IL 25% CIRCA
DEGLI
ITALIANI ALL’ESTERO HA VOTATO PER LA PRIMA VOLTA PER CORRISPONDENZA
Il 24,94% degli italiani all’estero si è recato alle
urne per la prima volta, dopo la approvazione della legge costituzionale del 20
dicembre 2001, per votare sui due quesiti referendari relativi il primo
“alla reintegrazione dei lavoratori illegittimamente licenziati” e
il secondo sulla “abrogazione coattiva di elettrodotto”.
Secondo i dati forniti dal Ministero degli Affari Esteri (DGIEPM) su
un totale di 2.447.787 elettori registrati dal Ministero dell’Interno,
240.945 elettori sono stati palesemente inseriti in elenco in modo erroneo;
sono stati distribuiti 2.206.842 e 246.629 plichi elettorali sono stati
restituiti alle poste per indirizzo incompleto o sbagliato; 1.960.213 elettori
sono stati raggiunti dal plico elettorale, e i voti effettivi all’estero
sono stati 550.492 pari al 24,94%.
Secondo i primi dati forniti (non definitivi) il dettaglio per ripartizioni continenti è il seguente:
Europa: voti 273.784 pari al 21,19%
Africa: voti 8.857 pari al 32,72%
Asia: voti 4.102 pari al 33,43%
Americhe: voti 228.681 pari al 29,39%
Oceania: voti 23.622 pari al 24,31%
VOTO ESTERO: I
RISULTATI PAESE PER PAESE
Votanti 21.8% (208
consolati)
Art. 18
- SI 326.729 71.1%
- NO 132.816 28,9%
Totale 459.545
Elettrodotto
- SI 308.258 67,2%
- NO 150.146 32,8%
Totale 458.404
Svizzera:
Art. 18 : 29,5%
- SI 56.801 68.6%,
- NO 26.052 31.4%
Elettrodotti:
29,0%
- SI 53.697 65,8%
-NO 27.397 34,2%
Art. 18 : 15,1%
- SI 16.312 71,3%
- NO 6.554 28,7%
Elettrodotti:
14,9%
- SI 15.207 66,7%
- NO 7.604 33,3%
Art. 18 : 13,3%
- SI 24.027 70,7%
- NO 9.948 29,3%
Elettrodotti:
13,3%
- SI 22.164 65,6%
- NO 9.948 29,3%
Art. 18 : 25,2%
- SI 88 56,1%
- NO 69 43,9%
Elettrodotti:
25,2%
- SI 99 61,5%
- NO 62 38,5%
Art. 18: 14,7%
- SI 14.199 63,8%
- NO 8.055 36,2%
Elettrodotti:
14,7%
- SI 14.817 65,9%
- NO 7.653 34,1%
Art. 18: 36,9%
- SI 76 54,7%
- NO 63 45,3%
Elettrodotti:
34,9%
- SI 86 60,1%
- NO 57 39,9%
Art. 18: 29,3%
- SI 3.063 60,9%
- NO 1.969 39,1%
Elettrodotti:
29,3%
- SI 3.181 63,0%
- NO 1.866 37,0%
Art. 18: 24,6%
- SI 2.749 65,7%
- NO 1.436 34,3%
Elettrodotti:
24,4%
- SI 2.678 63,3%
- NO 1.552 36,7%
Art. 18: 34,9%
- SI 7.154 84,8%
- NO 1.287 15,2%
Elettrodotti:
34,9%
- SI 5.939 71,4%
- NO 2.377 28,6%
Art. 18: 9,6%
- SI 62 55,4%
- NO 50 44,6%
Elettrodotti: 9,6%
- SI 73 65,2%
- NO 39 34,8%
Art. 18: 65,2%
- SI 2.393 68,4%
- NO 1.105 31,6%
Elettrodotti:
65,2%
- SI 2.301 66,4%
- NO 1.165 33,6%
Art. 18: 39,6%
- SI 3.346 64,7%
- NO 1.829 35,3%
Elettrodotti:
39,6%
- SI 3.290 61,7%
- NO 2.040 38,3%
Art. 18: 13,6%
- SI 2.383 69,0%
- NO 1.073 31,0%
Elettrodotti:
13,6%
- SI 2.297 68,1%
- NO 1.076 31,9%
Art. 18: 37,4%
- SI 229 53,4%
- NO 200 46,6%
Elettrodotti:
36,9%
- SI 292 64,7%
- NO 159 35,3%
Art. 18: 47,1%
- SI 468 69,2%
- NO 208 30,8%
Elettrodotti:
47,5%
- SI 431 63,4%
- NO 249 36,6%
Art. 18: 19,3%
- SI 381 60,8%
- NO 246 39,2%
Elettrodotti:
19,6%
- SI 409 63,7%
- NO 233 36,3%
Art. 18: 26,5%
- SI 1.164 68,3%
- NO 541 31,7%
Elettrodotti:
26,2%
- SI 1.141 66,6%
- NO 572 33,4%
Art. 18: 16,2%
- SI 35.925 70,0%
- NO 15.415 30,0%
Elettrodotti:
19,5%
- SI 165.243 69,7%
- NO 71.918 30,3%
Art. 18: 33,9%
- SI 60.538 77,4%
- NO 17.710 22,6%
Elettrodotti:
33,8%
- SI 54.748 70,9%
- NO 22.489 29,1%
Art. 18: 30,4%
- SI 26.753 75,5%
- NO 8.680 24,5%
Elettrodotti:
30,6%
- SI 23.131 64,7%
- NO 12.623 35,3%
Art. 18: 27,2%
- SI 8.127 70,0%
- NO 3.481 30,0%
Elettrodotti:
27,3%
- SI 8.129 69,4%
- NO 3.587 30,6%
Art. 18: 59,3%
- SI 893 70,0%
- NO 382 30,0%
Elettrodotti:
56,7%
- SI 758 61,5%
- NO 475 38,5%
Art. 18: 44,8%
- SI 138 62,7%
- NO 82 37,3%
Elettrodotti:
44,8%
- SI 138 62,7%
- NO 82 37,3%
Art. 18: 45,7%
- SI 47 56,6%
- NO 36 43,4%
Elettrodotti:
45,2%
- SI 55 64,7%
- NO 30 35,3%
Art. 18: 7,8%
- SI 8 53,3%
- NO 7 46,7%
Elettrodotti: 7,8%
- SI 10 58,8%
- NO 7 41,2%
Art. 18: 25,8%
- SI 88 56,1%
- NO 69 43,9%
Elettrodotti:
25,2%
- SI 99 61,5%
- NO 62 38,5%
Art. 18: 37,4%
- SI 23 57,5%
- NO 17 42,5%
Elettrodotti:
37,4%
- SI 28 68,3%
- NO 13 31,7%
VOTI E PERCENTUALI NELLE CITTA’ ESTERE AL DI
SOPRA DEI MILLE VOTI
Città
Voti Percentuale
Adelaide
2392 20,65
Amburgo
1479 15,37
Amsterdam
3873 21,24
Atene
1696 26,98
BahiaBlanca
3985 30,72
Barcellona
2836 22,88
Basilea
13106 33,15
Bedford
3087 22,13
BeloHorizonte
1609 36,79
Berlino
1317 18,85
Berna
5644 25,22
Boston
2187 16,83
Brisbane
1586 20,39
Bruxelles
8275
23,49
BuenosAires
44473 36,07
Capetown
1181 27,46
Caracas
11495 29,40
Chambery
2240 16,71
Charleroi
8287 14,32
Chicago
2511 18,16
Coira
1154 21,89
Colonia
9845 15,73
Cordoba
7546 37,69
Curitiba
5682 38,29
Detroit
2074 21,05
Dortmund
4083 16,00
Edimburgo
1329 21,33
EshS.Alzette
3084 21,42
Filadelfia
2883 20,75
Fiume
3323 70,51
Francoforte
9437 16,20
FriburgoBr.
5195 21,26
Genk
3856 22,38
Ginevra
6216 23,46
Hannover
2176 17,19
Johannesburg
3322 32,49
LaPlata
6119 42,13
Liegi
5389 14,47
Lilla
3530 16,71
Lima
6421 40,82
Lione
4075 13,67
LomasdeZamora 2173 15,47
Londra
17120 23,47
Los Angeles
1484 13,96
Losanna
9857 26,92
Lugano
14985 31,38
Madrid
1629 10,41
Manchester
4084 20,29
Mannheim
1312 20,76
MardelPlata
6701 43,83
Maracaibo
1587 22,41
Marsiglia
2744 13,24
Melbourne
10551 28,39
Mendoza
3624 32,09
Metz
7582 16,66
Miami
1178 19,19
MonacoBaviera 7980 22,77
MonacoPrincipato 1090 28,85
Mons
3214 16,07
Montevideo
9343 35,72
Montreal
10589 35,36
Moron
9105 48,95
Mulhouse
3129 23,72
Neuchatel
2481 23,45
NewYork
11041 17,51
Newark
2247 19,08
Nizza
2637 12,90
Norimberga
2436 17,87
Ottawa
1490 24,85
Parigi
12457 15,75
Perth
2056 22,73
Porto Alegre
7120 34,69
Quito
1349 35,24
Recife
1010 36,90
Rio de Janeiro
5984
27,26
Rosario
10914 33,20
Saarbruecken
1773 17,21
SanGallo
6638 31,28
SanPaolo
18916 31,03
Santiago
3048 17,68
Sion
2668 30,09
Stoccarda
14184 20,80
Stoccolma
1096 21,11
Sydney
6172 22,79
Toronto
19063 31,09
Vancouver
2474 22,59
Vienna
1128 26,90
Wettingen
3065 31,49
Wolfsburg
1522 27,52
Zurigo
28856 41,44
RICCI (FIEI): IL RISULTATO DEL VOTO ALL’ESTERO E’ DI
GRANDE RILIEVO STORICO E POLITICO
Le percentuali ufficiali del voto all’estero in occasione dei
due referendum sono analoghe a quelle riscontrate in Italia; ma se si calcola
che – stando ai dati trasmessi dal MAE -, dei 2.447.787 elettori iscritti
nelle liste, sono stati 2.206.875 i plichi per il voto spediti, e che di
questi, sono arrivati a destinazione solo 1.970.847, la percentuale dei votanti
è stata di circa il 27,50% degli elettori; a ciò si deve
aggiungere che nell’ammontare dei plichi “arrivati a
destinazione”, sono compresi decine di migliaia di plichi – non
restituiti al mittente perché accettati da altri componenti delle
famiglie – destinati ad elettori defunti o che sono rientrati in Italia,
soprattutto dai paesi dell’America Latina.
Se tali premesse sono vere, si può stimare che la percentuale
reale dei voti italiani all’estero può essere compresa tra il 30%
e il 35% di coloro che effettivamente sono stati messi in condizione di votare;
quindi una percentuale superiore a quella italiana; se il funzionamento della
macchina amministrativa fosse stata all’altezza della situazione (visto
che a questo punto si può confermare che sono stati oltre 1 milione i
cittadini esclusi a priori da questa consultazione), l’esercizio di voto
dall’estero avrebbe assunto una dimensione quantitativa di tutto
rispetto, a conferma della giustezza della battaglia sostenuta per decenni
dall’associazionismo.
Rispetto ai ritardi, alle inadempienze, alle incongruenze che si
sono manifestate, è necessario adesso che ciascuno degli attori
istituzionali coinvolti si assuma le proprie responsabilità e che
vengano apportate tutte le modifiche necessarie in sede legislativa e di
regolamento attuativo della Legge, poiché, al di là di tutte le
mancanze e le difficoltà riscontrate, questo voto sui Referendum
costituisce un fatto di straordinario rilievo che dimostra come l’estero
non sia un’”isola” staccata dalla madrepatria e come la
volontà di partecipazione alla vita politica nazionale sia ancora molto
forte, motivata e complessivamente omogenea alle tendenze e agli equilibri
nazionali, pur in assenza di una adeguata informazione che né la RAI,
né le Istituzioni, né gli altri organi di comunicazione hanno in
questo caso assicurato.
Non appare infine secondario rilevare, come il risultato del voto,
con una massiccia prevalenza dei “sì”, pari a circa il 71,5%
dei voti espressi, ricalchi in definitiva il risultato nazionale, in
particolare nelle aree più lontane, come l’America Latina, dove,
con il 76% complessivo e con punte del 77,5% dell’Argentina e
dell’85% dell’Uruguay, i risultati si avvicinano, più degli
altri paesi, all’esito italiano del voto; è curioso, ma è
del tutto comprensibile, rilevare come solo il voto nel Principato di Monaco
appare in controtendenza, con una vittoria dei “no”.
E’ vero che gran parte delle forze politiche e sociali,
diversamente dalle posizioni assunte in Italia, avevano invitato gli italiani
all’estero a partecipare in ogni caso alla consultazione; ciò
può voler dire per il futuro, che una volta approntata una macchina
elettorale degna di questo nome, gli italiani all’estero che esprimeranno
il voto potranno arrivare più o meno al 50% degli aventi diritto, cioè intorno al milione e mezzo
di persone: un numero davvero consistente che legittima l’impegno profuso
dalle forze sociali, sindacali e politiche in questi anni e che richiede una
riflessione ed una valutazione seria ed approfondita di come l’Italia
deve porsi rispetto a questo elettorato e delle concrete misure a sostegno
della grande presenza italiana nel mondo.”
Rodolfo Ricci
(Segr. Gen. FIEI – Federazione Italiana Emigrazione
Immigrazione)
CGIL - IL VOTO DEGLI ITALIANI ALL’ESTERO: PROVA DI INTERESSE E DI RESPONSABILITA’
Prima analisi del voto referendario del 15 giugno 2003 degli
italiani all’estero in un documento firmato congiuntamente da Titti Di Salvo e da Andrea Amaro
rispettivamente segretaria confederale e responsabile Italiani all’estero
della CGIL.
I
dati definitivi del voto degli italiani all'estero sui quesiti referendari del
15 Giugno 2003 risultano
negativamente influenzati dal fatto che, in assenza di una nuova e completa
anagrafe elettorale, molti cittadini italiani residenti all'estero non hanno
ricevuto i documenti necessari per votare per corrispondenza. Si può
tranquillamente affermare che la metà dei connazionali che risultano
iscritti negli schedari consolari non è stata messa nelle condizioni di
esercitare un suo diritto e, poiché ha votato sul referendum relativo
all'articolo 18 il 21,8% e sull'altro il 21,7%, non è arbitrario dedurre
che, se tutti avessero ricevuto le schede, la partecipazione al voto dei
residenti all'estero sarebbe stata fra il 40 ed il 50% .
