GLI SBARCHI IN
SICILIA: UN EMERGENZA ANNUNCIATA.
In base ai dati diffusi dal Ministero degli
interni negli anni passati gli sbarchi di immigrati “clandestini”
in Sicilia erano stati oltre 8.000 nel 1998, 1973 nel 1999, 2782 nel 2000,
5.504 nel 2001. Non esistono
statistiche certe sul numero di coloro che hanno potuto presentare richiesta di
asilo in Sicilia, prossimità dello sbarco, ma in base
all’esperienza delle associazioni indipendenti ed ai riscontri ricavabili
dalle decisioni della Commissione centrale competente per le domande di asilo,
questo numero è assai basso. Il provvedimento di espulsione ed il
trattenimento nei centri di permanenza ( CTP) costituiscono pratiche
generalizzate.
Non si hanno notizie dei risultati
dell’attivazione degli sportelli di informazione ai varchi di frontiera,
ne quante domande di asilo sono state presentate presso questi luoghi: eppure
una convenzione al riguardo è stata stipulata alla fine dello scorso
anno tra il la Prefettura di Trapani ed il CIR. Ma sono pochi i richiedenti
asilo che si possono presentare ad un varco di frontiera. La stragrande
maggioranza di loro è costretta all’ingresso clandestino.
Da tempo, sbarcano nell’isola, oltre
alla consueta componente maghrebina, un numero crescente di migranti provenienti
dalla Somalia, dalla Sierra Leone, dal Sudan, dall’Irak, dal Pakistan,
dalla Liberia, dal Ciad, dal Congo, dallo Sri Lanka e da tanti altri paesi nei
quali il rimpatrio è vietato dalle Convenzioni intrernazionali ( oltre
che dalla legge nazionale: art.19 del T.U. n. 286 del 1998)per le persecuzioni
etniche ed i conflitti armati in corso.
Negli ultimi tempi questi numeri sono
ancora cresciuti, malgrado i toni trionfalistici dei rappresentanti del governo
che ad ogni occasione vantano i loro successi nella “guerra” contro
la immigrazione illegale. Si deve ricordare al riguardo che il governo
Berlusconi, a partire dal 2001, già prima della approvazione della legge
Bossi-Fini , ha approvato numerosi decreti o ordinanze che ne hanno anticipato
gli aspetti più repressivi, proprio per quanto concerne il controllo
delle frontiere e l’internamento dei cd. clandestini, compresi molti
potenziali richiedenti asilo.
Con gli ultimi provvedimenti adottati nel
settembre del 2002, nel marzo e adesso nel mese di maggio di quest’anno,
con una ordinanza del Presidente del Consiglio, si è consentito che la
commissione centrale, competente a decidere sulle domande di asilo, operasse
anche senza la collegialità prevista dalla legge, spostandosi nei centri
di detenzione dove restavano rinchiusi molti richiedenti asilo. Ma i
rappresentanti della commissione non sono arrivati quasi mai in Sicilia.
Da ultimo si è introdotta una totale
deregolamentazione delle procedure necessarie per l’attivazione dei CPT e
dei nuovi centri di identificazione, anche se la nuova disciplina che riguarda
il diritto di asilo non è entrata in vigore per il ritardo del relativo
regolamento, che si sarebbe dovuto emanare la fine di marzo. Intanto i veri
centri di accoglienza sono stati costretti alla chiusura, per carenza di
finanziamento, come è successo al centro Santa Chiara di Palermo; altri
hanno chiuso per la fine dei fondi, con una dubbia gestione finanziaria, come
il centro PNA di Montelepre gestito dalla Croce Rossa; mentre con le più
recenti disposizioni governative si pongono le premesse per l’apertura in
ogni provincia di nuove strutture detentive, (magari affidate alla gestione dei
privati convenzionati con le prefetture) circondate da mura e filo spinato,
destinate non solo ai migranti irregolari, ma anche ai richiedenti asilo.
Considerando che, secondo i dati ufficiali,
in Sicilia nel 2002 sono sbarcati 18.225 immigrati clandestini, e che nei primi
cinque mesi del 2003 si sono verificati oltre 6.000 sbarchi, i quattro centri di permanenza temporanea
tuttora funzionanti nell’isola ( Trapani, Agrigento, Caltanissetta e
Ragusa) garantiscono una capienza di appena 450 posti; in base ad una durata
media della detenzione di 40 giorni questa circostanza si traduce nella prassi
quotidiana di deportazioni in autobus o con charter ( aerei gestiti da
compagnie private) verso la Calabria o la Puglia, a causa del sovraffollamento
costante. Il calo degli sbarchi in quelle regioni, derivante dai nuovi
equilibri politici nei Balcani e dal rigoroso accordo di riammissione operante
con l’Albania, è così compensato dai maggiori arrivi che si
registrano in Sicilia.
