Sezione ottava civile
Nello scioglimento della riserva assunta nel procedimento n.1468/2002;
letti gli atti di causa,
In primo luogo va affermata nella
materia de qua, la giurisdizione
del Giudice ordinario.
L'ampia formulazione dell'art. 30
D.Lgs. 286/98, unito alla mancata previsione di altri rimedi - il che aderendo
ad un'ottica restrittiva determinerebbe un vero e proprio vuoto di tutela - non
lascia spazio ad altre interpretazioni.
L'art. 30 suddetto prevede infatti la
competenza del pretore (rectius Tribunale in composizione monocratica) a
conoscere non solo del diniego di nulla osta al ricongiungimento e del permesso
di soggiorno per motivi familiari, ma anche dei ricorsi "contro gli
altri provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di
diritto all’unità familiare”, posto il suo rilievo anche costituzionale, che lo
sottrae alla dicotomia diritto soggettivo-interesse
legittuno, deve necessariamente interpretarsi avuto riguardo anche al suo
profilo negativo, come diritto a non vedersi imposto il raggiungimento alla
unità familiare contro la propria volontà.
Si aggiunga a ciò che, ai sensi
del successivo art. 31 del Testo Unico, i provvedimenti in materia di minori
sono variamente sottoposti alla cognizione del Tribunale dei Minorenni, giudice
ordinario, pur se specializzato.
Nel merito, il ricorso é fondato
e deve essere accolto.
La competenza del Comitato per i minori
stranieri è stabilita, in primo luogo, dall’art, 33 del T.U.
già menzionato, il quale attribuisce al Comitato funzioni di vigilanza e
coordinamento. Il D.P.C.M. 9.12.1999, n. 535 detta poi, in osservanza di quanto
disposto dal II comina. lett. a), per quello che qui interessa, “le
regole e le modalità …. Per l’affidamento temporaneo e per
il rimpatrio dei medesimi”.
Secondo l'art. 1 di tale Regolamento
per "rimpatrio assistito s’intende l’insieme delle misure
adottate allo scopo di garantire al minore interessato l’assistenza
necessaria fino al ricongiungimento coi propri familiari o al riaffidamento
alle autorità responsabili del Paese d’origine, in
conformità alle convenzioni internazionali, alla legge, alle disposizioni
dell’autorità giudiziaria ed al presente regolamento. Il rimpatrio
assistito deve essere finalizzato a garantire il diritto all’unità
familiare del minore ed ad adottare le conseguenti misure di protezione”.
L’ art. 7, poi, dispone che
“Il rimpatrio deve svolgersi in condizioni tali da assicurare
costantemente il rispetto dei diritti garantiti al minore dalle convenzioni
internazionali, dalla legge e dai provvedimenti dell’autorità
giudiziaria, e tali da assicurare il rispetto e l’integrità delle
condizioni psicologiche del minore , fino al riaffidamento alla famiglia o alle
autorità responsabili. Dell’avvenuto riaffidamento è
rilasciata apposita attestazione da trasmettere al Comitato. […] il
Comitato dispone il rimpatrio assistito del minore presente non accompagnato,
assicurando che questi sia stato previamente sentito, anche dagli enti
interessati all’accoglienza, nel corso della procedura…”
Emerge chiaramente come i compiti del Comitato siano funzionalizzati alla salvaguardia dell’interesse del minore, d’altra parte, secondo il fondamentale principio che governa l’intera materia, e si debbano esprimere essenzialmente nella determinazione dì misure di attuazione dei provvedimenti aventi ad oggetto il minore, tanto da ingenerare dubbi circa il potere del Comitato di emanare provvedimenti che, in assenza di specifica richiesta in tal senso da parte dell’interessato, di risolvono in provvedimenti meramente ablatori, difficilmente differenziabili dal provvedimento di espulsione. Val la pena rammentare, in proposito che, allorché abbia come destinatario un minorenne, l'espulsione deve essere decretata dall’autorità giudiziaria, ed in particolare dal Tribunale per i minorenni (art 31, IV°comma, T.U.).
Dagli atti, ed in particolare dalle relazioni dei servizi sociali e dall’avvio del procedimento di affidamento in Italia alla sorella – poi conclusosi con la dichiarazione di esecutività dell'affidamento, pur successivamente all’emanazione dell’atto che qui interessa - emerge invero la volontà del ricorrente di inserirsi neI contesto italiano, contraria rispetto al ricongiungimento ai genitori in patria.
A fronte di ciò, non può
ritenersi sufficiente una motivazione che si limiti a valutare l'assenza di
condizioni ostative al rientro in patria, senza considerare, in un corretto
bilanciamento degli interessi rivolto alla migliore soddisfazione
dell'interesse, anche pubblico,
alla tutela del minore, la situazione personale del destinatario
dell’atto nel territorio dello Stato.
La motivazione nulla dice al riguardo, né
indica in concreto i risultati dell'istruttoria, del cui svolgimento pure
dà atto, in violazione del fondamentale principio di cui all'art, 3
dalla legge 241/90.
In definitiva risulta evidente come
l'atto si affetto da vizio di eccesso di potere.
Lo stesso deve pertanto essere
annullato.
Val la pena al riguardo osservare come
il carattere intrinsecamente impugnatorio del procedimento che si svolge
innanzi al giudice ordinario, in quanto avente ad oggetto immediato sempre un
atto amministrativo, l’ampiezza dei poteri riconosciuti in materia di
unità familiare, l’assimilazione, per quanto sopra detto , del
provvedimento impugnato al decreto dì espulsione, giustificano una
simile pronuncia, che lascia residuare, pur dopo il raggiungimento della
maggiore età, l’interesse ad agire del ricorrente.
P. Q.M.
a) Accoglie il ricorso, annullando il
provvedimento 4. 1 .2002 emanato dal Comitato per i minori stranieri nei
confronti di E. V.
Si comunichi
Torino, 22. 7. 2002
Depositato in cancelleria Il
Giudice
Torino, 23.7.2002 dott.ssa
D. Rispoli