Si tratta di un dato significativo che merita una riflessione
attenta, perché rappresenta una riconferma del forte interesse e della
partecipazione con cui i connazionali nel mondo seguono la situazione
dell'Italia, malgrado la distanza ed il fatto che i quesiti referendari non
avessero alcun riferimento diretto con le loro concrete condizioni.
Sempre da un esame della partecipazione al voto emerge l'alta
percentuale di votanti dell'America Meridionale (32%) rispetto all'Europa
(19,5%) e all'America Settentrionale e Centrale (18%). Probabilmente questa
differenza è determinata dalla maggiore sensibilità sul tema dei
diritti da parte di connazionali che vivono in paesi dove spesso i diritti
civili e del lavoro sono stati e sono violati (Argentina ed Uruguay) oppure,
come nel caso del Brasile, sono coinvolti in un grande movimento di rinascita
culminato nella presidenza Lula e nel suo programma. Per quanto riguarda
l'Europa, dove la ricezione dei programmi televisivi italiani è
generalizzata , molto probabilmente è risultato più forte il peso
dell'orientamento astensionista della maggior parte dei Partiti italiani.
Per quanto riguarda i risultati del voto referendario sul quesito
riguardante la reintegrazione dei lavoratori illegittimamente licenziati il si
vince ovunque fatta eccezione per l'Albania, il Principato di Monaco, il Kenia ed il Pakistan ,mentre nel
referendum su servitù
coattiva di elettrodotto il si prevale in ogni paese in cui si è votato.
Anche da questi risultati emerge un fatto importante rappresentato
dalla sintonia con l'esito del voto in Italia, a riconferma che gli italiani
nel mondo non sono una realtà isolata e disinformata, estranea alla
realtà italiana perché congelati in una dimensione nostalgica, e
tantomeno che il loro attaccamento all'Italia ed il loro patriottismo si
identifichino con scelte ed ai
valori della destra. Emerge invece il quadro di una comunità articolata
e pluralista animata da una forte volontà di partecipazione in grado,
malgrado la carenza di informazione, di fare scelte precise molto simili a
quelle degli elettori residenti in Italia.
Da questa prima esperienza di voto all'estero emergono alcuni motivi
di grave preoccupazione che la Cgil intende sollevare nei confronti di Governo
e Parlamento affinché vengano rapidamente e positivamente risolti per
consentire effettivamente a tutti gli italiani all'estero di potere esercitare
il diritto di voto e di essere esaurientemente ed imparzialmente informati. Il
primo e più urgente problema è rappresentato dalla mancanza di
una anagrafe degli elettori completa e verificata. La situazione attuale vede
3.964.000 connazionali iscritti negli schedari consolari mentre al Ministero degli interni
risultano 2.916.982 residenti all'estero
dei quali 2.447.787 in possesso dei requisiti elettorali, di questi
ultimi soltanto 1.608.185 sono riscontrati anche con i dati degli schedari
elettorali, mentre i restanti sono iscritti soltanto nelle liste elettorali dei
rispettivi comuni nell'anagrafe italiani residenti all'estero (AIRE). Il
risultato pratico è che quasi il 50% degli italiani all'estero non
è ammesso ad esercitare il diritto di voto, con una gravissima
violazione dei loro diritti costituzionali e della legge. Inoltre la situazione
è ancora peggiore se si esamina la corrispondenza degli indirizzi con la
residenza effettiva dell'elettore, infatti su 2.447.787 iscritti nell'elenco
degli elettori si può
calcolare che soltanto 1.871.344 abbiano un indirizzo corretto al quale potere
effettivamente recapitare i documenti elettorali.
E' quindi assolutamente necessario individuare ed aggiornare una
anagrafe degli aventi diritto al voto, senza aspettare il 2006, anche
ricorrendo a misure straordinarie ed ulteriori finanziamenti.
Un altro aspetto che emerge negativamente da questa prima esperienza elettorale è la insufficiente informazione e l'assenza delle necessarie garanzie di un accesso pluralistico agli strumenti di informazione. Nei referendum ha prevalso l'assenza di informazione, ma in occasione di elezioni politiche il rischio è che prevalga la presenza delle formazioni e dei candidati più ricchi o comunque in grado di controllare il maggior numero di media a scapito delle formazioni di minor peso o con minori mezzi a disposizione. Occorre pertanto elaborare fin d'ora regole in grado di garantire anche all'estero una informazione diffusa e neutrale ed un accesso pluralistico all'informazione, garantito dalla legge per quanto riguarda televisioni, radio e giornali italiani o di lingua italiana, e dall'acquisto di spazi adeguati su principali mezzi d'informazione stranieri. Apposite tribune e finestre informative dovranno essere previste su Rai international su Rai news 24 che vengono trasmesse per satellite e sono visibili nel mondo. Apposite iniziative informative potranno essere, con opportuni finanziamenti, affidate ad Ambasciate e Consolati con precise regole di imparzialità e pluralismo.
La Cgil ritiene che questa prima prova confermi l'importanza e la
validità del voto degli italiani all'estero e ringrazia tutti i
connazionali immigrati che si sono recati a votare, contribuendo a ribadire la
volontà di voler essere cittadini a tutti gli effetti, ringrazia altresì la Fiei e
tutti i circoli e l'associazionismo democratico per l'impegno profuso e le
strutture dell'Inca per l'efficace lavoro di informazione sulle procedure e le
modalità di voto e sui contenuti dei quesiti referendari che hanno
consentito a molti connazionali di esprimersi consapevolmente. Inoltre la Cgil
riconferma il proprio impegno per i lavoratori emigrati, per il pieno
riconoscimento dei loro diritti e per la loro integrazione effettiva nelle
società di accoglienza, da realizzarsi con l'adesione e la
collaborazione dei sindacati democratici dei diversi paesi; altrettanta
attenzione deve essere dedicata ai problemi degli oriundi italiani ed alla loro
domanda di informazione culturale e sociale e di apprendimento della lingua
italiana per riscoprire e rinsaldare le loro radici.
Inoltre mentre esprime soddisfazione per il raggiungimento del
diritto di votare all'estero, la Cgil
intende ribadire la necessità di garantire il voto amministrativo
ai cittadini extra-comunitari che
lavorano regolarmente nel nostro paese e che hanno, come lavoratori e
contribuenti, il diritto ad essere integrati nella società italiana con
i diritti di tutti e con il riconoscimento pieno della loro specificità
culturale e religiosa, nello stesso tempo la necessità di realizzare una
politica di accoglienza e di regolazione degli accessi fondata su criteri di
umanità e di giustizia sconfiggendo ogni atteggiamento razzista e
xenofobo che ispira la legge Bossi-Fini.
L’ULIVO PREOCCUPATO PER LE GRAVI ANOMALIE E DISCORDANZE NEGLI
ELENCHI DEGLI AVENTI DIRITTO AL VOTO
I Responsabili per gli Italiani all’Estero de l’Ulivo,
Gianni Pittella, Franco Danieli, Mario Didò, Luigi Marino, Antonio
Borghesi e il Coordinatore dei Forum per gli Italiani nel Mondo, Norberto
Lombardi, hanno scritto una lettera ai Ministri degli Esteri,
dell’Interno e per gli Italiani nel Mondo con la quale fanno presente la
preoccupazione per i risultati della prima verifica del voto per
corrispondenza. Preoccupazione che “deve indurre ad una riflessione e a
iniziative conseguenti per evitare il depotenziamento della legge
costituzionale 459/2001”.
I motivi di preoccupazione giungono dalle gravi anomalie e
discordanze riscontrate negli elenchi degli aventi diritto al voto, dalla
gestione della procedura relativa alla opzione di voto all’estero e dalla
scarsa informazione per i cittadini all’estero.
Nella lettera, inoltre, ribadendo “la forte volontà di
preservare l’istituto del voto per corrispondenza”, si chiede di
“accelerare l’opera di bonifica, di verifica incrociata per
l’individuazione degli avanti diritto al voto e di intensificare
l’informazione presso la comunità italiana all’estero”,
oltre che di “valutare l’opportunità di una rivisitazione
della legge e/o Regolamento attuativo in modo da recuperare l’iniziale
ispirazione della legge ordinaria, che era quella di prevedere l’obbligo
per i nostri elettori all’estero di esprimere l’opzione per il voto
per corrispondenza”.
LAURICELLA: CON I REFERENDUM SI E’ SPERIMENTATO IL VOTO DEGLI
ITALIANI ALL’ESTERO
I referendum che si sono tenuti il 15 e 16 giugno, sui temi
rispettivi della estensione delle tutele dell’art. 18 dello Statuto dei
lavoratori e sulle servitù elettriche, che come gli elettori sanno sono
andati deserti e quindi senza efficacia, passeranno alla storia per un altro
motivo che di certo non era tra gli obiettivi di chi li aveva indetti: hanno
sperimentato il voto degli italiani all’estero. Infatti, per la prima
volta in assoluto gli italiani all’estero sono stati chiamati a votare,
non per eleggere i loro rappresentanti nel Parlamento italiano, obiettivo per
il quale si erano battuti per 50 anni generazioni di dirigenti del mondo
associativo, esponenti politici e parlamentari, incluso il sottoscritto, ma per
esprimere il loro sì o il loro no ai quesiti referendari suddetti.
Il risultato dimostra che la partecipazione al voto era attesa,
perché gli italiani all’estero hanno votato nel mondo in
percentuale superiore a quelli residenti in Italia. Certo in Italia i
referendum sono stati boicottati dalla maggioranza del mondo politico e
sindacale, mentre non erano molti quelli che si sono curati di boicottarli
anche all’estero, ma anche fatte queste valutazioni, il risultato
è lì: gli italiani all’estero hanno espresso la loro
opinione come quelli in Italia e sono pronti a farlo per il voto del 2006.
Tuttavia, la contentezza per questi esiti non scontati non
può farci dimenticare i problemi che rimangono sul tappeto irrisolti e
che da qui al 2006 debbono trovare la via dell’operatività
risolutrice uscendo dall’abbandono e dalla disattenzione in cui sono
lasciati. In particolare la costruzione
dell’anagrafe, che del voto all’estero è la base, si
trova ancora ad un punto di stallo, mentre l’apparato consolare ancora
non si rende conto che il voto rappresenta una priorità costituzionale
che va preparata con largo anticipo dalle elezioni.
Mi si dirà che l’elenco aggiornato va preparato nella
fase precedente il voto, ma senza una anagrafe certa ed un lavoro costante con gli enti locali aggiornato non
vedrà mai la luce ed un’alta percentuale di aventi diritto non
riceverà il plico elettorale come è accaduto per i due referendum
di cui ci stiamo occupando. Infatti, ad una parte consistente di elettori non
è stato spedito il materiale, ad altri non è arrivato in tempo,
una parte delle schede è andata dispersa e malgrado tutto
all’estero hanno votato più del 25%. Se tutti questi inconvenienti
si ripetessero in elezioni politiche le Corti d’Appello competenti e la
Giunta delle elezioni sarebbero invasi dai ricorsi di elettori che protestano
per la loro esclusione.
Il Governo sulla legge del voto è stato immobile, non mi
riferisco al ministro Tremaglia a cui va il riconoscimento per essersi mosso
per smuovere la macchina elettorale, ma al Ministro degli Esteri, con la
Presidenza del Consiglio e con il Ministero degli Interni che sono competenti,
nelle loro specifiche funzioni, della materia elettorale ed anche della
costruzione dell’elenco aggiornato ad ogni elezione.
Una riflessione va altresì fatta pensando al 2006 sulla
correttezza delle operazioni di voto future e sul come vanno combattuti
eventuali brogli elettorali:
ad esempio il controllo del voto attraverso l’accaparramento
delle schede. Naturalmente nessuno aveva interesse a imbrogliare i referendum.
Io credo che questi pericoli potrebbero essere prevenuti solo se verrà
messa in campo una forte campagna sul valore del voto in cui impegnare con
tutti gli strumenti disponibili, in primo luogo attraverso un corretto uso
della stampa italiana all’estero e delle televisioni italiane
all’estero (in particolare Rai International), le istituzioni
governative, il Parlamento, i partiti politici, le associazioni degli italiani all’estero
che, con i patronati e le organizzazioni religiose, possono svolgere una
funzione importante di controllo delle operazioni di voto e di denuncia di
eventuali brogli elettorali.
Oggi le associazioni, i patronati, le organizzazioni religiose
all’estero sono abbandonati a se stessi ed è urgente che vengano
rivitalizzati con una politica di avvicinamento e di sostegno, per essere
meglio in grado di svolgere una attiva funzione di garanzia per assicurare un
voto degli italiani all’estero legittimo ed una rappresentanza al disopra
di ogni sospetto.
Angelo Lauricella
NARDUCCI: IL VOTO SEGNA
IL PASSAGGIO DA EMIGRATI A CITTADINI ITALIANI RESIDENTI ALL’ESTERO
Il commento di Franco Narducci, Segretario generale del
CGIE, sul voto referendario degli
italiani all’estero, apparso sul settimanale italiano in Svizzera
“Rinascita”, che pubblichiamo di seguito per i nostri lettori.
Dopo decenni di silenzio assoluto o quasi, i grandi quotidiani
italiani hanno finalmente aperto lo spazio dell’informazione a quella
parte di popolazione che vive fuori dai confini nazionali. Potenza del voto
all’estero! Che segna il passaggio – per quanto ci riguarda –
da emigrati a cittadini italiani residenti all’estero.
Dal piacere all’amarezza il passo è però breve.
Sulla “prima volta” degli italiani all’estero ha pesato non
poco lo scandaloso silenzio della RAI, che ha ignorato la novità
coincisa con questa tornata referendaria, cioè
l’opportunità del voto all’estero. Nonostante la penuria
d’informazioni, possiamo considerare superata questa prova generale che
si presentava con i caratteri della sfida. Ma si commetterebbe un errore grave
se si sottovalutassero le inefficienze della macchina organizzativa, che a
vario titolo hanno influito sulla consultazione. Inefficienze imputabili per
intero al Ministero degli Interni e alla secolare superficialità dei
comuni italiani nella gestione dell’AIRE – l’anagrafe degli
italiani residenti all’estero.
