ha pronunciato
la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 32, comma 1,
del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero), promosso con ordinanza del 23 maggio 2002 dal
TAR per l'Emilia-Romagna, sul ricorso proposto da Gallani Jani contro il
Questore di Bologna ed altro, iscritta al n. 397 del registro ordinanze 2002
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie
speciale, dell'anno 2002.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 2003 il Giudice relatore Ugo
De Siervo,
Ritenuto in fatto
1. – Con ordinanza del 23 maggio 2002 la prima sezione del Tribunale
amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna ha sollevato, in riferimento
all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell'art. 32 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico
delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero), nella parte in cui non prevede che, al
compimento della maggiore età, il permesso di soggiorno possa essere
rilasciato anche nei confronti dei minori stranieri "sottoposti a tutela,
ai sensi degli artt. 343 e seguenti del Codice civile".
2. – Premette il remittente di essere chiamato a giudicare su un
ricorso proposto avverso un provvedimento con il quale è stata
rigettata l'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno e contestuale
conversione da "minore età" a "lavoro". Il
ricorrente, cittadino straniero, aveva ottenuto un permesso di soggiorno
"per affidamento" in seguito alla nomina del cognato quale tutore;
raggiunta successivamente la maggiore età, aveva presentato istanza per
ottenere il rinnovo del permesso, con conversione del motivo a
"lavoro", disponendo di una regolare attività lavorativa.
L'amministrazione competente ha ritenuto di rigettare tale istanza, in quanto
la "trasformazione in lavoro" sarebbe consentita "solo qualora
il permesso di soggiorno per affidamento sia stato disposto ai sensi della
legge n. 184 del 1983".
3. – Il remittente evidenzia come il diniego opposto
dall'amministrazione si fondi sul disposto di cui all'art. 32 del d.lgs n.
286 del 1998, che non comprende fra coloro a cui può essere convertito
il permesso di soggiorno i minori stranieri sottoposti a tutela, ai sensi
degli artt. 343 e seguenti del Codice civile.
Nell'ordinanza si mostra di essere a conoscenza di come questa disposizione
sia stata interpretata da alcuni organi giurisdizionali in senso estensivo,
in modo da ricomprendere non solo il caso ivi espressamente previsto –
ossia quello dei vari tipi di affidamento contemplati dall'art. 2 della legge
4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore a una famiglia)- ma anche la tutela
prevista dagli artt. 343 e segg. del Codice civile.
Malgrado che il remittente reputi una simile lettura della norma l'unica
conforme alle prescrizioni costituzionali, tuttavia non ritiene possibile il
percorso interpretativo utilizzato dalla giurisprudenza sopra citata, in
quanto non conforme "al tenore letterale della disposizione de qua, e
dunque nemmeno al fondamentale canone ermeneutico posto dal comma 1 dell'art.
12 delle c.d. preleggi". Il legislatore avrebbe infatti fatto
riferimento a tutti i tipi di "affidamento" previsti dalla legge
184, ma non ad istituti diversi.
Tale conclusione interpretativa sarebbe avvalorata anche da considerazioni di
ordine sistematico.
4. – L'ordinanza afferma tuttavia l'esistenza di "seri dubbi in
ordine all'intrinseca conformità a Costituzione" dell'art. 32,
secondo l'interpretazione che ritiene di dover accogliere.
I parametri di questa possibile illegittimità costituzionale sono
indicati nel canone di uguaglianza ed in quello di ragionevolezza, entrambi
riferibili all'art. 3 della Costituzione.
A tal fine, l'ordinanza di rimessione compie una ricostruzione degli istituti
della tutela e dell'affidamento: si evidenzia, innanzi tutto, come al tutore
spetterebbe una potestà "comprensiva di poteri che attengono
così al patrimonio come alla persona del minore"; in secondo
luogo si sottolinea che i presupposti in presenza dei quali è
possibile dare apertura alla tutela "attengono a situazioni di definitività
(quale la morte di entrambi i genitori) ovvero comunque provviste assai
più dei caratteri di una certa permanenza piuttosto che della
provvisorietà".
Viceversa, l'istituto dell'affidamento si fonderebbe "sul presupposto
che il minore sia 'temporaneamente' privo di un ambiente familiare
idoneo", avendo lo scopo di provvedere ai bisogni del minore senza far
venir meno il legame di costui con la famiglia d'origine.
