Documento del gruppo no-cpt del Tavolo migranti dei social forum

 

Il gruppo di lavoro contro i Cpt, costituitosi all'interno del Tavolo

migranti dei social forum per organizzare la manifestazione di Torino del 30

novembre 2002, ha lo scopo ultimo di operare, in accordo con altre

organizzazioni europee (come stabilito durante le giornate del Forum sociale

europeo di Firenze), per la chiusura definitiva di tutti i Cpt, per il

riconoscimento del diritto d'asilo e dunque per il diritto alla libera

circolazione delle persone, sulla base di alcuni elementi di analisi

programmatica.

 

1. Sin dal momento dell'apertura dei primi Centri di detenzione, con la

legge Turco-Napolitano, abbiamo denunciato come la loro esistenza fosse

possibile solo sulla base dell'istituzione di un doppio binario giuridico,

che prevede, accanto al diritto ordinario, spazi di eccezione riservati a

particolari categorie di persone. In tali spazi, che comportano una sorta di

extraterritorialità all'interno del territorio dello stato nazionale,

l'eccezione diventa la regola. La detenzione amministrativa nei Cpt è

l'istituto attraverso cui si è instaurata in Italia tale eccezione. Questa

pratica, come emerge da alcune analisi storiche, politiche e filosofiche, ha

dei precedenti già nel XIX secolo, ma è soprattutto nel XX secolo che è

diventata pratica politica predominante, dapprima nella gestione degli

apolidi nelle democrazie liberali e poi, a partire dagli anni '30,

nell'istituzione dei campi di concentramento nella Germania nazista.

Ricordare i precedenti storici dei Centri di detenzione che stanno

proliferando in Italia e in Europa non significa, ovviamente, promuovere un

discorso che confonda o peggio identifichi tali luoghi con i campi del

nazismo, ma denunciare che se i campi sono stati possibili nel passato e

ritornano ad essere possibili, ciò implica, oggi, l'istituzione di regole

diverse per italiani e stranieri. Non solo, significa anche denunciare che

lo sfondo politico da cui essi nascono si basa essenzialmente su una regola

fondamentale, quella dell'individuazione di una categoria di persone prive

di diritti, prive del diritto ad avere diritti, su cui il potere può

esercitarsi privo di ogni mediazione. Del resto, i quattro anni di

funzionamento dei Centri sono stati accompagnati, in Italia, da non pochi

episodi di violenza, alcuni dei quali finiti addirittura con la morte degli

immigrati detenuti in tali spazi. Significa denunciare, inoltre, tutte le

forme discorsive e di sapere che stanno a monte di tale pratica e che

vengono poi informate da essa. Quella, innanzitutto, dell'uso eufemistico

delle parole, di cui la parola assistenza, per indicare i luoghi di questa

particolare detenzione, è solo l'esempio più evidente. I centri di

detenzione sono, inoltre, luoghi della sospensione della politica, se con

spazio politico si intende anche lo spazio di visibilità in cui i soggetti

parlano e agiscono. Messe al di fuori del diritto e della politica, le

persone detenute nei Centri scompaiono e i luoghi di tale scomparsa

diventano laboratori di una "vita assistita" volti ad eliminare ogni

processo di soggettivazione o di singolarizzazione.

 