Il grado di partecipazione degli italiani emigrati è stato
sicuramente soddisfacente, visto anche come sono andate le cose in Italia, dove
l’elettorato era chiamato a sciogliere il nodo di un referendum nato da
una premessa sbagliata, che aveva spinto il cosiddetto partito trasversale
degli astensionisti a boicottare il raggiungimento del quorum, condizione
essenziale per la validità della consultazione.
Prevedibilmente – vista l’accesa battaglia per la
riforma del mercato del lavoro che per un lungo tratto ha monopolizzato il
dibattito politico italiano -, l’estensione dell’art. 18 alle
piccole aziende ha fatto passare in secondo piano l’altro quesito
referendario, quello sul cosiddetto elettrosmog.
IN questa consultazione – come nelle precedenti – il
ricorso al referendum abrogativo ha una chiara radice politica, che alla fine
minaccia di svuotare di credibilità un istituto cui la costituzione
affida la difesa delle minoranze. Era noto, infatti, che il reintegro forzato
ex articolo 18 era avversato anche da buona parte dei lavoratori occupati nelle
piccole aziende, che non hanno le stesse tutele delle imprese più grandi.
A monte dell’estensione delle garanzie vi è dunque il bisogno di
creare gli ammortizzatori sociali anche per le piccole imprese, che senza la
cassa integrazione sono costrette e licenziare.
La specificità italiana degli argomenti in consultazione ha
un po’ frenato la partecipazione degli italiani residenti
all’estero, dove spesso la cultura imprenditoriale punta ad altri valori
e guarda soprattutto all’innovazione. Ma, come dicevo in apertura, le
disfunzioni sono state numerose, come confermano le testimonianze raccolte a
vari livelli. Al computo totale mancano probabilmente i voti di molte persone,
che sarebbero giunti alle sedi consolari entro il 12 giugno se inizialmente non
si fosse indicato il 5 come termine ultimo per l’invio del plico
elettorale.
Inoltre, non si può sorvolare sugli oltre 700 mila cittadini
figuranti nelle anagrafi consolari – le uniche aggiornate – e
scomparsi inspiegabilmente dagli elenchi redatti dal Ministero degli Interni
con i dato dei comuni. Così come preoccupa l’alta percentuale di
plichi restituiti dalle poste in
ogni nazione a causa degli indirizzi inesatti.
Codici postali errati (soprattutto in Germania), certificati
elettorali consegnati due volte alla stessa persona, plichi recapitati a
persone che non ne avevano diritto, o il caso delle cittadine italiane –
sposate con stranieri – figuranti in indirizzo con il solo cognome da
nubile anziché con il doppio cognome, un fatto denunciato più
volte, soprattutto in concomitanza con le elezioni europee: sono questi i casi
macroscopici, che avrebbero generato un risultato ancor più negativo se
la rete consolare non avesse apportato i correttivi che sappiamo.
La partecipazione degli italiani residenti in Svizzera è
stata tra le più alte: ha votato il 31,23% rispetto ai plichi inviati e
il 34,77% su quelli effettivamente recapitati. Alla Circoscrizione Consolare di
Zurigo spetta l’oscar per la partecipazione più alta: su 69.640
aventi diritto (plichi inviati) ha votato il 41,44%, che sale al 41,72% se si
tiene conto dei plichi restituiti dalla posta per l’inesattezza
dell’indirizzo. A Zurigo spetta anche la palma della circoscrizione
consolare con il più alto grado di partecipazione al voto prendendo in
esame le città del mondo dove vivono grandi comunità italiane. UN
risultato che premia il lavoro svolto dal consolato, dagli organismi di
rappresentanza – Comites e Cgie (Consiglio generale degli italiani
all’estero) – e dalle forze politiche e associazionistiche.
FIEI: FORZA SOCIALE DI PROGRESSO E DI EQUITA’
La riunione del Consiglio Generale della Federazione Italiana
Emigrati e Immigrati mi ha convinto che questa Organizzazione può
creare, può essere, la forza capace di aggregare molte Associazioni
nella società civile in molti Paesi, in ogni Continente, oltre che
nell’U.E. e in Italia. Sulla base di un orientamento sociale di progresso
e di equità, di una sinistra ampia ed articolata, ricca di esperienze
diverse che convergono nel fine di affermare il valore universale dei diritti
sociali, civili ed umani. I valori che qualificano una politica che esige
coerenza ed impegno, che si afferma perché armonizza e rende costruttiva
negli obiettivi da conseguire la dialettica integratrice delle diverse origini
e culture, accantonando e opponendosi ai tentativi di assimilazione, di egemonia,
alla politica di potenza.
La relazione introduttiva del Segretario Generale Rodolfo Ricci, gli
interventi di esponenti delle due Organizzazioni – la FILEF e
l’Istituto Santi – che compongono la Federazione, - da Lauricella a
Farina, a Boggero, a Vacca, a tutti gli altri esponenti, hanno dimostrato che
la FIEI, nonostante la scarsezza di mezzi, è riuscita a cogliere il
sorgere di varie sensibilità. Ha anche avviata una struttura a rete che,
avvalendosi del rapporto di “convenzione” con la CGIL, che
giustamente Andrea Amaro ha definito “forte” e condiviso
dall’INCA e dallo SPI con le proprie Associazioni di pensionati
all’Estero. Può estendersi ed attrarre adesioni in un ampio arco
democratico. Lo dimostra anche il risultato dei referendum tra gli italiani
all’Estero, nonostante le macroscopiche lacune della struttura
organizzativa governativa, che avevamo tempestivamente evidenziato.
E’ necessario che i particolarismi delle forze politiche non
limitino la capacità di attrazione di una FIEI aggregatrice di istanze
che rifiutano la politica di egemonia e i progetti di impero basati sulla forza
e non sul diritto e sulla attuazione delle Convenzioni Internazionali. Una
continuazione e un rafforzamento delle motivazioni del “popolo della
pace”, da esprimere in Italia difendendo il diritto di asilo e attuando
l’esercizio del diritto di voto nelle elezioni amministrative agli
immigrati proposta dall’On. Livia Turco.
Il semestre di Presidenza italiana dell’Unione Europea
dovrebbe avere questo obiettivo tra le priorità di crescita del
prestigio del nostro Paese, oltre a promuovere – nella Conferenza
permanente Stato-Regioni -, altri progetti europei nei Paesi ove il bisogno
spinge tanti disperati all’esodo verso le rive italiane che appaiono come
una mano protesa ad accoglierli e che per molti purtroppo sono un’ultima
lontana visione.
La FIEI definirà a breve il proprio ruolo nella Conferenza di
Organizzazione e nel Congresso della primavera prossima, impegnandosi anche
nelle elezioni dei Comites e del CGIE. Sarà decisiva nella costruzione
di rapporti tra i popoli che fughino la pseudo cultura della pulizia etnica e
monoculturale, comunque sia presentata.
Sergio Giulianati
IMMIGRAZIONE: GRANDE È LA CONFUSIONE SOTTO IL CIELO. LA
SITUAZIONE È DUNQUE ECCELLENTE (?)
Poche volte come nelle scorse settimane il tema
dell’immigrazione è diventato un “problema” rilevante al punto da provocare la “quasi-crisi”
di uno dei governi più
stabili e a più forte e determinata costituzione degli ultimi decenni.
Problema per la maggioranza di governo che sul tema
dell’immigrazione clandestina si è spaccata fino al punto di
mostrare in pubblico un livello di
scontro interno raramente eguagliato
nel passato, con il capogruppo di uno dei partiti della coalizione che
invitava il Ministro
dell’Interno a cambiare mestiere, nonostante l’emanazione di un
decreto che dal Ministro stesso prende il nome e che prevede una serie di
misure di controllo del territorio nazionale e delle acque internazionali che l’Italia non aveva mai elaborato;
problema per le imprese che dichiarano, secondo i dati della ricerca
Unioncamere di avere bisogno nel 2003
di una cifra compresa tra 150.000 e 220.000 immigrati per lavorazioni non coperte dalla forza lavoro locale,
mentre il Governo ha emanato un decreto flussi che permette l’ingresso in
Italia nel corso dell’anno di appena 19.500 unità (oltre 60.000
stagionali ammessi a febbraio);
problemi per gli
immigrati stessi regolari,
regolarizzandi e irregolari che
vivono in modo diverso ma convergente una condizione di
difficoltà.
Gli immigrati regolari che, pur riconosciuti come una risorsa dalle parole del Capo dello Stato, continuano ad essere descritti e trattati troppo spesso come dei profittatori e degli opportunisti.
Gli immigrati regolarizzandi che in oltre 700.000 hanno fatto una
apertura di credito al nostro paese autodenunciandosi e sperando di ottenere in
tempi brevi una condizione di regolarità, ma da mesi sono per la maggior
parte in un limbo giuridico
incredibile: non possono essere espulsi, ma non possono lasciare questo
paese per raggiungere i propri familiari. Parafrasando un comico di successo
che qualche anno fa affermava che qualcosa poteva essere
“possibile” o “impossibile” o “non
possibile”, gli immigrati hanno scoperto che in Italia si può
essere “regolari” o “irregolari” o “non
regolari” nel senso che non si è né l’uno né
l’altro…
Gli immigrati irregolari infine che molto spesso sono richiedenti asilo in fuga e che sono descritti come clandestini e che nei
giorni scorsi hanno trovato a fronte delle tragedie che sono costate decine di
vite umane il cinismo di molti rappresentanti delle istituzioni e della società
civile.
Ma vediamo più
in dettaglio alcuni punti.
I conflitti all’interno della maggioranza sono stati
determinati da due ragioni di fondo; da un lato
l’intensificarsi di sbarchi di
immigrati per lo più richiedenti asilo nei porti della Sicilia,
come del resto avviene
puntualmente all’avvicinarsi dell’estate, dall’altro dalla
scoperta che la legge Bossi-Fini che aveva fatto del “mare pulito”
da ingombranti corpi umani
richiedenti aiuto umanitario uno dei propri slogan, non era sufficiente a far
sparire dalla nostra vista le sofferenze che l’attuale situazione
economica mondiale produce.
Concentrandoci sulle modifiche legislative c’è da dire
che nei giorni passati con il decreto Pisanu "decreto antisbarchi",
primo decreto attuativo della legge Bossi-Fini l’Italia ha registrato un
salto di qualità nel controllo del territorio, delle acque territoriali
e delle acque internazionali, da un lato e nel coordinamento (costituzione di
una cabina di regia unica) delle forze di polizia dall’altro, attraverso
la creazione della Direzione centrale dell'immigrazione, l'assegnazione della competenza alla Marina Militare (pattugliamento
delle acque internazionali con possibilità di inseguire le
imbarcazioni), alla Guardia di Finanza (acque territoriali e ”zona
contigua” con compiti investigativi e ispettivi e possibilità di
salire a bordo delle navi sospette e di arrestare gli scafisti) ed alle
Capitanerie di porto (funzioni di ricerca, salvataggio e assistenza).
Niente abbordaggi delle navi che trasportano clandestini, come la
retorica populista vuole,
né tanto meno cannonate contro esseri umani che molto spesso hanno bisogno d aiuti,
come lo stesso sottosegretario all’interno Mantovano ha esemplarmente
riconosciuto.
Gli imprenditori
Gli imprenditori hanno scoperto di avere bisogno di immigrati
da non poco tempo, ma hanno sempre
avuto difficoltà a far riconoscere le loro ragioni.
Secondo il rapporto Unioncamere gli imprenditori non trovano tra le
forze di lavoro autoctone oltre 30.000 addetti a servizi di pulizia, oltre
17.000 muratori e oltre 17.000 camerieri e baristi, oltre 15.000 commessi ed
addetti alle vendite, oltre 10.000 addetti al magazzino, per citare soltanto i
gruppi professionali più numerosi tra gli oltre 220.000 immigrati che
gli imprenditori stessi prevedono di assumere nel corso del 2003.
Tali cifre costituiscono
il 32% di tutte le assunzioni che saranno effettuate nell’industria, ma con punte del
40% nell’industria della gomma e del 38% nell’industria dei
metalli ed oltre il 33% di tutte
le assunzione che saranno effettuate nei servizi, ma con punte del 59% nei servizi operativi
alle imprese, del 55% delle
assunzioni nella sanità provata e del 43% negli alberghi e ristoranti.
Tale situazione sembra adeguatamente riconosciuta dal
sottosegretario Mantovano, secondo cui i 19.500 ingressi previsti dal recente
decreto flussi sono insufficienti. In una recente intervista al Corriere della
Sera (23 giugno 2003) così si esprime:
"L'immigrazione è un fenomeno che si può governare ma non
arrestare.
Ecco perché sono favorevole a nuove quote di ingresso. (…) Se
abbiamo legato il soggiorno al contratto di lavoro dobbiamo permettere che i cittadini stranieri possano essere
assunti. Quindi dobbiamo farli entrare attraverso il meccanismo delle quote".
Gli immigrati regolari
Due milioni e mezzo di stranieri regolari in Italia, se si
aggiungono al 1.700.000 circa presenti sul territorio nazionale le oltre
700.000 domande di regolarizzazione, con una prospettiva di crescente
integrazione (basti pensare che quando saranno effettive le adesioni dei 10 paesi
candidati a far parte dell’Unione europea allargata oltre il 12% degli
immigrati oggi presenti diventeranno “cittadini dell’Unione”
con pienezza di pari dignità e diritti di tutti i cittadini italiani.
Il Rapporto annuale dell'Istat mostra che il settore dell'industria
assorbe metà dell'occupazione dipendente extracomunitaria (concentrata
prevalentemente nella metallurgia e nella meccanica) mentre l’altro 50%
si ripartisce tra i servizi (nei comparti
alberghiero e della ristorazione per un terzo degli occupati e quello dei
servizi di pulizia, che occupa circa il 25%).
Ma ciò che è
drammaticamente rimosso è
che l'Istat segnali che in tutti i
settori analizzati, tra il 1999 e il 2001, le retribuzioni degli
extracomunitari siano cresciuti a
un ritmo significativamente più lento rispetto a quelle del totale dei
dipendenti. La differenza più elevata si è registrata in alcuni
comparti a bassa retribuzione, quali i servizi di pulizia e il lavoro
interinale, mentre minori sono le differenze nel settore degli alberghi e dei
ristoranti.
Tutto ciò in un paese che ha fatto, fin dal 1986 con la prima
legge sull’immigrazione, la 943/86 della parità di diritti tra
immigrati ed autoctoni il perno della propria politica per
l’immigrazione!
