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Gazzetta Ufficiale N. 139 del 18 Giugno 2003

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 23 maggio 2003
Approvazione del Piano sanitario nazionale 2003-2005.

ALLEGATO - SECONDA PARTE

4.6. I campi elettromagnetici Negli ultimi anni si e' verificato un aumento senza precedenti del numero e della varieta' di sorgenti di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici utilizzate a scopo individuale, industriale e commerciale. Tali sorgenti comprendono, oltre le linee di trasposto e distribuzione dell'energia elettrica, apparecchiature per uso domestico, personal computers (dispositivi operanti tutti alla frequenza di 50 Hz), telefoni cellulari con le relative stazioni radio base, forni a microonde, radar per uso civile e militare (sorgenti a radio frequenza e microonde), nonche' altre apparecchiature usate in medicina, nell'industria e nel commercio. Tali tecnologie, pur di grande utilita', generano continue preoccupazioni per i possibili rischi sanitari della popolazione. Per quanto riguarda i campi a frequenza estremamente bassa (ELF), l'esposizione dell'uomo e' principalmente collegata alla produzione, alla distribuzione ed all'utilizzazione dell'energia elettrica. Nel 1998, il gruppo di esperti internazionali del National Institute of Environmental Health Sciences (USA) ha affermato che, usando i criteri stabiliti dalla Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), i campi ELF dovrebbero essere considerati come ´possibili cancerogeniª. Possibile cancerogeno per l'uomo significa che esistono limitate evidenze scientifiche sulla possibilita' che l'esposizione a campi ELF possa essere associata all'insorgenza dei tumori. Sulla base di queste valutazioni di esposizioni e della stima del livello di rischio di leucemia per l'infanzia, e' stato calcolato che ogni anno si potrebbero verificare 1,3 (95% intervallo di certezza: 0 - 4,1) casi aggiuntivi di leucemia infantile collegabili alla vicinanza delle abitazioni a linee elettriche ad alta tensione e 26,7 casi (95% intervallo di certezza: 3,9 - 57,3) collegabili all'esposizione nelle case. Tali dati corrisponderebbero rispettivamente a valori che variano da 0,3% a 6,1% del totale dei 432 casi di leucemia infantile che si verificano ogni anno in Italia. Restano, tuttavia, ovvie incertezze sul rapporto causa-effetto. 4.7. Lo smaltimento dei rifiuti Il rischio per la salute si manifesta anche quando risultano assenti o inadeguati i processi di raccolta, trasporto, stoccaggio, trattamento o smaltimento finale dei rifiuti, nonche' quando lo smaltimento avviene senza il rispetto delle norme sanitarie rigorose previste dalle norme vigenti. La mancata raccolta dei rifiuti costituisce una causa importante di deterioramento del benessere e dell'ambiente di vita. I rifiuti, qualora non vengano adeguatamente smaltiti, possono contaminare il suolo e le acque di superficie. L'esalazione di metano dai siti di interramento non idonei rappresenta un rischio di incendio ed esplosioni. Tuttavia, se trattati adeguatamente, i rifiuti possono costituire una fonte combustibile. Le emissioni in atmosfera in strutture atte alla produzione di compost e negli impianti di incenerimento dei rifiuti, qualora non opportunamente abbattute, sono state identificate quali fattori di rischio per la salute dei lavoratori addetti. La discarica rimane il sistema piu' diffuso di smaltimento dei rifiuti, sia perche' i costi sono ancora oggi competitivi con quelli degli altri sistemi sia perche' l'esercizio e' molto piu' semplice. La discarica controllata, se ben condotta, non presenta particolari inconvenienti, purche' sia ubicata in un idoneo sito e sia dotata degli accorgimenti atti ad evitare i pericoli di inquinamento che i rifiuti possono provocare in via diretta ed indiretta. I principali obiettivi in questo settore sono: l'adozione di un regime di smaltimento dei rifiuti urbani ed industriali, che minimizzi i rischi per la salute dell'uomo ed elimini i danni ambientali; l'attivazione di azioni educative per ridurre la produzione dei rifiuti; l'incentivazione della gestione ecocompatibile dei rifiuti, con particolare riferimento al riciclaggio; l'incremento delle attivita' di tutela ambientale per l'individuazione delle discariche abusive e delle altre forme di smaltimento non idonee; il monitoraggio accurato delle emissioni inquinanti degli impianti di incenerimento. 4.8. Pianificazione e risposta sanitaria in caso di eventi terroristici ed emergenze di altra natura Negli ultimi anni, ed in particolare nel corso del 2001, si e' presentato in forme nuove la minaccia del terrorismo con uso di armi non convenzionali. Gli episodi di bioterrorismo sono diventati un rischio piu' plausibile per molti Paesi occidentali, ivi inclusa l'Italia. Risposte rapide ed efficaci a questo tipo di emergenze, come d'altra parte ad altre emergenze associate, ad esempio, a gravi incidenti chimici o a disastri naturali, non possono essere assicurate se non esiste un'attivita' di preparazione continua a monte dell'evento. Questo e' particolarmente vero per il Servizio Sanitario, specie nelle grandi citta' ove e' piu' elevato il rischio, e dove i servizi sono, di norma, gia' saturi di richieste e spesso troppo rigidi per adattarsi in tempi brevi alle emergenze. Anche se la risposta ad eventuali attacchi terroristici e ad altre emergenze non e' solo di competenza del settore sanitario, e' ovvia la necessita' di preparare e, quando necessario, mobilitare il servizio sanitario alla cooperazione con le forze di soccorso, di difesa e di ordine interno, a seconda del caso. Il sistema di emergenza 118, gli Ospedali e le ASL, i dipartimenti di prevenzione, i laboratori diagnostici, i Centri anti-veleni e le Agenzie regionali per l'ambiente, unitamente all'ISS ed all'ISPESL, sono alcuni dei soggetti che devono collaborare per sviluppare un'adeguata rete di difesa e protezione sanitaria. In sede locale, un piano di interventi sanitari contro il terrorismo ed altri gravi eventi non puo' pertanto che risultare dalla progettualita' di ciascuna Regione e dall'efficacia e dall'efficienza delle attivita' svolte dalle diverse articolazioni in ciascuna Azienda Sanitaria. Per garantire una pronta risposta sanitaria di fronte a possibili aggressioni terroristiche di natura chimica, fisica e biologica ai danni del nostro Paese sono state gia' assunte iniziative a livello centrale e locale, che hanno consentito di superare il primo momento dell'emergenza. Fra le iniziative piu' importanti assunte immediatamente a ridosso dei tragici eventi dell'11 settembre 2001: e' stata costituita, con Decreto Ministeriale 24 settembre 2001 un'apposita Unita' di crisi che, fra l'altro, ha elaborato il protocollo operativo per la gestione della minaccia terroristica derivante da un eventuale uso del bacillo dell'antrace; sono stati individuati, d'intesa con le Regioni, l'ISS e l'ISPESL, come Centri di consulenza e supporto, rispettivamente, per gli eventi di natura biologica e chimico-fisica e per gli ambienti di lavoro; l'Ospedale L. Sacco di Milano, l'IRCSS L. Spallanzani di Roma, il Policlinico di Bari e il Presidio Ascoli Tomaselli di Catania, quali Centri nosocomiali di riferimento per il supporto clinico nonche' l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Foggia quale centro di riferimento per il controllo analitico del materiale sospetto (alla data del 15 febbraio 2002 sono stati analizzati 1876 campioni di materiale sospetto); e' stato istituito un numero telefonico verde dedicato tanto agli operatori sanitari quanto ai singoli cittadini che, alla data del 15 febbraio 2001, ha dato riscontro a 4.239 richieste pervenute; si e' provveduto al reperimento dei vaccini e altri medicinali ritenuti essenziali; si e' fattivamente collaborato in sede UE e G8 al necessario coordinamento per la costruzione di una elevata capacita' di risposta sanitaria. Contestualmente, si e' reso necessario predisporre altre misure sanitarie utili per far fronte ad altre situazioni ipotizzabili, stabilendo l'idonea pianificazione degli interventi. In linea con il Piano nazionale di difesa da attacchi terroristici di tipo biologico, chimico e radiologico, emanato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e' stato, percio', redatto un documento di Piano che si articola in due parti: nella prima e' presa in considerazione la minaccia biologica; nella seconda, e' trattata la minaccia chimica e radiologica. Ognuna di dette parti puo', a sua volta, essere considerata come sostanzialmente suddivisa in due capitoli. Nel primo, di tipo divulgativo, vengono fornite informazioni sui criteri essenziali per l'identificazione di eventi dannosi a seguito di atto terroristico, sui siti bersaglio, sugli aggressivi presumibilmente utilizzabili in tali scenari, sulle modalita' patogenetiche di detti aggressivi, ipotizzando, in ultimo, una scala di gravita' riferita alle caratteristiche specifiche di ciascun aggressivo e rapportata alle varie tipologie di siti bersaglio ed al numero di individui colpiti; nel secondo, a carattere eminentemente operativo, vengono enunciate considerazioni di massima di tipo organizzativo in base alle quali possono essere sviluppate in sede locale le procedure di intervento piu' idonee. Nell'allegato sono riportate le schede tecniche relative ad agenti biologici, chimici e fisici nonche' approfondimenti su alcuni temi particolarmente critici, che riprendono, sviluppano ed integrano argomenti ed informazioni gia' esposti nella prima e nella seconda parte del Piano. Il documento di Piano, redatto con l'apporto dell'ISS, dell'ISPESL e della Direzione generale della Sanita' Militare, tiene conto della linea organizzativa prevista dalle vigenti disposizioni in materia di gestione delle crisi, che individuano nel Presidente del Consiglio dei Ministri, nel Consiglio dei Ministri e nel Comitato Politico Strategico gli organismi decisionali nazionali, nel Nucleo Politico Militare il massimo organo di coordinamento nazionale, nella Commissione Interministeriale Tecnica per la Difesa Civile l'organo di coordinamento tecnico delle attivita' di difesa civile al momento dell'emergenza e nel Prefetto l'autorita' di coordinamento della difesa civile a livello periferico. Nel rispetto dell'autonomia organizzativa e gestionale delle Istituzioni centrali e territoriali che potrebbero essere chiamate ad attivare operazioni di soccorso ai cittadini, il documento di Piano vuole offrirsi come un punto di riferimento per le successive fasi di pianificazione e di messa in atto, a livello territoriale, delle azioni volte alla tutela della salute. Gli obiettivi strategici in questo settore sono sostanzialmente riconducibili a: programmare le misure preventive; definire le misure di sorveglianza, ovvero attivare preventivamente le funzioni specifiche e modellarle rispetto alla minaccia; pianificare le misure di soccorso e trattamento, al fine di ripristinare le condizioni di salute dei soggetti eventualmente colpiti, bonificare gli ambienti colpiti e/o i materiali contaminati nonche' contenere e/o inattivare il rischio residuo; diffondere la cultura dell'emergenza e migliorare la capacita' degli operatori a risposte pronte ed adeguate; incrementare la capacita' informativa a favore della popolazione (anche attraverso l'accesso al numero telefonico verde), al fine di accrescere la fiducia del cittadino e la conoscenza dei comportamenti piu' opportuni da adottare. Conseguentemente, le principali azioni da realizzare sono: predisporre piani operativi regionali, articolati in ciascuna Azienda Sanitaria, che individuino le funzioni da esperire, specifichino le modalita' di svolgimento ed identifichino i diversi livelli di responsabilita'; approntare adeguate attrezzature, risorse e protocolli per affrontare i diversi scenari di emergenza; adottare procedure operative standard per la risposta a falsi allarmi; intensificare l'aggiornamento e la formazione di operatori sanitari; sviluppare le indagini epidemiologiche e potenziare il collegamento e l'integrazione tra diversi sistemi informativi. 