

FRONTIERE
INVISIBILI ____
Aggiornato
al 23 gennaio 2003
a cura dell'Avv.Marco Paggi - Asgi
Nella scorsa
puntata abbiamo parlato del rinnovo
o richiesta del permesso di soggiorno riferito al caso di Ravenna
dove la Questura pretende, oltre alla documentazione classica, un documento
aggiuntivo, non previsto dalla legge, ovvero il consenso del proprietario
dell'alloggio.
Abbiamo commentato questa prassi sottolineandone la illegittimità
perché la legge chiede allo straniero semplicemente di dimostrare
l'esistenza, l'effettività di un domicilio, di un luogo dove dormire
senza entrare nel merito specifico. Non esiste nessuna norma che pretende
o impone allo straniero di documentare il consenso del proprietario dell'immobile.
La Questura non ha nessun diritto di intromettersi negli affari di privati
specialmente laddove non ci sia nessun tipo di problematica rilevante
dal punto di vista dell'ordine pubblico.
Abbiamo ricordato
questo argomento perché ci giunge segnalazione relativa ad una
sentenza della Corte di Appello di Firenze, della quale non è ancora
stata depositata la motivazione ma in estrema sintesi si forniscono le
motivazioni così riportate.
"
La Corte di Appello di Firenze ha recentemente accolto il ricorso di una
cittadina cinese, stabilendo che l'espressione "disponibilità
di alloggio" , prevista dall'art.29, comma.3, lettera a,
del T.U. n.286/98 (in questo caso si trattava di una procedura di ricongiungimento
familiare) deve essere interpretata nel senso piu' favorevole al cittadino
straniero."Quest'ultimo non dovrà, pertanto essere necessariamente
in possesso di un contratto di locazione per ottenere il nulla osta, essendo
sufficiente anche una mera dichiarazione di ospitalità rilasciata
da terzi".
Ebbene, se la dichiarazione di ospitalità è addirittura
sufficiente per ottenere l'autorizzazione all'ingresso dall'estero di
familiari (per la ricongiunzione) a maggior ragione dovrebbe essere ritenuta
sufficiente per il richiedente che domanda semplicemente il rinnovo del
permesso di soggiorno. D'altra parte si tratta di principi elementari,
nel senso che la legge non è particolarmente complicata nella sua
formulazione ed è fin troppo evidente che questa pretesa di ulteriori
documentazioni rappresenta di fatto un occasione per rifiutare il rinnovo
del permesso di soggiorno, non si sa per quale esito e utilità
per la comunità. È chiaro che nel momento in cui una persona
che lavora, paga le tasse, si vede rifiutare il rinnovo del pds solo perché
non ha portato la dichiarazione di consenso del proprietario dell'abitazione,
beh..questo significa produrre semplicemente un nuovo clandestino
..
A proposito
di questa strisciante volontà a produrre più clandestini
che regolari torniamo alla sanatoria in corso.
Sembra si voglia far credere che la procedura di emersione sia di breve
durata perché rimane aperto, e sempre più grave col passare
del tempo, il problema di chi perde il posto di lavoro perché
occupato in attività lavorative tipicamente precarie (che sono
quelle riservate , si fa per dire, ai lavoratori immigrati soprattutto
nel primo periodo di immigrazione).
A questo
riguardo purtroppo non ci sono novità. Il sottoscritto ha tentato
di discutere la questione presso la Questura di Padova ma le disposizioni
del Ministero sono tali per cui le singole questure non hanno (nemmeno
volendo) la possibilità di adottare una linea diversa, quindi di
permettere, a chi ha perso il posto di lavoro, di ottenere un pds di sei
mesi per ricerca lavoro e occupare subito regolarmente un nuovo posto
di lavoro.
Resta ferma purtroppo questa linea adottata dal Ministero per cui sarà
possibile fare l'operazione di sostituzione del datore di lavoro solo
quando ci sarà la convocazione presso la Prefettura U.T.G.
Questo vuol dire dover aspettare minimo mesi se non addirittura anni.
Sempre per fare l'esempio della provincia di Padova sono state presentate
13 mila domande di regolarizzazione e di queste sembra che circa 300,
soltanto, siano state già trasmesse presso al competente Prefettura
per l'esame e la convocazione.
Si può immaginare che con queste proporzioni ci vorranno degli
anni per definire tutte le domande e nel frattempo il numero di persone
che perderanno il posto di lavoro sarà destinato ad aumentare.