Ma gli immigrati regolari sono oramai una presenza
irrinunciabile nel nostro paese, non solo perché senza di essi
l’economia di interi settori economici nelle aree più vitali del
paese non potrebbe andare avanti, ma anche perché sempre più sta
avvenendo il passaggio degli immigrati
da forme di lavoro dipendente a
forme di creazione di un tessuto imprenditoriale o a forme di gestione delle imprese: in
alcuni settori come il commercio e l’edilizia, ma anche in alcun comparti
industriali.
L’identità degli immigrati imprenditori è stata
messa a fuco recentemente da due indagini, la prima di Confartigianato
('Imprenditori immigrati: una realtà in crescita”), la seconda condotta dall'Ufficio
Studi dell'Associazione Artigiani di Mestre (Cgia) che ha analizzato gli
immigrati in possesso di cariche
sociali.
Secondo i dati delle due ricerche gli immigrati imprenditori sono
125.457, ma circa 211.500 extracomunitari hanno cariche sociali, con una
crescita rispetto al 2001 del 15%.
Tra gli imprenditori la ripartizione è la seguente: al primo
posto il nord-ovest (più di 35 mila), poi nel Mezzogiorno (33 mila), al
Centro (29.700) e nel Nord-Est (27.600).
Mentre prendendo in considerazione le cariche sociali sono le
regioni del Centro a occupare, in generale, le posizioni di testa. In termini
assoluti, invece, la Lombardia è la regione in cui si registra una
maggiore concentrazione di aziende guidate da extracomunitari, dove gli
imprenditori sono 45.948, più del doppio della Toscana (20.317
imprenditori), seguita dal Veneto (20.274) e dall'Emilia Romagna (19.036).
Ultime in Italia in questa classifica la Valle D'Aosta (con 350 imprenditori
extracomunitari), il Molise (1.046), e la Basilicata (1.149).
Il peso delle cariche detenute da extracomunitari in azienda, rispetto al
totale delle cariche è massimo nel Friuli Venezia Giulia (4,52%, contro
una media nazionale del 2,71%), seguita dall'Abruzzo (3,73%), dalla Toscana
(3,54%), dal Lazio (3,49%) e al quinto posto dalla Lombardia con il 3,24%.
Mentre il Veneto è al settimo posto con il 2,77%, segue la Calabria con
il 2,74% . Fanalini di coda la Puglia (1,54%), e la Basilicata (1,53%).
Tra gli artigiani troviamo oltre 34 mila artigiani immigrati (il 27,1% del
totale) ed è di estremo interesse
il progetto di Confartigianato, di diventare, nelle parole del
segretario Guido Bolaffi, "l'organizzazione di rappresentanza degli
imprenditori immigrati che accettano le regole del sistema italiano".
Tale fenomeno ci mette di fronte alla crescita di una classe
dirigente immigrata che nei prossimi anni passerà dal settore economico
alla politica, che richiederà rappresentanza e voto corrispondenti
all’influenza, al prestigio sociale, al potere ed alla ricchezza che
esprime. Che chiederà per sé e per i propri figli.
Altro che cannonate allora ci vorranno per fermare questo
movimento…
(epimeteo)
LA CGIL RIVENDICA UNA
DIVERSA POLITICA PER L’IMMIGRAZIONE IN ITALIA E IN EUROPA
Il Comitato Direttivo della Cgil nella sua ultima riunione ha
approvato alla unanimità un ordine del giorno con il quale rivendica una
diversa politica dell’immigrazione sia per l’Italia che per
l’Europa, anche alla luce degli ultimi, drammatici avvenimenti.
Questo il testo dell’odg:
“Di fronte al dramma degli immigrati che annegano in mare
prima di sbarcare, di fronte al flusso di immigrati che sbarcano, di fronte
alle decine di migliaia di immigrati che entrano nel nostro paese non solo dal
mare, ma da tutte le nostre frontiere, la discussione alla quale stiamo
assistendo in seno al governo è inqualificabile.
Pensare che una legge razzista e repressiva come la Bossi-Fini
potesse arginare il flusso migratorio, è atteggiamento demagogico e
irresponsabile, condiviso da alcuni e strumentalizzato da altri, ma di cui
è responsabile il governo nella sua interezza.
Per dare efficacia all’azione di contrasto
dell’immigrazione clandestina occorrerebbe una politica per
l’immigrazione legale e regolare che è invece completamente assente.
Attraverso i flussi programmati sono entrati nel nostro paese circa 50.000 persone nel triennio
2001-2003 a fronte di ingressi clandestini stimati in circa 200.000 ogni anno.
Ciò è dimostrato dal fatto che l’ultima regolarizzazione ha
raccolto 700.000 domande, ed oggi, se si riaprissero i termini, se ne
raccoglierebbero molte altre migliaia: 500.000 secondo la stima di alcuni
centri specializzati; regolarizzazioni richieste, si badi bene, dai datori di
lavoro.
La CGIL rivendica una diversa politica per l’immigrazione in
Italia ed in Europa, che sia incentrata su un meccanismo di regolarizzazione
più fluido e flessibile, su politiche d’integrazione nel
territorio e sull’acquisizione di diritti sociali e civili.
Una politica di regolarizzazione, di diritti e
responsabilità, consentirà di contrastare la
clandestinità, l’illegalità, ed anche le condizioni di
supersfruttamento e lavoro nero che sono speculari alla clandestinità
dei lavoratori migranti.
Il governo sia chiamato a riferire in Parlamento, ma la CGIL
è convinta che la gravità della situazione richieda a tutte le
forze sociali e politiche di mobilitarsi per acquisire per i lavoratori migranti e le loro famiglie condizioni
di vita e di lavoro più civili.
Il C.D. della CGIL impegna le sue strutture a costruire iniziative
su questo tema a livello territoriale insieme alle altre organizzazioni
sindacali e al ricco tessuto dell’associazionismo per far crescere anche
le condizioni di una forte mobilitazione nazionale”.
IMMIGRAZIONE: DICHIARAZIONE DI PIERO FASSINO (DS)
“La maggioranza di governo paga la demagogia e la
superficialità con cui ha affrontato in questi due anni
l’immigrazione”. Lo ha dichiarato il Segretario nazionale dei DS
Piero Fassino.
“Nel frattempo – ha proseguito Fassino – le
carrette del mare continuano a naufragare con il loro carico di dolore e di
vittime”.
“A questo punto – ha insistito il Segretario dei DS
– stante la gravità della situazione e il conflitto esplicito tra
il Ministro degli Interni e una parte della sua maggioranza, è il
Presidente del Consiglio che deve venire in Parlamento a dire come intende
operare il Governo. In quella sede l’opposizione avanzerà proposte
perché si realizzi una seria e civile politica per l’immigrazione
e si tuteli la sicurezza dei cittadini”.
IMMIGRAZIONE/TREMAGLIA: “I SACRIFICI E LE SOFFERENZE CHE VEDO
OGGI SONO GLI STESSI CHE HANNO SUBITO I NOSTRI EMIGRATI”
“Anche di fronte alle nuove, gravi tragedie che si consumano
alle porte di casa nostra, la salvaguardia della vita umana e il rispetto della
dignità della persona, richiamate dall’art. 7 del decreto
approvato ieri (19 giugno 2003, ndr) dal Consiglio dei Ministri, rappresentano
il definitivo suggello a un principio morale assoluto che non può essere
mai violato”. Lo ha affermato il Ministro per gli Italiani nel Mondo, On.
Mirko Tremaglia, dopo il via libera del Governo al provvedimento.
“L’accoglienza – ha ribadito il Ministro – è un
fatto irrinunciabile di umanità e di civiltà non disgiunte, naturalmente,
dalla legalità”. Il pensiero di Tremaglia è corso ai
connazionali che, lungo tutto un secolo, hanno lasciato l’Italia in cerca
altrove di una vita migliore: “I sacrifici e le sofferenze che vedo oggi
– ha detto – sono gli stessi che hanno subito i nostri emigrati.
Tantissimi emigrati, figli della nostra stessa Patria, hanno provato sulla loro
pelle i drammi che oggi affrontano centinaia di disperati. Il nostro Paese
esalta, attraverso l’accoglienza, i valori civili e respinge ogni atto di
barbarie”.
IMMIGRAZIONE – CALVISI (DS): IL DECRETO DEL GOVERNO STRUMENTO
INUTILE
“Il decreto sull’immigrazione approvato dal CDM
rappresenta più un provvedimento di propaganda che uno strumento utile a
risolvere il problema degli sbarchi”.
Lo afferma il responsabile Immigrazione dei Ds, Giulio Calvisi.
“Come opposizione eravamo convinti che il governo avesse due
sole scelte di fronte a sé: scrivere un decreto che smentisse le
richieste di Umberto Bossi – e richiamate in alcune norme sciagurate
contenute nella stessa legge che porta il nome del Ministro leghista e
dell’On. Fini – oppure scrivere un decreto che violasse le norme
internazionali e che sicuramente avrebbe trascinato l’Italia nei
Tribunali internazionali. Ci sembra sia stata scelta la prima ipotesi”.
“La Marina Militare – continua Calvisi – non sarà
dotata di poteri di polizia, non potrà utilizzare le armi, né
potrà procedere al respingimento verso i porti di provenienza delle navi
trovate con clandestini a bordo. Si smentisce quindi il leader della Lega, ma
anche l’art. 11 della Legge Bossi-Fini che dotava la marina militare di
impropri poteri di polizia. Nel decreto non manca qualche norma velleitaria,
destinata a produrre effetti nulli. Vi è una disposizione che
regolamenta le attività di prevenzione dell’immigrazione clandestina
nei paesi d’origine: sono cose queste da fare con atti quotidiani di
politica estera non da scrivere in un decreto per fare lo spot sui media. Si
richiama la possibilità di svolgere “ispezioni di bandiera”
da parte della Marina: sono cose che si sono sempre fatte e non c’era
bisogno di questo decreto per farlo. Idem per quanto riguarda le
attività di identificazione sulle acque internazionali: tutte cose che
venivano già fatte”.
“Per giudicare il potenziamento del coordinamento fra le varie
forze (l’unica novità del decreto), aspettiamo la nomina dei
coordinatori e l’istituzione della cabina di regia. Le divisioni del
Governo – conclude Calvisi – hanno impedito questo passaggio
fondamentale”.
LA PROVENIENZA DEGLI IMMIGRATI DA UN MONITORAGGIO DI MEDICI SENZA
FRONTIERE
I dati che di seguito riportiamo sono frutto del lavoro di Medici
senza frontiere, l’organizzazione umanitaria che ha monitorato la
nazionalità dichiarata da tutti i migranti sbarcati a Lampedusa fra il 9
e il 19 giugno. Non è detto che le nazionalità reali coincidano
esattamente con quelle dichiarate, soprattutto per il nutrito gruppo di arabi:
resta comunque un’utilissima base informativa per capire quali siano i
flussi reali di immigrazione, e le rotte seguite.
Da dove
vengono:
Palestina 403,
Iraq 287, Liberia 223, Eritrea 160, Sudan 141, Ghana 92, Somalia 77, Costa
d’avorio 56, Nigeria 42, Marocco 43, Pakistan 39, Sierra Leone 30,
Algeria 27, India 9, Kashmir 8, Congo 5, Tunisia 5, Etiopia 4, Togo 4, Gambia
2, Benin 1, Burkina Faso 1, Ciad 1, Camerun 1, Libia 1.
(da: Il Manifesto, 24 giugno 2003)
“ANZIANI ED IMMIGRAZIONE”
Evento Formativo ECM (Educazione Continua in Medicina)
dell’Istituto Fernando Santi
Il 16 giugno presso il CNEL 97 operatori del ruolo sanitario delle
ASL del Lazio hanno partecipato ad un corso di formazione promosso
dall’Istituto Fernando Santi conseguendo l’attestato del Ministero
della sanità e 5 crediti
formativi.
Si tratta di un primo corso, introdotto dal Presidente
dell’Istituto Piero Puddu, che verrà replicato in autunno per
poter rispondere alla domanda degli operatori.
Il tema, anziani ed immigrati, ha riflessi anche all’interno
delle famiglie.
L’ambiente familiare resta tra gli elementi più forti
dell’assistenza all’anziano.
I nuclei familiari attuali, tuttavia, da soli, non sempre sono in
grado di dare risposte che invece vanno ricercate su iniziativa delle
istituzioni locali.
Va data dunque assistenza agli anziani, specialmente non autosufficienti,
va data una qualificazione alla assistenza di centinaia di migliaia di
cosiddette badanti loro garantendo al contempo una emersione dall’area
del lavoro nero o grigio attraverso la formazione, l’aggiornamento, il
riconoscimento della loro funzione nel mercato del lavoro.
La D.ssa Bruna Marzucchini della Direzione scientifica del Convegno
ha presieduto al Convegno stesso.
Il corso ha impegnato relatori molto qualificati ed ha visto in
particolare l’intervento dell’Assessore alle Politiche Sociali per
la promozione della salute del Comune di Roma Raffaela Milano che ha illustrato
le iniziative da tempo avviate per favorire una assistenza a domicilio per gli
anziani in linea con le esperienze europee più interessanti. Tale
particolare tema è stato oggetto, peraltro di una specifica interessante
relazione della D.ssa Francesca Marchetti.
Il Prof. V. Marigliano, direttore della Cattedra di Geriatria alla
“Sapienza” di Roma in apertura ha dato un quadro vivo della
società italiana sia nei settori produttivi di beni sia nei servizi.
Esperienze a confronto si sono ricavate dalla relazione della D.ssa
R. Montanelli della Bocconi che ha peraltro del modello sanitario lombardo e
della D.ssa F. Santelli, sociologa della ASL di Paola che ha illustrato un
interessante modello organizzativo informatizzato di assistenza domiciliare
mentre il Dr. Cervelli della ASL RMB ha parlato dell’assistenza
domiciliare nella sua Azienda.
Il prof.Aldo Morrone fondatore del Poliambulatorio per immigrati
dell’ospedale S.Gallicano di Roma ha parlato della tutela transculturale
della salute e della salute nei paesi del sud del mondo.
Il Dr. D’Angiolino, medico legale consulente della Procura di
Roma ha sviluppato i molti aspetti legali e medico-legali del lavoro di coloro
che, immigrati, si “prendono
cura” degli anziani.
