(Sergio Briguglio 27/6/2003)

 

INCONGRUENZE DELLA DISCIPLINA DEL LICENZIAMENTO INDIVIDUALE

 

L’esistenza di disposizioni a tutela della stabilita’ del posto di lavoro trova una giustificazione teorica nel contenuto assicurativo implicitamente attribuito al rapporto di lavoro subordinato. L’argomento (vedi, ad esempio, P. Ichino, Il Contratto di lavoro, Vol. III, §516) puo’ essere cosi’ sintetizzato: dati i limiti reali del mercato finanziario e la conseguente impossibilita’, per il lavoratore, di stipulare una vera e propria assicurazione contro il rischio di disoccupazione associato alla mutevolezza del contesto economico in cui l’azienda opera, il datore di lavoro si accolla parte di questo rischio in cambio del versamento, da parte del lavoratore, di un premio assicurativo, rappresentato dal differenziale tra il compenso corrispondente alla prestazione di lavoro autonoma e il compenso pattuito nell’ambito del contratto di lavoro subordinato.

 

In modo un po’ impreciso, ma adeguato al carattere qualitativo di questa nota, la normativa vigente a tutela della stabilita’ del posto di lavoro puo’ essere riassunta, anche alla luce della corrispondente giurisprudenza, nel modo seguente:

 

-       Il licenziamento e’ nullo in tutti i casi in cui sia basato su motivi illeciti (ad esempio, discriminazione).

-       Il licenziamento e’ legittimo se e’ fondato su “giustificati motivi” oggettivi (relativi all’andamento economico dell’impresa) o soggettivi (relativi al notevole inadempimento, colpevole o meno, del lavoratore rispetto agli impegni assunti con il contratto di lavoro).

-       Quando i motivi oggettivi o soggettivi addotti dal datore di lavoro risultino carenti, il giudice

a)       in caso di azienda con piu’ di quindici dipendenti, annulla il licenziamento, con conseguente reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e risarcimento di quanto questi ha perso nel periodo trascorso dal licenziamento alla sentenza;

b)      in caso di azienda con meno di sedici dipendenti, obbliga il datore di lavoro a scegliere tra la corresponsione di un limitato risarcimento (non commisurato al periodo suddetto e non accompagnato da ricostituzione del rapporto di lavoro) e la riassunzione del lavoratore (senza risarcimento del danno pregresso).

 

Ci si puo’ chiedere se queste disposizioni siano coerenti con il modello “assicurativo”; se garantiscano cioe’, per i casi in cui il licenziamento sia fondato su motivi oggettivi (legati alle fluttuazioni del mercato, non a comportamenti scorretti del lavoratore o del datore di lavoro), la corretta esplicitazione dei rispettivi ruoli di assicurato (il lavoratore) e assicuratore (il datore di lavoro).

 

Ritengo che la risposta sia negativa, a causa di svariate incongruenze.

 

 

I. L’incoerenza con il modello assicurativo

 

1. Giustificati motivi oggettivi: esonero dell’assicuratore dall’obbligo di risarcimento.

 

Le disposizioni in base alle quali, in presenza di giustificati motivi oggettivi – ove, cioe’, il giudice ritenga che il danno atteso per l’azienda in caso di prosecuzione del rapporto di lavoro sia superiore a una certa soglia ragionevolmente tollerabile –, il licenziamento e’ considerato legittimo e nessun risarcimento e’ corrisposto al lavoratore sono palesemente in contrasto (nella parte che solleva il datore di lavoro da ogni obbligo di risarcimento) col modello assicurativo. Se stipulo un’assicurazione contro il rischio di un evento infausto, infatti, e’ segno che l’assicuratore valuta conveniente assumersi tale rischio in cambio di un premio assicurativo; nel momento in cui l’evento si verifica, ho diritto al risarcimento, nulla contando il danno (possibilmente grave) che derivi all’assicuratore dalle circostanze all’evento collegate.

 

 

2. Carenza di motivi oggettivi in azienda con piu’ di quindici lavoratori: l’obbligo di reintegrazione, l’ingerenza del giudice, la prosecuzione forzata del contratto assicurativo.

 

Anche l’obbligo di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, che scatta nel caso in cui il giudice ritenga carenti i motivi oggettivi addotti dal datore di lavoro a giustificazione del licenziamento (danno atteso per l’azienda inferiore alla soglia tollerabile) si colloca assai male nell’ambito del modello assicurativo. L’assicurazione e’ stata stipulata (implicitamente) contro il rischio che motivi di carattere economico provochino l’interruzione del rapporto di lavoro. L’unico soggetto abilitato a valutare la reale occorrenza di tali motivi e’ evidentemente il datore di lavoro, responsabile dell’organizzazione dell’azienda e, quindi, della condizione economica di questa. Per di piu’, nel caso, certamente possibile, di valutazione sbagliata, il datore di lavoro pagherebbe in prima persona un prezzo notevole. Il giudice invece, oltre a non essere dotato della necessaria competenza, non trarrebbe alcun danno da un proprio eventuale errore di valutazione; non e’ quindi minimamente legittimato a sindacare il giudizio del datore di lavoro. Si dovrebbe ammettere piuttosto che, stipulando il contratto assicurativo, il lavoratore si garantisce non solo dal rischio che oggettive condizioni del mercato portino all’interruzione del suo rapporto di lavoro, ma anche dal rischio che questa interruzione sia determinata da valutazioni soggettive (possibilmente errate) del datore di lavoro.