2. La Bossi-Fini (come già prima la Turco-Napolitano) dà una lettura

esclusivamente economicistica del fenomeno immigrazione riducendo

l'immigrato a merce, privandolo di ogni altra dimensione dell'esistenza. I

Cpt funzionano come strumento di controllo della forza-lavoro secondo le

esigenze dei padroni: sono l'arma di ricatto contro le richieste di

miglioramento delle condizioni complessive di lavoro e di vita da parte dei

lavoratori migranti (emersione dal nero, salari più alti, condizioni di

maggior sicurezza, diritto alla casa, versamento dei contributi

pensionistici, ecc.). Da un lato, sono una camera di decompressione del

mercato del lavoro, che permette un controllo della forza-lavoro (la loro

capacità di ricatto è assai poco simbolica: quando i lavoratori migranti

prendono la parola o la recessione incalza basta licenziarli e chiamare la

polizia), dall'altro, perpetuano un rituale di umiliazione e sfruttamento

del migrante, che mira a renderlo sempre più clandestino, debole e

ricattabile, nonché a isolarlo socialmente dalla rete della solidarietà

collettiva e degli affetti personali (quando ciò non sia già avvenuto

tramite la violenza che lo sradica dal proprio Paese e lo getta nelle

grinfie dei mercanti di schiave e schiavi). Precarietà che è l'altra faccia

della clandestinizzazione a cui si vorrebbe condannare il lavoro nel suo

complesso, rendendo innanzitutto gli operai, ma via via i lavoratori in

generale (italiani e non), sempre più flessibili, cioè precari e

clandestini, compresa la fascia di coloro che molti si ostinano a chiamare i

'garantiti'. In definitiva, essa punta a clandestinizzare tutti i lavoratori

migranti, regolari e non, e cerca di fare del lavoro-merce-migrante la leva

per una trasformazione complessiva del mercato del lavoro italiano, in linea

con le ristrutturazioni europee e con i dettati degli accordi di Schengen.

Attraverso i Cpt, la Bossi-Fini (come già la Turco-Napolitano) criminalizza

la miseria: nei Centri, infatti, finiscono immigrati che non hanno un

regolare permesso di soggiorno, cioè coloro che non hanno un regolare

contratto di lavoro, pur avendo magari un lavoro in nero. In questo modo si

costringe l'immigrato ad adattarsi al rito dello sfruttamento o a imboccare

le vie della criminalità. Criminalizzando la miseria si criminalizzano i

lavoratori migranti (disposti a tutto pur di lavorare!) e si istiga a un

nuovo tipo di razzismo. I Cpt sono l'emblema del modello segregazionista

che, nelle intenzioni dei governi di destra, dovrebbe caratterizzare la

società del prossimo futuro.

 