Di grande rilievo e accolti con molta attenzione gli interventi di
Giorgio Alessandrini consigliere del CNEL e di Gabriella Poli segretaria
nazionale dello SPI CGIL, il più grande sindacato italiano dei
pensionati. Quest’ultima ha portato a conoscenza della vasta platea di
operatori sanitari ancora in servizio la proposta unitaria dei sindacati dei
pensionati a sostegno di un sistema sanitario nazionale universalistico con un
determinante ruolo pubblico.
Gabriella Poli ha
inoltre ricordato la richiesta avanzata al governo nel 2002, e non accolta, per
un autonomo fondo sociale nazionale per le persone non autosufficienti. Tale
obiettivo è ancora essenziale, ha proseguito la Poli, se vogliamo
rispondere alla domanda molto alta che proviene dalle persone anziane non
autosufficienti. (R.G.)
MOLISE-NEW YORK: CULTURA E SOLIDARIETA’
Nell’ambito delle iniziative avviate nel corso della recente
visita negli Stati Uniti dal segretario generale della CGIL Molise, Michele
Petraroia, è arrivata a Campobasso, giovedì 19 giugno, una
rappresentanza di 6 studenti e 2 docenti di una scuola di New York che
sarà ospite a Sant’Elia a Pianisi dove stringerà rapporti
con la scuola e la comunità locale.
La professoressa Rosalie Romano, della Saint Peter’s
Preparatory-New Jersey, porterà con sé un messaggio della
responsabile del Consolato Generale d’Italia a New York, della dottoressa
G.Vincitorio che riconferma la disponibilità a far stabilire contatti culturali,
scambi sociali e solidali tra istituti scolastici americani e scuole molisane,
a partire da quelle dei comuni colpiti dal terremoto del 31 ottobre scorso.
L’idea su cui si mosse l’incontro tra il segretario
generale della CGIL Molise e la responsabile del settore istruzione e formazione
del Consolato, era quella di offrire un aiuto diverso alla nostra regione, un
sostegno incardinato sulle relazioni tra studenti e tra docenti, per scambiarsi
esperienze per posta elettronica, per instaurare rapporti, definire visite di
delegazioni legate alla conoscenza della storia locale e della lingua.
Un incoraggiamento ai nostri ragazzi, l’apertura di un dialogo
a distanza che può solo arricchire entrambi i soggetti e può
aprirsi ad ulteriori raccordi tra istituzioni, associazioni e mondo della cultura
e dell’economia.
Un particolare merito va riconosciuto al Sindaco di S.Elia a
Pianisi, Michele Petrecca, che immediatamente ha colto questa
opportunità ed ha materialmente organizzato l’accoglienza per i
sette giorni in cui la scuola di New York sarà in Molise. Contatti con
la scuola e con la comunità giovanile locale, visite guidate
nell’area del terremoto, a San Giuliano e nel resto della regione. Una
manifestazione pubblica predisposta per il 23 giugno alla presenza del Prefetto
e del Direttore Regionale Scolastico e tanti messaggi da affidare alla
Professoressa Rosalie Romano per il Consolato, per le altre scuola, per la
comunità americana e italiana, con particolare riferimento ad un antico
insediamento di Sant’Elia proprio nel New Jersey.
Un Molise che si apre al mondo, capace di muoversi nel villaggio
globale, in grado di guardare agli orfanotrofi dell’ex Jugoslavia con
progetti di solidarietà e allo stesso tempo di promuovere scambi con la
più forte nazione della terra. Un Molise sobrio, misurato, concreto, che
ha proposte, idee e progetti. Il futuro non può che essere questo.
La CGIL del Molise dà il benvenuto ai ragazzi di New York e
alla loro professoressa, augura loro buona permanenza in questa terra aspra che
ha visto partire troppe persone ma che custodisce valori e storia.
“I MANTOVANI NEL MONDO”: “AIUTIAMO GLI
ITALIANI D’ARGENTINA”
Una delegazione della FADAL (Federazione argentina delle
associazioni lombarde, 20 mila associati) è stata ospite nei giorni
scorsi a Mantova dell’Associazione mantovani nel mondo, di cui è
presidente Daniele Marconcini. Gli incontri hanno avuto come fine la promozione
di una legge regionale che consenta l’invio di aiuti ai connazionali in
difficoltà nel grande paese sudamericano.
La situazione in Argentina è drammatica: la pesante crisi
economica sta provocando un’altissima disoccupazione (il 25% della gente
è senza lavoro e la metà si arrabatta lavorando in nero). Della
delegazione facevano parte il segretario Miguel Angel Lombardi e Anna Maria
Fidemi.
“Molte Regioni italiane – spiega Marconcini –
hanno inviato ai loro connazionali in Argentina consistenti aiuti. La Lombardia
no, poiché manca un albo dei residenti all’estero, il solo che
consenta di inviare aiuti nominativi e non ad ospedali o associazioni di volontariato come sta
accadendo ora”. Di fatto, gli aiuti che giungono in Argentina vengono
indirizzati alle situazioni più gravi, come le strutture sanitarie
gestite da italiani o gli orfanotrofi. Molti connazionali restano così senza
possibilità d’aiuti diretti.
“Diversi cittadini d’origine mantovana –
confermano i delegati della Fadal – hanno perso il loro lavoro in tarda
età a causa della crisi. Per questo si trovano in condizioni
d’indigenza: impossibilitati ad avere un nuovo lavoro e a ricevere la pensione
in quanto in possesso di contributi lavorativi insufficienti”, Una
situazione alla quale alcune Regioni, soprattutto del Sud stanno facendo
fronte, pagando i versamenti necessari. “L’appello che facciamo
alla Regione – conclude Marconcini – è perché
modifichi le proprie leggi per consentire di aiutare i nostri
connazionali”-
LUCCA: LA FILEF DENUNCIA LA RIDUZIONE DEI SERVIZI POSTALI ESTIVI IN
ZONA DI EMIGRAZIONE
Sta succedendo in molte zone di emigrazione della Toscana, sembra
per disposizioni del Ministero. Per fare usufruire delle ferie al personale
(per il quale il Ministero stesso richiede di diminuirne i giorni in sede di
rinnovo contrattuale…) anziché utilizzare personale di
“supplenza”, si è deciso di ridurre le giornate di apertura
degli Uffici stessi.
Questa decisione colpisce soprattutto le zone di montagna della
Garfagnana, Lunigiana, Montagna Pistoiese, Aretina, ecc.
Bel colpo, Signor Ministro!
E complimenti per la sua sensibilità sociale e la sua
conoscenza dei nostri “fratelli emigrati” che per le ferie fanno
ritorno al “nido natale”!
Gli emigrati portano risparmi, da aggiungere sui loro libretti
postali, magari da fare opportunamente evolvere in sottoscrizione di
“nuovi prodotti finanziari” che non mancano ed hanno un effettivo
interesse. Trovano gli uffici postali pressoché chiusi. In Bagni di Lucca-Val di Lima
(Isola-San Cassiano di C.-Montefegatesi) si è deciso di lasciare un solo
giorno aperto anziché i due in visore per i mesi di Luglio, Agosto,
Settembre. Cosa dicono i signori Sindaci? Sono d’accordo con il Signor
Ministro? Noi no. E invitiamo alla civile protesta.
Enzo Lanini, Filef Lucchese e Toscana
L‘IMPEGNO DI DINO FRISULLO PER IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI
DEI CURDI
Riprendiamo da “Il Manifesto” del 7 giugno 2003,
all’indomani della morte di Dino Frisullo, un ricordo che di Lui ha
tracciato Angela Bellei, presidente dell’associazione “Azad”
di solidarietà con il popolo kurdo.
“Abbiano tutti noi perduto un grande compagno, un amico, una persona che ha saputo vivere come molti vorrebbero, ma non ne hanno la forza. Dino è stato il nostro tormento e la nostra gioia, ci ha scatenato sentimenti di amore e di insofferenza quando, testardamente, pretendeva il nostro coinvolgimento immediato per evitare l’espulsione di un profugo. Lui era nel giusto, lui provava la rabbia delle ingiustizie e si ribellava fino a farsi incarcerare per il riconoscimento dei diritti dei curdi e fino a dimenticarsi di se stesso. Dino era un amico e un compagno intelligente, colto, ma soprattutto dotato di una straordinaria capacità: quella di farsi perdonare i suoi eccessi attraverso la sua dolcezza e la coerenza che erano il suo stile di vita.
Abbiamo lavorato per dieci anni, con i compagni curdi e gli immigrati. Un lavoro difficile ma che Dino ha compiuto con grande capacità, con partecipazione e passione. Ci mancheranno le sue telefonate notturne che iniziavano sempre così: “…Due o tre cose ti devo dire, anzi cinque o sei” e, in piena notte, ci squadernava le proposte di lavoro per il giorno successivo.
La malattia lo aveva fortemente segnato nel fisico, ma non aveva intaccato le sue elaborazioni e, da ultimo, la preoccupazione per la sorte dei profughi curdi che si trovano ai confini tra Turchia e Iraq, nel campo di Mahmura, per i quali stiamo portando avanti una campagna per la raccolta di fondi.
Non dimenticheremo la sua determinazione, il suo coraggio, la sua passione e cercheremo di continuare. Ci mancherà, tanto”.
LISBONA: XI EDIZIONE DEL FESTIVAL
INTERNAZIONALE
Nella
sede dell’Istituto Italiano di Cultura a Lisbona, di fronte a giornalisti
di diverse testate portoghesi, italiane e spagnole, si è svolta la
conferenza stampa di presentazione del programma della XI Edizione del Festival
Internazionale “Sete Sóis, Sete Luas”. Il Festival, nato a Pontedera nel 1993,
è un progetto promosso da una rete culturale di circa 30 cittá e
cittadine di cinque diversi Paesi: Italia, Portogallo, Spagna, Grecia e Capo
Verde. Esso realizza i suoi
progetti principalmente nei settori della musica popolare ed etnica e di quella
classica, del teatro di strada, delle arti plastiche, con il coinvolgimento
nelle sue attività di grandi nomi della cultura europea e mediterranea.
Due premi Nobel, Josè Saramago e Dario Fo´ne sono i presidenti
onorari. Il Festival ha ricevuto
per 23 volte il Premio Caleidoscopio della Commissione Europea. Da questa
edizione anche il Comune di Roma e
l’Estate Romana 2003 si sono uniti alla lunga lista dei partners che
comprende, tra gli altri, La Regione Toscana, il Ministero della Cultura
portoghese, il Ministero della
Cultura di Capo Verde, l’Unione Latina, le Province di Pisa, Alicante e
Valencia , l´Ambasciata d’Italia in Portogallo e l’Istituto
italiano di Cultura di Lisbona,
oltre a una trentina di comuni dei diversi Paesi partecipanti, presso i
quali si svolgerà tra
giugno e dicembre tutta una serie
di iniziative culturali di alto profilo.
Roma ospiterà per fare solo un esempio la prima assoluta
dell’opera teatrale “Mario, lui stesso e l’altro”,
scritta dal grande drammaturgo portoghese Josè Regio e messa in scena
dal grande cineasta Manoel de
Oliveira (9 luglio).
La stretta e tradizionale collaborazione
tra il Festival e l’Istituto Italiano di Cultura di Lisbona
porterà in Portogallo
cantanti, gruppi musicali, pittori e critici, che daranno lustro
all’ annuale Festa della Musica che si svolgerà nella
località di Santa Maria da Fiera (Oporto), quali:
-
Antonella
Ruggiero (giá membro dei Matias Bazar), che si esibirà il 20
giugno;
-
Alessandro
Safina, voce emergente della lirica, che si esibirà sempre il 20 giugno;
-
Giovanni
(Alan) Wurzburger, autore, compositore e cantante inserito nella tradizione
napoletana che lo fará il giorno seguente, 21 giugno;
o che integreranno gli eventi culturali pensati anche in occasione del Semestre di Presidenza
Italiana dell’Unione europea, quali:
-
Carlo
Faiello e la Tammurriata Remix con
lo spettacolo “Le danze di Dionisio”, il 18 luglio a Ponte de Sor;
-
la Compagnia
teatral-musicale “Bonifica Emiliano Veneta” che effettuerà
tra il 25 luglio e l’8 agosto una tournée che comprenderà
le località di Ponte de Sor, Santa Maria da Feira, Portimão,
Vendas Novas, Vila Real de S. Antonio e Lagos;
-
il noto
pittore Riccardo Benvenuti che inaugurerà presso il Museo del Fado di
Lisbona una mostra di pittura specificamente dedicata ai paesaggi e alle figure
del “Fado”, la musica nazionale portoghese. I ritratti che
dedicherà alle figure storiche e a quelle emergenti di questo genere
musicale, stanno già suscitando un grosso interesse nel Paese. Durante
l’inaugurazione, prevista per il 16 settembre, si svolgerà anche
un concerto di Fado effettuato da Marco Poeta e l’Accademia del Fado di
Recanati, ritenuti in Portogallo i più rilevanti “fadisti”
non portoghesi;
-
il noto
pittore Antonio Possenti che presenterà a Lisbona, presso la prestigiosa
Sociedade de Belas Artes, ad ottobre,
una mostra personale retrospettiva per i suoi 70 anni di etá.
-
Omar
Calabrese, pubblicista, opinionista, critico, docente di Semiotica presso
l’Università di Siena, che pronuncerà conferenze presso
l’IIC di Lisbona (24 novembre) e presso alcune località
portoghesi.
DAL MOLISE UN PICCOLO GESTO PER I BAMBINI DELLA BOSNIA
Dando seguito agli impegni assunti nel corso della recente visita
agli orfanotrofi della Bosnia, la CGIL Molise ed il Comitato Vittime di San
Giuliano di Puglia, hanno voluto inviare dei beni di prima necessità
(latte, biscotti, pasta e zucchero) e dei materiali didattici ai bimbi e ai
ragazzi ospitati nei diversi Istituti bosniaci.
Un piccolo gesto che segna la continuità di un progetto
partito il 18 gennaio con la visita dei 300 orfani a San Giuliano e che
successivamente ha condotto una consistente delegazione del Comitato Vittime in
Sicilia per il 1° Maggio, ed il Presidente Adriano Ritucci che con Enzo
Francario e col segretario della CGIL, Michele Petraroia sono stati in Bosnia a
fine maggio.
