uno Stato o in un'unione di popoli europei, ma si
stanno svolgendo i lavori della Convenzione, che è una sorta di
costituente che sta ponendo le basi per un nuovo Stato, per una nuova
aggregazione di popoli o di Stati nazionali. Vedremo cosa verrà deciso
concretamente, ma è chiaro che ci troviamo in una fase costituente:
oggi, invece, si sta legiferando prima della fine della fase costituente e
ciò costituisce un paradosso democratico di enorme rilevanza. In base a
quali criteri si sta legiferando? Quale tipo d'Europa vogliamo? Si tratta di un
dibattito non sufficientemente presente nel paese, ma che è fondamentale.
Qualsiasi interlocutore con cui io parli, mi dice che in Europa si pensa
sostanzialmente ad un assetto di tipo federale o confederale, sicuramente ad
un'unione di Stati sovrani: questo ha dichiarato il Vicepresidente Fini durante
l'incontro che si è svolto a Roma con il presidente Giscard D'Estaing,
il quale ha confermato questo punto di vista. Dobbiamo sapere che nel campo
della costruzione dello spazio giuridico europeo comune, si va esattamente
nella direzione opposta: si legifera con la chiara visione di un super Stato
centralista.
Già questa è una contraddizione assoluta e fondamentale, che ho
sollevato più volte nei confronti dei miei colleghi in Consiglio GAI,
senza ottenere mai alcuna risposta. Ho sollevato il problema anche presso
l'opinione pubblica - con un articolo pubblicato addirittura in prima pagina
sul più importante quotidiano italiano qualche mese fa - e non
c'è stata alcuna risposta, se non i soliti insulti da parte di qualche
rappresentante della sinistra che ha liquidato la questione dicendo che:
«Castelli non capisce niente, è un leghista». Non c'è
stata alcuna risposta. Io credo che, una volta per tutte, noi dobbiamo
interrogarci su questo tema, che è assolutamente rilevante. Consentitemi
una parentesi provocatoria, ma qui stiamo parlando di cessione di parti
fondamentali della nostra sovranità; ricordo che nell'attuale codice
penale questo è reato punito con l'ergastolo. È chiaro che la mia
è una battuta e una provocazione. Lo preciso, perché non vorrei
che mi sentisse qualche giornalista in sala stampa e poi venisse fuori qualche
agenzia in cui si riporta che io vado dicendo che chi legifera in Consiglio GAI
deve essere condannato all'ergastolo. È una battuta, un paradosso,
però stiamo parlando della cessione della nostra sovranità che
avviene in termini assolutamente opachi, poco trasparenti e in direzione
assolutamente contraria a quella unanimemente indicataci dai nostri padri
costituenti.
Allora vogliamo, una volta per tutte, innescare un dibattito su questa
questione o no? Questo è il primo problema di carattere generale e
fondamentale. Certo noi veniamo da un periodo di euro-entusiasmo; ho sentito
echeggiare in queste aule lo slogan «Europa a tutti i costi». Dopo
l'euro-entusiasmo della sinistra, si sarebbe voluto il fatto che la destra
fosse euro-supina. Noi siamo europeisti, sicuramente convinti, vogliamo
l'Europa, non vogliamo essere euro-supini, vogliamo andare in Europa, dire la
nostra, verificare e portare avanti con grande entusiasmo tutte quelle azioni
che ci sembrano positive, vogliamo avere la libertà di sollevare
problemi quando ci sembra che i problemi esistano. Questo è il quadro
generale all'interno del quale noi ci stiamo muovendo. Con questo spero di aver
risposto alla sollecitazione dell'onorevole Di Teodoro.
Perché gli altri paesi la pensano diversamente? In realtà la
pensano diversamente su alcune questioni, su altre no. Il dibattito è
sempre aperto. Però credo che ci sia un atteggiamento determinato anche
dal periodo storico. Ricordo che il mandato di arresto europeo è passato
nel giro di due mesi sull'onda emozionale dell'11 settembre. Era un problema
che giaceva in Commissione e non emergeva nemmeno in sede di Consiglio, ma dopo
l'11 settembre in sole tre sedute prima della fine dell'anno è stato
approvato. Quindi esiste questo periodo storico in cui il pensiero
politicamente corretto è quello di essere euro-entusiasti. Però
ritengo che, siccome stiamo costruendo uno Stato come che durerà, credo,
per molto tempo, abbiamo il dovere di pensare molto bene a quello che stiamo
facendo.