3. Le istituzioni totali sono luoghi chiusi e delimitati che stabiliscono

una differenza netta tra lo spazio del "dentro" e quello del "fuori",

identificando, attraverso regole di omogeneità sociale, gruppi di persone in

categorie altrettanto chiuse e delimitate. Tale sistema totalizzante e

"identificante" che ha caratterizzato e caratterizza l'istituzione

carceraria, l'ospedale psichiatrico e altri luoghi di reclusione, oggi

caratterizza anche l'istituzione Cpt. Utilizzati in primis come zone di

contenimento dei flussi migratori sulla base di problemi gestionali ed

emergenziali, i Cpt sono diventati in pochissimo tempo una regola, un

processo sistemico entro il quale attivare il passaggio dallo Stato sociale

allo Stato penale sino allo Stato emergenziale che consente, attraverso

l'uso della detenzione amministrativa o le politiche sicuritarie e

"preventive", di totalizzare la vita dei migranti che non hanno compiuto

nessun reato, per un determinato periodo di tempo. Ai pazzi, ai poveri, alle

prostitute, alle classi ritenute da sempre "marginali" e "pericolose" si

aggiungono ora anche i migranti i quali, oltre a subire gli esiti delle

politiche segregazioniste sulla base della loro "eccezionalità" giuridica

(non avere il permesso di soggiorno), devono subire anche l'umiliazione

dell'identificazione secondo l'appartenenza etnica. Il successo di parole

quali rischio e sicurezza ha consentito l'applicazione più o meno esplicita

delle procedure della "tolleranza zero", che consente di presidiare le coste

e di compiere retate attivando un meccanismo pervasivo di criminalizzazione

del migrante nell'opinione pubblica. Non è un caso che, accanto alla

reclusione dei migranti, si vedano avanzare disegni e proposte di legge che

azzerano alcuni presupposti importanti delle leggi Merlin e Basaglia. La

situazione italiana è lo specchio della diffusione globale di politiche

neoliberiste che, oltre a produrre la cosiddetta devianza, compresa quella

dei migranti (attraverso la disoccupazione di massa, i licenziamenti facili

e la precarizzazione del lavoro, i tagli alle spese per la sanità, per

l'istruzione e per la casa), identificano e sospendono la vita stessa nelle

nuove frontiere delle istituzioni totali. I Cpt, le strade, le coste, gli

aeroporti, la devianza intesa come identità indotta a esser tale dai

meccanismi d'inclusione e esclusione voluti dai governi, raffigurano le

nuove frontiere delle istituzioni totali, mentre l'implosione di alcuni

ospedali psichiatrici giudiziari e delle carceri rappresenta il logorio di

un sistema di reclusione vecchio nelle dinamiche interne e nuovo per quel

che riguarda il colore e la cultura dei suoi abitanti. Totalizzare le vite

entro spazi altrettanto totali risponde, infine, a un disegno politico

repressivo preciso: impedire qualsiasi processo di soggettivazione,

qualsiasi possibilità di presa di parola diretta rispetto all'azzeramento,

altrettanto totale, dei diritti primari delle persone e dei cittadini.

 

4. In tali strutture l'accesso alle associazioni e agli enti di tutela è

ostacolato soprattutto se avvertito come potenzialmente conflittuale. La

condizione di trattenimento e in taluni casi di segregazione incide in modo

molto pesante sulla possibilità effettiva del richiedente asilo di poter

adeguatamente motivare le ragioni che stanno alla base della sua domanda (si

pensi alla difficoltà di reperire documentazione di supporto, o a tutta la

dimensione psicologica della rielaborazione del trauma subito dal

richiedente che è stato vittima di tortura o di trattamento disumano e

degradante). All'esito negativo della valutazione della domanda che rischia

di essere sommaria, segue la parte più aberrante, ovvero il fatto che

l'eventuale presentazione del ricorso (in forme e con procedure non chiare e

che, forse verranno definite) non sospende l'esecuzione del provvedimento di

allontanamento al territorio nazionale. La mancanza di un effetto sospensivo

del ricorso giurisdizionale toglie un'ulteriore possibilità (l'ultima) per

il richiedente asilo di veder esaminata la propria richiesta di protezione

(accertamento della sussistenza del diritto soggettivo all'asilo) di fronte

a un'autorità terza e indipendente da quella che ha assunto la prima

decisione negativa. Si vede quindi come elementi quali: trattenimento con

caratteristiche di possibile segregazione; impossibilità di godere di una

tutela legale; mancanza di trasparenza della procedura; esame veloce e

sommario delle domande; sottrazione della possibilità che un'autorità terza

e indipendente possa riesaminare il caso; sottrazione della vittima di

possibili abusi tramite il suo veloce allontanamento, siano tutti elementi

che delineano un quadro coerente con gli elementi che caratterizzano

un'istituzione totale.

 

5. Con riferimento alle donne migranti, i Cpt rappresentano solo la punta

più avanzata di un modello di respingimento nel privato e riproduzione

dell'invisibilità che informa la condizione di tutti i migranti e delle

donne in particolare. All'invisibilità pubblica - determinata dalla

clandestinità e da un livello di discrezionalità amministrativa che, nella

gestione dei flussi migratori, si rivela strumentale al comando dei corpi,

totalmente oggettivati perché possono, indifferentemente, essere respinti

alle frontiere, confinati nei campi profughi, nei Cpt, o messi a valore nel

mercato del lavoro del paese d'arrivo - si aggiunge infatti l'invisibilità

domestica e il respingimento nella famiglia patriarcale. La sanatoria

conclusasi in novembre, specificando la posizione di colf e badanti, è

l'esempio più lampante del criterio sessuato di divisione del lavoro che

informa la Bossi-Fini, che risponde alla destrutturazione del welfare

attivando un processo di "sostituzione", che consente la gestione salariata

delle necessità riproduttive attraverso l'asservimento delle donne migranti.

Legando a doppio filo la posizione della donna a quella del maschio

capofamiglia, la legge ne definisce lo status a partire dal ricongiungimento

familiare, ratificando così il ruolo della famiglia come veicolo di un

diritto che assume sempre più i tratti di un privilegio. Il ricongiungimento

familiare è consentito solo laddove sussista un rapporto matrimoniale, e in

questo modo la dipendenza della donna dal proprio marito, soprattutto se

ricongiunta, viene istituzionalizzata.

