BOZZA NON CORRETTA

COMMISSIONE XIV
POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 18 dicembre 2002

 

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIACOMO STUCCHI

La seduta comincia alle 14.

Variazione nella composizione della Commissione.

PRESIDENTE. Avverto che a decorrere dalla data odierna, per il gruppo parlamentare Democratici di sinistra - l'Ulivo, il deputato Beatrice Magnolfi cessa di far parte della XIV Commissione permanente mentre entra a farne parte il deputato Marco Filippeschi.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del ministro della giustizia, Roberto Castelli, in merito alla proposta di decisione quadro sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia presentata dalla Commissione delle Comunità europee.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 126 bis del regolamento della Camera, del ministro della giustizia, Roberto Castelli, in merito alla proposta di decisione quadro sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia del 29 novembre 2001 presentata dalla Commissione delle comunità europee.

Nel dare il benvenuto al ministro Castelli, intendo sottolineare l'importanza dell'audizione odierna, che consente al Parlamento di prendere parte alla fase ascendente di formazione delle politiche dell'Unione europea; in particolare, la proposta e decisione quadro sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia del 29 novembre 2001 interviene su una materia di estrema delicatezza, sulla quale è quanto mai opportuno coinvolgere il Parlamento nella sua fase di definizione.
Ricordo che la proposta di decisione quadro - da adottare nel Consiglio all'unanimità - ha carattere vincolante quanto al risultato da ottenere ed è volta essenzialmente al riavvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari ed alla cooperazione tra le autorità degli Stati membri riguardo i reati che comportano forme di razzismo e xenofobia.
Do la parola al ministro Roberto Castelli, che ringrazio per la disponibilità ad intervenire in questa sede poco prima della riunione del Consiglio giustizia ed affari interni, che affronterà questa materia.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Grazie, presidente. La produzione di decisioni quadro a Bruxelles è andata aumentando nell'ultimo periodo in maniera assai rilevante. Si tratta di un fenomeno che esprime la potestà legislativa del Consiglio, organo non elettivo e non sottoposto a controllo parlamentare, che produce uno strumento che obbliga gli Stati al raggiungimento di determinati obiettivi comuni, secondo criteri anch'essi comuni, che spesso si traducono in vere e proprie norme di legge negli ordinamenti interni dei vari paesi membri e, quindi, come ogni altra norma, vengono necessariamente ad incidere nella sfera della libertà individuale dei cittadini. Così è avvenuto, ad esempio, con la decisione quadro sul mandato di arresto europeo. Esso, infatti, consente all'autorità giudiziaria dei paesi membri di emettere mandati eseguibili direttamente in qualsiasi altro paese dell'Unione europea; così potrebbe accadere ora per un altro progetto di decisione quadro, quello su razzismo e xenofobia attualmente in discussione a Bruxelles, che intende colpire in maniera omogenea nei paesi membri tale reato.
Si tratta di due decisioni quadro che sono destinate ad interagire strettamente fra loro, se si tiene presente, ad esempio, che il reato di razzismo e xenofobia è uno di quelli previsti per l'emissione del mandato di arresto europeo. Tale interazione è ancora più preoccupante se si considera che tale reato è compreso in una lista di reati nella decisione quadro sul mandato di arresto europeo, per i quali si prescinde dall'applicazione del principio della doppia incriminabilità. Per comprendere meglio i collegamenti tra la decisione quadro sul mandato d'arresto europeo e la proposta di decisione quadro sulla lotta al razzismo e xenofobia, esaminerei più in dettaglio alcuni aspetti dei testi in questione.
Nella decisione quadro che introduce il mandato d'arresto si prevede che lo stesso possa essere emesso per dei fatti puniti dalla legge dello Stato emittente con una pena privativa della libertà o una misura di sicurezza della durata massima non inferiore a 12 mesi, oppure per condanne pronunciate di durata non inferiore a quattro mesi. All'articolo 2, paragrafo 4, viene altresì stabilita la regola che riconosce la possibilità di non dar luogo alla consegna nel caso in cui i fatti per i quali è stato emesso il mandato non costituiscano reato ai sensi delle leggi dello Stato membro di esecuzione, secondo il ricordato principio della doppia incriminazione.
Un'ampia deroga, detta regola, è data dal paragrafo 2 del medesimo articolo 2, che statuisce che per un elenco di 32 tipologie di reato - tra cui razzismo e xenofobia - si dà luogo a consegna in base al mandato d'arresto, anche se non sussiste il requisito della doppia incriminazione, qualora nello Stato membro emittente il massimo della pena o della misura di sicurezza privativa della libertà, per quello tra quei reati per cui è emesso il mandato, è pari o superiore a tre anni.
Su questo impianto, la proposta di decisione quadro sul razzismo e xenofobia ha un impatto indubbio. In primo luogo, si impone che vi sia in ciascuno Stato membro la criminalizzazione di una serie di comportamenti ritenuti a sfondo razzista o xenofobo; per tali comportamenti, in quanto considerati reati in ciascun ordinamento, si dovrà pertanto eseguire un mandato di cattura europeo a prescindere dal requisito del massimo edittale di almeno tre anni, necessario in assenza di doppia incriminazione.
Tale limite scende, infatti, secondo la regola generale, ad un anno. Fissando la durata massima della reclusione per il comportamenti sanzionati, che non siano di mera istigazione o complicità, ad almeno un anno, la decisione quadro garantisce altresì, per converso, che da ogni Stato membro potrà provenire un mandato d'arresto per reati di questa natura.
