Proposta per un “no-border camp” in Puglia – 26 luglio/3 agosto 2003

Richiesta di adesioni e contributi alla proposta.

 

Il “collettivo immigrati in movimento di Napoli” e il “tavolo nazionale migranti” hanno deciso di organizzare un campeggio “no-border” in Puglia sui temi correlati del controllo delle frontiere e del lavoro migrante. L’iniziativa si inserisce nell’ambito delle proposte e delle campagne di mobilitazione anti-razzista lanciate dal Forum sociale europeo tenutosi a Firenze nel novembre 2002. La scelta della Puglia come sede dell’iniziativa è determinata dalla sua caratterizzazione come frontiera esterna della “fortezza Europa” e allo stesso tempo regione dove è diffuso, soprattutto in agricoltura, l’utilizzo di lavoratori migranti in condizioni di totale sfruttamento.

 

I temi del “no-border camp”

La crescente fortificazione e militarizzazione dei confini nazionali, attuata altresì attraverso l'irrigidimento dei meccanismi di espulsione e di detenzione amministrativa o l'introduzione di nuove fattispecie di reato, alimenta un processo di progressiva "clandestinizzazione" dell'immigrazione funzionale allo sfruttamento del lavoro migrante. Dietro la retorica della "fermezza" contro l'immigrazione clandestina, viene assicurata la presenza sul territorio nazionale di una quota di lavoratori in condizioni che ne permettono il pieno sfruttamento e che impediscono ogni forma di tutela dei loro diritti civili e sociali. La recente modifica della normativa italiana in materia di immigrazione - cosiddetta legge “Bossi-Fini” -, introducendo l’istituto del “contratto di soggiorno” che lega in maniera rigida la possibilità di risiedere sul territorio all’occupazione regolare, ha reso ancora più esplicito il disegno che si nasconde dietro alle politiche di controllo dell’immigrazione e che mira a distribuire benefici a soggetti portatori di interessi economici forti. Condizionare il permesso di soggiorno al posto di lavoro trasforma gli individui in nulla più che "forza lavoro", vale a dire, li riduce a merce economicamente fruibile e sempre "rimpiazzabile". Tutto ciò è ancor più vero per gli immigrati irregolari, il cui lavoro non trova di fatto alcuna forma di tutela giuridica dal momento che denunciare le proprie condizioni di sfruttamento significa spesso incorrere nel rischio dell’espulsione dal territorio nazionale.

 

A chi si rivolge il “no-border camp”

Il campeggio - al quale aderisce anche la rete “no-border” che negli ultimi anni ha attivato importanti campagne di contrasto alle politiche di chiusura dei confini e ha organizzato “noborder camps” in molti paesi europei - si propone come una delle iniziative che mirano a costruire un movimento anti-razzista sopranazionale e a coinvolgere organizzazione e attivisti che lavorano su questi temi sia in Italia che all’estero. Le direttrici delle politiche di chiusura nei confronti dell’immigrazione sono dettate, infatti, in sede comunitaria ed è quindi fondamentale che anche i movimenti che si propongono di contrastare tali politiche coordinino le proprie iniziative a livello europeo.

L’iniziativa, tuttavia, non vuole coinvolgere solo le organizzazioni attive nell’ambito specifico dell’antirazzismo ma anche gli altri movimenti sociali e le organizzazioni dei lavoratori. Le conseguenze prodotte dalle politiche di chiusura dei confini sul mercato del lavoro si risolvono, infatti, nella sua frammentazione in segmenti differenziati, attraverso il quale il sistema produttivo riduce drasticamente la possibilità per intere categorie di soggetti di aspirare a condizioni lavorative migliori. Tali politiche mirano a radicalizzare un sistema che, lungi dall'essere una garanzia per la manodopera nazionale nei confronti di una presunta concorrenza dei lavoratori immigrati, produce conseguenze negative sull'intero mondo del lavoro. La tutela e il miglioramento delle condizioni lavorative dipendono dalla forza contrattuale che i lavoratori riescono a esprimere nel loro insieme e la frammentazione e precarizzazione del mercato occupazionale non può che indebolire tale forza.

 

Ipotesi di lavoro:

Il campeggio intende essere un momento di approfondimento delle tematiche proposte attraverso l’organizzazione di seminari e workshop formativi, ma anche la tappa di un percorso capace di individuare iniziative concrete con il coinvolgimento di attivisti e migranti.

Riteniamo che occorra definire insieme un programma che affianchi workshop e azioni su tre profili diretti: l’attraversamento delle frontiere, la presenza dei CPT, le forme quasi schiavistiche di sfruttamento del lavoro migrante e in particolare di quello irregolare.

La Puglia è insieme frontiera marittima della fortezza Europa, sede di numerosi CPT e meta stagionale di moltissimi lavoratori migranti, soprattutto clandestini, per le raccolte dei pomodori. A tal fine intendiamo già da ora lanciare la proposta a tutte le organizzazioni o i singoli interessati per una inchiesta sul lavoro migrante che coinvolga i sui suoi differenti aspetti.

Particolarmente importante è secondo noi il campeggio come occasione di conoscenza tra gli attivisti del movimento antirazzista, europei e migranti, a partire dal confronto sulle esperienze più avanzate di autorganizzazione, sui saperi per contrastare l’apartheid giuridico e materiale, dalla condivisione dell’iniziativa diretta. Il fine è consolidare il tessuto attivo del movimento antirazzista dentro il “movimento dei movimenti”, uscendo da quel meccanismo di delega, quasi di specializzazione che oggi riguarda ancora una minoranza di compagni e compagne ed è inadeguato ad affrontare i problemi sul campo.