4.9 Salute e sicurezza nell'ambiente di lavoro Una profonda trasformazione delle condizioni di lavoro e' in atto in tutti i settori lavorativi a causa dell'impiego di nuove tecnologie e del conseguente cambiamento dei modelli di produzione. Inoltre la competitivita' del mercato ha determinato la graduale introduzione di nuovi modelli organizzativi e operativi. Nel settore della sicurezza e della salute occupazionale cio' sta determinando la comparsa di nuovi rischi e induce una progressiva modificazione dei modelli tradizionali di esposizione al rischio. La mutata organizzazione del lavoro (telelavoro, esternalizzazione della produzione), la comparsa e il rapido incremento di nuove tipologie di lavoro flessibile (lavori atipici, lavoro interinale) e le diverse caratteristiche della forza lavoro, introducono modifiche nella distribuzione e diffusione dei rischi. Nel frattempo permangono in numerosi settori lavorativi i rischi tradizionali, non sempre e non diffusamente risolti. Negli ultimi anni si e' inoltre profondamente modificata la normativa di riferimento, con l'avvento delle direttive comunitarie ed in particolare con il decreto legislativo n. 626 e successive modifiche che hanno introdotto varie innovazioni nell'organizzazione della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro ma la cui applicabilita' non sempre e' risultata agevole, soprattutto nella Piccola e Media Impresa (PMI). Ciononostante il ruolo centrale dell'impresa nei processi di valutazione dei rischi e di organizzazione e gestione della sicurezza e' risultato rafforzato. Cio' comporta quindi nuove dinamiche anche nei rapporti tra il sistema delle imprese e quello dello Stato e delle Regioni. Per quanto concerne il primo, e' necessario che sia completato il processo di adeguamento alle norme e siano potenziati gli strumenti della partecipazione previsti dal decreto legislativo n. 626. Per quanto concerne il sistema pubblico, cui compete il ruolo di promozione, regolazione, verifica e controllo, si pone l'esigenza di una strategia di pianificazione e intervento in ordine a una reale promozione della sicurezza e della salute nelle Piccole e Medie Imprese. Altrettanto significativa e' la necessita' di una migliore integrazione con l'attivita' delle Agenzie Regionali per l'ambiente. Gli infortuni Il fenomeno infortunistico, nonostante mostri una complessiva affermazione se osservato sul lungo periodo, appare ancora rilevante in termini sia di numero di eventi sia di gravita' degli effetti conseguenti. L'andamento infortunistico dell'anno 2000 mostra una modesta crescita del numero degli infortuni nell'Industria e Servizi (+1,2%), con riduzione peraltro degli infortuni mortali, e una diminuzione in Agricoltura (-7,4%). Tale andamento e' in linea con la crescita occupazionale registrata nell'ultimo periodo. I settori a maggior incidenza infortunistica (tenendo conto sia della frequenza sia della gravita' delle conseguenze), pur con andamenti non costanti in tutte le regioni, rimangono l'industria del legno, quella dei metalli, l'industria della trasformazione ed il settore delle costruzioni. A conferma di una tendenza degli ultimi anni, una parte assai rilevante (piu' del 50%) dei 1.354 infortuni mortali e degli infortuni particolarmente gravi e' stata legata a mezzi di trasporto e ad incidenti stradali. Per quel che riguarda il 2001, i dati relativi al primo trimestre, mostrano un ulteriore crescita degli infortuni nell'industria e nei servizi, in prevalenza nella popolazione femminile. Permane il decremento generalizzato in agricoltura. Altro aspetto rilevante e' quello relativo alla sicurezza dei lavoratori in ´neroª. Applicando gli indici infortunistici della popolazione regolarmente occupata ai dati ISTAT sull'occupazione non regolare (anno '97) e' stato stimato che il numero degli infortuni nel ´sommersoª sia pari a 165.000 casi. Tale stima appare conservativa in quanto e' presumibile che le attivita' non regolari vengano svolte senza alcuna applicazione delle norme di prevenzione. I dati relativi agli infortuni, su base regionale mostrano il seguente andamento (Tab. 2): Tabella 2 Frequenze relative di infortunio (x 1.000 addetti) per regione e tipo di conseguenza (media triennio 1997-1999) ===================================================================== Tipo di conseguenza ===================================================================== | Inabilita' | | Regioni | temporanea |Inabilita' permanente|Morte ===================================================================== Industria e Servizi | | | --------------------------------------------------------------------- Umbria | 52.92 | 3.82 |0.08 --------------------------------------------------------------------- Emilia | 49.63 | 2.21 |0.09 --------------------------------------------------------------------- Marche | 48.81 | 3.01 |0.10 --------------------------------------------------------------------- Friuli-Venezia | | | Giulia | 49.12 | 2.10 |0.09 --------------------------------------------------------------------- Basilicata | 46.94 | 2.80 |0.14 --------------------------------------------------------------------- Veneto | 47.90 | 1.60 |0.09 --------------------------------------------------------------------- Abruzzo | 43.83 | 2.55 |0.12 --------------------------------------------------------------------- Liguria | 42.57 | 2.69 |0.06 --------------------------------------------------------------------- Puglia | 42.27 | 2.83 |0.15 --------------------------------------------------------------------- Toscana | 41.53 | 2.44 |0.08 --------------------------------------------------------------------- Trentino-Alto Adige | 41.36 | 1.74 |0.07 --------------------------------------------------------------------- Molise | 37.83 | 2.43 |0.15 --------------------------------------------------------------------- Sardegna | 34.81 | 2.21 |0.12 --------------------------------------------------------------------- Valle d'Aosta | 33.92 | 1.51 |0.11 --------------------------------------------------------------------- Piemonte | 33.69 | 1.44 |0.07 --------------------------------------------------------------------- Lombardia | 33.07 | 1.40 |0.06 --------------------------------------------------------------------- Calabria | 28.89 | 2.38 |0.14 --------------------------------------------------------------------- Sicilia | 26.64 | 1.92 |0.10 --------------------------------------------------------------------- Campania | 25.12 | 2.55 |0.13 --------------------------------------------------------------------- Lazio | 25.45 | 1.41 |0.07 --------------------------------------------------------------------- Italia | 37.99 | 1.90 |0.09 Le malattie professionali Per quanto riguarda le malattie professionali, la loro valutazione include un rapporto stretto tra lo studio dei rischi attuali e pregressi e le tendenze in atto nelle patologie legate al lavoro. Accanto alle patologie da rischi noti (prevalentemente in attenuazione), acquistano sempre maggior rilievo le patologie da rischi emergenti, non necessariamente legate a rischi nuovi, rispetto alle quali sono iniziati approfondimenti soprattutto negli ultimi anni. Tra queste si segnalano le patologie dell'arto superiore da sovraccarico meccanico, le patologie da fattori psico-sociali associate a stress e la cancerogenesi professionale Tab. 3). Per quanto riguarda quest'ultima, il recente studio multicentrico europeo CAREX stima che i lavoratori potenzialmente esposti in Italia a sostanze cancerogene siano pari al 24% degli occupati, ed e' stimato in 160.000 il numero di morti per anno dovute a cancro e correlabili a esposizioni lavorative. Tabella 3a Patologie da rischi noti ===================================================================== Industria | Agricoltura ===================================================================== Ipoacusie da rumore |Broncopneumopatie Malattie cutanee |Asma bronchiale Pneumoconiosi |Alveoliti allergiche Tabella 3b Patologie da rischi emergenti Patologie dell'arto superiore da sovraccarico meccanico Patologie da fattori psico-sociali associate a stress (burn-out, mobbing, alterazioni delle difese immunitarie e patologie cardiovascolari) Patologie da sensibilizzazione Patologie da agenti biologici Patologie da composti chimici (effetti riproduttivi e cancerogeni) Tumori di origine professionale Effetti sulla salute dei fattori organizzativi del lavoro Obiettivi: riduzione dei rischi per la sicurezza in particolare in quei settori contrassegnati da un maggior numero di eventi infortunistici e da una maggiore gravita' degli effetti; riduzione dei rischi per la salute e progressivo miglioramento delle condizioni di lavoro; riduzione dei costi umani ed economici conseguenti ai danni alla salute dei lavoratori; riordino, coordinamento e semplificazione in un testo unico delle norme vigenti in materia di igiene e la sicurezza del lavoro, nel rispetto delle normative comunitarie e delle prerogative regionali, al fine dello snellimento delle procedure di applicazione; promozione di linee guida per l'applicazione della normativa in settori specifici (PMI, agricoltura, lavori atipici); potenziamento e coordinamento delle attivita' di prevenzione e vigilanza rispetto ai processi ed alle procedure di lavoro anche attraverso il monitoraggio dell'applicazione del decreto legislativo n. 626; programmazione delle priorita' d'intervento nei settori piu' a rischio in funzione degli studi epidemiologici e dei dati provenienti da un adeguato sistema informativo; attuazione di programmi per il contrasto del lavoro sommerso e la tutela della sicurezza e la salute sul lavoro degli impiegati in lavori atipici; azioni per la specificita' di genere sul lavoro a tutela delle lavoratrici; azioni per l'inserimento o reinserimento lavorativo di particolari tipologie di lavoratori come i minori, i disabili, i tossicodipendenti, gli immigrati; integrazione dei sistemi informativi; azioni per la formazione dei soggetti deputati alla attuazione della sicurezza nei luoghi di lavoro (datori di lavoro, addetti alla sicurezza, medici competenti rappresentanti dei lavoratori) ivi compreso il personale del Servizio Sanitario Nazionale addetto alla prevenzione e vigilanza nei luoghi di lavoro; promozione di programmi di formazione nella scuola; miglioramento progressivo dei processi di verifica della qualita' e dell'efficacia delle azioni di prevenzione basata sull'evidenza; miglioramento dell'accertamento e dell'evidenziazione delle malattie professionali; individuazione di strumenti adeguati di carattere informativo, tecnico ed economico per la corretta implementazione delle norme. 