Quindi la decisione quadro su razzismo e xenofobia implica che per i reati che vi sono previsti potranno essere emessi, da ciascuno Stato presente o futuro dell'Unione europea, mandati di cattura europei che dovranno essere eseguiti in ogni altro Stato membro.
Giova poi ricordare che anche relativamente alla giurisdizione le decisioni quadro fissano solo dei minimi, onde non si può escludere - anche se questo non è previsto nel testo della proposta - che taluni Stati membri si attribuiscano una giurisdizione, in materia di razzismo e xenofobia, anche su comportamenti tenuti dal cittadino di un altro Stato membro all'interno del suo proprio Stato. In questi casi la decisione quadro sul mandato d'arresto prevede la possibilità della non esecuzione da parte dell'autorità del paese richiesto. Se un paese non dovesse esplicitamente avvalersi di questa facoltà, si potrà dare tuttavia il caso che un cittadino di quello Stato membro venga consegnato ad un altro Stato sotto l'accusa di avere commesso, nel proprio paese, un fatto a sfondo razzista o xenofobo, che magari per l'ordinamento di quello stesso paese non costituisce reato.
È possibile, infatti, che si verifichi l'ipotesi per cui, in presenza di alcune condizioni, può essere emesso mandato d'arresto europeo per un fatto che nel paese in cui tale mandato deve essere eseguito non è neanche considerato un reato.
La decisione quadro sul mandato d'arresto implica, anche in questo settore particolarmente delicato dove è in gioco, tra l'altro, la libertà di manifestazione del pensiero, una ricaduta profonda la quale, come illustrato prima, viene sensibilmente potenziata dalla proposta di decisione quadro sul razzismo e la xenofobia. Di fatto, in maggiore o minor misura, ogni paese, fra cui l'Italia, subirà una sorta di «importazione» non solo degli ordinamenti ma anche delle prassi degli Stati che si mostrano più zelanti in senso repressivo, e nei quali (non dimentichiamolo, anzi sottolineiamolo con forza) il pubblico ministero non è generalmente indipendente dall'esecutivo (anzi in alcuni Stati il pubblico ministero dipende strettamente dall'esecutivo). Proviamo ad immaginare il combinato disposto di quanto ho qui illustrato in casi estremi quale potenziale devastante potrebbe avere a carico, ad esempio, della lotta politica.
Siamo così giunti a toccare con mano quali siano - e di quale gravità - i problemi che si pongono in questo campo e che dobbiamo affrontare con grande cautela ed estrema prudenza; a partire, ad esempio, da una definizione il più concreta possibile delle figure di reato, reati che di per sé tendono spesso a sfuggirà ad esatte catalogazioni e che facilmente sconfinano e si confondono con la libera espressione del pensiero.
Esprimere infatti un'opinione dissenziente, magari in contrasto con la communis opinio
ma che porta in sé i germi della libera dialettica da cui scaturisce il progresso civile, non può costituire un fatto condannabile solo per la sua caratteristica antitetica o per la violenza polemica con cui essa viene espressa.
È per proteggerci da tale pericolo che abbiamo a Bruxelles posto una riserva di carattere generale su un testo che ci pare non solo ampiamente suscettibile di miglioramenti sul piano della tecnica legislativa ma bisognoso soprattutto di un approccio fondamentalmente nuovo che ponga al riparo dalle insidie e dai pericoli che esso può portare alle libertà costituzionali dei cittadini, prima fra tutte quella di esprimere il proprio pensiero.
Una sommaria disamina della storia dell'esercizio negoziale sulla proposta di decisione quadro sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia può aiutarci a comprendere come si stia svolgendo un ampio confronto di idee e di esperienze culturali su una materia che presenta una delicatezza estrema, anche perché manca una chiara ed accettabile definizione di alcuni termini chiave.
Il testo originale della proposta è stato presentato il 28 novembre 2001 dalla Commissione. Questo primo articolato non ha mancato di sollevare profonde perplessità, oltre che in quella italiana, in numerose altre delegazioni. Nel corso dell'esame del testo al Comitato diritto penale sostanziale, la manifestazione di queste perplessità ha pertanto dato luogo ad una serie di smussature sulle parti più controverse. Un primo esempio di ciò è dato dalla eliminazione del tentativo di definizione del concetto stesso di razzismo e xenofobia, reato che originariamente veniva qualificato nei seguenti termini: «il convincimento che la razza, il colore, la discendenza, la religione o i convincimenti, l'origine nazionale o l'origine etnica siano fattori determinanti per nutrire avversione nei confronti di singoli individui o gruppi». Tale definizione consentiva di utilizzare nella fissazione delle fattispecie di reato il concetto di «'intento razzista o xenofobo». Provate a fare un esercizio intellettuale e capirete come un pubblico ministero possa stabilire che ciascuno di noi all'interno di se stesso ha il convincimento che la sua razza o il suo colore siano fattori determinanti di quanto detto prima.
Ho già avuto modo di osservare, in sede di Consiglio GAI, che il termine «xenofobia», immancabilmente abbinato a «razzismo» nei testi in questione come in altri strumenti, ha di per sé il significato di un «timore», chiedendomi che valore aggiunto ci dia il mostrare di criminalizzare un timore. Evidentemente, se sul concetto di razzismo siamo tutti d'accordo, bisognerebbe stabilire se l'aver timore di uno straniero o di una persona di un'altra razza sia un reato. Su questo credo che si possa discutere a lungo.
Per quanto concerne il campo d'applicazione, si è andati riducendo le ipotesi ed elaborando una serie di possibili riserve, ovvero di facoltà di non incriminare determinati comportamenti in assenza di condizioni stabilite. A titolo esemplificativo, nel caso di apologia o minimizzazione di crimini contro l'umanità, si è giunti a deliberare che questa può non essere criminalizzata in assenza di condizioni quali un impatto sulla quiete pubblica o un incitamento alla violenza e all'odio. Cadeva poi, per fornire un altro esempio, l'obbligo di criminalizzazione per la semplice direzione di una «gruppo razzista o xenofobo» o la stessa partecipazione ad esso.