Anche se,
tra parecchio tempo, dovesse giungere la decisione del Ministero di consentire
a chi perde il posto di lavoro di cambiare datore di lavoro (prima della
convocazione in prefettura), si sarebbe accumulato un numero di disoccupati
tale da intasare tutte le questure. È chiaro che se gradualmente
ci si organizza per rilasciare i permessi di soggiorno di sei mesi per
attesa occupazione (consentendo di regolarizzare un nuovo rapporto di
lavoro) si consentirebbe una organizzazione ordinata all'interno delle
questure. Se invece si attende che tutte queste situazioni di disoccupazione
si accumulino ecco che, nel momento in cui la situazione dovesse sbloccarsi,
ci sarebbe un vero e proprio assalto per ottenere questi permessi e ci
sarebbe una vera e propria paralisi. Questo andrebbe a discapito non solo
di chi è in fase di regolarizzazione ma anche di chi vive già
regolarmente in Italia. È chiaro che andando a intasare gli uffici
di pratiche tutto si rallenta, compresi i normali rinnovi dei permessi
di soggiorno.
Tutta questa
situazione va a discapito anche dei datori di lavoro. In questo momento
se un datore di lavoro volesse assumere lavoratori immigrati licenziati
(o dimessisi per giusta causa) in fase di sanatoria (in possesso della
semplice ricevuta di inoltro della domanda), rischia di commettere un
reato che oggi, con la legge Bossi Fini, è sanzionato in maniera
più pesante (5 mila euro per ogni lavoratore impiegato irregolarmente,
arresto da tre mesi a un anno, senza la possibilità di estinguere
il procedimento penale con la procedura di depenalizzazione). Di conseguenza,
anche le imprese si trovano in serio disagio perché avrebbero la
possibilità di assumere personale ma non possono farlo in queste
condizioni.
Si parla tanto di esigenza di "mobilita" e di "flessibilità"
della manodopera nell'interesse delle imprese, ma chiunque comprende che
la mobilità a senso unico -ovvero solo in uscita dal posto di lavoro,
senza possibilità di occuparne un altro-non fa nemmeno l'interesse
delle imprese serie, quelle che vogliono lavorare in regola, semmai fa
l'interesse delle imprese che preferiscono assumere in nero.
COSA SUCCEDE NEL CASO DI RIGETTO DELLA DOMANDA DI REGOLARIZZAZIONE?
Una recente circolare
del Ministero dell'Interno fornisce una serie di chiarimenti su casi
particolari in merito alla regolarizzazione.
Si riconferma che nel caso di mancato
perfezionamento della procedura di regolarizzazione per motivi dipendenti
dal datore di lavoro (come la sua morte o il licenziamento) potrà
essere consentita l'ulteriore permanenza sul territorio nazionale, ma
solo al momento del perfezionamento della procedura della regolarizzazione
si potrà rilasciare un permesso per attesa occupazione che permetterà
di instaurare un nuovo e regolare rapporto di lavoro. Le conseguenze negative
di cosa vuol dire questo le ho appena elencate sopra.
Nella circolare si prendono in considerazione i seguenti casi:
- licenziamento, morte del datore di lavoro, etc.
- presentazione della domanda dopo l'11 novembre
- espulsione di chi non può essere regolarizzato.
Vediamo il caso in cui si sia presentata la dichiarazione di emersione
dopo l'11 novembre 2002 in presenza di versamento del contributo forfetario
effettuato nei termini stabiliti.
La circolare
dice che "Nell'ipotesi di datori di lavoro che abbiano regolarmente
versato il contributo forfetario entro l'11 novembre 2002, omettendo tuttavia
la relativa dichiarazione di emersione all'ufficio postale per giustificati
motivi, le prefetture, previa valutazione dei singoli casi, potranno accertare
direttamente la dichiarazione trasmettendola al centro servizi delle poste
italiane per l'inserimento nel normale iter procedurale. La prefettura
rilascerà al datore di lavoro un apposito attestato, con l'indicazione
del nominativo del lavoratore straniero, che sostituirà a tutti
gli effetti la ricevuta dell'assicurata postale relativa all'emersione".
L'espulsione immediata: le contraddizioni della sanatoria
Sempre nella
circolare viene fornita un'altra indicazione che è fortemente
preoccupante.
Si parla di esecuzione del provvedimento di espulsione di stranieri
che non possono essere regolarizzati, perché in sede di valutazione
della pratica è stato verificata (a torto o a ragione) la mancanza
dei requisiti.
La circolare dice: "In tali ipotesi, la questura, dopo
aver provveduto all'allontanamento, comunica l'avvenuto rimpatrio alla
prefettura competente ad esaminare la domanda di regolarizzazione. Successivamente
la stessa prefettura definirà negativamente la procedura di regolarizzazione,
dandone notifica al datore di lavoro."