5. La sicurezza alimentare e la sanita' veterinaria L'impatto della globalizzazione dei mercati sia sulla sicurezza degli alimenti sia sulla salute delle popolazioni animali e' stato considerevole. Il sistema Italia ha registrato notevoli difficolta' di adattamento rispetto agli scenari che si sono venuti delineando in seguito alla stipula dell'Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie (Accordo SPS) nell'ambito dell'Organizzazione Mondiale del Commercio. Questi accordi hanno modificato de facto in modo radicale una serie di impostazioni tradizionali nella gestione della sicurezza igienico-sanitaria. Tali difficolta' sono, per certi aspetti, comuni a tutta l'Unione europea, ma in Italia l'adattamento e' risultato, sotto diversi aspetti, piu' difficile. Molte energie sono state assorbite dalla necessita' di gestire una serie di emergenze che si sono succedute negli ultimi anni. Zoonosi causate da nuovi patogeni ed, in particolare, l'encefalopatia spongiforme bovina (BSE) hanno costituito un serio problema negli ultimi anni in Italia e in numerosi altri Stati europei. Altre recenti crisi sanitarie hanno investito il sistema agrozootecnico-alimentare, quali la contaminazione da PCB, diossina e altre sostanze chimiche, nonche' la febbre catarrale degli ovini, la peste suina classica e l'influenza aviaria. Nonostante i successi registrati nel fronteggiare questi ed altri problemi, la realizzazione di una rete di sorveglianza epidemiologica nazionale (come componente primaria di una politica di gestione del rischio adeguata alla sfida posta dall'internazionalizzazione dei mercati), malgrado l'impegno profuso da parte di diverse componenti del sistema di Sanita' pubblica veterinaria nazionale, non e' ancora sufficientemente sviluppata. Una politica di sicurezza degli alimenti, soprattutto per un Paese come l'Italia, che e' membro della Unione Europea e forte importatore sia di animali e loro derivati sia di vegetali da tutto il mondo, deve assumere come riferimento imprescindibile la realta' del mercato globale delle materie prime e dei prodotti trasformati. Inoltre, le grandi trasformazioni dei sistemi di produzione e distribuzione degli alimenti richiedono anche sul piano nazionale e locale che i metodi e l'organizzazione dei controlli si rinnovino e si adeguino continuamente. Il controllo igienico-sanitario degli alimenti, in un contesto di questo tipo, assume connotati completamente diversi rispetto alla realta' esistente fino alla meta' degli anni '90. In particolare, i controlli non sono piu' concentrati sul prodotto, ma sono distribuiti lungo tutto il processo di produzione ´dall'aratro al piattoª e le garanzie date dal produttore sono parte non esclusiva, ma certamente determinante del sistema della sicurezza. In questo senso deve essere inquadrato il recente accordo tra il Ministro della Salute e la Federazione Italiana Pubblici Esercizi - Confcommercio, che ha portato alla elaborazione di Linee Guida per la Certificazione delle imprese di somministrazione di alimenti e bevande, con l'obiettivo di garantire una maggiore e piu' diffusa sicurezza alimentare. L'accordo prevede che le aziende di ristorazione commerciale e collettiva si sottopongano ad una periodica verifica di conformita' da parte di organismi accreditati, al cui superamento consegue il rilascio di un marchio, denominato ´Bollino Bluª: questo certifica il rispetto dei requisiti di sicurezza alimentare e di igiene sanciti dall'accordo, nonche' l'attivazione della Carta dei Servizi nel cui contesto rientra l'informazione puntale sugli alimenti nonche' la disponibilita' ad adattare le preparazioni a corretti stili di vita per la prevenzione delle malattie metaboliche e delle intolleranze alimentari. La sicurezza degli alimenti, pertanto, assume in concreto una dimensione internazionale e puo' essere assicurata solo attraverso un'azione che non solo si basi su accordi commerciali bi- o multi-laterali, ma sia capace di influire sulle istanze comunitarie ed internazionali dove si discutono e si approvano le norme che regolano la sicurezza e la tutela igienico-sanitaria, degli scambi di animali, vegetali e prodotti derivati. Paradossalmente, a fronte di una sempre piu' marcata domanda di autonomia istituzionale dei livelli locali dei sistemi di controllo, la sicurezza degli alimenti diventa sempre piu' dipendente dalla capacita' di azione a livello internazionale. Per l'Italia che fonda parte importante del successo economico delle proprie imprese agro-alimentari sulla capacita' di trasformare materie prime nazionali e di importazione in prodotti di alto pregio qualitativo da collocare sul mercato dei Paesi piu' avanzati, la capacita' di assicurare alti livelli di sicurezza delle filiere produttive diventa non solo elemento determinante per la sicurezza dei propri consumatori, ma anche per lo sviluppo economico. La mancanza o la percezione di mancanza di sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti puo' indurre, infatti, sconvolgimenti profondi del mercato agro-alimentare. La mancanza di fiducia dei consumatori, nel contesto di una forte competizione, puo' portare a perdite significative di quote di mercato. Il sistema dei controlli deve assicurare nel concreto delle azioni quotidiane la qualita' dei processi, dalla produzione delle materie prime alla somministrazione, per consentire la libera circolazione delle merci e la concorrenza sui mercati. In particolare, i pericoli insiti nei sistemi di produzione devono essere individuati e eliminati o minimizzati mediante processi trasparenti e documentati di analisi e gestione del rischio secondo le norme internazionali e comunitarie che regolano in modo molto puntuale il controllo della sicurezza degli alimenti, della salute e del benessere degli animali. La strategia e gli obiettivi da perseguire, in materia di sicurezza degli alimenti e delle popolazioni animali, dunque, devono necessariamente tener conto del contesto internazionale, comunitario e nazionale. Essi, pertanto, da un lato devono essere tali da garantire che i fornitori comunitari ed internazionali di animali, materie prime e prodotti, operino secondo criteri di sicurezza equivalenti a quelli attesi dai produttori e consumatori italiani. Dall'altro, l'Italia deve essere in grado di garantire ai consumatori nazionali ed a quelli dei Paesi che importano le derrate alimentari prodotte in Italia livelli di sicurezza omogenei del piu' alto tenore, su tutto il territorio nazionale. La sicurezza degli alimenti oggi puo' essere assicurata solo attraverso azioni di prevenzione, eliminazione e mitigazione del rischio che iniziano nella fase di produzione agricola e si estendono in modo integrato nelle fasi di trasformazione, distribuzione, conservazione e somministrazione. Livelli di sicurezza adeguati non sono raggiungibili se non si adottano misure operative integrate concertate e verificate a livello internazionale, comunitario, nazionale e locale. Gli obiettivi prioritari sono i seguenti: definire una politica della sicurezza degli alimenti e della salute e del benessere degli animali basata sulla valutazione e la gestione del rischio che consenta di uscire gradualmente dalla logica dell'emergenza, realizzando una politica fondata su obbiettivi di sicurezza e di salute misurabili e verificati; ridurre i rischi connessi al consumo degli alimenti ed alle zoonosi, assicurando alti livelli di sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti ai consumatori italiani; ridurre l'incidenza delle zoonosi e delle malattie diffusive nelle popolazioni degli animali domestici, con particolare riferimento alle infezioni della lista A dell'OIE, alla brucellosi bovina, ovi-caprina e bufalina ed alla tubercolosi, nonche' alle encefalopatie spongiformi trasmissibili. Il perseguimento degli obiettivi posti richiede l'attenzione agli strumenti organizzativi e l'attuazione di numerosi programmi operativi. In particolare, e' necessario garantire un sistema che: fornisca la consulenza ed il supporto tecnico e scientifico per le attivita' di pianificazione e legislazione nei settori che hanno un impatto diretto o indiretto sulla sicurezza degli alimenti destinati all'uomo ed agli animali, nonche' sulla salute ed il benessere degli animali; rappresenti l'interfaccia operativa nazionale dell'Autorita' europea degli alimenti, che ha visto l'avvio con l'inizio del 2002, e costituisce un importante modello di coordinamento istituzionale dei diversi soggetti tenuti a collaborare in vista del raggiungimento dell'obiettivo di sicurezza alimentare nell'Unione Europea. All'Autorita' europea, soggetto indipendente che agisce secondo il principio dell'elevata qualita' scientifica e della trasparenza, e' attribuito il compito fondamentale dell'analisi scientifica del rischio su cui fondare le decisioni politiche e amministrative. L'Autorita' Europea cura in particolare l'analisi scientifica e la valutazione del rischio, la comunicazione del rischio per consentire una chiara comprensione dello stesso e delle implicazioni sottostanti e il sistema di allerta; raccolga e analizzi i dati che permettono la caratterizzazione ed il monitoraggio dei rischi per la sicurezza alimentare che hanno un impatto diretto o indiretto sulla sicurezza degli alimenti destinati all'uomo ed agli animali e sulla salute ed il benessere di questi ultimi; assicuri le analisi e valutazioni scientifiche che servono come base scientifica per l'azione legislativa e regolamentare nei campi della sicurezza degli alimenti, della salute e del benessere degli animali; realizzi un sistema di auditing per la verifica dell'efficacia del sistema nazionale del controllo ufficiale degli alimenti e delle popolazioni animali, conformemente ai requisiti stabiliti da norme riconosciute a livello internazionale (OIE, Codex, ISO EN) che permettono di misurare la qualita' del servizio/prodotto; organizzi un sistema per la gestione delle emergenze veterinarie, soprattutto per quelle ad andamento prevalentemente diffusivo, coordinato a livello nazionale ed in grado di mobilitare le risorse necessarie ove occorrano, nei tempi e nei modi adeguati alle esigenze. Particolare attenzione dovra' essere rivolta agli strumenti di mobilitazione delle risorse umane ed al reperimento delle