A questi sviluppi, che apparivano andare nella direzione di ridurre la problematicità dell'impatto della proposta, ha tuttavia fatto seguito una sorta di parziale «riflusso» nei mesi più recenti. Le delegazione più radicali, unitamente alla Commissione, sono riuscite infatti, a propria volta, ad ottenere di circoscrivere le riserve che le delegazioni più perplesse avevano sino a quel momento strappato.
È stata altresì reintrodotta l'istigazione, almeno con riferimento alla negazione o minimizzazione di crimini contro l'umanità. Sono inoltre ricomparse le convinzioni religiose - ma su questo si è continuato a discutere - e la «discendenza» fra i criteri definitori di un gruppo rispetto al quale si possono connettere i reati fissati dalla proposta di decisione quadro. Come capite, anche questo punto comporta delle grosse problematicità, ad esempio in caso di stesura di testi storici. Chi stabilirà se alcuni crimini contro l'umanità (pensiamo soltanto alla persecuzione nazista contro gli ebrei) sono stati minimizzato in sede di stesura di un testo di carattere storico oppure sono stati resi con sufficiente obiettività?
La persistente spinta di alcuni paesi a tornare ad allargare il campo di applicazione si è manifestata nella stessa seduta del Consiglio GAI dello scorso novembre, in contrasto con le preoccupazione reiterate in quella sede da parte di quanti intendono salvaguardare la libertà di manifestare il pensiero.
Basta dare un'occhiata alle cronache giornalistiche dell'ultimo periodo, con i processi intentati a noti pubblicisti di rinomanza internazionale, a causa delle loro opinioni sulle origini e le radici del terrorismo che sconvolge il mondo, per renderci subito conto che il pericolo esiste ed è reale (mi riferisco alla Fallaci, tanto per essere chiari).
Per questo ci adoperiamo affinché si segua un approccio diverso ed anzi opposto a quello seguito fino ad ora a Bruxelles; che si parta cioè dalla esigenza assolutamente prioritaria di rispettare le garanzie costituzionali primarie dei cittadini e solo dopo, in una seconda fase, si giunga, ma come elemento residuale, alla definizione di reato di razzismo.
Sarebbe infatti evidentemente iniquo sanzionare il comportamento di chi, ad esempio, protesti pacificamente per la presenza o l'insediamento illegale di immigrati nel suo quartiere che provochi un aumento della microcriminalità, la perdita di valore dei beni, l'aumento delle minacce alla sicurezza ed alla integrità delle persone ed induca, in sostanza, quel clima di paura che spesso si instaura nei quartieri delle nostre città. In questi casi, ancora più aberrante, sarebbe sanzionare addirittura come reato un tale comportamento, aggravato anzi, come prevede il progetto di decisione quadro di Bruxelles, se tale protesta viene manifestata, come spesso avviene, a mezzo di volantini.
Mi sembra poi estremamente pericoloso continuare a produrre normative che, collegate fra loro, possono influire gravemente sulla sfera delle libertà individuali, moltiplicando i poteri della magistratura requirente e - quando questa è soggetta all'esecutivo, come spesso avviene - i poteri dei rispettivi governi.
O che addirittura fanno da sponda a determinati organismi per arrogarsi un potere di controllo capace di interferire spesso nella medesima sfera della libera espressione politica dei singoli Stati membri, come è stato, ad esempio, il caso del comunicato emesso dall'osservatorio europeo sul razzismo e la xenofobia, lo scorso 6 aprile, in occasione dei risultati del primo turno delle elezioni presidenziali in Francia, nel quale si dichiarava che - cito testualmente - « partiti di destra che promuovono politiche razziste o xenofobe hanno recentemente riscosso successi in Austria, Italia, Danimarca e Francia», violando la verità oltre che esorbitando dalle responsabilità e dai doveri dell'organismo. È facile quindi vedere come, una volta che si accetti l'idea del «controllo» in tali campi, esso poi possa facilmente estendersi alle nostre opinioni, alle manifestazioni delle nostre idee e persino ai comportamenti elettorali liberamente scelti!
Quindi, come sottolineavo prima, una questione di tal fatta si presta facilmente a strumentalizzazioni di carattere politico, laddove i governi, magari di opposte idee a quelli di un altro paese, possano indirizzare l'attuazione dei pubblici ministeri che, come più volte ricordato e ribadito, non sono indipendenti come in Italia, ad affrontare determinate situazioni e a colpire qualcuno semplicemente perché avversario politico. Tutto ciò va infine inquadrato, conviene sottolinearlo, nella prospettiva del prossimo allargamento che potrà far aumentare, a sua volta, i rischi, le situazioni di pericolo e le insidie per le libertà individuali che sono venuto illustrando. In uno scenario allargato, infatti, è inevitabile che si riproducano, ma fortemente amplificate, le differenze ed i problemi che non sono solo quelli che discendono dalla diversità degli ordinamenti: dall'organizzazione giudiziaria ai criteri di attribuzioni della giurisdizione, dalle fattispecie di reato alle pene, che si pongono già ora nell'Europa dei 15. Ma sono soprattutto quelli che discendono da filosofie diverse, fortemente impregnate di statalismo, che hanno fino a ieri dominato i comportamenti e le abitudini in certi paesi. E che sarebbe ora un errore sottovalutare soprattutto di fronte alla temibile efficacia di strumenti che presuppongono invece ben altra omogeneità ed armonia e, prima di tutto, un codice deontologico che ponga al centro, inesorabilmente, il rispetto assoluto delle libertà fondamentali del cittadino.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