Il progetto mira ad emulare l’esempio dell’Associazione
siciliana L. Lama di Enna che da 11 anni è attiva con interventi di
solidarietà in Bosnia in particolare verso i bambini e gli orfani, con
azioni mirate che promuovono la socializzazione tra i diversi gruppi etnici e
religiosi. Sia in estate che a Natale organizzano l’accoglienza di oltre
300 ragazzi che vengono affidati ad altrettante famiglie siciliane. Ma nel
resto dell’anno seguono da vicino la vita degli Orfanotrofi e fanno
giungere sostegni e solidarietà con l’obiettivo non di sradicare i
bimbi dalla loro terra, bensì di aiutarli a crescere e ad essere
preparati per rilanciare e riorganizzare la loro nazione.
Su questa falsariga il Comitato Vittime di San Giuliano intende dar
vita ad un modello simile da riproporre in Molise. E nel frattempo però
c’è da acquisire una preparazione tecnica e burocratica seguendo
l’Associazione L. Lama di Enna.
Infatti, venerdì 2 giugno sono partiti dalla Sicilia 6
pullmann con destinazione Bosnia, che si sono incontrati la mattina successiva
al casello autostradale di Termoli dove una delegazione del Comitato Vittime e
della CGIL hanno caricato i beni di prima necessità per i bimbi e i
ragazzi che non potranno venire in Italia.
Franco Spina per la CGIL e Giuseppe Di Grappa per il Comitato
Vittime si sono uniti alla delegazione della Sicilia e insieme sono partiti per
la Bosnia per consegnare messaggi di solidarietà e acquisire conoscenze
pratiche da utilizzare per il progetto futuro che si intende realizzare in
Molise.
Quattro giorni tra Mostar, Sarajevo, Banja Luka, Turija e Tuzla e
l’arrivo il 22 giugno a Banja Luka in previsione della visita di Papa
Giovanni Paolo II. Un viaggio della speranza quello del pontefice nella
capitale di uno Stato non riconosciuto a livello internazionale, quello della
Repubblica Serbo-Bosniaca, dove si sono consumati gli eventi più crudeli
della guerra civile.
Questo gesto modesto, di una piccola regione provata dalle tragiche
vicende del terremoto e dai pesanti danni dell’alluvione, è un
segnale di speranza e di rinascita.
Un territorio piegato dalle calamità ma in grado di
promuovere solidarietà verso aree meno fortunate è un segno di
fiducia verso il futuro, è la migliore risposta a quanti dipingono il
Molise con tratti irriverenti e ingenerosi.
MORRI: LO SPETTACOLO DEL “PREMIO ALMIRANTE PER IL
TEATRO” DEPRIME LA QUALITA’ DELLA RAI
“Raramente si è visto uno spettacolo senza senso
né qualità come quello del “premio Almirante per il
teatro” integralmente trasmesso su Rai Uno nella seconda serata di ieri
(18 giugno, ndr).
“Una “marchetta” politica ad un partito, An che,
se conferma la pochezza culturale di questa destra, e questo è un bene,
fa sorgere una domanda più di fondo; ma perché la Rai deve
trasmettere e per di più sulla rete principale cose di infima
qualità per compiacere un partito, sia esso di governo o di opposizione?”
“Non è questo il modo giusto per garantire pluralismo
culturale tanto è vero che l’unico risultato è stato quello
dell’insuccesso negli ascolti, che sono stati bassi (10% dello share)
esattamente come bassa era la qualità di quella manifestazione.
Così facendo, si deprime solo la Rai, la sua autonomia e la sua
qualità e forse questo risultato è ciò che davvero
interessa a questa destra”.
Lo afferma Fabrizio Morri, responsabile Informazione della
Segreteria nazionale dei Ds.
ASSEMBLEA PLENARIA DEL CGIE IL 9-10-11 LUGLIO 2003
L’Assemblea plenaria del Consiglio Generale degli Italiani
all’Estero si riunirà in seduta ordinaria nei giorni 9, 10, 11
luglio 2003, a Roma nella Sala Conferenze del Jolly Hotel Villa Carpegna
– Via Pio IV 6, Roma, con inizio alle ore 10.00, per discutere il
seguente ordine del giorno:
1)
Relazione
sulle attività del Governo verso gli italiani nel mondo
2)
Relazione
del Comitato di Presidenza
3)
Intervento
dei rappresentanti del Parlamento
4)
Dibattito
Ore 15.00 – 18.30
5)
DDL 3987
– Legge di riforma dei COMITES
6)
Seguiti
della Conferenza Stato-Regioni-Province autonome-CGIE
7)
Esercizio
del voto all’estero: referendum del 15 giugno 2003
8)
Unità
di coordinamento Stato-Regioni-Province-autonome-CGIE per le iniziative a
favore dell’America Latina
9)
Riforma
della Legge 153
-
intervento
del Presidente della IV Commissione Tematica del CGIE
-
intervento
del Ministero degli Affari Esteri
-
intervento
del ministro per gli Italiani nel Mondo
-
intervento di
esperti e rappresentanti delle organizzazioni sindacali
-
dibattito
Ore 15.00 – 18.30
10)
Commissioni
Tematiche del CGIE: comunicazioni dei Presidenti sui lavori delle rispettive
commissioni / dibattito
11)
1^
Conferenza dei giovani italiani nel mondo:
-
comunicazioni
-
testimonianze
dei rappresentanti delle Regioni italiane
12)
Stato
dell’indagine sui giovani italiani all’estero (2° Modulo)
13)
Votazioni
europee, ipotesi del voto per corrispondenza (lettera del Ministro Tremaglia)
Ore 09.30 – 13.30
14)
Comitato
degli scienziati italiani all’estero
15)
Question
time
16)
Ordini
del giorno e mozioni
Varie
00000ooo00000
DOCUMENTAZIONE
CASABLANCA 29 - 30 - 31
MAGGIO 2003
Intervento d‘apertura di Gianni Farina,
Vice Segretario Generale del CGIE per l‘Europa e Nord Africa.
1. Esattamente due anni or sono la Commissione europea Nord Africa del Consiglio Generale si riuniva in Algeri con un peculiare tema al centro del dibattito :
la “Carta dei
Diritti Fondamentali dell’Unione europea”.
Affermammo che l’Europa non si riassumeva in un mercato. Che al suo
centro vi erano i cittadini. Tutti i cittadini, dell’Unione, ed i tanti
milioni provenienti dal Nord Africa, dal paese ove oggi siamo ospiti, come da
tante altre parti del nostro pianeta.
Affermammo che
l’universabilità, l’indivisibilità, e la giustizia
per tutti fossero gli obiettivi concreti da raggiungere.
2. Criticammo il fatto che la Carta distinguesse tra diritti
riconosciuti a tutti e altri riservati ai soli residenti o ai soli cittadini
dell’Unione.
Noi siamo impegnati per una Unione tra i popoli dell’Europa
che significa unione delle loro storie e delle loro culture.
Una Unione aperta al mondo ,alle tante culture dei milioni di
immigrati che ci vivono, alle concezioni filosofiche e religiose che sono ormai
una parte importante della realtà europea.
I sei valori fondamentali sui quali si sta costruendo
l’identità europea - dignità, libertà, uguaglianza,
solidarietà, cittadinanza e giustizia - nonché la sua carta
sociale, devono essere universalmente riconosciuti al di là e al di
sopra delle provenienze fuori dall’Unione, del credo e della cultura di
ognuno.
Oggi, siamo qua a Casablanca,
in questa splendida città del Marocco moderno che sta affrontando
con coraggio la scommessa del
ventunesimo secolo: assicurare sviluppo e progresso al suo popolo.
3. Un popolo che noi già conosciamo perché ci viviamo
accanto nelle città e nei villaggi dell’Europa, all’interno
del mondo della produzione: nelle fabbriche, sui cantieri, nelle
attività commerciali, nei
servizi, Italia compresa , ove la comunità Marocchina é oramai
parte importante della nostra realtà quotidiana.
Chiediamo per loro, per tutti loro, per quelli che già ci
vivono e per quelli che verranno: atti concreti per una integrazione
protagonista, rispetto, solidarietà, amore.
Noi possiamo alzare queste nobili bandiere.
Lo possiamo fare perché l’esperienza nostra, del non
tanto lontano passato, é cosi simile, cosi spesso identica nelle
speranze nelle disillusioni ,
Fra pochi giorni – il due giugno – festeggeremo un
anniversario che é memoria collettiva di un intero popolo.
La democrazia repubblicana alza la bandiera tricolore che ha
conquistato ,da quel due Giugno del 1946, il diritto alla pari
dignità nel contesto delle
nazioni libere e progredite del nostro pianeta.
4. La Costituzione italiana, in un mondo travagliato dalle guerre,
dall’oppressione e dalla miseria a cui sono ancora condannati tanti
popoli della terra, é ancora oggi di straordinaria attualità per
chi, come noi, é da sempre
impegnato sul terreno della lotta per i Diritti, per il riscatto dei
poveri e degli emarginati, per costruire un’Italia ed una Unione europea
fondata sulla solidarietà, sulla convivenza e la pari dignità di
tutti gli uomini e le donne che ivi vivono e lavorano.
E’ la Costituzione italiana che ha ristabilito la sovranità popolare,
Costituzione frutto del contributo di tante espressioni filosofiche e culturali
che hanno trovato nel confronto ed anche nello scontro dialettico, la forza per
emanare un testo fondamentale di cosi alto valore.
Oggi, nel mentre ci accingiamo ad affrontare attraverso un fecondo,
appassionato dibattito i temi al centro dei nostri lavori: i diritti politici e
la partecipazione, il rispetto delle radici culturali e il confronto tra le
tante civiltà che popolano il villaggio Europa ed il nord Africa, non
potevamo non partire dall’Italia, dal suo essere, da un passato
indimenticato da un dopoguerra che
vide partire milioni di uomini e di donne.
5. Un esodo di massa palpitante di speranze per una condizione
più umana, speranza di uscire dalla emarginazione e dalla miseria in cui
viveva la maggior parte della gente italica nel dopo guerra.
Oggi e anche per questo,
noi chiediamo pari dignità - sociale, umana, civile, politica
– per tutti quelli che vivono il villaggio Europa.
Siamo cittadini europei in una Unione che sta elaborando la sua
“carta fondamentale”, quella Convenzione che suscita in noi tante
speranze, che può rappresentare, anzi lo deve, la stella polare della
democrazia europea.
Ieri, un passato molto recente, per molti versi ancora presente,
disperati senza diritti eravamo noi.
Noi, nelle terre della Vallonia a scavare e spesso morire per qualche chilo di
carbone, noi a costruire autostrade, ponti gallerie nella terra dei galli, dei
germani o degli elvezi, noi con i nostri sentimenti, le aspirazioni e le
speranze di una vita più umana, trattati spesso e unicamente come
braccia di lavoro: usa e getta, utilizza o espelli a seconda della situazione
economica del momento.
6. Usa e getta sotto la continua minaccia di ricatti referendari
chiamati a decidere sul perché e sul come aver diritto a risiedere in
paesi lontani dalla terra natia.
Atteggiamenti di tipo razzistico e xenofobo di cui eravamo vittime e
che oggi colpiscono tanti immigrati extraeuropei.
Razzismo come affermazione di essere migliore dell’altro.
L’attuale dibattito sull’immigrazione che non sa alzare
il livello
Intellettuale all’altezza delle realtà multiculturali
derivanti dalla nuova immigrazione di massa.
Oggi che assistiamo in Europa non a spostamenti individuali ma a
vere e proprie migrazioni di popoli dal
mondo sottosviluppato al nostro.
Oggi che assistiamo a tali fenomeni, dobbiamo essere consapevoli che
la difesa dei diritti altrui assicura i diritti di tutti.
Sviluppo della civiltà, creatività culturale sono conseguenza dell’incontro
tra i popoli, tra i diversi.
7. La diversità può e deve essere una ricchezza, non
un problema da risolvere.
E l’incontro avviene proprio perché si é
diversi.
E’ mancata in un lungo periodo del dopoguerra e nei nostri
confronti una politica di lunga lena, da parte dell’Italia e dei paesi
ospitanti, per progetti innovativi, avanzati in direzione della piena
integrazione di milioni di cittadini italiani nel contesto europeo.
E manca oggi, almeno a me cosi sembra, il progetto per la costruzione di una società
plurietnica in ogni singola nazione dell’Unione europea, progetto che
presuppone scelte di grande coraggio, le sole e in ogni modo, in grado di assicurare sviluppo e progresso
all’insieme dell’Europa.
Assicurare uno sviluppo che presuppone cooperazione civile tra paesi
ricchi e paesi poveri, pari dignità e uguaglianza delle
opportunità, stato sociale, diritti civili e politici per tutti, comunitari e non, deve divenire
obiettivo primario dell’Unione europea, impegno appassionato perché
si realizzi per tutti noi.
8. Oggi e domani ascolteremo relazioni di grande spessore culturale, di uomini e donne impegnati
sul terreno avanzato della difesa e dell’allargamento dei diritti di
milioni di cittadini immigrati.
Li ringraziamo per aver accolto l’appello a venire tra noi a darci il loro importante contributo
intellettuale e umano.
Noi diremo la nostra.
Esiste oggi in Europa un grande tra tanti problemi, quello della
sicurezza, nel contesto delle migrazioni di massa dovute a più fattori e
che ha assunto una straordinaria importanza ed é al centro degli interessi
e delle preoccupazioni delle opinioni pubbliche e dei governi
dell’Unione.
Se ne può uscire in due modi: con politiche di contenimento e
persino di provvedimenti di carattere repressivo, sull’onda di
atteggiamenti xenofobi e razzisti – alcuni risultati elettorali in Europa
ci ammoniscono del pericolo - da parte di minoranze violente e chiassose.
9. Il cancro dello scontro tra civiltà acuito dai venti di
guerra, da repressioni e terrorismo può in tal caso divenire drammatica
realtà.
Ma se ne può uscire anche in avanti.
Anzi, ne dobbiamo uscire in avanti, con politiche innovative che
portino ad una integrazione protagonista fondata sul rispetto dei popoli, delle
loro culture, delle loro tradizioni.
Il patrimonio intellettivo e umano della comunità italiana
nell’Unione e nel Nord Africa é una straordinaria ricchezza che
può e deve essere messa al servizio di un cosi grande obiettivo: la
società della solidarietà: dei liberi, dei diversi e degli
uguali.
00000ooo00000
Da DEMOS newsletter DS
riceviamo e volentieri rilanciamo
A COLLOQUIO CON MASSIMO D'ALEMA
La pace in Medio-oriente banco di prova
per l’unità dell’Europa.