attrezzature necessarie, anche, ove indispensabile, mediante la mobilitazione della protezione civile ed ai sistemi di abbattimento e distruzione delle carcasse animali; migliori in modo significativo il sistema di sorveglianza epidemiologica nazionale nel settore della sicurezza degli alimenti, della salute e del benessere degli animali e delle zoonosi, attui concretamente un programma di formazione straordinario per favorire la realizzazione di sistemi di gestione ed assicurazione della qualita' nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale e assumere comportamenti che assicurino omogeneita' di prestazioni su tutto il territorio nazionale. In particolare deve essere assicurato l'accreditamento dei servizi di Sanita' pubblica secondo norme di assicurazione della qualita' riconosciute a livello internazionale. L'accreditamento e' indispensabile per poter continuare nel medio-lungo termine le attivita' di certificazione, indispensabili per la libera circolazione degli animali e degli alimenti in ambito internazionale. Le attivita' di formazione devono, inoltre, essere indirizzate all'introduzione e utilizzazione della sorveglianza epidemiologica e dell'analisi del rischio. Nel settore della sicurezza alimentare, piu' che in molti altri settori, il raggiungimento degli obbiettivi posti e' fortemente condizionato dal contesto internazionale e comunitario. E' indispensabile, pertanto, creare le condizioni, sia a livello nazionale che a livello comunitario ed internazionale, che consentano il perseguimento degli obbiettivi e delle azioni identificate. In particolare: gli obiettivi di sicurezza degli alimenti e di salute e benessere degli animali devono essere individuati in modo esplicito e trasparente e verificati sistematicamente, assicurando l'efficace integrazione del controllo pubblico con l'effettiva attribuzione di responsabilita' agli operatori economici della produzione primaria, della trasformazione, e del commercio degli alimenti; l'attuale revisione delle politiche di sicurezza degli alimenti, in ambito dell'Unione Europea deve tenere conto delle peculiarita' del sistema di produzione agro-alimentare dell'Italia; la partecipazione dell'Italia alle attivita' delle Organizzazioni internazionali che operano nel campo della sicurezza degli alimenti e della salute e al benessere degli animali deve essere rafforzata; la collaborazione dell'Italia con i Paesi dai quali il sistema agro-industriale italiano si approvvigiona, deve essere rafforzata, dando alla cooperazione internazionale un ruolo piu' importante ed organico. 6. La salute e il sociale Nessun sistema sanitario, per quanto tecnicamente avanzato, puo' soddisfare a pieno la propria missione se non e' rispettoso dei principi fondamentali di solidarieta' sociale e di integrazione socio-sanitaria. 6.1. Le fasce di poverta' e di emarginazione Numerosi studi hanno documentato che la mortalita' in Italia, come in altri Stati, cresce con il crescere dello svantaggio sociale. Alcuni studi mostrano che le diseguaglianze nella mortalita' non si riducono nel tempo, anzi sembrano ampliarsi, almeno tra gli uomini adulti. Effetti diretti della poverta' e dell'emarginazione sono misurabili sulla mortalita' delle persone e delle famiglie assistite dai servizi sociali per problemi di esclusione (malattie mentali, dipendenze, poverta', disoccupazione), che in alcune zone presentano uno svantaggio nella aspettativa di vita di 13 anni per gli uomini e 7 per le donne, rispetto al resto della popolazione. Le cause di morte e di malattia piu' frequentemente associate alle differenze sociali sono quelle correlate alle dipendenze e al disagio sociale (droga, alcool e fumo), quelle legate a storie di vita particolarmente svantaggiate (malattie respiratorie e tumori allo stomaco), quelle che hanno a che fare con la prevenzione nei luoghi di lavoro o sulla strada (incidenti), quelle correlate con la scarsa qualita' dell'assistenza sanitaria (morti evitabili) e, in minore misura, quelle ischemiche del cuore. Un'associazione con la condizione socio-economica, misurata in base al livello d'istruzione della madre, e' stata osservata anche per il peso alla nascita; la probabilita' di mettere al mondo un bambino sotto peso risulta 1,5 volte maggiore per le madri con un basso livello di istruzione (scuola elementare), rispetto alle madri con un livello di studi universitari. Per quanto riguarda il ruolo del sistema sanitario sono documentati svantaggi sociali sia nell'accesso alla prevenzione primaria e alla diagnosi precoce, sia nell'accesso a cure tempestive ed appropriate. Per quanto riguarda la prevenzione primaria si possono citare le diseguaglianze fra il Nord e il Sud d'Italia nella prevenzione della carie dentaria e nella pratica delle vaccinazioni obbligatorie nei bambini tra i 12 e i 24 mesi. Nel campo della prevenzione secondaria occorre ricordare il minore ricorso allo screening dei tumori femminili delle donne meno istruite. Rispetto all'accesso alle cure, merita ricordare le diseguaglianze nella sopravvivenza per tumori a favore delle sedi che dispongono di strutture sanitarie in grado di erogare trattamenti piu' efficaci. Altri indizi di discriminazione sono ricavabili dall'esame dell'accesso al by-pass coronarico o alle cure per l'AIDS, o del ricorso ad una ospedalizzazione inappropriata, che risultano a vantaggio delle persone di piu' alto stato sociale. In generale, i gruppi di popolazione che meritano piu' attenzione, per gli svantaggi sociali che li caratterizzano sono: i bambini e i ragazzi poveri (0-18 anni), gli anziani poveri (piu' di 65 anni), le madri sole con figli a carico, i disoccupati di lunga durata (piu' di un anno), i disoccupati giovani (15-24 anni), gli stranieri immigrati da Paesi poveri a forte pressione migratoria, i tossicodipendenti, gli alcoolisti e i senza fissa dimora, cioe' da un lato i gruppi che sono piu' esposti alla marginalita' sociale (si tratta di bambini, adulti e anziani in difficolta' e in poverta), dall'altro gli emarginati estremi (i senza fissa dimora), e nel mezzo le categorie come quelle delle persone affette da una dipendenza (gli alcoolisti o i tossicodipendenti) e quelle degli stranieri immigrati che cercano di inserirsi nella societa' italiana con un nuovo progetto di vita. Secondo gli obiettivi adottati dall'OMS nel 1999, il divario nella salute tra diversi gruppi socio-economici dovrebbe essere ridotto, entro l'anno 2020, di almeno un quarto. In particolare il divario in termini di aspettativa di vita tra i vari gruppi socio-economici dovrebbe essere ridotto di almeno il 25%, e i valori dei principali indicatori di morbilita', disabilita' e mortalita' nei diversi gruppi socio-economici dovrebbero essere distribuiti piu' uniformemente. Inoltre, dovrebbero essere migliorate le condizioni socio-economiche che possono produrre effetti dannosi per la salute, quali il basso reddito, bassi livelli di istruzione e limitato accesso al mondo del lavoro, cosi' da ridurre la percentuale di persone che vivono in poverta'. Infine, i soggetti che hanno bisogni speciali, in ragione delle proprie condizioni di salute, dovrebbero essere protetti dall'esclusione e fruire di un agevole accesso a cure appropriate. Le azioni prioritarie per conseguire questi obiettivi riguardano in primo luogo gli interventi sulle cause che generano le disuguaglianze nella salute soprattutto per quanto riguarda i bambini in poverta' e le madri sole con figli a carico, i disoccupati, gli stranieri immigrati ed altri gruppi. E' ben noto che la lotta alla poverta' e' uno degli strumenti piu' efficaci per migliorare lo stato di salute. Si tratta, quindi, di misure di carattere sociale tipiche dello Stato assistenziale per contrastare la poverta' le quali non rientrano direttamente nella competenza del Servizio Sanitario Nazionale. E', quindi, molto importante l'efficace collegamento delle politiche finalizzate alla riduzione delle disuguaglianze nello stato di salute derivanti dalla poverta' con le politiche di sviluppo economico e sociale. Nell'ambito piu' specificamente sanitario si tratta, in particolare, di assicurare l'accesso ai servizi sanitari superando, attraverso idonee modifiche organizzative ed appositi programmi di attivita', le barriere di conoscenza ed, in alcuni casi, linguistiche che si frappongono alla fruibilita' dei servizi sanitari. Specifici programmi di formazione e obiettivi di qualita' per il personale addetto sono auspicabili. Un'altra serie di interventi di carattere piu' strettamente sanitario riguarda quelli finalizzati al contenimento dei danni delle disuguaglianze (specie per gli anziani poveri e i soggetti dipendenti da sostanze o alcool), nonche' ad interrompere i processi di esclusione che nascono da problemi di salute, quali l'istituzionalizzazione degli anziani poveri e la segregazione dei malati poveri. Si richiamano qui, in quanto rilevanti, integralmente le analisi e le proposte sviluppate nel presente Piano in materia di: (i) malati cronici, anziani e disabili (Parte I, Sezione 2.2); (ii) stili di vita salutari, prevenzione e comunicazione pubblica sulla salute (Parte I, Sezione 2.9); (iii) salute mentale (Parte II, Sezione 6.3); (iv) tossicodipendenze (Parte II, Sezione 6.4); e (v) salute degli immigrati (Parte II, Sezione 6.6). Prezioso in tale ambito e specialmente per l'assistenza dei senza fissa dimora, e' la collaborazione tra le strutture del Servizio Sanitario Nazionale e le Organizzazioni del volontariato che dispongono di una maggiore flessibilita' e capacita' di integrazione con questo gruppo di emarginati. La messa a punto di incentivi a carattere settoriale ed intersettoriale per facilitare azioni congiunte e' fortemente auspicabile. Infine, e' molto importante continuare l'approfondimento dei determinanti sociali, economici ed ambientali piu' direttamente collegati con i problemi della salute, associati alla poverta', e la sistematica valutazione delle diverse iniziative ed opportunita' per alleviare o rimuovere le difficolta' esistenti. 