MAURO ZANI. Gradirei conoscere - benché ritenga di averla compresa - quale sia in ultima istanza la posizione del nostro Governo in ordine alla proposta di decisione quadro, perché credo si tratti di questione - per molteplici aspetti in questo momento storico, e alla luce di quanto avverrà in seguito nell'Europa a 25 in particolare -, piuttosto cruciale. Personalmente considero alquanto significativa la proposta in esame. Naturalmente, sarei anche disposto a farmi carico di talune osservazioni critiche che il ministro ha mosso, soprattutto in ordine agli aspetti tecnico-giuridici, capaci di interagire con i quadri legislativi dei singoli paesi, e addirittura con le libertà del cittadino, in ragione di alcuni esempi dallo stesso ministro richiamati.
Il problema è che questi rilievi vengono sollevati - mi sembra di capire dalle parole del ministro - nel quadro di una sorta di «rovesciamento», il quale mette in mora radicalmente la stessa idea di una proposta come questa di lotta al razzismo e alla xenofobia. Si tratta, lo ripeto, di un vero e proprio rovesciamento, avendo il ministro Castelli dichiarato che sostanzialmente il reato di razzismo si collochi sempre e comunque dopo la libertà individuale.
Ora, ritengo non vi sia un prima e un dopo poiché il reato e le pratiche concrete, molto diffuse purtroppo in Europa, di razzismo e anche di xenofobia - perché la xenofobia non è soltanto un timore, una paura comprensibile ma purtroppo anche una pratica «di lotta» - limitano essi stessi la libertà del cittadino, e fortemente. Sono un fatto costitutivo, oltre che ripugnante sul piano morale. Non ci può essere un prima né un dopo. Non si può, a mio parere, operare questo rovesciamento di principi per cui, in nome della libertà del cittadino, la situazione esistente e molto preoccupante in Europa, all'origine della proposta di decisione quadro, finisca per essere non dico sottostimata ma comunque - stando alle parole del ministro - relegata ad occupare una posizione del tutto secondaria. Nei dossier prodotti dal servizio studi della Camera dei deputati sono citati ampiamente, come del resto nella stessa proposta di decisione quadro, tutta una serie di casi, di fatti puntualmente descritti. Si tratta di un grande numero di reati penali a base xenofoba e razzista, registratisi in Europa - e ampiamente documentati dalla stampa -, di incitamento all'odio razziale.
Questo è il problema con il quale ci troviamo alle prese. Nel momento in cui procediamo verso l'obiettivo dell'allargamento si apre una questione rilevante di tutela della libertà di espressione dei diritti civili delle minoranze, nodo che, a mio parere, in Europa diventerà sempre più scottante. Ecco perché ritengo di dover valutare attentamente questa proposta, pur con i limiti che possa avere. Sarei peraltro disponibile a discuterne nel merito pur non essendo un tecnico, e nella consapevolezza che potranno farlo altri meglio di me. Sono certamente anche io sensibile al tema della libertà dei cittadini e anche a quello relativo ad un'eventuale strumentalizzazione nel corso della lotta politica, ma credo che qui la preoccupazione del ministro sia altra. Il ministro ci ha detto che in realtà una iniziativa di questo genere rischierebbe di criminalizzare taluni comportamenti. Ebbene, non ritengo le cose stiano così.
Non reputo questa la nostra preoccupazione fondamentale. Inoltre, se per libertà di manifestazione del pensiero - questo non lo ha sostenuto il ministro Castelli naturalmente -, si intende potersi permettere di gridare pubblicamente «ai forni», (ad esempio come avvenuto recentemente in Italia nel corso di una manifestazione a chiaro sfondo razzista ed alla presenza di un europarlamentare del nostro paese), allora dobbiamo convenire di non agire più sul piano interpretativo corretto. Questa, infatti, non è più violenza polemica, si tratta, invece, di un incitamento all'odio razziale e alla violenza. Dal momento che, a mio parere, casi di questo genere nell'Europa allargata, potranno verificarsi, ritengo rilevante la decisione assunta, pur rappresentando semplicemente una base da cui muoverci e non un risultato finale.
Vorrei dunque sapere se il ministro Castelli ritiene emendabile una proposta di questo genere, nello spirito che ho appena descritto, considerando che una delle preoccupazioni fondamentali in Europa oggi è appunto una lotta aperta contro il razzismo e la xenofobia, oppure no. In questo ultimo caso non ci sarebbe più alcun luogo a procedere.