 

Ma se l’intervento del giudice non deve invadere il campo delle valutazioni sui vantaggi economici futuri del rapporto di lavoro, e’ privo di senso che possa essere disposta la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. Lo e’ sotto l’aspetto economico del rapporto di lavoro, per quanto appena affermato; ma lo e’ anche sotto l’aspetto assicurativo, dal momento che il datore di lavoro assicuratore dovrebbe comunque essere legittimato a rinegoziare, per il futuro, le condizioni del contratto assicurativo (in termini di un premio piu’ cospicuo, o - in altre parole – di un salario inferiore).

 

 

3. Carenza di motivi oggettivi in azienda con piu’ di quindici lavoratori: la determinazione del risarcimento, il premio assicurativo implicito, il danno oggettivo per il lavoratore, il massimale.

 

Le disposizioni applicabili al caso di aziende con piu’ di quindici lavoratori sono difficilmente giustificabili, sotto il profilo assicurativo, anche nella parte in cui dimensionano il risarcimento commisurandolo al reddito perso dal momento del licenziamento al momento della decisione del giudice. E questo per almeno tre ragioni:

 

a)       Bisognerebbe tener conto del fatto che il reddito corrispondente all’ultima retribuzione di fatto percepita dal lavoratore e’ gia’ decurtato del premio assicurativo. Paradossalmente, un premio piu’ alto – che eroda, cioe’, piu’ significativamente il compenso “da lavoratore autonomo”, e che dovrebbe corrispondere ad un piu’ alto grado di protezione dal rischio di licenziamento – porterebbe, quindi, a parita’ di altre condizioni, alla determinazione di un risarcimento di entita’ inferiore.

 

b)      Quando si riconosca, sulla base delle considerazioni svolte in precedenza, l’incompetenza del giudice ad imporre la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, si dovrebbe  svincolare l’entita’ del risarcimento dalla durata del periodo che separa licenziamento e sentenza. Il danno reale subito dal lavoratore, infatti, prescinde dall’eventuale ritardo (tipicamente molto cospicuo) nell’emanazione della sentenza, dipendendo invece dalla condizione soggettiva del lavoratore e dall’oggettiva difficolta’ di trovare un nuovo inserimento lavorativo. Certamente, la previsione di una detrazione, dalla stima del danno, dell’aliunde perceptum (dei redditi cioe’ maturati grazie alla perdita del posto di lavoro originario) va nel verso di calmierare il risarcimento effettivo. Tuttavia, perche’ questa misura garantisca una equa valutazione del danno oggettivo (non influenzata dall’eventuale ritardo della sentenza) e’ necessario che il lavoratore si impegni al meglio delle sue possibilita’ per reperire un’altra occupazione. Quando questa condizione non sia soddisfatta, la misura risulta insufficiente, e addirittura iniqua, dal momento che il lavoratore scarsamente impegnato (per il quale e’ nullo l’aliunde perceptum, ma e’ nulla anche la fatica effettuata nel periodo considerato) risulta privilegiato rispetto al lavoratore che da subito, grazie all’impegno profuso, abbia trovato altra occupazione.

 

c)       L’entita’ del risarcimento dovrebbe essere superiormente limitata da un massimale, indipendente dal danno riportato dal lavoratore, come pure dalle vicende economiche dell’azienda, ed associato, invece, all’ammontare del premio assicurativo versato. Non c’e’ traccia dell’applicazione di questo principio nelle disposizioni applicabili al caso di datori di lavoro con piu’ di quindici dipendenti. Non puo’ infatti – come invece alcuni autori propongono – essere considerata come tale la valutazione operata dal giudice circa la tollerabilita’ del danno atteso dal datore di lavoro: si tratta, in quel caso, non dell’imposizione di un limite superiore all’entita’ del risarcimento (altrimenti variabile con continuita’), ma della verifica di una condizione di tipo booleano (si’/no), con effetti discontinui su quell’entita’: il risarcimento e’ pieno se il danno per l’azienda e’ appena inferiore alla soglia tollerabile; nullo, se il danno e’ appena superiore.

 

 

4. Carenza di motivi oggettivi in azienda con meno di sedici dipendenti: sostanziale liberta’ di licenziamento, ingiustificabilita’ del premio assicurativo.