6.2. La salute del neonato, del bambino e dell'adolescente Premesso che il Progetto Obiettivo Materno-Infantile del PSN 1998-2000 ancora non ha avuto piena applicazione, pur conservando in linea di massima la sua validita', vengono focalizzati in questo capitolo solo alcuni aspetti che riguardano la salute del bambino. Dal 1975 ad oggi il tasso di mortalita' infantile (morti entro il primo anno di vita per 1.000 nati vivi) in Italia e' sceso di piu' del 76%, dal 20,5 del 1975 al 4,9/1.000 del 1999. Si tratta di uno dei piu' significativi miglioramenti registrati nell'Europa occidentale durante questo periodo. Tuttavia vi sono ancora notevoli differenze tra le Regioni italiane: in alcune Regioni meridionali (Puglia, Sicilia, Basilicata) il tasso di mortalita' infantile nel 1999 era di 7,33/1.000 nati vivi, rispetto al 3,0 delle Regioni con il tasso di mortalita' piu' basso (Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia). La mortalita' neonatale (entro le prime quattro settimane di vita, ed in particolare entro la prima) piu' elevata nelle Regioni del Centro-Sud, e' responsabile della maggior parte di tale mortalita'. Obiettivo fondamentale e' quindi innanzitutto ridurre le disparita' regionali nei tassi di mortalita' neonatale, avvicinando la media nazionale a quella della regione con indice di mortalita' piu' basso. Per quanto riguarda la mortalita' nel primo anno di vita, le malformazioni congenite rappresentano, insieme alla prematurita', l'83% di tutte le cause. Confronti sulla base dei registri della popolazione in alcune aree d'Italia che partecipano alla rete EUROCAT (´European Registration of Congenital Anomaliesª), indicano che il tasso di malformazioni congenite in Italia e' simile a quello di altre aree d'Europa. Nella valutazione dello stato di salute della popolazione infantile un importante indicatore e' il peso alla nascita dei neonati a termine. Esso e' influenzato dallo stato sociale e da altri fattori come il fumo. In Italia il tasso di basso peso alla nascita nel 1995 era del 4,7% (4,1% maschi e 5,3% femmine, dati ISTAT). L'incidenza di basso peso alla nascita non e' cambiata in maniera significativa nel corso degli ultimi 15 anni. Per raggiungere l'obiettivo adottato dall'OMS per l'anno 2020, la prevalenza dei bambini sottopeso alla nascita dovrebbe diminuire al valore globale di 3,8% (3,3% per i maschi e 4,2% per le femmine). La tutela della salute del prodotto del concepimento deve iniziare gia' in epoca preconcezionale e deve realizzarsi gia' con il coinvolgimento dei medici di famiglia, dei pediatri di libera scelta, della scuola, dei centri di aggregazione sociale e dei mezzi di comunicazione di massa. La promozione della salute consiste nel dare corrette informazioni sul possibile rischio genetico, sulla contraccezione, sulla necessita' di abolire il fumo, l'alcool e le droghe, sulle problematiche della nutrizione, sulla necessita' di profilassi con acido folico e di un supporto sociale ed emozionale tempestivo. Vanno inoltre date precise informazioni sull'esistenza nel territorio di reparti e centri ostetrici-neonatologici specificamente indirizzati all'assistenza delle gravidanze normali e ad alto rischio. Infatti, un fattore molto importante per prevenire le patologie del prodotto del concepimento e' certamente la promozione dell'assistenza preconcezionale al fine di ridurre i fattori di rischio ed in particolare la prematurita'. L'educazione a comportamenti corretti in gravidanza, soprattutto per quanto riguarda il fumo, e' a tal riguardo di fondamentale importanza. Esistono, inoltre, molte disuguaglianze sul piano organizzativo e gestionale nelle strutture dove avviene la nascita e questo pesa negativamente sulla mortalita' perinatale e sugli esiti a distanza (handicap). Occorre anche ridurre le morti improvvise in culla, prima causa di mortalita' infantile dopo la prima settimana di vita, attraverso campagne informative atte a ridurre i fattori di rischio. Per quanto riguarda il gruppo di eta' tra 1 e 14 anni, il tasso di mortalita' ha mostrato un importante declino negli ultimi 25 anni, da 49,9/100.000 all'attuale 19,7. Le maggiori cause di morte in questo gruppo di eta' sono gli incidenti (5/100.000) e il cancro (5/100.000). Le differenze geografiche riscontrate in Italia nel 1997 indicano una mortalita' piu' elevata (+14% circa) al Sud che al Nord. L'obiettivo della riduzione della mortalita' per incidenti, sia domestici che stradali, deve prevedere misure legislative, di controllo, ed una forte campagna di prevenzione con misure di educazione stradale e di sicurezza in casa e nelle scuole. Le condizioni morbose croniche prevalenti nei bambini e negli adolescenti sia in Italia che nel resto dell'Europa, con un andamento in continua crescita, sono l'asma e l'obesita'. E' significativo che le due condizioni morbose piu' frequenti siano legate a problematiche ambientali e a comportamenti alimentari errati, rispettivamente: la prevenzione, in termini di salvaguardia ambientale (con lotta all'inquinamento e al fumo passivo) e di educazione alimentare nella popolazione, deve essere l'obiettivo fondamentale della politica sanitaria per l'immediato futuro. In Italia si riscontra una bassa percentuale di gravidanze in eta' adolescenziale (2,25%), paragonabile ai tassi osservati in altri Paesi europei quali Germania, Danimarca, Finlandia, Svezia e Francia. I dati riguardanti le Regioni italiane relativi al 1995 mostrano marcate differenze geografiche: nelle Regioni meridionali si registra una percentuale piu' elevata di gravidanze in eta' adolescenziale in confronto alle Regioni del Nord anche se questo avviene nel contesto di unioni legali. Obiettivo di questo settore dovra' essere la prevenzione primaria delle gravidanze non desiderate in eta' adolescenziale con una appropriata educazione sessuale, che deve vedere coinvolti tutti gli educatori e il personale sociosanitario, accanto alle famiglie, nell'ambito di un progetto di educazione volto alla procreazione responsabile e alla prevenzione delle malattie trasmissibili per via sessuale. La rete ospedaliera pediatrica, malgrado i tentativi di razionalizzazione, appare ancora decisamente ipertrofica rispetto ad altri Paesi europei, con un numero di strutture pari a 504 nell'anno 1999, mentre la presenza del pediatra dove nasce e si ricovera un bambino e' garantita nel 50% degli Ospedali, l'attivita' di pronto soccorso pediatrico e' presente solo nel 30% degli Ospedali. La guardia medico-ostetrica 24 ore su 24 nelle strutture dove avviene il parto e' garantita solo nel 45% dei reparti. Inoltre, malgrado la forte diminuzione della natalita', il numero dei punti nascita e' ancora molto elevato, 605 in strutture pubbliche o private accreditate: tra queste poco meno della meta' ha meno di 500 parti all'anno, soprattutto nelle Regioni del Sud del Paese. L'attuale organizzazione ospedaliera, insieme alla mancanza di una continuita' assistenziale sul territorio, ha determinato, nel 1999 un tasso di ospedalizzazione del 119 %, un valore significativamente piu' elevato rispetto a quello dei Paesi europei, quali ad esempio il Regno Unito (51 %) e la Spagna (60 %). E' necessario aggiungere che i fattori sopra indicati hanno una distribuzione geografica diversa, e sono tra i piu' importanti determinanti delle differenze interregionali nei tassi di mortalita' infantile e neonatale a sfavore delle Regioni del Sud, anche sulla base di differenti sistemi organizzativi e gestionali delle unita' operative pediatriche. Gli stessi fattori condizionano anche l'elevato numero di parti per taglio cesareo nel nostro Paese, ben il 33% nel 1999, piu' frequenti nelle strutture del Centro-Sud con un basso numero di nati, fino a raggiungere in Campania il 51%, mentre le Regioni Trentino Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia hanno una percentuale di parti per taglio cesareo pari al 20%, valori di poco superiori a quelli riportati dalla maggior parte dei Paesi dell'Unione Europea. Fattori economici relativi al sistema di rimborso delle prestazioni come anche fattori organizzativi del sistema sanitario hanno contribuito in questi anni ad incrementare il ricorso al parto cesareo, a scapito di quello per via naturale. Peraltro, va notato che la pratica del parto indolore ancora non e' garantita in Italia dal Servizio Sanitario Nazionale, e cio' induce alcune gravide ad effettuare parto cesareo o a recarsi all'estero per partorire. Malgrado la Convenzione Internazionale di New York e la Carta Europea dei bambini degenti in ospedale (con la risoluzione del Parlamento Europeo del 1986), ancora piu' del 30% dei pazienti in eta' evolutiva viene ricoverato in reparti per adulti e non in area pediatrica. L'area pediatrica e' ´l'ambiente in cui il Servizio Sanitario Nazionale si prende cura della salute dell'infanzia con caratteristiche peculiari per il neonato, il bambino e l'adolescenteª. Gli obiettivi strategici: attivare i programmi specifici per la protezione della maternita' e migliorare l'assistenza ostetrica e pediatrico/neonatologica nel periodo perinatale; educare alla salute e all'igiene i giovani e le famiglie, col contributo essenziale della scuola e degli enti territoriali e dei servizi socio-assistenziali competenti con particolare riguardo alla prevenzione dei maltrattamenti, abusi e sfruttamento minorile, dell'obesita', delle malattie sessualmente trasmesse, con particolare riguardo alla prevenzione della tossicodipendenza, e degli infortuni ed incidenti; valorizzare la centralita' di ruolo del pediatra di libera scelta e del medico di base nella definizione di percorsi diagnostico-terapeutici e la sua funzione di educazione sanitaria individuale; attivare in ogni Regione il Servizio di trasporto di emergenza dei neonati e delle gestanti a rischio; ridurre il tasso di ospedalizzazione con l'obiettivo di ridurlo del 10% per anno; elaborare Linee Guida e percorsi diagnostico-terapeutici condivisi anche in ambito locale con particolare attenzione alle patologie che comportano il maggior numero di ricoveri in eta' pediatrica e alle patologie chirurgiche piu' a rischio di interventi inappropriati; diminuire la frequenza dei parti per taglio cesareo, e ridurre le forti differenze regionali attualmente esistenti, arrivando entro il triennio ad un valore nazionale pari al 20%, in linea con i valori medi degli altri Paesi europei, anche tramite una revisione dei DRG relativi; ottimizzare il numero dei punti nascita; riqualificare i consultori-ambulatori che operino sul territorio ed in ospedale gia' in epoca preconcezionale per una promozione attiva di tutte le iniziative atte a ridurre i rischi durante la gravidanza; promuovere campagne informative rivolte alle gestanti e alle puerpere sulle norme comportamentali di prevenzione quali la promozione dell'allattamento al seno, l'estensione delle vaccinazioni, il corretto trasporto in auto del bambino, ricordando l'importanza della prevenzione della morte in culla del lattante: posizione nel sonno supina, evitare il fumo di sigaretta e temperature ambientali elevate. 