GABRIELE FRIGATO. Signor presidente, ho ascoltato senza particolare entusiasmo la comunicazione del ministro e mi pongo sostanzialmente il problema di sapere se di fronte ad una proposta che ci viene formulata, riconoscendo valore al problema da cui essa origina, adottiamo un atteggiamento positivo di miglioramento della stessa, consci del fatto che il tema è obiettivamente di particolare gravità e quindi merita particolare attenzione, oppure se, invece, partiamo sostanzialmente dall'idea che il tema in questione sia uno fra i tanti e, quindi, risolverlo o non risolverlo non rientra comunque tra le priorità che abbiamo di fronte.
Ritengo - ma credo di poter parlare anche per la parte politica che rappresento - che, come giustamente ci ha già detto il collega Zani, il tema del razzismo, della xenofobia, delle paure nella società europea, sia sicuramente grave e una classe dirigente che voglia essere tale, abbia il dovere di formulare una qualche risposta.
Anch'io riconosco alcune delle difficoltà che il ministro ha fin qui evidenziato ma l'atteggiamento che vorremmo dal nostro Governo, il quale si presenta al tavolo delle trattative insieme agli altri 14 - 24 fra qualche mese - paesi, debba essere quello di chi riconosce la gravità di un problema e, a fronte di ciò, cerca di armonizzare le situazioni per una soluzione che sia di sintesi e di equilibrio complessivo per questo nostro vecchio continente.
Vorrei riprendere, signor ministro, le sue affermazioni laddove, con molta franchezza, lei afferma che potremmo trovarci nel caso di un mandato di arresto per un qualche reato che tuttavia, in qualche altro paese, potrebbe non essere considerato tale e, quindi, dovremmo noi andare a definire i confini del reato stesso.
Tuttavia, diciamocelo francamente: quando un sindaco della mia regione - nel caso specifico, il sindaco di Treviso Gentilini - dice che vestirebbe di «leprotti» gli immigrati perché così sarebbe poi più facile colpirli - veda lei con che cosa ma basterebbe andare a rileggere le cronache dei giornali per individuare le affermazioni puntuali e precise usate - non è forse questo un elemento di istigazione?
Dobbiamo attendere che cosa per arrivare serenamente a dire che la paura che oggi c'è in Europa ha bisogno di una classe dirigente che trovi gli argini a questa paura?