Vengo ora alla questione più strettamente di merito. Questo Governo ha
approntato un testo volto a rivedere quelle fattispecie criminose del codice
fascista che vengono definite come reati di opinione. Il testo è pronto
e continuo purtroppo a rimandarne la presentazione per questioni puramente
pratiche (non si riesce a trovare il tempo materiale per presentarlo; avrei
voluto farlo venerdì ma c'è lo sciopero dei giornalisti e quindi
non potrei fare la conferenza stampa). Il testo, come dicevo, riguarda i reati
di opinione o comunque tutti i reati di vilipendio esistenti, che oggi sembrano
in qualche modo essere superati. Superati da cosa? Naturalmente non dalla
possibilità di giustificare l'arbitrio ma dal fatto di garantire, fino
agli estremi limiti, la libertà di pensiero. In che modo ci siamo
atteggiati rispetto al problema? Cercando di distinguere i fatti dalle
opinioni. Noi riteniamo che in un paese democratico la libertà di
espressione debba essere portata fino all'estremo limite. Qual è
l'estremo limite? Ci si deve fermare di fronte all'istigazione a delinquere o
di fronte all'apologia di reato. Capite che ci muoviamo su un terreno
estremamente minato.
Si è parlato di Gentilini. Orbene, se il pubblico ministero vuole
perseguire qualche cittadino italiano per apologia di reato o istigazione a
delinquere ha già tutte le possibilità di farlo. Onorevole
Frigato, il ragionamento che è stato fatto sicuramente non le appartiene
(ne sono certo), però può comportare qualche problema. Gentilini
è un uomo politico che riscuote il 70 per cento dei consensi degli
elettori. Allora la tentazione di farlo cadere, magari attraverso una via
diversa da quella democratica, può in qualcuno anche sorgere.
Eventualmente si possono utilizzare mezzi diversi. Ritengo che su questo punto
tutti dovremmo essere concordi nel combattere simili tentazioni. Ricordo anche
che c'è stata una autrice italiana che ha ultimamente scritto dei libri
fortemente polemici, ma a chi li ha letti con coscienza democratica non sarà
venuto in mente di sottoporla a processo; al massimo sarà stata
fortemente criticata (come è legittimamente avvenuto), anche in maniera
molto violenta. Orbene ha dovuto subire due processi. Questo mi richiama alla
mente i roghi dei libri avvenuti non tanto tempo fa in questa Europa. Vogliamo
tornare o comunque in qualche modo evocare tempi simili? Io personalmente non
lo auspico.
Allora, per venire alla sollecitazione dell'onorevole Zani, volta a sapere cosa
noi pensiamo, devo dire che sarebbe in primo luogo meglio astenersi dal
legiferare su questioni di importanza rilevantissima che attengono alle
libertà individuali. Secondo noi, sarebbe molto meglio attendere prima
la costituzione europea. In subordine, se proprio questa linea non dovesse essere
condivisa dagli altri partner, noi agiremmo per cercare di tirar fuori un testo
che distingua molto bene i fatti dalle opinioni. Questa è la nostra
linea e mi sembra assolutamente semplice e lineare. Cercheremo di arrivare ad
un testo in cui le opinioni - anche forti - vengano garantite, mentre i fatti
siano perseguiti. Però ricordo che esistono già nel codice penale
numerose fattispecie di reato che puniscono i fatti. Ricordo nuovamente che
tocchiamo un tema estremamente delicato. Vedremo quale sarà la sensibilità
dei nostri partner al riguardo. Devo dire che in merito le posizioni sono
abbastanza variegate.
PRESIDENTE. Rinnovo i
ringraziamenti al ministro Castelli per la partecipazione a questa audizione.
Ovviamente continueremo a seguire con attenzione il provvedimento e le
chiederemo la disponibilità ad intervenire in altre audizioni. Nel
frattempo, le auguro buon lavoro.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,10.