6.3. La salute mentale I problemi relativi alla salute mentale rivestono, in tutti i Paesi industrializzati, un'importanza crescente, perche' la loro prevalenza mostra un trend in aumento e perche' ad essi si associa un elevato carico di disabilita' e di costi economici e sociali, che pesa sui pazienti, sui loro familiari e sulla collettivita'. Numerose evidenze tratte dalla letteratura scientifica internazionale segnalano che nell'arco di un anno il 20% circa della popolazione adulta presenta uno o piu' dei disturbi mentali elencati nella Classificazione Internazionale delle Malattie dell'Organizzazione Mondiale della Sanita'. Tra i disturbi mentali piu' frequenti vi sono i disturbi d'ansia, il cui tasso di prevalenza supera il 15%, con un incremento degli attacchi di panico e delle forme ossessivo-compulsive. La depressione nelle sue varie forme cliniche colpisce tutte le fasce d'eta' e il tasso di prevalenza supera il 10%. Spesso depressione e disturbi d'ansia coesistono. Significativa anche la prevalenza dei disturbi della personalita' e dei disturbi dell'alimentazione (anoressia e bulimia). Il tasso di prevalenza delle psicosi schizofreniche, che rappresentano senza dubbio uno dei piu' gravi disturbi mentali, e' pari a circa lo 0,5%. Occorre considerare, inoltre, i disturbi mentali che affliggono la popolazione anziana, soprattutto le demenze nelle loro diverse espressioni. Va segnalata, infine, la complessa problematica relativa alle condizioni di comorbidita' tra disturbi psichiatrici e disturbi da abuso di sostanze e tra disturbi psichiatrici e patologie organiche (con particolare riferimento alle patologie cronico-degenerative: neoplasie, infezione da HIV, malattie degenerative del Sistema Nervoso Centrale). Recenti studi hanno documentato che molti disturbi mentali dell'eta' adulta sono preceduti da disturbi dell'eta' evolutiva-adolescenziale. In particolare, l'8% circa dei bambini e degli adolescenti presenta un disturbo mentale, che puo' determinare difficolta' interpersonali e disadattamento; non va dimenticato che il suicidio rappresenta la seconda causa di morte tra gli adolescenti. Le condizioni cliniche citate presentano un differente indice di disabilita': i disturbi ansioso-depressivi, pur numerosi, possono, quando appropriatamente trattati, presentare una durata e gradi di disabilita' non marcati, anche se alcuni casi di sindrome ossessivo-compulsiva o di agorafobia sono seriamente invalidanti. D'altro canto le psicosi (schizofreniche, affettive e le depressioni maggiori ricorrenti) impegnano i servizi sanitari e sociali in maniera massiccia, per via della gravita', del rischio di suicidio, della lunga durata e delle disabilita' marcate che le caratterizzano. Nel nostro Paese, il processo di adeguamento dell'assistenza psichiatrica alle necessita' reali dei malati ed agli orientamenti piu' attuali della sanita' pubblica, avviato con la legge 23 dicembre 1978, n. 833, ha determinato l'integrazione dell'assistenza psichiatrica nel Servizio Sanitario Nazionale, l'orientamento comunitario dell'assistenza alle persone con disturbi mentali, il superamento del modello custodialistico rappresentato dall'Ospedale Psichiatrico. Le aree critiche che si rilevano nella tutela della salute mentale, al momento attuale, sono: la disomogenea distribuzione dei Servizi sul territorio nazionale, con particolare riferimento ai Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura ospedalieri, ai Centri Diurni ed alle Strutture Residenziali per attivita' riabilitative, insieme ad una mancanza di coordinamento fra i servizi sociali e sanitari per l'eta' evolutiva, i servizi per gli adulti ed i servizi per i soggetti anziani; la mancanza di un numero adeguato di Strutture residenziali per le condizioni psichiatriche che prevedono una piu' elevata intensita' e durata dell'intervento riabilitativo; la carenza di sistemi informativi nazionali e regionali per il monitoraggio quali-quantitativo delle prestazioni erogate e dei bisogni di salute della popolazione; la scarsa diffusione delle conoscenze scientifiche in materia di interventi basati su prove di efficacia e la relativa adozione di Linee Guida da parte dei servizi, nonche' di parametri per l'accreditamento delle strutture assistenziali pubbliche e private; la presenza di pregiudizi ed atteggiamenti di esclusione sociale nella popolazione; la scarsa attenzione alla prevenzione primaria e secondaria, ai problemi della salute mentale in eta' evolutiva e nell'eta' ´di confineª, che si concretizza in un'offerta di servizi insufficiente ed alla quale e' utile rispondere anche con il contributo, almeno in fase sperimentale, di strutture accreditate del privato sociale ed imprenditoriale; la carente gestione delle condizioni di comorbidita' tra disturbi psichiatrici e disturbi da abuso di sostanze, e tra disturbi psichiatrici e patologie organiche; la scarsa attenzione alla presenza di disturbi mentali nelle carceri. Tale evidenza segnala l'importanza della sperimentazione in corso in alcune Regioni sulla base di quanto previsto dal Decreto Legislativo 22 giugno 1999, n. 230, e dal relativo progetto obiettivo, anche ai fini della valutazione della rispondenza del modello organizzativo ivi delineato. Gli obiettivi strategici da realizzare sono rappresentati da: la riduzione dei comportamenti suicidari, con particolare attenzione all'eta' adolescenziale e a quella anziana; la riduzione delle interruzioni non concordate di trattamento, mediante attuazione di programmi terapeutico-riabilitativi multidisciplinari integrati in risposta ai bisogni di salute mentale dei pazienti e delle famiglie; la riduzione dei tempi d'attesa per l'accesso ai trattamenti, ivi compresi quelli psicoterapici; il miglioramento delle conoscenze epidemiologiche sui bisogni di salute mentale nella popolazione e sull'efficacia degli interventi; la promozione della salute mentale nell'intero ciclo della vita, garantendo l'integrazione tra servizi sanitari e sociali - pubblici e del privato sociale ed imprenditoriale - con particolare riferimento agli interventi a favore dei soggetti maggiormente a rischio; la cooperazione dei servizi di salute mentale con soggetti non istituzionali (Associazioni dei familiari, dei pazienti, volontariato, Associazioni di Advocacy), il privato sociale ed imprenditoriale; la promozione dell'informazione e della conoscenza sulle malattie mentali nella popolazione, al fine di: 1) realizzare interventi di prevenzione primaria e secondaria (informazione sui disturbi mentali, sui servizi, collegamenti tra le strutture sanitarie, i servizi sociali, le scuole, le associazioni di volontariato); 2) incrementare la lotta allo stigma verso la malattia mentale e la promozione di una maggiore solidarieta' nei confronti delle persone affette da disturbi mentali gravi; 3) diffondere e sviluppare la cultura del volontariato, dell'associazionismo, dell'auto-aiuto, per uno sforzo congiunto nella cura delle malattie mentali. Inoltre e' necessario pianificare azioni volte a: ridurre le disomogeneita' nella distribuzione dei servizi all'interno del territorio nazionale superando le discrepanze esistenti tra il nord e il sud del Paese ed all'interno delle singole realta' regionali; concludere il processo di superamento dei manicomi pubblici e privati superando, finalmente, qualunque approccio custodialistico; pianificare interventi di prevenzione, diagnosi precoce e terapia dei disturbi mentali in eta' infantile ed adolescenziale attivando stretti collegamenti funzionali tra strutture a carattere sanitario (neuropsichiatria infantile, dipartimento materno-infantile, pediatria di base), ed altri servizi sociali ed Istituzioni a carattere educativo, scolastico e giudiziario; assicurare la presa in carico e la continuita' terapeutica dei problemi di salute mentale del paziente, qualunque sia il punto di accesso; promuovere la formazione e l'aggiornamento continuo di tutto il personale operante nel campo della salute mentale; attuare interventi di sostegno ai gruppi di auto-aiuto di familiari e di pazienti; attivare interventi per la prevenzione e cura del disagio psichico nelle carceri, secondo quanto previsto dal Decreto Legislativo 22 giugno 1999, n. 230; aumentare l'accessibilita' dei servizi, superando procedure farraginose e burocratiche, per garantire tempestivita' nelle risposte; migliorare l'assetto del DSM ai fini di una maggiore flessibilita' nell'attuazione dei percorsi di cura, soprattutto per i pazienti affetti da disturbi mentali gravi; rinforzare la rete di interventi domiciliari, anche in situazioni di urgenza, e sviluppare una forte continuita' terapeutico-assistenziale; incrementare la dotazione di strutture semiresidenziali e residenziali, a differente gradiente di intensita' riabilitativa e assistenziale, finalizzate agli interventi sulle disabilita' ed all'integrazione familiare e sociale; sviluppare strategie di intervento precoce, al fine di ridurre il tempo che intercorre tra l'esordio della patologia e la presa in carico, migliorando cosi' sensibilmente le prospettive di guarigione; definire in modo piu' appropriato le procedure per gli accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori, specificando le responsabilita' e le titolarita' dell'intervento, senza abbassare i livelli di garanzia per il paziente ma rinforzandoli in relazione al diritto all'accesso ad una cura tempestiva ed efficace; mettere in atto programmi adeguati per il sostegno alle famiglie ai fini di non disperdere risorse e relazioni che sono fondamentali nei processi di cura; coniugare gli aspetti organizzativi con la possibilita' che il paziente sia partecipe ad ogni livello del programma d'intervento, anche attraverso la scelta consapevole del luogo di cura e del curante per migliorare la adesione al trattamento; mettere in campo nuovi strumenti per l'integrazione sociale e lavorativa del paziente, nel contesto del tessuto sociale e non in surrogati di esso, superando barriere e stigmatizzazioni che ancora oggi riducono le opportunita' per pazienti e familiari; migliorare il funzionamento in rete dei servizi, pubblici e privati, puntando all'integrazione e all'incremento della qualita' dell'assistenza erogata; favorire il coinvolgimento dei pazienti e delle associazioni dei familiari nella individuazione delle priorita' e nella verifica di efficienza dei servizi; sviluppare adeguate iniziative di formazione ed aggiornamento, per migliorare costantemente la competenza e la motivazione degli operatori. 