Ritengo che questa occasione meriti certamente di essere verificata, anche nei dettagli tecnici, ma guai a noi se immaginassimo che tali dettagli fossero più grandi della stessa portata dei problemi!

PRESIDENTE. Ringrazio il collega Frigato per il suo intervento. Ritengo che la tematica sia importantissima e sia stato opportuno collegare la questione sollevata al mandato di arresto europeo.Bisogna riflettere sull'obiettivo da conseguire, cioè quello di difendere le libertà di tutti i cittadini, per prevenire razzismo e xenofobia.
Questo deve essere lo spirito del provvedimento che stiamo analizzando. In tal senso, ritengo che l'impegno del Governo - esprimo ovviamente una valutazione politica di parte, non certo per la mia posizione di presidente della Commissione - costituisca un impegno che va nella giusta direzione.

ANDREA DI TEODORO. Sino adesso hanno parlato soprattutto deputati dell'opposizione. Come deputato della maggioranza devo riconoscere che ho invece ascoltato con estremo interesse e profonda condivisione la relazione presentata dal ministro della giustizia.
Personalmente ritengo che la decisione quadro sul mandato di cattura europeo, così come questa decisione quadro, appartengano a quello che mi piace definire «il lato oscuro dell'Europa», per cui se da un lato, così come stiamo oggi vedendo in questa Commissione attraverso lo strumento dell'indagine conoscitiva sul futuro dell'Unione europea, l'Europa si sta interrogando sull'allargamento dei suoi processi di costituzionalizzazione (che vuol dire anche aumento della trasparenza del funzionamento delle istituzioni europee e possibilità di maggiore controllo democratico da parte, per esempio, dei parlamenti nazionali sulla formazione del diritto comunitario), dall'altro, questa stessa Europa, attraverso decisioni quadro quali quelle al nostro esame, mette a mio avviso per così dire «in mora» questo stesso processo di autoriforma in corso per costituire appunto una maggiore base democratica, facendo una fuga in avanti.
A mio parere (ritengo che in questo senso siano andate anche le valutazioni del nostro Governo all'epoca della decisione quadro inerente al mandato di cattura europeo), queste decisioni, in qualche modo, cercano di costruire un'Europa penale in assenza di un'Europa costituzionale e giurisdizionale.
In altri termini, fino a quando non vi sarà la costruzione di un ordinamento unitario, come già giustamente notava il ministro, ciò che rappresenta una fattispecie di reato penalmente perseguibile in un ordinamento - o paese -, può non avere le stesse caratteristiche all'interno di altri ordinamenti - o paesi. «By-passare» questo problema, costruendo quella che ho definito un'Europa penale, senza far sì che essa poggi su di un ordinamento comune e su un'unità di giurisdizione, avendo quindi un suo radicamento costituzionale che sia in qualche misura unitario, pone sicuramente dei problemi relativamente alla tutela dei diritti di libertà dei cittadini europei.
Mi ritengo, invece, molto rassicurato dal fatto che il nostro Governo si sia posto questo problema, mentre mi sento molto poco rassicurato dal fatto che vi sia in Europa - e in tal senso desidero domandare al ministro una «spinta» anche da parte di altri governi - tale lato scuro di cui ho parlato prima che, invece, potrebbe prevalere!
In altri termini, come mai il problema della difesa dei diritti fondamentali di libertà dei cittadini del nostro paese - che sono cittadini europei -, che ci stiamo ponendo, non è allo stesso modo avvertito come una preoccupazione anche da parte di altri governi che invece, poi, spingono per questa «fuga in avanti»?
Non credo che ciò sia dovuto ad una deficienza di scienza giuridica da parte dei rappresentanti degli altri governi - evidentemente non sarà questo il motivo - ma, allora, mi preoccupa che vi sia una spinta - che presumibilmente sarà politica - da parte di alcuni rappresentanti di governi europei che, in Europa, tenda appunto a non collegare i due problemi della costituzionalizzazione e della costruzione di un quadro giurisdizionale unico, traducendosi ciò nella possibilità di prevedere fattispecie penali comuni.
È questo a mio avviso il problema politico fondamentale che sta alla base della riserva che noi, come paese Italia, dovremmo porre rispetto al documento di cui discutiamo!
Signor ministro, proprio in virtù dei profondi convincimenti di libertà che nutro come deputato prima ancora che come cittadino, la prego davvero di insistere nella sua posizione ferma, già preannunciata nella sua relazione, perché ritengo che sia assolutamente dirimente per quanto riguarda una costruzione di civiltà liberale in Europa.

MARCO AIRAGHI. Desidero anzitutto ringraziare il ministro Castelli per il suo intervento di oggi su un argomento che ritengo fondamentale e molto importante.
Ritengo di poter affermare che, proprio in virtù dell'importanza di questo argomento, vi sia quasi un obbligo, un diritto-dovere da parte del nostro Governo e del nostro paese, a volere essere propositivi e protagonisti in questo campo.
È quindi assolutamente doveroso non accettarla passivamente, ma cercare di portare le nostre ragioni nella messa a punto della normativa in questione. Proprio per l'importanza riconosciuta di questo tema ci sono stati, almeno inizialmente, estremismi, come nel caso in cui si è discusso della punibilità del convincimento di una persona in relazione a comportamenti di tipo xenofobo o razzista. Credo che ciò potrebbe essere molto rischioso, poiché si coglie il pericolo di un delirio giustizialista dell'autorità giudiziaria: un magistrato o un giudice potrebbe ergersi quasi a pantocrate, decidendo le opinioni o i comportamenti possibili. Lo ritengo sbagliato e contrario alla giusta attenzione che si dovrebbe dare a questo tipo di problemi. Bisognerebbe, invece, ricercare le vere ragioni che alimentano in Europa il fenomeno della xenofobia: a fronte di una forte spinta migratoria, molti Stati del nostro continente hanno subito la mancanza di regole certe, che devono essere stabilite perché si possa garantire una reale integrazione. Se l'immigrazione venisse correttamente regolata sarebbe sicuramente accettata dai cittadini del nostro continente.

PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi che sono intervenuti e do la parola al ministro per la replica.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Vorrei associarmi ai ringraziamenti rivolti ai deputati intervenuti, perché le sollecitazioni che sono state avanzate mi consentono di chiarire alcuni punti che ho tralasciato nella relazione iniziale, ma che vale la pena sottolineare.
In via generale, vorrei rilevare che abbiamo sollevato subito perplessità, sia di metodo sia di sostanza, riguardo al modo in cui le decisioni quadro vengono approvate in Europa; esse sono, sostanzialmente, vere e proprie leggi e, quando si raggiunge l'unanimità necessaria per la loro approvazione, diventano cogenti per gli Stati. Non è considerata neppure la possibilità che uno Stato membro possa non mettere in pratica quanto la decisione quadro stabilisce. Per capirlo, è sufficiente osservare come essa è strutturata: in genere, presenta una serie di «considerando» che non esistono nei nostri testi legislativi, ma anche un vero e proprio dispositivo legislativo. Dal punto di vista sostanziale, stiamo legiferando per il popolo dei 15 paesi europei e per quelli che entreranno a far parte dell'Europa in futuro.
Credo che sia necessario sottolineare un dato condiviso: siamo tutti figli del pensiero di Montesquieu, di Hamilton, della rivoluzione francese e di quella americana, che hanno stabilito che il potere deriva dal popolo, che poi investe il legislatore. Non a caso, nella nostra Costituzione la prima affermazione riguardante la giustizia è che essa viene amministrata in nome del popolo. Il processo legislativo si genera in base a due principi: l'elezione democratica del legislatore e l'assoluta trasparenza del processo stesso.
Dal punto di vista metodologico, ci troviamo di fronte ad una situazione quantomeno curiosa: 15 ministri, che potrebbero non essere stati eletti da alcuno (anche se hanno un mandato popolare e, dunque, possiamo immaginare che all'origine esso esista) legiferano, assumendo le proprie decisioni nel più assoluto segreto, dato che non c'è pubblicità dei lavori e non esiste resoconto, né stenografico né sommario. Un uomo politico inglese, in modo forse provocatorio, ha sostenuto che nemmeno nel regime di Pol Pot si legiferava in questo modo: se l'avesse detto un ministro della mia parte politica sarebbe probabilmente finito sulle prime pagine di molti giornali italiani. Non condivido tale affermazione, perché in effetti una serie di meccanismi pubblicitari esistono, ma il sistema legislativo non è perfettamente trasparente e non compiutamente democratico.
Ricordo, inoltre, che siamo di fronte ad un fenomeno quanto meno paradossale: normalmente, in relazione all'Europa si pensa sempre a quel dato ironico e un po' comico per cui, in quella sede, si stabilisce la curvatura del cetriolo. Oggi, invece, con il mandato d'arresto europeo (con il congelamento dei beni appartenenti a cittadini) e con la decisione quadro sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia, stiamo decidendo della libertà individuale e delle opinioni dei cittadini. Si tratta di questioni fondamentali per l'esistenza stessa della cittadinanza democratica: la libertà individuale, la disponibilità dei beni in proprio possesso, la libertà di esprimere i propri convincimenti. Tutto ciò avviene secondo un metodo che, a mio parere, è esattamente opposto a quello che sarebbe auspicabile.
Ricordo che stiamo costruendo l'Europa comune: non so come la chiameremo e se essa consisterà in uno Stato o in un'unione di popoli europei, ma si stanno svolgendo i lavori della Convenzione, che è una sorta di costituente che sta ponendo le basi per un nuovo Stato, per una nuova aggregazione di popoli o di Stati nazionali. Vedremo cosa verrà deciso concretamente, ma è chiaro che ci troviamo in una fase costituente: oggi, invece, si sta legiferando prima della fine della fase costituente e ciò costituisce un paradosso democratico di enorme rilevanza. In base a quali criteri si sta legiferando? Quale tipo d'Europa vogliamo? Si tratta di un dibattito non sufficientemente presente nel paese, ma che è fondamentale.
Qualsiasi interlocutore con cui io parli, mi dice che in Europa si pensa sostanzialmente ad un assetto di tipo federale o confederale, sicuramente ad un'unione di Stati sovrani: questo ha dichiarato il Vicepresidente Fini durante l'incontro che si è svolto a Roma con il presidente Giscard D'Estaing, il quale ha confermato questo punto di vista. Dobbiamo sapere che nel campo della costruzione dello spazio giuridico europeo comune, si va esattamente nella direzione opposta: si legifera con la chiara visione di un super Stato centralista.
Già questa è una contraddizione assoluta e fondamentale, che ho sollevato più volte nei confronti dei miei colleghi in Consiglio GAI, senza ottenere mai alcuna risposta. Ho sollevato il problema anche presso l'opinione pubblica - con un articolo pubblicato addirittura in prima pagina sul più importante quotidiano italiano qualche mese fa - e non c'è stata alcuna risposta, se non i soliti insulti da parte di qualche rappresentante della sinistra che ha liquidato la questione dicendo che: «Castelli non capisce niente, è un leghista». Non c'è stata alcuna risposta. Io credo che, una volta per tutte, noi dobbiamo interrogarci su questo tema, che è assolutamente rilevante. Consentitemi una parentesi provocatoria, ma qui stiamo parlando di cessione di parti fondamentali della nostra sovranità; ricordo che nell'attuale codice penale questo è reato punito con l'ergastolo. È chiaro che la mia è una battuta e una provocazione. Lo preciso, perché non vorrei che mi sentisse qualche giornalista in sala stampa e poi venisse fuori qualche agenzia in cui si riporta che io vado dicendo che chi legifera in Consiglio GAI deve essere condannato all'ergastolo. È una battuta, un paradosso, però stiamo parlando della cessione della nostra sovranità che avviene in termini assolutamente opachi, poco trasparenti e in direzione assolutamente contraria a quella unanimemente indicataci dai nostri padri costituenti.