 

Il datore di lavoro con meno di sedici dipendenti, infine, e’ in ogni caso libero di procedere al licenziamento del lavoratore in seguito a fluttuazioni dell’andamento economico dell’azienda. Il giudice, a seguito di una valutazione comunque impropria (vedi sopra), decidera’ di convalidare il licenziamento (senza imporre quindi alcun risarcimento) o di porre il datore di lavoro di fronte alla scelta tra il riassumere il lavoratore e il risarcirlo in misura assai contenuta (un certo numero di mensilita’) e del tutto priva di correlazione con il danno effettivamente subito dal lavoratore; con ovvia preferenza, da parte del datore di lavoro, per il risarcimento.

 

Ne segue – come e’ noto – che, nei fatti, la stabilita’ del rapporto di lavoro nelle piccole aziende non e’ tutelata. Questo dovrebbe pero’ corrispondere alla mancata corresponsione di un premio assicurativo da parte del lavoratore. Delle due l’una, allora: o i salari nele piccole aziende sono, a parita’ di mansioni, significativamente piu’ alti che nelle grandi aziende, o la diversita’ di tutela nei due casi e’ iniqua o, quanto meno, incoerente con il modello assicurativo.

 

 

5. Carenza di motivi oggettivi in azienda con meno di sedici dipendenti: il massimale.

 

Se il numero massimo di mensilita’ che il datore di lavoro con meno di sedici dipendenti, in caso di carenza di motivi oggettivi, puo’ essere chiamato a versare come alternativa alla riassunzione del lavoratore fosse meno contenuto, la disposizione consentirebbe al giudice di dimensionare opportunamente il risarcimento, sulla base del danno subito dal lavoratore. Potrebbe anche trovare applicazione il principio del rispetto del massimale legato all’entita’ del premio versato. Anche in questo caso, pero’, ove il massimale fosse identificato con il numero massimo (uguale per tutti) di mensilita’ esigibili, permarrebbero le incongruenze legate al fatto  che una tale quantita’ offre la dipendenza “sbagliata” dall’ammontare del premio: piu’ questo e’ alto, piu’ basso e’ il salario e, con esso, il massimale.

 

 

II. Cardini di una riforma coerente con il modello assicurativo

 

Una riforma delle disposizioni sul licenziamento individuale coerente con il modello assicurativo dovrebbe allora introdurre (o mantenere) i seguenti elementi:

-       nullita’ del licenziamento fondato su motivi illeciti o su motivi soggettivi carenti;

-       piena legittimita’ del licenziamento fondato su giustificati motivi soggettivi (con esonero del datore di lavoro da ogni obbligo di risarcimento nei confronti del lavoratore);

-       piena legittimita’ del licenziamento per motivi oggettivi (la valutazione della congruita’ di essi essendo lasciata al datore di lavoro);

-       obbligo di risarcimento da parte del datore di lavoro del danno derivante al lavoratore dal licenziamento per motivi oggettivi;

-       determinazione dell’entita’ del risarcimento basata sulla considerazione

a)       della situazione familiare del lavoratore,

b)      della difficolta’ di trovare un’occupazione alternativa (o di percepire un reddito alternativo), date le condizioni oggettive del mercato del lavoro e quelle soggettive (e indipendenti dalla sua volonta’) del lavoratore;

-       imposizione di un limite superiore all’entita’ del risarcimento, determinato sulla base dell’importo del premio assicurativo implicitamente versato dal lavoratore (in termini di minor compenso percepito, a parita’ di mansioni, rispetto al lavoratore autonomo);

-       possibilita’, per il datore di lavoro, di optare, una volta determinato l’ammontare del risarcimento, per la riassunzione del lavoratore con pagamento di un risarcimento commisurato al periodo di interruzione del rapporto di lavoro (nell’ipotesi, forse remota, che tale periodo sia sufficientemente breve, e che questa soluzione possa risultare piu’ vantaggiosa di quella costituita da licenziamento e risarcimento completo).

 

Il giudice, in questo quadro, dovrebbe quindi provvedere a

-       valutare la liceita’ dei motivi posti alla base del licenziamento o l’eventuale carenza dei motivi soggettivi addotti;

-       annullare, con conseguente obbligo di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e di pieno risarcimento dei compensi e dei contributi non versati, i licenziamenti che, a seguito della valutazione di cui al punto precedente, non risultino legittimi (ovvero confermarli, qualora risultino legittimi);

-       valutare il danno subito dal lavoratore in caso di licenziamento per motivi oggettivi;

-       stimare l’ammontare del differenziale tra compensi, a fissata mansione, per prestazioni di lavoro autonomo e prestazioni di lavoro subordinato;

-       determinare, sulla base di tale stima, l’importo massimo del risarcimento dovuto al lavoratore;

-       determinare l’importo “ridotto” del risarcimento dovuto in caso di riassunzione immediatamente successiva alla sentenza;

-       obbligare il datore di lavoro ad effettuare il risarcimento completo o, in alternativa, a riassumere immediatamente il lavoratore ed effettuare il risarcimento in misura ridotta.