6.4. Le tossicodipendenze In un tessuto sociale, educativo e culturale fortemente segnato dalla crisi della famiglia e dai modelli di deresponsabilizzazione individuale e talora istituzionale, nonche' di solitudine subita e talora ricercata, la diffusione dei vari tipi di droghe interessa un numero considerevole di giovani e di giovanissimi troppo spesso inconsapevoli dei pericoli cui vanno incontro, ma anche privi di stimoli ed orientamenti positivi per la propria vita. Adeguate strategie pubbliche contro la droga richiedono che le Amministrazioni dello Stato promuovano una cultura istituzionale idonea a contrastare l'idea della sostanziale innocuita' delle droghe e l'atmosfera di ´normalitaª in cui il loro uso, non di rado, si diffonde determinando un pericoloso abbassamento dell'allarme sociale, fattori questi che contribuiscono a determinare un oggettivo vantaggio per il mercato criminale nell'offerta di droghe. Asse portante della nuova linea di politica sociale in materia di droghe dovra' essere, pertanto, la considerazione che la tossicodipendenza e l'uso delle sostanze illecite non possono essere fronteggiati con scelte tecnico-politiche fondate sul puro controllo farmacologico del problema. Si correrebbe in tal caso, e purtroppo si e' corso, il rischio di contribuire al rafforzamento di una condizione invalidante e di dipendenza cronica, rinunciando a perseguire l'obiettivo del pieno recupero personale e sociale della persona. Nel corso del mese di novembre 2001, di fronte al Comitato Interministeriale di Coordinamento per l'azione anti-droga, costituito ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, si e' insediato il Commissario straordinario di Governo, in qualita' di responsabile del Dipartimento Nazionale per le Politiche Antidroga, che avra' il compito di coordinare le politiche e le competenze oggi distribuite in diversi Ministeri, cosi' da progettare un Piano Nazionale piu' incisivo ed efficace. Le azioni e gli interventi indicati di seguito sono quelli contenuti nel Piano predisposto e approvato dal Governo il 14 febbraio 2002, che avranno attuazione con il coinvolgimento di tutte le componenti istituzionali direttamente interessate. Alla luce dei dati piu' recenti e' possibile affermare che il fenomeno della tossicodipendenza riguarda oggi, in misura largamente prevalente, l'uso contemporaneo di piu' sostanze, dalle cosiddette droghe leggere, alle amfetamine, all'eroina e alla cocaina. E' anche accertato come l'eta' del primo approccio con le sostanze sia in continua e progressiva diminuzione: recenti ricerche hanno posto in evidenza come essa sia collocabile, per la stragrande maggioranza dei consumatori di droghe, fra gli 11 e i 17 anni, con la media della ´prima esperienzaª stabilizzata ormai al di sotto dei 13 anni. Dai dati ufficiali risulta inoltre che: il consumo di eroina, nonostante in alcune zone del Paese il trend dei nuovi consumatori di tale sostanza sia in contrazione, e' in aumento, specialmente attraverso nuove modalita' di assunzione (fumo, inalazione); continua il progressivo aumento, peraltro gia' rilevato, del consumo di cocaina, che da droga di ´eliteª si e' trasformata rapidamente in una droga di massa. L'assunzione della sostanza riguarda, infatti, fasce sempre piu' diversificate e giovani di utilizzatori; si evidenzia un costante aumento dei consumi di ´ecstasyª e di amfetamine, come indirettamente confermato dall'aumento esponenziale dei sequestri di questo tipo di droghe; il consumo di cannabinoidi coinvolge ormai, secondo le statistiche piu' attendibili, oltre un terzo degli adolescenti ed e' un comportamento considerato ´normaleª da una parte consistente dell'opinione pubblica, dei mezzi di informazione e perfino da alcuni soggetti istituzionali. Panorama internazionale. L'andamento del fenomeno negli altri Paesi dell'Unione Europea non si discosta significativamente dalla situazione italiana con punte di forte diffusione del consumo di sostanze sintetiche in Gran Bretagna e nei Paesi Bassi, di cannabis in Francia e Spagna e di eroina in Germania. Al fine di contrastare tale situazione, e facendo seguito agli impegni sottoscritti in occasione dell'Assemblea generale dell'ONU (giugno 1998), il Consiglio Europeo ha adottato ufficialmente (giugno 2000) un Piano d'Azione sulle droghe per gli anni 2000-2004, indicando con precisione i seguenti sei obiettivi strategici ed impegnando i Paesi aderenti al loro integrale recepimento: ridurre in misura rilevante, nell'arco di cinque anni, il consumo di droghe illecite e il numero di nuovi consumatori, soprattutto tra i giovani di eta' inferiore ai diciotto anni; abbassare in misura sostanziale l'incidenza dei danni causati alla salute dall'uso di sostanze stupefacenti nonche', conseguentemente, anche il numero di decessi correlati all'uso di droghe; aumentare in misura rilevante il numero dei tossicodipendenti sottoposti con successo a trattamento; diminuire considerevolmente la reperibilita' di droghe illecite; ridurre in misura significativa il numero di reati correlati alla droga; contrastare in maniera sempre piu' efficace il riciclaggio di denaro sporco ed il traffico illecito delle sostanze chimiche impiegate nella produzione di droghe. Il contesto nazionale. Nel nostro Paese risultano attivi 555 SerT (Servizi per le Tossicodipendenze), che hanno in carico 150.400 soggetti tossicodipendenti; tale dato presenta un aumento di circa il 2,2% rispetto all'anno precedente. La maggioranza degli utenti dei SerT (81,4 %) e' dipendente principalmente da eroina, mentre i soggetti che fanno uso solamente di cannabis, ecstasy e cocaina costituiscono una percentuale del tutto irrilevante. Nelle strutture socio-riabilitative residenziali e semi-residenziali, gestite nella maggioranza dei casi da soggetti del privato sociale, risultano invece assistiti 19.465 soggetti; tale valore manifesta una diminuzione di circa l'1% rispetto all'anno precedente. Per quanto riguarda gli utenti dei SerT i dati mostrano una costante crescita dei trattamenti farmacologici con metadone, trattamenti che superano ormai la meta' dei casi seguiti (51,2% rispetto al 49,5% del 1999 e al 43% del 1995). All'interno dei trattamenti metadonici aumentano inoltre i casi di ´terapia di lunga durataª (30,9% nel 2001 rispetto al 27 del 1999) a scapito di quelli a breve termine (8,5% nel 2001 rispetto al 10,2% del 1999). I dati sopra riferiti evidenziano, in sostanza, come l'approccio farmacologico alla tossicodipendenza rappresenti la principale attivita' svolta dai SerT. Le nuove politiche del Governo in materia di tossicodipendenza. Il Governo italiano intende dare piena attuazione al piano di azione comunitario e degli indirizzi ONU in materia di riduzione della domanda e dell'offerta di droga, potenziando, in coerenza con quanto affermato nel DPEF 2002-2006, le iniziative orientate alla prevenzione della tossicodipendenza, al recupero del valore della persona nella sua interezza e al suo reinserimento a pieno titolo nella societa' e nel mondo del lavoro. Prevenzione del disagio giovanile e delle dipendenze. Gli interventi di prevenzione debbono rappresentare il punto centrale delle politiche sociali. Occorre, in particolare, ampliare e diversificare le tipologie di intervento e rivolgerle in modo efficace ad una piu' vasta platea di soggetti destinatari, considerato che il disagio giovanile non riguarda ormai piu' ´categorie a rischioª, ma puo' prodursi in maniera del tutto asintomatica e poi esplodere in forme di devianza imprevedibile, tra le quali, appunto, l'uso di sostanze stupefacenti e/o psicotrope. In tale ottica risulta, quindi, indispensabile definire un sistema coordinato ed integrato di interventi, che coinvolgano la societa' civile nel suo insieme e, in particolare, le principali agenzie educative: famiglia e scuola. Gli interventi debbono pertanto essere orientati, pur nelle differenti specificita' e contesti di riferimento, sia al sostegno della progettualita' e dell'autonomia dei giovani (in alternativa al modello massificante della droga) e alla realizzazione di un patto di intenti tra famiglia e scuola, nell'interesse del futuro dei giovani, libero dall'uso di qualunque sostanza. I progetti dovranno essere orientati a: promuovere lo sviluppo integrale della persona; offrire occasioni di miglioramento dei processi di partecipazione attiva e di riconoscimento della propria identita'; contribuire a creare consapevolezza e capacita' decisionali ed imprenditoriali nei giovani; offrire concrete occasioni di inserimento nel mondo della formazione e del lavoro; qualificare la vita in termini complessivi, come valore insostituibile. Per quanto riguarda, poi, le campagne informative, si intende fare riferimento a dati e ricerche autorevoli, scientificamente credibili e facilmente ´acquisibiliª dai giovani, evitando messaggi approssimativi e contraddittori. Una campagna di prevenzione non puo' ovviamente basarsi sulla sola informazione. Non ci si puo', infatti, limitare a spiegare la formula chimica di una droga ed i suoi effetti, ma occorre promuovere e illustrare stili di vita responsabili e rispettosi di se' e degli altri. Gli obiettivi della campagna informativa nazionale di prevenzione devono pertanto essere quelli di ridurre il consumo di droghe, promuovere stili di vita responsabili, valorizzare tra i giovani, coloro che non praticano comportamenti a rischio e fornire intelligente e valido sostegno a tutte le agenzie educative. Strutture socio-riabilitative. Le Istituzioni intendono assicurare la disponibilita' dei principali trattamenti relativi alla cura e alla riabilitazione dall'uso di sostanze stupefacenti e garantire la liberta' di scelta del cittadino/tossicodipendente e della sua famiglia di intraprendere i programmi riabilitativi presso qualunque struttura autorizzata su tutto il territorio nazionale, sia essa pubblica che del privato sociale. I tossicodipendenti in carcere. Un problema prioritario e' rappresentato dalle migliaia di detenuti tossicodipendenti ai quali occorre garantire il diritto di accedere, se ne fanno richiesta e secondo le normative vigenti, a percorsi riabilitativi alternativi alla detenzione. Si dovranno, pertanto, snellire le procedure amministrative e potenziare le presenze di educatori e volontari all'interno delle strutture penitenziarie, per motivare il maggior numero di tossicomani detenuti a scegliere la strada del cambiamento e della riabilitazione. Si rende, infine, necessaria la realizzazione di specifiche strutture ´a custodia attenuataª, inserite nel quadro del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria, gestite in collaborazione con le realta' del privato sociale e propedeutiche al successivo inserimento delle persone in programmi riabilitativi ´drug-freeª, sia presso il carcere che in comunita' vigilate. Reinserimento lavorativo. Un Piano di azione efficace e completo contro le dipendenze deve necessariamente prevedere la fase fondamentale del reinserimento lavorativo di coloro che hanno concluso con successo un programma di riabilitazione dalla tossicodipendenza. A tal fine il Governo intende incentivare i programmi riabilitativi che prevedano e/o includano, fra le finalita', azioni di formazione professionale orientate a facilitare l'inserimento nel mondo del lavoro degli ex-tossicodipendenti. Sono stati, in proposito, prioritariamente individuati i seguenti interventi: applicazione dell'Atto di Intesa Stato-Regioni, laddove esso prevede ´programmi di formazione ed avviamento al lavoro dei tossicodipendenti tramite l'inserimento in attivita' interne alle comunita' o in realta' esterne nell'ambito di accordi predefinitiª; inclusione degli ex-tossicodipendenti tra le ´categorie svantaggiateª previste dal comma 1, dell'art. 4 della legge 8 novembre 1991, n. 381, in materia di Cooperative Sociali; incentivazione all'avviamento di attivita' imprenditoriali da parte di ex-tossicodipendenti; ampliamento e miglioramento della normativa che prevede congrui periodi di aspettativa per i lavoratori che si sottopongono ad un programma riabilitativo in una struttura riconosciuta, eliminando la disparita' di trattamento tra i diversi contratti pubblici e privati. In sintesi quindi l'azione in questo campo deve tenere conto di due direttrici strategiche: la prima direttrice si snoda sulla valorizzazione delle buone esperienze gia' in atto nel sistema pubblico e nel privato sociale accreditato