Sia la tutela che l'affido, dunque, sarebbero istituti caratterizzati da
fondamentali funzioni di cura, educazione ed istruzione del minore: da questo
punto di vista, sarebbero ampiamente assimilabili. Viceversa, la differenza
maggiore che separerebbe la tutela dall'affido sarebbe individuabile nel
carattere "dichiaratamente temporaneo" e reversibile dell'affido, a
fronte della tendenziale stabilità della tutela. Ciò nonostante
– nota il remittente – è invece il primo ad essere
"valorizzato dal legislatore ai fini del rilascio del permesso di
soggiorno al raggiungimento della maggiore età".
La sostanziale assimilabilità dei due istituti, in relazione agli
aspetti maggiormente rilevanti nel caso in questione, dovrebbe, invece,
portare ad una equiparazione degli stessi in relazione alla disciplina
oggetto del giudizio.
5. - L'Avvocatura generale dello Stato, nel suo atto di intervento, conclude
nel senso dell'infondatezza della questione di legittimità
costituzionale.
In via preliminare, si rileva che l'ordinanza di rimessione non avrebbe
tenuto adeguatamente conto dell'interpretazione costituzionalmente orientata
della disposizione in questione che pure la giurisprudenza, in varie
occasioni, ha mostrato di accogliere.
Nel merito, l'Avvocatura generale dello Stato ricostruisce i caratteri
dell'affidamento e della tutela in modo decisamente differente rispetto alla
prospettazione del remittente. Infatti ad essere "provvisorio" e
"strettamente temporaneo" sarebbe l'istituto della tutela, mentre
l'affidamento determinerebbe un "nuovo legame personale e di
stabilità nei riguardi del territorio nazionale". Tali
argomentazioni, conseguentemente, dovrebbero portare a ritenere non
irragionevole la scelta legislativa.
Considerato in diritto
1. – La prima sezione del TAR per l'Emilia-Romagna dubita della
legittimità costituzionale dell'art. 32 del d.lgs. 25 luglio 1998, n.
286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) "nella parte
in cui non prevede che, al compimento della maggiore età, il permesso
di soggiorno possa essere rilasciato anche nei confronti dei minori stranieri
sottoposti a tutela, ai sensi degli articoli 343 e seguenti del Codice
civile".
L'illegittimità deriverebbe dall'irragionevole disparità di
trattamento rispetto ai minori stranieri che siano stati dati in affidamento,
a cui appunto si riferisce l'art. 32 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286
(rectius: art. 32, comma 1, essendo stato questo articolo, originariamente
composto da un unico comma, integrato, successivamente all'ordinanza di
rimessione, da altri tre commi ad opera dell'art. 25 della legge 30 luglio
2002, n. 189, relativa a "Modifica alla normativa in materia di
immigrazione e di asilo").
2. - La questione è infondata, nei termini di seguito precisati.
Il comma 1 dell'art. 32 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, prevede che possa
"essere rilasciato un permesso di
soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o
autonomo, per esigenze sanitarie e di cura" ai soggetti stranieri che
compiano la maggiore età e che siano in condizione di affidamento ai sensi
dello "articolo 31, commi 1 e 2, e ai minori comunque affidati ai sensi
dell'art. 2 della legge del 4 maggio 1983, n. 184" (Diritto del minore a
una famiglia).
Questa disposizione viene pacificamente interpretata, secondo quanto
riconosce anche l'organo remittente, come relativa ad ogni tipo di
affidamento previsto dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, e cioè sia
all'affidamento "amministrativo" di cui al primo comma dell'art. 4,
che all'affidamento "giudiziario" di cui al secondo comma dello
stesso articolo 4, sia anche all'affidamento di fatto, di cui all'art. 9
della medesima legge.
L'organo remittente conosce, ma non condivide, l'ulteriore orientamento
interpretativo presente nella giurisprudenza ordinaria e amministrativa che
ha esteso la disciplina di cui all'art. 32 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286,
anche ai minori stranieri sottoposti a tutela ai sensi degli articoli 343 e
seguenti del Codice civile; malgrado il riconoscimento che in tal modo si
può giungere "ad un'interpretazione della norma conforme a
Costituzione", l'argomentato dissenso della prima sezione del TAR
dell'Emilia-Romagna muove dall'asserita impossibilità di adottare nel
caso di specie tecniche interpretative di tipo estensivo.
La disposizione di cui all'art. 32, comma 1, del d.lgs. 25 luglio 1998, n.
286, indubbiamente lacunosa nel mancato riferimento ai minori soggetti a
tutela, può essere – se non interpretata estensivamente –
comunque integrata in via analogica, sulla base della comparazione fra i
presupposti e le caratteristiche del rapporto di tutela del minore e del
rapporto di affidamento.