In parole
semplici che cosa si dice? Si dice che nel momento in cui il centro elaborazione
dati delle Poste trasmetterà i dati (prima al centro elaborazione
dati della Polizia di Stato e quindi) alla prefettura e contemporaneamente
alla questura, prima che sia disposta la convocazione presso la prefettura,
la questura valuterà i requisiti della domanda di regolarizzazione
e se, a suo avviso, ci saranno motivi per non consentire la regolarizzazione,
provvederà direttamente all'espulsione. Dopo di che comunicherà
alla prefettura che la pratica dovrà essere archiviata perché
lo straniero è stato espulso.
A questo riguardo ci pervengono una serie di osservazioni dal Servizio
Legale dell'associazione Atas di Trento in cui si ricorda giustamente
che una precedente
circolare del Ministero dell'Interno aveva stabilito al punto 12 quanto
segue:
12) A CHI VA PRESENTATO IL RICORSO DEL PROVVEDIMENTO DI RIGETTO DELLA
RICHIESTA E QUALI SARANNO LE CONSEGUENZE?
"Il semplice provvedimento di rigetto, essendo di natura amministrativa,
è ricorribile presso il T.A.R., da parte del datore di lavoro,
nei tempi e nelle modalità previste dalla legge."
Aggiungiamo che anche il diretto interessato cioè il lavoratore
immigrato può fare ricorso al T.A.R. contro il provvedimento di
rigetto della domanda di regolarizzazione in quanto si giocano anche i
suoi interessi.
La circolare prosegue: "Allo straniero, quindi, viene notificato
il rifiuto di rilascio del permesso di soggiorno con invito ad allontanarsi
dal territorio nazionale entro 15 giorni. Nel caso in cui non si allontani
spontaneamente, qualora rintracciato, verrà espulso con provvedimento
ricorribile presso il Tribunale in composizione monocratica".
Dunque, tra le istruzioni fornite dal Ministero, inizialmente si prevedeva
che nel caso di rigetto della regolarizzazione sarebbe stato fatto un
invito a lasciare il territorio nazionale entro 15 giorni (lasciando la
possibilità pratica di fare ricorso o anche di chiedere allo stesso
ufficio un riesame della pratica). Adesso, con l'ultima circolare, si
dice chiaramente che si provvederà alla immediata espulsione e,
solo in seguito, si comunicherà alla prefettura l'esito negativo
degli accertamenti. Solo dopo si avviserà il datore di lavoro.
Come giustamente sottolinea l'Atas di Trento "Il comportamento
indicato dal Ministero in questa ultima circolare viola palesemente
la legge sul procedimento amministrativo, disponendo, in corso di
procedimento, l'espulsione del destinatario del provvedimento amministrativo
che definisce il procedimento di emersione del rapporto di lavoro irregolare."
In altre parole, il procedimento amministrativo non viene nemmeno portato
a conoscenza del diretto interessato perché questi, nel momento
i cui si rende conto che la regolarizzazione non è stata accettata
è già in viaggio per l'esecuzione dell'espulsione, senza
alcuna possibilità di partecipare al procedimento, contrariamente
a un diritto
che è pacificamente riconosciuto dalla legge 241/1990.
Per l'appunto, l'interessato a partecipare al procedimento amministrativo
non è solo il datore di lavoro ma anche e altrettanto (e con gli
stessi diritti) il lavoratore straniero interessato alla regolarizzazione.
La collega dell'Atas osserva giustamente che "il procedimento
è iniziato con istanza duplice, del datore e del lavoratore, espressamente
diretta a due fini: il datore firma una dichiarazione di emersione, il
lavoratore firma una istanza di rilascio di permesso di soggiorno".
Infatti nel modulo prestampato che tutti usano è contenuta anche
una richiesta del lavoratore. Essendo un soggetto considerato all'interno
del procedimento ha diritto di partecipare ed essere messo in condizione
di fare le proprie osservazioni, prima che il procedimento si concluda
con la emanazione del provvedimento di rigetto e con la successiva espulsione.
Dobbiamo considerare che, sulla base di questa ultima circolare, il
rischio di espulsione senza preavviso e senza possibilità di difesa
riguarda una moltitudine di persone.