in materia di prevenzione, trattamento, cura e recupero del tossicodipendente; la seconda direttrice prevede, da parte del Ministero della Salute: 1) l'assunzione - nell'ambito delle linee strategiche definite dal ´Programma triennale del Governo per la lotta alla produzione, al traffico, allo spaccio ed al consumo di sostanze stupefacenti e psicotrope 2002-2004ª, e degli indirizzi definiti dal Dipartimento nazionale per le politiche anti-droga istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - di un ruolo di coordinamento del settore rispetto agli altri Ministeri coinvolti (Lavoro e Politiche Sociali, Istruzione, Beni Culturali, Comunicazioni, Giustizia, Interno); 2) la creazione del necessario raccordo programmatico con le Regioni, in quanto titolari di competenza in materia di tossicodipendenze; cio' dovra' aver luogo nel rispetto e valorizzazione dei legami specifici con il territorio che ciascuna Regione ha gia' in atto con il servizio pubblico e privato accreditato; 3) l'attivazione di momenti di verifica, valutazione e coordinamento delle informazioni inerenti i dati, gli indicatori sanitari e sociali, i risultati, le azioni svolte, sia dal sistema di risposta pubblico sia da parte di tutto il privato sociale. In conclusione si possono identificare i seguenti obiettivi prioritari: promuovere la partecipazione delle associazioni delle famiglie sin dal momento programmatorio, prevedendone il coinvolgimento nella logica dell'integrazione interistituzionale; inserire nel programma di abbattimento dell'uso e dell'abuso, oltreche' le sostanze illegali, anche la tematica della prevenzione dell'alcoolismo (soprattutto giovanile) e del tabagismo e estendere l'azione anche a settori innovativi di intervento come le dipendenze comportamentali (es.: gioco d'azzardo); attivare programmi di prevenzione e informazione nella scuola; promuovere e attivare sperimentazioni e ricerche su effetti, danni e patologie derivati da uso e abuso di sostanze stupefacenti; produrre Linee Guida e protocolli terapeutici per gli interventi in campo sociale e sanitario; attivare sinergie con le Forze dell'Ordine sia sulla repressione del fenomeno sia, soprattutto, sul loro ruolo fondamentale di prevenzione attraverso le informazioni, le analisi e i collegamenti internazionali; concordare con le Regioni le modalita' per il recupero globale della persona evitando quando possibile il ricorso esclusivo alla terapia farmacologica di lunga durata; attivare il monitoraggio delle informazioni e della comunicazione dei mass media e delle campagne della stampa quotidiana. 6.5. La sanita' penitenziaria Nell'anno 2000 le persone detenute erano 53.340 (51.074 uomini e 2.266 donne), nonostante le infrastrutture avessero una disponibilita' di 35.000 posti distribuiti nei 200 istituti esistenti. Dei suddetti detenuti 13.668 (25,63%) erano extracomunitari, 14.602 (27,38%) tossicodipendenti, di cui 1.548 (2,9% dei detenuti) sieropositivi per HIV (9,8% dei sieropositivi in AIDS conclamata), oltre 4.000 (7,5%) sofferenti di turbe psichiche e 695 (1,3%) alcooldipendenti. Nel 1999 la sanita' penitenziaria ha subito profonde modificazioni a seguito dell'emanazione del Decreto Legislativo 22 giugno 1999, n. 230, che stabilisce il trasferimento al Servizio Sanitario Nazionale delle competenze in tema di assistenza sanitaria ai detenuti e agli internati. Le funzioni sanitarie svolte dall'amministrazione penitenziaria con riferimento ai soli settori della prevenzione e dall'assistenza ai detenuti e agli internati tossicodipendenti sono gia' state trasferite al Servizio Sanitario Nazionale. Tra le problematiche sanitarie di piu' vasto impatto in ambito penitenziario, individuate anche dal Progetto Obiettivo, vi sono le malattie infettive (specialmente epatiti virali, HIV, tubercolosi, scabbia e dermatofitosi), le tossicodipendenze e la salute mentale. E' indispensabile prevedere misure di prevenzione, sistemi di sorveglianza e modalita' di trattamento. Per contrastare tali patologie e' di primaria importanza migliorare la formazione degli operatori sanitari e degli agenti di polizia penitenziaria e l'informazione dei detenuti. La crescente presenza nelle carceri di cittadini provenienti da altri Paesi rende opportuno prevedere la presenza di mediatori culturali, persone qualificate non soltanto sul piano linguistico, ma anche culturale, che consentano di superare le difficolta' nei rapporti con i detenuti. Obiettivi prioritari in questo campo sono i seguenti: attivare programmi di prevenzione primaria per la riduzione del disagio ambientale e rendere disponibili programmi di riabilitazione globale della persona; attivare programmi per la riduzione dell'incidenza delle malattie infettive fra i detenuti; migliorare la qualita' delle prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione a favore dei detenuti. 6.6. La salute degli immigrati Al 1ƒ gennaio 2001 gli stranieri ufficialmente registrati dal Ministero dell'Interno erano in Italia 1.338.153. Se si aggiungono ad essi i richiedenti il permesso di soggiorno, il numero complessivo di stranieri regolarmente presenti sul territorio risulta di 1.686.606 persone, pari a circa il 2,9% dell'intera popolazione italiana (la media europea e' del 5,1%). Il 27% degli immigrati proviene dai Paesi dell'Europa centro-orientale, il 29,1% dall'Africa settentrionale, il 7,3% dall'Asia centro meridionale, il 10,5% dall'Asia orientale. Il 67% circa ha una eta' compresa tra 19 e 40 anni; il numero dei minori e' stimato intorno al 15% e gli ultrasessantenni sono circa il 10%. Meno del 45% degli stranieri e' di sesso femminile. La presenza irregolare e' stata stimata ufficialmente dal Governo pari a circa 400.000 unita' sulla base del numero di domande di regolarizzazione presentate entro il termine del 15 dicembre 1998 sulla base della legge n. 40 del 1998. Negli ultimi anni i flussi dall'Europa dell'Est, in particolare ex-Yugoslavia, Polonia e Albania, sono fortemente cresciuti, superando quelli del Nord Africa, prevalenti fino a poco tempo fa. Il fenomeno dei ´ricongiungimenti familiariª sta rapidamente riequilibrando la composizione per eta' e genere degli stranieri immigrati, che ancora agli inizi degli anni '90 era prevalentemente rappresentata da giovani adulti maschi. Il tempo intercorso dal momento della migrazione configura esperienze di svantaggio molto diverse. In prossimita' dell'immigrazione prevalgono il trauma del distacco dalla casa e dal Paese di origine e le condizioni di estremo disagio nella ricerca di un tetto e di un lavoro, di relazioni sociali, di affetti, e di un riconoscimento giuridico. In questa fase, gli immigrati condividono con gli italiani senza fissa dimora condizioni di svantaggio estremo. In un secondo momento, diventano piu' importanti le difficolta' di integrazione o di interazione e convivenza con la cultura ospite e con il sistema dei servizi e le difficolta' di apprendere la lingua accrescono le barriere alla fruizione dei servizi ed alla soddisfazione delle necessita' quotidiane. Osservando il flusso di utilizzo di alcuni servizi sanitari da parte degli stranieri, si evidenzia una sostanziale mancanza di elasticita' dell'offerta di servizi, a fronte dei nuovi problemi di salute di questi nuovi gruppi di clienti. Tra i 25.000 bambini nati da almeno un genitore straniero sono piu' frequenti la prematurita', il basso peso alla nascita, la mortalita' neonatale e i calendari vaccinali sono effettuati in ritardo o in modo incompleto specie nelle popolazioni nomadi. Per quanto riguarda la salute della donna, i temi emergenti sono l'alto tasso di abortivita', la scarsa informazione (con conseguente ridotta domanda di assistenza alla gravidanza), la presenza di mutilazioni genitali femminili. Un'indagine coordinata dall'Istituto Superiore di Sanita' ha evidenziato che le I.V.G. effettuate da donne straniere sono passate da 4.500 nel 1980 a 20.500 nel 1998, con un trend fortemente decrescente dalle eta' piu' giovani a quelle in eta' piu' avanzate. Anche la percentuale dei casi di tubercolosi in cittadini stranieri e' in costante aumento; secondo i dati dell'Istituto Superiore di Sanita' essa e' passata dall'8,1% nel 1992 al 16,6% nel 1998. Questa tendenza e' confermata anche da altri studi epidemiologici europei effettuati dall'International Centre for Migration and Health dell'OMS. Questa patologia colpisce pazienti irregolari che vivono in condizioni igienico-abitative peggiori sia rispetto alla popolazione generale sia rispetto agli stranieri con regolare permesso di soggiorno. Una maggiore frequenza, in confronto alla popolazione italiana, dei ricoveri causati da traumatismi (5,7% negli stranieri, 4,8% negli italiani), segnalata dalle schede di dimissione ospedaliera, potrebbe essere la spia di un maggior numero di incidenti sul lavoro ai quali vanno incontro i lavoratori immigrati. L'analisi delle schede di dimissione ospedaliera mostra, inoltre, tra le cause piu' frequenti di ricovero quelle legate alla patologia della gravidanza (7,3% dei ricoveri nelle straniere, 3,2% nelle italiane), alle infezioni delle vie aeree (3,1% negli stranieri di cui 0,8% per tubercolosi, 1,8% negli italiani, di cui 0,1% per tubercolosi), agli aborti indotti (1,7% nelle straniere, 0,5% nelle italiane). Nel quadro dei molteplici interventi necessari per superare l'emarginazione degli immigrati bisognosi, un importante aspetto e' quello di assicurare l'accesso delle popolazioni immigrate al Servizio Sanitario Nazionale adeguando l'offerta di assistenza pubblica in modo da renderla visibile, facilmente accessibile, attivamente disponibile e in sintonia con i bisogni di questi nuovi gruppi di popolazione, in conformita' a quanto previsto dal testo unico sulla immigrazione che ha sancito il diritto alle cure urgenti ed essenziali e alla continuita' della cura anche per gli immigrati irregolari. In tale contesto, sono necessari, fra l'altro, sia interventi di tipo informativo dell'utenza immigrata sull'offerta dei servizi da parte delle ASL che l'individuazione all'interno di ciascuna ASL di unita' di personale esperte e particolarmente idonee per questo tipo di rapporti. Altre azioni prioritarie riguardano i seguenti aspetti: migliorare l'assistenza alle donne straniere in stato di gravidanza e ridurre il ricorso alle I.V.G.; ridurre l'incidenza dell'HIV, delle malattie sessualmente trasmesse e delle tubercolosi tramite interventi di prevenzione mirata a questa fascia di popolazione; raggiungere una copertura vaccinale della popolazione infantile immigrata pari a quella ottenuta per la popolazione italiana; ridurre gli infortuni sul lavoro tra i lavoratori immigrati, tramite gli interventi previsti a tal fine per i lavoratori italiani.

 

Il testo di questo provvedimento non riveste carattere di ufficialitý e non Ë sostitutivo in alcun modo della pubblicazione ufficiale cartacea. La consultazione e' gratuita.
Fonte: Istituto poligrafico e Zecca dello Stato

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