Ma anche secondo gli agenti che effettuano
le misure di accompagnamento, le condizioni dei centri calabresi sono ancora
peggiori di quelle dei CPT siciliani.
Dopo l’approvazione della legge Bossi
Fini, si è inoltre verificata in qualche caso, come a Trapani, la
liberazione degli immigrati “clandestini” , esclusi dalla procedura
di asilo ma con l’intimazione a lasciare il territorio nazionale entro
cinque giorni. E questo anche se erano completamente privi di mezzi o
provenivano da paesi verso i quali non era possibile fare ritorno per il
rischio di subire trattamenti inumani. Di fatto destinatari di un ordine
impossibile da eseguire.
In Sicilia non esistono al momento centri
di accoglienza come quelli pugliesi, e manca persino una legge regionale
sull’immigrazione, che preveda un minimo di risorse finanziarie destinate
all’accoglienza.
Il centro di permanenza di Lampedusa
funziona in realtà come centro di transito, e agli immigrati non viene
fornita alcuna informazione sulla possibilità di chiedere asilo, e
spesso non vengono neppure notificati i provvedimenti che li riguardano.
L’imperativo categorico in quella struttura è soltanto “svuotare”
il centro al più presto, per fare spazio agli arrivi successivi. I
diritti fondamentali possono attendere. Dopo il trasferimento in un'altra
struttura detentiva, in Sicilia o in Calabria, dove poi i migranti rimangono in
attesa per settimane prima di conoscere il loro destino.
Per i richiedenti asilo ammessi alla
procedura in Sicilia rimangono aperte strutture semi-private, convenzionate con
le Prefetture, a Trapani, a Racalmuto, in provincia di Agrigento, a Palermo,
come la missione Speranza e Carità, di Biagio Conte, o alcune Caritas.
Nella Sicilia orientale, dove l’unico
CPT è quello di Ragusa, nel
caso di sbarchi di massa si attivano strutture provvisorie di trattenimento,
come a Noto, a Pozzallo o a Siracusa ( nella frazione di Belvedere). Adesso con
la nuova ordinanza firmata il 23 maggio dal Presidente del Consiglio ci
sarà da attendere una proliferazione di nuovi centri di detenzione ( si
parla da tempo di un secondo centro a Trapani e dell’ampliamento di
quello di Agrigento). Saranno aperti anche nuovi centri di identificazione
(anche se non se ne conosce ancora l’ubicazione), presso i quali svolgere
rapidamente(?) le nuove procedure semplificate per i richiedenti asilo.
Magari, dopo la reiezione della domanda, in
vista di una espulsione ancora una volta verso il paese dal quale sono
transitati. E’ probabile che alcune associazioni private intravedano
ancora una volta la possibilità di un lucroso business, sia per il
trattenimento che per gli accompagnamento forzati. I sindacati di polizia, da
parte loro, hanno già protestato lamentando turni massacranti per
effettuare gli accompagnamenti oltre che carenze di uomini e mezzi.
La situazione siciliana è un
emergenza continua che non deriva dagli sbarchi dei clandestini ma dalla logica
di chiusura con cui il governo nazionale e quello regionale affrontano questi
problemi, ormai strutturali, e persino stazionari, nella loro consistenza
numerica.
Si ritiene che l’unico contrasto
all’immigrazione clandestina sia costituito dall’aumento dei
controlli di frontiera e magari dall’istituzione di un nuovo corpo di
polizia di frontiera ( a partecipazione europea). Ma la proposta del governo
italiano è già rimasta isolata.
Occorre invece una nuova politica
dell’asilo, e l’apertura dei flussi d’ingresso legali per
ricerca di lavoro. Solo in questo modo sarà possibile sconfiggere chi
specula sulla pelle dei disperati in fuga da guerre e da miserie
indescrivibili.
L’assemblea regionale siciliana ha
attivato una commissione di indagine sui centri di detenzione aperti
nell’isola, e numerosi parlamentari nazionali hanno effettuato periodiche
visite, riscontrando situazioni di totale negazione della dignità umana,
dei diritti fondamentali della persona ( a partire dal diritto di difesa e di
comprensione linguistica), delle minime condizioni igieniche e sanitarie.
Sarebbe tempo che anche il Parlamento nazionale avvertisse l’esigenza di
una indagine complessiva per stabilire cosa avviene dentro i centri di
detenzione per stranieri e quale sorte è riservata ai richiedenti asilo.
E che le risorse destinate agli immigrati non finiscano soltanto per finanziare
gli accompagnamenti coatti in frontiera, ma vengano destinate piuttosto a
favorire percorsi di integrazione, di emersione dalla irregolarità e di
effettivo riconoscimento normativo ed assistenziale del diritto di asilo
riconosciuto dall’art. 10 della nostra Costituzione.
Fulvio Vassallo Paleologo
ASGI
Associazione studi giuridici
sull’immigrazione
Palermo