Allora vogliamo, una volta per tutte, innescare un dibattito su questa questione o no? Questo è il primo problema di carattere generale e fondamentale. Certo noi veniamo da un periodo di euro-entusiasmo; ho sentito echeggiare in queste aule lo slogan «Europa a tutti i costi». Dopo l'euro-entusiasmo della sinistra, si sarebbe voluto il fatto che la destra fosse euro-supina. Noi siamo europeisti, sicuramente convinti, vogliamo l'Europa, non vogliamo essere euro-supini, vogliamo andare in Europa, dire la nostra, verificare e portare avanti con grande entusiasmo tutte quelle azioni che ci sembrano positive, vogliamo avere la libertà di sollevare problemi quando ci sembra che i problemi esistano. Questo è il quadro generale all'interno del quale noi ci stiamo muovendo. Con questo spero di aver risposto alla sollecitazione dell'onorevole Di Teodoro.
Perché gli altri paesi la pensano diversamente? In realtà la pensano diversamente su alcune questioni, su altre no. Il dibattito è sempre aperto. Però credo che ci sia un atteggiamento determinato anche dal periodo storico. Ricordo che il mandato di arresto europeo è passato nel giro di due mesi sull'onda emozionale dell'11 settembre. Era un problema che giaceva in Commissione e non emergeva nemmeno in sede di Consiglio, ma dopo l'11 settembre in sole tre sedute prima della fine dell'anno è stato approvato. Quindi esiste questo periodo storico in cui il pensiero politicamente corretto è quello di essere euro-entusiasti. Però ritengo che, siccome stiamo costruendo uno Stato come che durerà, credo, per molto tempo, abbiamo il dovere di pensare molto bene a quello che stiamo facendo.
Vengo ora alla questione più strettamente di merito. Questo Governo ha approntato un testo volto a rivedere quelle fattispecie criminose del codice fascista che vengono definite come reati di opinione. Il testo è pronto e continuo purtroppo a rimandarne la presentazione per questioni puramente pratiche (non si riesce a trovare il tempo materiale per presentarlo; avrei voluto farlo venerdì ma c'è lo sciopero dei giornalisti e quindi non potrei fare la conferenza stampa). Il testo, come dicevo, riguarda i reati di opinione o comunque tutti i reati di vilipendio esistenti, che oggi sembrano in qualche modo essere superati. Superati da cosa? Naturalmente non dalla possibilità di giustificare l'arbitrio ma dal fatto di garantire, fino agli estremi limiti, la libertà di pensiero. In che modo ci siamo atteggiati rispetto al problema? Cercando di distinguere i fatti dalle opinioni. Noi riteniamo che in un paese democratico la libertà di espressione debba essere portata fino all'estremo limite. Qual è l'estremo limite? Ci si deve fermare di fronte all'istigazione a delinquere o di fronte all'apologia di reato. Capite che ci muoviamo su un terreno estremamente minato.
Si è parlato di Gentilini. Orbene, se il pubblico ministero vuole perseguire qualche cittadino italiano per apologia di reato o istigazione a delinquere ha già tutte le possibilità di farlo. Onorevole Frigato, il ragionamento che è stato fatto sicuramente non le appartiene (ne sono certo), però può comportare qualche problema. Gentilini è un uomo politico che riscuote il 70 per cento dei consensi degli elettori. Allora la tentazione di farlo cadere, magari attraverso una via diversa da quella democratica, può in qualcuno anche sorgere. Eventualmente si possono utilizzare mezzi diversi. Ritengo che su questo punto tutti dovremmo essere concordi nel combattere simili tentazioni. Ricordo anche che c'è stata una autrice italiana che ha ultimamente scritto dei libri fortemente polemici, ma a chi li ha letti con coscienza democratica non sarà venuto in mente di sottoporla a processo; al massimo sarà stata fortemente criticata (come è legittimamente avvenuto), anche in maniera molto violenta. Orbene ha dovuto subire due processi. Questo mi richiama alla mente i roghi dei libri avvenuti non tanto tempo fa in questa Europa. Vogliamo tornare o comunque in qualche modo evocare tempi simili? Io personalmente non lo auspico.
Allora, per venire alla sollecitazione dell'onorevole Zani, volta a sapere cosa noi pensiamo, devo dire che sarebbe in primo luogo meglio astenersi dal legiferare su questioni di importanza rilevantissima che attengono alle libertà individuali. Secondo noi, sarebbe molto meglio attendere prima la costituzione europea. In subordine, se proprio questa linea non dovesse essere condivisa dagli altri partner, noi agiremmo per cercare di tirar fuori un testo che distingua molto bene i fatti dalle opinioni. Questa è la nostra linea e mi sembra assolutamente semplice e lineare. Cercheremo di arrivare ad un testo in cui le opinioni - anche forti - vengano garantite, mentre i fatti siano perseguiti. Però ricordo che esistono già nel codice penale numerose fattispecie di reato che puniscono i fatti. Ricordo nuovamente che tocchiamo un tema estremamente delicato. Vedremo quale sarà la sensibilità dei nostri partner al riguardo. Devo dire che in merito le posizioni sono abbastanza variegate.

PRESIDENTE. Rinnovo i ringraziamenti al ministro Castelli per la partecipazione a questa audizione. Ovviamente continueremo a seguire con attenzione il provvedimento e le chiederemo la disponibilità ad intervenire in altre audizioni. Nel frattempo, le auguro buon lavoro.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,10.