Abu Mazen costituisce una svolta e va
sostenuto
di Ignazio Vacca
Massimo D’Alema è di ritorno da un rapido itinerario
nel Mediterraneo meridionale, è stato in Marocco, in Israele, ha
incontrato gli esponenti del nuovo governo palestinese, è un percorso
che vuole prolungare nei mesi prossimi per approfondire la conoscenza ed il
rapporto con un mondo attraversato, dopo il conflitto iracheno, da
risentimento, inquietudini, ma anche da spinte al cambiamento. Nel corso della
nostra conversazione si sono intrecciate notazioni di viaggio, considerazioni
storiche, culturali e politiche, ma sulla situazione dei territori palestinesi,
D’Alema prorompe in una denuncia vibrante delle condizioni che lì
si vivono, estrae da un faldone mappe, documenti, fotografie. Vuole scuotere il
silenzio con il quale troppo spesso l’Europa appare rassegnata ad un
conflitto senza fine.
La fine della guerra, la caduta di
Saddam, hanno solo acutizzato lo scontro tra mondo islamico e occidente, oppure
in questo scenario ci sono anche nuove opportunità da cogliere?
La guerra ha acutizzato il sentimento antioccidentale nelle opinioni
pubbliche e tra le masse arabe, questo è indiscutibile, lo si percepisce
ovunque. Allo stesso tempo, sul piano politico, la guerra ha aperto anche delle
opportunità, perché oggi, sia i paesi che hanno fatto la guerra,
sia quelli che non l’hanno condivisa, hanno interesse ad
aprire una diversa prospettiva nel rapporto con il mondo islamico, di evitare
cioè che la guerra preventiva degeneri in scontro di civiltà.
Finora l’unico messaggio che ha agito in controtendenza, potentemente,
è stato quello del Papa; il rischio di uno scontro di civiltà
è stato molto ridotto dal fatto che il capo della Chiesa di Roma abbia
parlato con tanta passione contro la guerra. Le sfide che si aprono nel
dopoguerra sono: il futuro dell’Iraq, il rapporto del nuovo Iraq con i
possibili processi democratici del mondo arabo e, naturalmente, la soluzione
del conflitto israelo-palestinese che sarà il banco di prova della
coesione e dell’influenza dell’Europa, nonché della
costruzione di un nuovo rapporto tra occidente e mondo arabo e, più in
generale, di rapporti internazionali che non siano basati su un “doppio
standard”.
Di recente sei stato in Marocco, come
vedono lo scenario del dopo guerre le classi dirigenti di quel paese che appare
laicizzato e distante, non solo geograficamente, da Baghdad?
Il Marocco è un paese molto interno al mondo musulmano -tieni
conto che il re del marocco è discendente del profeta, si chiama
Maometto (Mohammed VI)- è sede di importanti scuole coraniche. E’
un paese dove si è costruito un difficile equilibrio con la democrazia,
c’è il pluripartitismo, il parlamento, una coalizione di
centro-sinistra al governo, composta dalle forze che storicamente si sono
battute contro l’autocrazia. Tutto questo in un rapporto positivo con il
re, che mantiene poteri rilevanti e che tuttavia sostiene i processi di
modernizzazione, già negli ultimi tempi di Hassam II, ma soprattutto
oggi, col nuovo sovrano.
Le forze di sinistra marocchine sono di
cultura laica, occidentale o sono incardinate alla realtà islamica?
Sono partiti di tradizione laica, di ispirazione nazionalista. In
particolare la principale formazione di sinistra, l’Unione socialista
delle forze popolari, nasce da una scissione a sinistra dell’ Istiqlal,
la storica formazione politica nazionalista e democratica. Le leadership di
questi partiti hanno sofferto l’esilio, sono state in Europa, sono di
cultura francese, hanno avuto una formazione di tipo laico (erano il gruppo di
Ben Barka, il leader nazionalista marocchino, rapito e ucciso a Parigi nel
1965). Sono stato invitato dal leader dell’Unione socialista, Abdehrraman
Youssoufi, avvocato, ex primo ministro, capo dell’associazione per i
diritti umani, grande personalità democratica, oggi alleato nel governo
con l’Istiqlal. E’ intervenuto alla conferenza pubblica che ho
tenuto presso il ministero degli esteri a Rabat, dove mi ha colpito constatare
la diffusione di un forte sentimento antiamericano generato dalla guerra e
dalle preoccupazioni sul dopoguerra. Pur essendo il Marocco un paese in cui
Saddam Hussein non ha mai goduto di alcuna popolarità. Poi ho avuto
anche incontri con il primo ministro, con altri membri del governo, con il
presidente della confindustria. La prima domanda che tutti mi hanno rivolto
è stata: “perché l’Italia ha abbandonato la sua
tradizionale posizione di amicizia verso il mondo arabo”? Questo cambio
di linea del governo italiano è stato fortemente avvertito da larghi
strati di opinione pubblica. Anche la famosa battuta di Berlusconi sulla
superiorità della civiltà occidentale è rimasta scolpita
nella memoria diffusa. Anche per questo lì oggi c’è grande
simpatia verso chi si oppone a quella linea, l’ho percepito dal rilievo
che ha avuto la mia visita sui giornali marocchini, nelle televisioni,
addirittura dalle testimonianze di simpatia che ho raccolto per strada, nella
medina di Fez.
In questo difficile dopoguerra come si
colloca la road map, il percorso delineato dal “quartetto” (Stati
Uniti, Europa, Onu e Russia) per dare una soluzione pacifica al conflitto tra
israeliani e palestinesi. Si tratta di una nuova opportunità, oppure
è un’”ultima possibilità”, come l’ha
definita con un certo pessimismo il nuovo premier palestinese Abu Mazen, nel
suo discorso di insediamento?
Bisogna guardare lucidamente alla situazione attuale nei territori
occupati, dove si sta consumando un dramma di proporzioni inimmaginabili. Dopo
il tragico errore compiuto dalla leadership palestinese, quando a settembre del
2000 non ha voluto concludere l’accordo con Barak -accordo sollecitato
lungamente da Clinton negli incontri di Camp David (mappa
A) - si è aperta una nuova fase di conflitto. L’intifada
armata, il terrorismo, che ha fatto centinaia di vittime tra i civili
israeliani, con le azioni spaventose dei kamikaze, hanno spinto a destra
l’opinione pubblica israeliana e hanno prodotto una forte
solidarietà internazionale verso la destra al governo. Si sono spostate
in modo evidente anche le comunità ebraiche nei diversi paesi. La
sinistra israeliana, dedita da anni al dialogo per la pace, è rimasta
isolata. La reazione israeliana è stata devastante e ha prodotto effetti
assai profondi: col governo Sharon, Israele non si è limitata ad una
catena di rappresaglie, di uccisioni, che hanno prodotto un numero elevatissimo
di morti tra la popolazione civile palestinese; ha mirato anche alla
scientifica distruzione della struttura operativa della Autorità
nazionale palestinese e ha rilanciato la politica degli insediamenti. In questo
modo si è configurata, nei fatti, soluzione della questione palestinese
assai diversa da quella di Oslo, che assumeva il principio “due popoli,
due stati”. Ciò che sta avvenendo in concreto è la
delimitazione militare di aree palestinesi, delle enclaves prive di qualsiasi
struttura istituzionale e amministrativa, all’interno del territorio
israeliano. Stiamo assistendo alla espansione delle colonie, divenute vere e
proprie città, e alla creazione di nuovi insediamenti, le une e gli
altri, recintati da mura di cemento armato alto dieci metri. Come si vede su
questa cartina delle Nazioni Unite (mappa
B), a Qalquiliya, la recinzione sancisce la requisizione di intere aree
della West Bank (i territori occupati della Cisgiordania), si sono espropriati
senza indennizzo migliaia di palestinesi lasciando senza tetto, sinora, 12 000
persone. Nelle attuali condizioni, per esempio, i cittadini di Habla, per
recarsi nel loro capoluogo, che in linea d’aria è vicinissimo,
devono fare un giro di 45 chilometri. Con l’estensione delle colonie
negli anni recenti è stato occupato stabilmente il 40 % del territorio
palestinese. C’è un progetto che va in questa direzione, tracciato
da Sharon in quest’altra cartina (mappa
C) che illustra la proposta da lui avanzata a Clinton nel 2001,
(d’altronde Sharon disse anche a me, una volta che l’ho incontrato,
di voler creare delle “aree autonome palestinesi, all’interno dei
confini di Israele, tipo i Bantustan”, le città ghetto del vecchio
Sudafrica). Si tende a collocare gli insediamenti lungo i confini, nelle zone
dove c’è l’acqua e sulle alture, per evitare che la futura
entità palestinese possa confinare con altri stati arabi, quindi si
procede alla costruzione di strade riservate agli israeliani, per collegare tra
loro gli insediamenti, costeggiate da fossati e da fili ad alta tensione.
Betlemme oggi è una città integralmente circondata,
l’antica strada dei pellegrini che portava da Gerusalemme a Betlemme
è chiusa dal muro (mappa
D).
La road map rappresenta quindi una
straordinaria inversione di tendenza...
Certo, ma non dobbiamo sottovalutare quanto sia critica la
realtà da cui si parte: da un lato la decisione sciagurata della
leadership palestinese di non firmare a Camp David ha dato vita
all’intifada armata e ha portato a una sconfitta storica
dell’Autorità palestinese, delle componenti democratiche e laiche
di quel popolo, ha prodotto il rafforzamento del fondamentalismo che
attecchisce più facilmente nella disperazione sociale che si è
diffusa. Anche da parte israeliana c’è una deriva estremista, si
rafforzano le posizioni fondamentaliste. Non dimentichiamo che nello stesso
Likud (il partito di destra al governo) si è votato, a dispetto delle
aperture di Bush e del parere dello stesso Sharon, contro la nascita di uno
Stato palestinese. D’altronde la guerra in Iraq ha prodotto nel campo
israeliano due diverse reazioni, da un lato il timore di dover pagare dei
prezzi alti per una soluzione pacifica del conflitto con i palestinesi, ma
dall’altro anche la convinzione, che si è diffusa in strati
significativi dell’opinione pubblica, che alla questione palestinese si
possa dare una soluzione militare.
La designazione di Abu Mazen a capo del
governo palestinese può costituire una svolta non effimera in questo
scenario, nel suo discorso programmatico ha preso un forte impegno a porre fine
alle violenze e a realizzare il disarmo delle fazioni palestinesi, aderendo
pienamente alla road map, come valuti il suo ruolo?
Abu Mazen rappresenta una reale svolta, è il primo dirigente
palestinese che io abbia sentito dire: “Noi abbiamo sbagliato, dobbiamo
cambiare strada, non solo noi di Al Fatah, ma dobbiamo convincere di questo
tutte le componenti della società palestinese”, Abu Mazen pensa
che, se il movimento palestinese continua così andrà alla rovina
e vuole impegnarsi dunque in un duro chiarimento interno. “Fermare il
terrorismo è interesse nostro, non è tema di una trattativa con
Israele –questa è l’affermazione che mi ha colpito- nella
peggiore delle ipotesi, anche se Israele non farà nulla -come è
possibile, se non ci sarà una fortissima pressione americana- quantomeno
recupereremo la solidarietà internazionale che ora ci manca”.
Ti sembra che il suo tentativo abbia la
possibilità di affermarsi, o le forze che lo contrastano prenderanno il
sopravvento?
E’ molto difficile, questa posizione di Abu Mazen, così
giusta, è anche assai impopolare nel campo palestinese, perciò ha
bisogno del sostegno internazionale, ma soprattutto di quello di Arafat, che
è il Presidente eletto dai palestinesi. Per questo sono andato ad
incontrarlo, ritengo che solo con il sostegno di Arafat, Abu Mazen può
pensare di farcela, altrimenti le possibilità si riducono a zero. Lo
deve capire la diplomazia internazionale e specialmente quella europea. Solo se
ci sarà rispetto per Arafat, per la sua libertà e per il suo
ruolo, Abu Mazen potrà tentare quella sfida.
Che ruolo svolge Arafat oggi, rispetto
a questa svolta che è, in parte, anche una sconfessione delle scelte da
lui compiute a partire da settembre del 2000; si attiva per mobilitare forze a
sostegno di Abu Mazen o fa ancora troppa fatica a riconoscere i propri errori?
Arafat è un uomo anziano che vive in isolamento, in
condizioni umilianti, trincerato dentro i ruderi di un palazzo che è
stato distrutto, con le automobili accartocciate davanti. Tutto questo non
aiuta. Certo è importante che vadano a trovarlo persone di cui si fida e
verso le quali prova affetto che gli dicano, come ho fatto io: “caro Yasser,
devi dare una mano ad Abu Mazen, è l’unica speranza e devi sapere
che quelli che vogliono bene ai palestinesi nel mondo la pensano
così”. Lui mi ha detto di non nutrire grande fiducia sul fatto che
Sharon voglia andare in direzione della pace, ma ha aggiunto che per quanto in
suo potere sosterrà Abu Mazen. Il successo di questa svolta palestinese
è legato comunque a un equilibrio molto fragile, quando le incursioni
israeliane, ogni giorno, distruggono le case, uccidono i civili (come è
avvenuto anche nelle ultime ore) la piazza di Gaza si riempie di estremisti che
invocano la guerra e minacciano Abu Mazen. E’ una spirale entro la quale
diventa quasi impossibile per i leader moderati imporre il disarmo e la tregua.
Questo tentativo che è in atto nel campo palestinese, o trova una sponda
nella comunità internazionale che eserciti una pressione decisiva su
Israele, oppure non produrrà effetti.
Abu Mazen ha fatto appello a tutte le
componenti della società palestinese, dichiarando di voler costruire un sistema
pluralistico, basato sul multipartitismo. Oltre alla sfida del disarmo e della
legalità, sembra voler costruire un dialogo con le componenti più
radicali. . .
Questo è molto importante, perché Abu Mazen propone un patto politico ad Hamas, alla Jihad: “deponete le armi e facciamo le elezioni in Palestina, se vincete governate voi. E’ un leader che si rende conto del fatto che gli elementi di dittatura (che ci sono stati) nel governo di Al Fatah, le malversazioni, hanno favorito i fondamentalisti. Lui ha fama di persona integra e vuole aprire un processo democratico, trasparenza nella gestione del potere, tutela delle libertà e dei diritti umani, disarmo e libere elezioni. Abu Mazen propone un patto democratico alle componenti radicali e religiose, le invita a deporre le armi e a far pesare la loro influenza nelle prossime elezioni palestinesi.