 

6. Le esperienze maturate negli anni passati ci fanno considerare essenziale

la realizzazione di gruppi di monitoraggio attivo nei centri. Escludendo

qualsiasi volontà o disponibilità alla collaborazione con gli enti che li

gestiscono, la presenza di gruppi di lavoro che periodicamente siano messi

in condizione di verificare quanto avviene in ogni centro, può rappresentare

una delle modalità con cui se ne dimostra la totale irriformabilità. Ad oggi

l'ingresso nei Cpt è condizionato alla presenza di parlamentari o

consiglieri regionali. Riteniamo necessario operare una pressione politica

affinché questo diritto venga esteso ad organismi indipendenti e svincolati

da qualsiasi difficoltà o disposizioni governative. I gruppi di monitoraggio

devono potersi muoversi in totale autonomia, rapportarsi e aprire vertenze

con le istituzioni locali e nazionali, promuovere il lavoro degli

amministratori locali e dei parlamentari, garantire - in caso di carenza o

di inosservanza dell'ente gestore - assistenza legale e socio sanitaria ai

reclusi, denunciare ogni forma di abuso e di maltrattamento subita dagli

stessi, garantendo inoltre, periodicamente, la realizzazione di dossier

informativi. Non si tratta di ragionare attorno a esperienze più o meno

brutali o disumanizzanti né di limitarsi alla denuncia dei casi più

eclatanti di abuso (è infatti assodato che in tali istituzioni il rispetto

dei diritti umani è negato per principio), ma divenire granello di sabbia

che ne renda difficoltoso il funzionamento a regime. Pestaggi, rivolte, atti

di autolesionismo, tentativi di fuga, vanno documentati proprio allo scopo

di confermare alla pubblica opinione l'esistenza di luoghi in cui il diritto

è sospeso e discrezionale. A ciò s'aggiunga che le modalità con cui si

determina la loro gestione sono affidate a una convenzione che il ministero

dell'Interno stipula con un ente gestore, tramite una normale gara

d'appalto. Lo Stato versa una somma quotidiana per ogni ospite. Inevitabile

che questo abbia scatenato appetiti d'ogni tipo: la gestione di un centro

conviene, le spese reali sono basse, spesso molti dei servizi promessi non

vengono elargiti e scarso è il controllo sulla qualità dei prodotti

utilizzati. Il risultato è visibile nel sovraffollamento delle strutture,

nel degrado in cui versano, nella scarsa professionalità del personale

preposto (spesso volontari o soci lavoratori di cooperative sorte ad hoc o

riciclatesi per l'occasione). Denunciare tale forma di speculazione non

significa accettarne o augurarsi una gestione più oculata, ma sottolineare

che queste istituzioni sono utili solo a rimpinguare le casse di enti,

diocesi e cooperative. Gare d'appalto e convenzioni meriterebbero poi

ulteriori verifiche. Il monitoraggio dei Centri, che dovrà continuare nei

prossimi mesi, e per il quale chiediamo anche la collaborazione dei

parlamentari e delle associazioni, ha inoltre lo scopo di cercare di capire

più dall'interno il funzionamento dei Centri stessi, le modalità della loro

gestione, i linguaggi e i saperi che i gestori mobilitano per giustificarli,

così come quello di raccogliere tutti i dati sul loro funzionamento a

partire dall'anno della loro istituzione, nel tentativo di rompere quel muro

di non trasparenza che sinora è stato modalità comune tanto dei gestori dei

Centri quanto delle prefetture e del Ministero dell'interno. Ai

parlamentari, alle associazioni, ai sindacati, chiediamo di impegnarsi

insieme al nostro gruppo affinché tali dati siano resi finalmente

disponibili, tanto per quanto riguarda il passato, quanto per il futuro. Si

chiederà ai gestori dei Centri, così come le Prefetture e il Ministero

dell'Interno, di fornire, per ogni Centro, i dati della gestione mensile, in

modo da poter controllare e denunciare tutti i cambiamenti che di volta in

volta si attuano rispetto alle vere funzioni dei Centri. Questo non

significa voler collaborare con chi ha scelto di operare all'interno dei

Centri. Non vogliamo l'umanizzazione della loro gestione, ma la loro

chiusura.  Gruppo no-cpt del Tavolo migranti dei social forum