I due istituti infatti, pur avendo presupposti diversi (la tutela si apre con
la morte o l'assenza di entrambi i genitori o l'impossibilità di
questi di esercitare la potestà, l'affidamento può essere
disposto allorché la famiglia di origine sia temporaneamente inidonea
ad offrire al minore un adeguato ambiente familiare), sono entrambi
finalizzati ad assicurare la cura del minore.
Infatti l'affidamento disciplinato dalla legge n. 184 del 1983 ha il fine di
favorire il reingresso del minore nella famiglia di origine, ma compito
dell'affidatario è quello di provvedere al suo mantenimento, alla sua
educazione ed istruzione, tenendo conto delle indicazioni dei genitori (art.
5, della legge n. 184 del 1983).
Allo stesso modo, il tutore, oltre ad amministrare il patrimonio, deve
prendersi cura dei bisogni del pupillo e della sua istruzione ed educazione,
sotto il controllo del giudice tutelare (artt. 357 e 371 del Codice civile).
3. - I profili che invece differenziano la tutela dall'affidamento
ineriscono, come già detto, ai differenti presupposti in presenza dei
quali si può fare ricorso ai due istituti, nonché alla
tendenziale definitività della prima a fronte della
temporaneità del secondo. Ciò, peraltro, conformemente alla
funzione – di sostituzione dei genitori – che l'ordinamento
assegna al tutore.
La sussistenza di profili di analogia, rilevanti ai fini della presente
decisione, tra il tutore e i genitori è del resto mostrata proprio
dalla legge n. 184 del 1983, che nel suo art. 4 stabilisce che l'affidamento
familiare è disposto "previo consenso manifestato dai genitori o
dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore".
Proprio il ruolo analogo a quello dei genitori che ha il tutore nella
legislazione sull'affidamento familiare mette bene in evidenza una ulteriore
incongruenza che deriverebbe da una interpretazione meramente letterale dell'
art. 32 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286: rientrerebbero nella previsione di
questo articolo sia il minore straniero iscritto nel permesso di soggiorno o
nella carta di soggiorno del genitore, sia il minore straniero comunque
affidato, mentre ne sarebbe escluso il solo minore straniero sottoposto a
tutela, e cioè ad un istituto giuridico assimilato dalla stessa
legislazione in parola al vincolo familiare e spesso originato da situazioni
di bisogno anche più gravi di quelle che originano l'affidamento
familiare.
Se le analogie rilevate tra affidamento e tutela giustificano una
applicazione della disposizione impugnata al caso del minore straniero
sottoposto a tutela, ad identica conseguenza conduce la considerazione della
sostanziale eguaglianza delle situazioni di fatto nelle quali si trovano i
minori stranieri posti in affidamento o sottoposti a tutela.
4. - A conferma di quanto appena argomentato può anche considerarsi
che l'art. 25 della legge 30 luglio 2002, n. 189, successiva all'ordinanza di
rimessione, ha integrato l'art. 32 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286,
prevedendo che il permesso di soggiorno possa essere rilasciato, a
determinate condizioni, anche "ai minori stranieri non accompagnati che
siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di
integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato"
avente alcune caratteristiche determinate dalle disposizioni legislative.
Come è evidente, sarebbe del tutto irragionevole una normativa che
consentisse il rilascio del permesso di soggiorno in situazioni quali quella
appena descritta e non, invece, in favore del minore straniero sottoposto a
tutela.
Appare quindi chiaro che una interpretazione meramente letterale dell' art.
32, comma 1, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, condurrebbe ad un sicuro
conflitto con i valori personalistici che caratterizzano la nostra
Costituzione ed in particolare con quanto previsto dall'art. 30, secondo
comma, e dall'art. 31, secondo comma, e determinerebbe fondati dubbi di
ragionevolezza.
Questa Corte ha evidenziato più volte che "eventuali residue
incertezze di lettura sono destinate a dissolversi una volta che si sia
adottato, quale canone ermeneutico preminente, il principio di supremazia
costituzionale che impone all'interprete di optare, fra più soluzioni
astrattamente possibili, per quella che rende la disposizione conforme a
Costituzione" (sentenze n. 316 del 2001 e n. 113 del 2000 nonché,
in senso analogo, ordinanza n. 277 del 2000).
Non resta
quindi che concludere che la disposizione del comma 1 dell' art. 32 del
d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, va riferita anche ai minori stranieri
sottoposti a tutela, ai sensi del Titolo X del Libro primo del Codice civile,
e che pertanto non si pone un problema di costituzionalità di questa
disposizione.
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