Nella logica di allargare il campo
della pace, come vedi le prospettive politiche nel campo israeliano, è
possibile ed auspicabile un ritorno della sinistra alla coalizione con Sharon?
La questione è nelle mani di Sharon, la chiave della road map
è il parallelismo delle concessioni, incardinato a scadenze precise,
progressive e ravvicinate. E’ previsto che gli israeliani debbano fare
delle cose autonomamente e da subito, per esempio porre fine alle uccisioni e
tornare ai confini del 28 settembre 2000. Se Sharon accetterà la road
map è assai probabile che la sua coalizione andrà in crisi, non
solo nel rapporto verso i partiti religiosi, ma anche con inevitabili
chiarimenti interni al Likud. Non c’è dubbio che se
l’attuale, esigua maggioranza che sostiene Sharon, con l’apporto
determinante dei partiti religiosi minori, dovesse andare in crisi si aprirebbe
la strada ad un nuovo governo con la partecipazione dei laburisti che, pur
indeboliti (sono passati, alle ultime elezioni, da 25 a 19 seggi), sono
comunque il secondo partito e sono disponibili. L’altro partito della
sinistra israeliana invece, il Meretz, che conta su 6 deputati alla Knesset,
intende restare all’opposizione. I Palestinesi peraltro auspicano la
formazione di un nuovo governo israeliano che nasca sulla base della
accettazione della road map. Purtroppo i primi segnali non vanno in questa
direzione, Sharon ha già detto che intende negoziare modifiche alla road
map direttamente con gli Stati Uniti, se questa è la logica temo che non
si andrà lontano. Anche il viaggio di Colin Powell di questi ultimi
giorni, che pure ha dato alcuni risultati positivi, non sembra aver rimosso gli
ostacoli.
La figura di Sharon appare tragica
quanto quella di Arafat. . .
Il quale infatti tende a raffigurarsi come lui, quando gli ho detto:
“Tu appari come il responsabile delle violenze”, mi ha risposto
“like Sharon”.
Nell’intervista di Sharon sulla
road map, dicevo, oltre a proporre 15 modifiche al testo, cosa che preoccupa,
fa però una considerazione sulla sua generazione in cui dice che, dopo
aver combattuto per tutta la vita, giunto a questo punto il suo impegno
principale non è più solo quello di garantire ad ogni costo la
sicurezza di Israele, ma anche quello di convincere il paese a fare
“dolorose concessioni” per ottenere la pace, è possibile che
sia un uomo come lui a portare Israele alla pace ed al riconoscimento di uno
stato palestinese?
Non lo conosco così bene da poter esprimere un giudizio sulla
persona. Ci sono precedenti di leader che hanno combattuto e poi si sono
rivelati gli esponenti più adatti a far la pace. Capisco il significato
della domanda, ma temo che dovremo aspettare e giudicare gli atti che si
compiranno nei prossimi giorni. La mia personale convinzione, comunque,
è che israeliani e palestinesi, da soli, la pace non sono in grado di
farla. O questo processo viene costruito e “imposto” dalla
comunità internazionale o non andrà avanti. Io ritengo che anche
nel caso la road map venisse accettata da tutti sarebbe utile che si recassero
degli osservatori internazionali a fare “monitoraggio” sul rispetto
degli accordi nei territori occupati. . . . ma non dieci, mille, duemila!
Proprio perché la cessazione degli attentati e la sacrosanta garanzia di
sicurezza per i civili israeliani deve essere garantita in parallelo con il
ritiro dell’esercito dai territori, dobbiamo essere realisti e sapere che
i palestinesi non sono in grado oggi di controllare pienamente la West Bank, il
loro governo è stato distrutto.
Il lavoro diplomatico per far
convergere Siria e Libano nel percorso di pace può essere importante.
L’Europa e la Russia possono usare argomenti positivi, diversi dalle
minacce di Rumsfeld, per indurre questi paesi a cambiare attegiamento?
Libano e Siria sono due paesi ma costituiscono un unico problema
politico. In Libano ci sono trentamila soldati siriani che esercitano un
condizionamento molto forte. Il problema è la Siria, il Libano non
può che avere vantaggi dalla pacificazione e dal ritiro dei siriani,
è un paese con grandi possibilità di sviluppo. Io parlai col
presidente Hassad (padre), due volte, nel corso degli anni ‘90,
l’ultima poco prima che morisse. Loro non si sono mai impegnati molto per
la pace, salvo che con Rabin, con cui avevano già una bozza di accordo.
La Siria rivuole le alture del Golan, conquistate da Israele nel 1967, molto
semplice. Certo può essere incoraggiata sul piano politico a fare
aperture, a democratizzarsi, può essere interessata sotto il profilo
economico alla partnership mediterranea, all’amicizia con l’Unione
europea, ma ritengo che il nodo sia tuttora il Golan. Ritengo però che
la chiave della pace sia nel rapporto tra israeliani e palestinesi, fare la
pace con la Siria senza averla fatta con i palestinesi non risolve il
conflitto. Quando, nel 1979, Israele firmò la pace con l’Egitto,
questa non ha prodotto la pacificazione della regione. Dopo le lacerazioni
sulla guerra all’Iraq, ti sembra che il “quartetto” sia oggi
sufficientemente unito e determinato per imporre ai due contendenti il rispetto
di un percorso così difficile? Gli americani cercheranno di impegnarsi,
comunque la finestra temporale di opportunità, che oggi è aperta,
è molto breve e si potrebbe richiudere presto; nel 2004 ci sono le
elezioni americane e le pressioni contro la road map sul Senato degli Stati
Uniti, sono molto forti. Credo comunque che questo sia il principale banco di
prova della rinnovata coesione dell’Europa. Su questo tema Blair si gioca
molta della sua possibilità di recuperare un rapporto con
l’opinione pubblica europea e con la sinistra del continente. Quando ci
siamo visti, a Roma, poco prima dell’attacco all’Iraq, non abbiamo
parlato della guerra, eravamo in disaccordo punto e basta. Io gli posi due
problemi: innanzitutto quello del dopoguerra in Iraq, segnalavo
l’assurdità e i rischi connessi ad un protettorato americano, la
necessità di coinvolgere l’Onu e l’Ue. Lui condivise, anche
se finora la sua possibilità di influenzare il corso di questi eventi
è apparsa minima. Quindi gli ho chiesto di mantenere il suo impegno per
la questione palestinese, un impegno che è costato al Regno Unito, nei
mesi scorsi, una mezza crisi diplomatica con Israele e ancora di recente Sharon
nella intervista di cui abbiamo parlato ha polemizzato con la posizione
inglese. Blair su questo si gioca molta della sua credibilità.
Mi pare presto per formulare un
giudizio su come procede la ricostruzione dell’Iraq, tuttavia, sul piano
politico, sembra che la chiave di volta, per capire l’impronta che
assumerà la riorganizzazione democratica del paese, sia il tipo di
relazione che si stabilirà con il vicino Iran e con la sua leadership
riformatrice. Nell’anno che ha preceduto la guerra, sin da quando, a Gennaio
del 2002, Bush incluse l’Iran nell’”asse del male”, i
riformatori guidati dal premier Khatami sono apparsi in difficoltà. Il
nuovo scenario che si apre con la ricostruzione può favorire un ruolo
più deciso da parte loro, la fine dei conflitti con il clero
tradizionalista e la ripresa del processo di apertura del paese a relazioni
internazionali positive?
Molto dipende da come si risolverà l’equilibrio interno
all’Iraq tra le diverse componenti etniche, politiche e religiose. Gli
iraniani hanno un rapporto con gli sciiti che sono, come si sa, la maggioranza
della popolazione, una comunità perseguitata e oppressa da Saddam
Hussein; se gli sciiti troveranno posto nel nuovo Iraq, in equilibrio con le
altre comunità, questo sarà positivo anche per l’Iran. . .
Ma non vale anche il contrario? La
ripresa di rapporti internazionali con i riformisti iraniani non favorisce una
buona stabilizzazione democratica in Iraq?
Certo, però dobbiamo sapere che se parte una persecuzione
degli sciiti, da parte iraniana scatterà automaticamente una
solidarietà di matrice fondamentalista, le due cose sono strettamente
connesse.
Nelle scorse settimane, quando Rumsfeld
aveva accusato l’Iran di interferire con la guerra in Iraq, il ministro
degli esteri britannico Straw, non solo prese le distanze, ma definì
l’Iran una “democrazia emergente”, pensi che un approccio di
questo genere da parte della comunità internazionale può essere
utile per dare il giusto indirizzo al dopoguerra?
Sì, però ho la sensazione che il problema dell’”interventismo
democratico” di Blair sia dimostrare quanto conta: il banco di prova
è il medio-oriente. In Iraq finora non ha inciso molto. Per condizionare
gli Stati Uniti sul medio-oriente ha bisogno della coesione dell’Europa,
visto anche che lo stesso Blair lamenta come le divisioni europee sulla crisi
irachena abbiano ridotto la possibilità di condizionare l’agenda e
le decisioni degli Usa.
Khatami definisce il suo riformismo
come il tentativo di superare la crisi, che si è prodotta, nelle società
in cui l’Islam assorbe gran parte dello spazio pubblico, a causa della
penetrazione della modernità occidentale, costruendo un percorso di
sviluppo economico e riforme democratiche autonomo, capace di tenere in
equilibrio modernità e tradizione, fattori storici, che egli invita a
non caricare di eccessivi significati ideologici o di sacralità. Ti pare
sia un riformismo con cui possiamo condividere una battaglia politica, oppure
la sinistra non può che identificarsi integralmente ed esclusivamente
con le élites filoccidentali e democratiche del mondo arabo?
Quel tipo di riformismo è l’unico che può
vincere. Il fondamentalismo però è qualcosa di più del
rinchiudersi nella tradizione, nasce come reazione alla penetrazione
dell’occidente, il primo testo importante del nuovo fondamentalismo
sciita è del 1962 e si intitola “Occidentalite”, descrive
cioè l’influenza occidentale come una malattia. Non so se
l’idea della democratizzazione dei paesi islamici intesa come occidentalizzazione
di quelle società possa vincere, ma certo sarebbe destinata ad aprire
conflitti drammatici di lungo periodo, è lo scenario di un autentico
conflitto di civiltà. Dobbiamo osservare con attenzione quello che
accade in Turchia, invece, dove vince e governa un partito islamico moderato
che si ispira esplicitamente alla democrazia cristiana; quel tipo di sintesi
tra ispirazione religiosa e valori democratici è molto interessante.
Bisogna tener presente poi che la democrazia non è solo un fatto
dell’occidente, ma contiene valori universali. Questo riformismo lo
dobbiamo giudicare non dall’impronta occidentale, ma dalla
capacità effettiva di favorire la partecipazione, la democrazia, la
liberazione delle donne, tema importantissimo, quando l’ho sollevato, in
Marocco, ho trovato grande attenzione e approvazione. Dobbiamo assumere
l’obiettivo della democrazia nel mondo islamico come tema centrale della
sinistra, cosa che non si è mai fatta. Ritengo molto significativo che
l’Internazionale socialista abbia deciso di tenere un appuntamento a Roma,
su questi temi, nei prossimi mesi. Penso che la sinistra non possa avere una
idea della democratizzazione come estensione del perimetro della influenza
occidentale, ma dobbiamo favorire i processi che possono nascere
dall’interno di quelle società come fatto popolare, non solo nelle
élites. La tragedia è stata la guerra fredda e il modello
sovietico. Quando tra gli anni ‘50 e gli anni ‘60 il nazionalismo
arabo di impronta socialista, anticoloniale, anziché trovare sponda
nella sinistra democratica europea (gli inglesi e i francesi nel ’56
assaltavano Suez contro Nasser), ha trovato la sponda sovietica e ha preso la
strada dei sistemi autoritari a partito unico. In fondo il modello di Saddam
Hussein all’origine è stato quello sovietico. Qui però
c’è anche una responsabilità della socialdemocrazia europea
che non ha saputo accompagnare con coraggio la decolonizzazione. . .
c’è voluto De Gaulle per andar via dall’Algeria!
Che obiettivi politici si prefigge
questa conferenza?
C’è la possibilità concreta di accompagnare e
contribuire politicamente ai processi di democratizzazione dell’intera
regione, quei paesi sono quasi tutti in bilico. Nello stesso Marocco
c’è il problema del Sahara occidentale, dove a fine anno scade
l’amministrazione delle Nazioni Unite e purtroppo non c’è
accordo sul rapporto predisposto per l’Onu da James Baker. Lì
anche la posizione marocchina è sbagliata. Il rapporto Baker propone una
autonomia speciale che prelude a un referendum, storica rivendicazione
indipendentista del popolo Saharaui. E’ una questione assai delicata
perché non solo tocca le rivendicazioni di questo popolo, ma investe
anche le relazioni tre Marocco e Algeria, ci riguarda da vicino e dobbiamo
favorire una soluzione condivisa sulla base del rapporto Baker. Altra situazione
in bilico è quella della Tunisia, paese che si sta modernizzando sul
piano economico, che si sta aprendo, ma dove la democratizzazione va più
a rilento. La democratizzazione del mondo arabo e islamico è un grande
tema politico per la sinistra internazionale, dobbiamo incontrare questi
partiti, incalzarli porre loro degli obiettivi. Alcune di queste forze sono
legate all’internazionale, altre no, porre degli obiettivi di
democratizzazione può essere il metodo giusto anche per incontrare nuovi
interlocutori. In materia di democrazia e diritti umani l’Internazionale
deve essere esigente verso i suoi membri e verso i suoi interlocutori. Se si
assume l’esigenza della democratizzazione come tema cruciale si
può fare molto. Gli americani hanno posto con forza la questione e hanno
elaborato una risposta, quella della guerra preventiva che, oltre a essere
sbagliata, rischia di essere anche controproducente, ma il tema
dell’allargamento della democrazia esiste. La debolezza
dell’Europa, e anche quella della sinistra, è che non offriamo
delle risposte diverse a questa esigenza, avanziamo solo delle critiche,
giuste, alla risposta degli americani. Questo è il punto vero. Una
conferenza dell’Internazionale che si ponga questo obiettivo, dunque, mi
pare opportuna e legare le due questioni, pace in medio-oriente e democrazia
nel mondo arabo è assai importante.