Non stiamo
parlando di persone che risultano condannate per gravi delitti o pericolose
per l'ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato. Si tratta di persone
verso le quali, per esempio, la questura potrebbe ritenere di non perfezionare
la regolarizzazione perché ci sono dei timbri sul passaporto che
dimostrano l'uscita e il rientro dal territorio italiano durante i
fatidici tre mesi previsti come requisito minimo per la sanatoria.
Questa è una questione che riguarda moltissime persone: infatti
tanti lavoratori, anche se lavoravano già da tempo per il datore
di lavoro che ha presentato la domanda, hanno avuto dei comprensibili
periodi di interruzione del rapporto di lavoro. Per esempio in occasione
della chiusura dell'azienda per le vacanze estive, per necessità
familiari, ecc.
Il problema dei tre mesi non sarà necessariamente interpretato
con gli stessi criteri da parte delle singole questure e darà luogo
a molte controversie.
Ricordiamo che il decreto legge sulla regolarizzazione, convertito in
legge, continua a contenere un espressione che interpretata alla lettera
dovrebbe consentire anche a chi ha iniziato il rapporto di lavoro dopo
il 10 giugno, di perfezionare la regolarizzazione.
La norma richiede al datore di lavoro la regolarizzazione dichiarando
che il lavoratore è stato occupato nei tre mesi precedenti il che
può voler dire che il rapporto di lavoro è iniziato all'interno
dei tre mesi precedenti ma NON si è svolto necessariamente
per TUTTI i tre mesi. Grazie a questa diversa interpretazione che viene
adottata dal Ministero dell'Interno rispetto alla formulazione letterale
della norma, potremmo avere purtroppo il rischio di una applicazione di
questa prassi estesa ad una moltitudine di persone, per cui prima si espelle
e poi si comunica che la domanda di regolarizzazione è stata valutata
negativamente.
È chiaro che le questure non possono lamentarsi se in molti casi
lo straniero, quando viene convocato, chissà perché non
si presenta. E' normale che una persona che teme di essere espulsa, senza
preavviso e, soprattutto, senza avere la possibilità di difendersi,
cerchi di fare il proprio interesse, è umanamente comprensibile
che non si presenti.
Speriamo che il Ministero riveda queste disposizioni, anche perché
sta letteralmente smentendo se stesso. Sembra quasi si stiano cercando
tutte le strade possibili per rifiutare il maggior numero delle domande
di regolarizzazione.
Il sottoscritto,
benché faccia l'avvocato di professione, si augurerebbe sempre
che i problemi non dovessero essere ogni volta affrontati e risolti attraverso
un ricorso alla magistratura, chiedendo la corretta interpretazione della
legge. D'altra parte stiamo assistendo ad una prassi che non è
conforme alla legge e viola sia la stessa formulazione del d.l. sulla
sanatoria (così come convertito in legge) e sia la legge sul
diritto alla partecipazione e all'accesso agli atti del procedimento amministrativo.
Le esperienze di tutela giudiziaria, ad ogni buon conto, hanno poi il
benefico risultato di poter essere socializzate, quindi se qualcuno promuove
un ricorso e riesce ad affermare un principio interpretativo di diritto
questo va a beneficio di tutti i casi successivi. Questo perché
l'Amministrazione dovrà attenersi ai principi enunciati dalla magistratura.
Almeno fino a quando vivremo in un governo in cui si rispetta la Costituzione,
che stabilisce il principio della separazione dei poteri per cui anche
il potere esecutivo, il Governo, deve sottostare alla interpretazione
della legge enunciata dalla magistratura.
Naturalmente, attraverso lo sportello radiofonico di Melting Pot, cerchiamo
di cogliere il più possibile l'occasione per suggerire agli ascoltatori,
agli utenti internet, a quelli che devono per primi affrontare il problema,
di aprire anche un contenzioso giudiziario per (tentare almeno di) ottenere
dalla magistratura quella che sarà la corretta interpretazione
della legge, cosa che andrà a beneficio anche di chi arriverà
dopo.
Ricordiamo che lo sportello Melting Pot è a disposizione sia per
esaminare quesiti, fornire chiarimenti ed eventualmente per attivare
cause pilota su questi problemi interpretativi. Non tanto per fare
le cause a tutti i costi ma, anzi, per farne il meno possibile, cioè
per cercare di stabilire principi interpretativi corretti che possano
poi essere utilizzati anche a beneficio di altri, prevenendo il prima
possibile una prassi amministrativa distorta che avrebbe dei risultati
negativi anche sotto il profilo dell'ordine pubblico. Più clandestini
andremo a produrre, più la presenza di immigrati irregolari nel
territorio avrà dei riflessi sull'ordine pubblico e, per cosi dire,
sulla pace sociale.
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